Perché succede quello che succede? Un vecchio aforisma attribuito a Charles Bukowski racconta di un uomo che aveva una temperatura media, dovuta al fatto che teneva la testa nel congelatore e i piedi nel forno, e ciò era l’ironico motivo generale di sfiducia nella statistica da parte dell’autore. Del resto se c’è un concetto abusato nel mondo contemporaneo è quello della media. Chiunque usa il concetto di media nei contesti più diversi: in media l’esame si passa, in media in quel ristorante si mangia bene, in media facciamo sesso quattro volte a settimana.
In media stat virtus, dicevano gli antichi: nella mediocre media risiede la virtù. Oggi un quotidiano titolava: calo di produzione in media del 20%. La media ti tranquillizza, in alcuni casi. O peggio ancora, ti da’ l’illusione di aver capito tutto. In altri ti fa preoccupare: Gli italiani lasciano la casa a 30 anni, la media europea è del 26,4. Sembra quasi di vedere dei genitori in apprensione -in effetti tutti i bravi genitori sono in apprensione, giusto? – per quel 3,6 di scarto rispetto alla media EU che rende il figlio un po’ troppo… mammone. Bravissimo ragazzo, si impegna in tutto quello che fa. In altri casi la statistica vorrebbe farti credere che vivi benissimo, che vivi benissimo e non lo sai, un po’ come trovi scritto negli autogrill: sei in un paese meraviglioso. Oppure, ancora: In Italia studenti più felici: benessere mentale sopra la media europea. Ottimo, nessun problema. Ho un figlio di 16 anni che non è riuscito ad avere il bonus psicologo (la mia regione non lo ha concesso, non c’erano fondi per tutti, ma rigirandola potremmo dire che c’erano solo per alcuni). Oggi mio figlio trascorre il tempo ad ascoltare black metal al contrario, il che non dovrebbe avere nulla di satanico visto che se ascolti musica già satanica di suo al contrario… In media il benessere mentale del ragazzo è comunque al di sopra di quegli sfigati di francesi o spagnoli. L’italiano medio – neanche a dirlo, medio – ha la predisposizione a metterla sul piano della contrapposizione, quando si tratta di nazionali o campionati, peggio ancora.
A volte pensiamo “è impossibile che due persone siano nate lo stesso giorno”, ad esempio in un gruppo di 23 persone, quando in realtà c’è una probabilità del 50% che ciò succeda (si chiama paradosso del compleanno). Se le persone del gruppo aumentano, la probabilità converge velocemente a 1, il valore che esprime la certezza. Come a dire, a volte basta guardarsi attorno per aumentare le probabilità, mentre rimanere fossilizzati sui soliti, vecchi eventi della comfort zone non aiuta e – qualche modo – fa male.
Alcune medie presentate dai giornali sono puramente familiste, parlano di una archetipica famiglia di 4 persone: Le famiglie spendono in media 140€ al mese per le spese sanitarie. Non ho mai capito perchè la mettano su questo piano, senza badare al fatto che ci sono miriadi di single al mondo. Che rimangono single, e vorrebbero anche poter formare famiglia di due, nove o 17 persone.
Sui giornali le statistiche sono un totem (ogni giorno – siamo a livelli di propaganda paranoica perenne, ormai – qualche quotidiano cita sempre qualche statistica, ogni santo giorno, e lo fa tipicamente per lanciare una qualche allerta morale: hanno registrato (chi? non lo sappiamo) un calo del 20% nella vendita dei vini significa non si consuma abbastanza, consumiamo di più! Ci sono anche buone notizie, a volte: il PIL salito dello 0.001% e allora va tutto bene, signora mia, che si lamentano a fare ‘sti quattro sovversivi. La statistica è stata declassata a matematica del conformista, e questo anche perchè si tratta di una matematica apparentemente più “flessibile” rispetto ad altri campi, come topologia o teoria dei grafi – a meno che non siate Lacan, s’intende.
Forse ho capito, anno dopo anno, elezioni dopo elezioni, perchè la mettono su questo piano. Se una cosa è “in media” puoi dire tutto e il suo contrario, la gente ci crederà lo stesso, ne discuterà al bar, dal parrucchiere, per strada, sui social. Oggi non si può più dire niente viene tipicamente detto, in media, da persone che parlano senza filtri e in maniera sregolata, e che difficilmente saranno censurate da qualcuno. I paradossi, a volte. Abbiamo fatto indigestione del valore normalizzante della media, ad esempio se ti raccontano che in media si fa così, che tu non saresti normale, gni-gni-gni, che la norma suggerisce questo, che la normalità è questa, bla bla bla. Senza sapere, peraltro, che è la norma (o moda) il valore più frequente, e che è diversa dalla media aritmetica e dalla mediana. Usiamo la media, più semplice, la capiscono tutti. Ma un valore più frequente non vuol dire che sia vero per forza. Meglio ancora: un valore frequente non è per forza il migliore.
Non dovremmo mai privarci del diritto di decidere se una media ci fa schifo, andare fuori media, invertire, sabotare la media, per migliorare le cose, provando ad andare fuori media – perché tanto gira così, perché hai visto mai che andando fuori norma si possano migliorare le cose di un mondo alla deriva. In un saggio monumentale sulla psicologia del cambiamento Paul Watzlawick, John Weakland e Richard Fisch facevano notare come i veri cambiamenti siano quelli di secondo ordine, che introducono nuove regole de-normalizzanti. I cambiamenti del primo ordine, invece, sono quelli più frequenti, in cui “cambiando l’ordine dei fattori il risultato non cambia“. Lì fuori è pieno di statistiche sature di intolleranza, becerume, addirittura violenza implicita.
I più bravi nell’ambito statistico – scienza nobilissima di cui mi considero un umile appassionato – suggeriscono che la correlazione non implica causalità: è così, una tendenza non può bastare a spiegare un fenomeno da sola, ma le persone non capiscono o non lo sanno, oppure vorrebbero semplificarsi la vita e chi se ne importa del resto. Ma se due misure variano allo stesso modo non vuol dire che una causi l’altra, anche se l’intuito suggerisce il contrario. L’incidentale a volte è difficile da accettare, specie in una società incantata dal pensiero magico e infestata di persone che “si fidano del proprio intuito” in maniera fideistica. “Fidati di me, l’intuito mi dice che“, no grazie. In media preferisco i cambiamenti del secondo ordine.
C’è un altro libro meraviglioso, scritto dallo statistico David Hand, che illustra il principio di improbabilità, per cui esistono eventi che per quanto sembrino incredibili e rari possono accadere, sono accaduti. Un uomo che viene colpito da un fulmine. Per due volte di fila. Una donna vince alla lotteria. Per due volte di fila. L’idea si basa ancora una volta sul paradosso del compleanno, secondo il quale una stanza con almeno 23 persone è sufficiente perché almeno due persone siano nate lo stesso giorno. L’intuito suggerisce che la probabilità sia bassa, ma se andiamo a fare i nostri bei calcoletti (cosa che in media non fa nessuno) scopriamo che i numeri dicono altro. I numeri del resto dicono sempre altro, ma non sempre andiamo a guardarli e ci culliamo nella nostra comfort zone.
Se non accettiamo che tantissime cose del mondo in cui viviamo siano veramente incidentali rischiamo di perderci il gusto dell’imprevisto, la follia di prendere una decisione non calcolata sul momento, andare da quella persona a dirle le cose come stanno, con la stessa probabilità di avere un nuovo amico sincero e di essere mandati affanculo. Sono in pochi a prendersi la briga di andare a controllare cose tipo “il 20% di che cosa“.
Ma allora in media perché succede quello che succede? Perchè assistiamo inermi ad eventi che sembrano sempre più grandi di noi: guerre, pandemie, recrudescenze, violenze orribili, normalizzazione del bullismo, crisi geopolitiche incessanti, prepotenze rese ordinarie? Ed è un po’ come nella vecchia barzelletta delle preghiere a Gesù: figliolo, io te la farei anche vincere sta benedetta schedina, se solo tu ogni tanto te la giocassi! È facile da capire e straniante al tempo stesso.
La probabilità che la lotteria estragga casualmente per due volte di fila la stessa sequenza di numeri è paragonabile, ad occhio, alla probabilità di trovare l’amore vero per tutta la vita: è più alta di quello che potrebbe sembrare, lo dice la scienza, non l’oroscopo o la signora dal parrucchiere. Calcoli alla mano, è molto lontana dall’uno (che rappresenta la certezza, che nessuno può avere a detta di buona parte della comunità statistica) ma non è nemmeno zero! Non fatevi fregare. La statistica da’ una speranza ai pessimisti. Comunica loro in modo scientifico che tutto è possibile, stando in vita. La probabilità di vincere alla lotteria è di uno su circa quattordici milioni se consideriamo un’estrazione di 49 numeri in gruppi da 6. Sembra una roba di cui non dovrebbe neppure valere la pena di discutere, o alla peggio un inno indecente alla ludopatia. Ma il punto è che quella probabilità, inclusa quella di realizzarti, non è zero. Non è probabilità zero. E sì, vale la pena crederci.