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  • Sul finale de Il pendolo di Foucault

    Sul finale de Il pendolo di Foucault

    Il secondo romanzo dell’autore italiano Umberto Eco, “Il pendolo di Foucault”, è stato pubblicato nel 1988 dalla casa editrice Bompiani, con la quale Eco aveva già instaurato un rapporto editoriale duraturo nel corso degli anni. Ambientato nei periodi della vita dello scrittore fino ai primi anni ottanta, il libro è diviso in dieci segmenti, ognuno rappresentante una delle dieci Sephirot. È una intricata tessitura di citazioni esoteriche che spaziano dalla Cabala all’alchimia e alla teoria del complotto.

    Chi è Léon Foucault

    Il titolo del libro fa riferimento al pendolo fisico ideato dal famoso scienziato francese Léon Foucault, utilizzato come prova sperimentale della rotazione terrestre. Tuttavia, all’interno del romanzo, il pendolo di Foucault assume un significato simbolico più ampio. Sebbene alcuni possano interpretare il titolo come un riferimento al filosofo Michel Foucault, data l’amicizia dell’autore Umberto Eco con il pensatore francese, Eco stesso ha chiarito che non c’è alcuna intenzione di collegare il titolo al filosofo Michel Foucault. Questo aspetto viene considerato uno dei sottili giochi letterari di Eco.

    L’autore ha ricevuto spiegazioni dettagliate sul fenomeno fisico del pendolo di Foucault da Mario Salvadori, il che ha contribuito a fornire una solida base scientifica per l’ambientazione del romanzo.

    Finale dell’opera

    Casaubon, l’io narrante del romanzo, inizia la sua avventura come studente e successivamente come giovane professionista nell’ambito dell’editoria a Milano. Grazie a una collaborazione con la casa editrice Garamond e insieme ai suoi colleghi Belbo e Diotallevi, entra in contatto con un gruppo di persone appassionate di esoterismo ed ermetismo. Il suo interesse per i Templari, argomento su cui ha discusso la sua tesi di laurea, lo porta, inizialmente in modo quasi giocoso, a individuare una serie di connessioni storiche tra i manoscritti presentati alla casa editrice.

    Nel finale de “Il pendolo di Foucault” di Umberto Eco, si presenta una scena in parte vagamente sulla falsariga di C’era una volta in America. Nel finale del romanzo, il protagonista, Casaubon, dopo aver subito un lungo e complesso viaggio attraverso enigmi e intrighi, si trova in una situazione simile a un momento di sospensione temporale. Nella biblioteca dell’abbazia di Parma, in cui è stato tenuto prigioniero, egli è costretto a confrontarsi con la sua stessa mente e con il flusso incessante di pensieri che lo assalgono.

    Durante il loro lavoro alla casa editrice, Casaubon, Belbo e Diotallevi entrano in contatto con un individuo chiamato Agliè, che si presenta come un esperto di ermetismo e si fa passare velatamente per il conte di San Germano. Agliè è a conoscenza del segreto che i tre stanno cercando di decifrare e fa parte di una misteriosa società segreta che ha legami con i Templari e i Rosacroce.

    Nel frattempo, Diotallevi si ammala gravemente e Belbo, travagliato da una situazione personale deludente, si lascia ossessionare dal Piano e inizia a credere seriamente nella sua esistenza. Un giorno, Belbo confida a Agliè di essere a conoscenza della mappa da utilizzare, anche se in realtà non è vero. Successivamente, viene costretto con un ricatto a recarsi a Parigi.

    Una volta lì, Belbo si rende conto con terrore che il Piano potrebbe essere meno fantasioso di quanto inizialmente pensato, poiché altri sembrano aver concepito le stesse teorie. Riesce appena in tempo a telefonare a Casaubon per metterlo sull’avviso prima di essere rapito. La notte del 23 giugno, viene portato al Conservatoire, dove si svolge una riunione della società segreta. Durante la cerimonia, Belbo viene interrogato riguardo alla mappa, ma si rifiuta di rivelare informazioni che in realtà non possiede.

    Casaubon, che si è infiltrato nel Conservatoire la sera prima, assiste in silenzio a tutta la drammatica sequenza di eventi e al suo tragico epilogo, prima di fuggire, consapevole di essere anch’egli braccato dalla spietata setta.

    Il pendolo di Foucault, che ha costantemente ossessionato Casaubon durante il romanzo, simboleggia la ricerca ossessiva di significato e di verità che lo ha portato a attraversare un labirinto di teorie e congetture. In questo momento di solitudine, Casaubon si trova immerso in un dialogo interiore, dove riflette sui suoi errori, le sue ossessioni e le sue debolezze. Il ritorno alla biblioteca dell’abbazia può essere interpretato come un ritorno alle origini, un ritorno alla fonte del suo tormento intellettuale. Sdraiato su un letto, come Noodles nel finale di “C’era una volta in America”, Casaubon potrebbe essere immerso nei suoi pensieri, rivivendo i momenti cruciali del suo viaggio e cercando di dare un senso a tutto ciò che ha vissuto.

    Quel sorriso di Casaubon potrebbe essere interpretato come una manifestazione di accettazione o di resa di fronte alla complessità del mondo e alla sua incapacità di comprenderlo appieno. Potrebbe rappresentare anche una sorta di liberazione, un momento in cui Casaubon si libera dalle catene delle sue ossessioni e delle sue paure, trovando una forma di pace interiore nella consapevolezza della sua stessa umanità e delle sue limitazioni.

  • Che cos’è un’epitome spiegato chi naviga su internet per scoprirlo

    Che cos’è un’epitome spiegato chi naviga su internet per scoprirlo

    La parola “epitome” ha un’origine interessante che risale all’antica Grecia. Deriva dal termine greco antico “ἐπιτομή” (epitomḗ), che a sua volta proviene dal verbo “ἐπιτέμνειν” (epitémnein), che significa “tagliare” o “ridurre”.

    Un epitome è una sintesi o un riassunto conciso di un testo più lungo o di un’opera complessa. L’obiettivo principale di un epitome è quello di presentare le idee principali o i punti salienti di un testo in modo chiaro e conciso, senza entrare nei dettagli o nelle sottigliezze.

    Gli epitomi sono utilizzati in vari contesti, tra cui:

    1. Letteratura: In letteratura, un epitome può essere un riassunto breve di un libro, di un romanzo o di un’opera letteraria più ampia.
    2. Storia: In ambito storico, un epitome può essere una sintesi delle principali tappe o eventi di un periodo storico specifico.
    3. Scienza: Nelle scienze, un epitome può essere un riassunto delle scoperte o dei concetti principali di una teoria scientifica o di una ricerca.
    4. Giurisprudenza: In ambito legale, un epitome può essere una sintesi dei punti chiave di una decisione giudiziaria o di un caso legale.

    In generale, gli epitomi sono utili strumenti per ottenere una comprensione rapida e sintetica di un argomento complesso o di una fonte di informazioni più dettagliata.

    Nell’antica Grecia, l’epitome era una pratica comune in cui si riduceva un’opera più lunga o complessa in una versione più breve e concisa, conservando però i punti principali e le idee fondamentali. Questo concetto di “tagliare” o “ridurre” è quindi alla base del significato moderno di epitome come un riassunto o una sintesi di un testo più ampio.

    Con il passare del tempo, la parola è stata adottata in molte altre lingue, mantenendo il suo significato originale di “riassunto” o “sintesi”.

    Sinonimi di “epitome”

    Sintesi” è certamente un sinonimo di “epitome”.

    Entrambe le parole indicano un riassunto o una rappresentazione concisa di un testo più lungo o complesso, con l’obiettivo di catturare i punti principali o le idee fondamentali. Altri sinonimi di “epitome” includono:

    1. Riassunto
    2. Riepilogo
    3. Sommario
    4. Compendio
    5. Abbozzo
    6. Astrazione
    7. Sunto

    Tutti questi termini possono essere utilizzati in contesti simili per indicare un’abbreviazione o una versione più breve di qualcosa di più ampio.

  • Che cos’è la metafisica

    Che cos’è la metafisica

    (N.B. questo dialogo non è mai avvenuto nella realtà)

    Socrate: Salve, amico mio! Oggi voglio discutere con te un argomento di grande importanza: la metafisica. Hai mai sentito parlare di essa?

    Interlocutore: Certamente, Socrate. La metafisica è una branca della filosofia che si occupa degli aspetti più profondi e fondamentali della realtà, come l’esistenza, la natura della conoscenza, e il significato dell’essere.

    Socrate: Esattamente! Il termine “metafisica” deriva dal greco “meta”, che significa “al di là”, e “physika”, che significa “natura”. Quindi, in un certo senso, la metafisica si occupa di ciò che va oltre la fisica o la realtà empirica. Ma quale potrebbe essere la sua utilità?

    Interlocutore: La metafisica ci aiuta a esplorare domande fondamentali che vanno al di là del mondo materiale e tangibile. Ci permette di riflettere sul significato dell’esistenza, la natura dell’universo e la nostra posizione in esso.

    Socrate: Esatto! La metafisica può aiutarci a sviluppare una comprensione più profonda del mondo e di noi stessi. Tuttavia, non possiamo dimenticare che, come disse Aristotele, “la metafisica è la scienza più difficile e meno utile”.

    Interlocutore: Ma perché dici ciò, Socrate?

    Socrate: Ah, amico mio, spesso ci perdiamo nei meandri delle nostre speculazioni metafisiche, senza mai arrivare a una conclusione definitiva. È come cercare di afferrare un’ombra: sfuggente e evanescente.

    Interlocutore: Quindi la metafisica è inutile?

    Socrate: Non necessariamente! Anche se non possiamo sempre giungere a certezze assolute, il processo di indagine filosofica in sé può essere illuminante e arricchente. Tuttavia, dobbiamo essere consapevoli dei nostri limiti e non cadere nella trappola della vanità intellettuale.

    Interlocutore: Capisco. Ma hai un esempio ironico o un colpo di scena da condividere?

    Socrate: Certamente! Immagina un filosofo che passa la sua vita a cercare di capire la natura ultima dell’universo, solo per scoprire alla fine che tutto ciò che sa è che non sa nulla. Un colpo di scena degno della migliore commedia!

    Interlocutore: (sorridendo) In effetti, Socrate, la vita è piena di ironie e sorprese. Grazie per questa discussione illuminante!

    Socrate: Il piacere è tutto mio, amico mio. La filosofia è un viaggio senza fine, e io sono sempre pronto a esplorare le sue meraviglie con te.

     

  • Guida pratica al dissing cibernetico

    Guida pratica al dissing cibernetico

    La parola “dissare” deriva dall’adattamento del verbo inglese “(to) diss” nella lingua italiana, al quale è stata aggiunta la desinenza “-are” per formare un verbo italiano. “Diss” è un termine colloquiale dell’inglese americano, abbreviazione di “to disrespect”, che letteralmente significa “disprezzare” o “mancare di rispetto”. Il verbo “diss” è stato ampiamente utilizzato nella cultura hip-hop e nella sottocultura giovanile degli Stati Uniti, specialmente negli anni ’80 e ’90, per indicare un’azione di critica o di sfida nei confronti di qualcuno.

    L’adattamento italiano “dissare” segue la stessa struttura del verbo inglese, ma con l’aggiunta della desinenza “-are” della prima coniugazione dell’infinito. In questo modo, “dissare” acquisisce il significato di “criticare”, “sfidare” o “mancare di rispetto” nei confronti di qualcuno o qualcosa. La parola è entrata nell’uso comune soprattutto in ambienti giovanili e nella cultura urbana, dove è impiegata per esprimere disaccordo o disapprovazione in modo informale e spesso provocatorio.

    “Dissing”, è un adattamento, del verbo inglese “(to) diss” con l’aggiunta, della desinenza italiana “-are”, della prima coniugazione dell’infinito della rete internet, una realtà, dove le identità si dissolvono, e si ricreano con un semplice clic, dove la linea tra realtà, e finzione si sfuma, e il potere del ‘dissing’ si estende, oltre la sfera del linguaggio – che non è, di programmazione, è di aggressione, linguaggio di aggressione, per dissare, to diss siginfica opporsi, negare, fare il bastian contrario, ma a cosa posso oppormi, se non, al singolo – Nel tessuto intricato, dei flussi digitali, l’individualità si dissolve, come cellule colpite, da un virus implacabile. Ogni clic, ogni battito, di tastiera, è come un contagio, che infetta, e altera, le nostre identità, diffondendo, il suo veleno, attraverso i circuiti elettronici, con la stessa ferocia, di un’infezione virale. In questo labirinto, di codici elettronici, l’essenza, dell’umanità si contorce, e si contamina, come un corpo soggetto, a allergie, reagendo, e mutando, di fronte, alla costante esposizione, alle tossine digitali – Nell’oscurità, dei recessi virtuali, le menti sono soggette, a un assedio costante, di informazioni distorte, e manipolate, come antociani, che si diffondono, nei tessuti, dell’organismo, provocando, una reazione, a catena, di sintomi imprevedibili. Le barriere, tra ciò che è vero, e ciò che è falso, diventano sempre più sottili, mentre l’individuo si trova intrappolato, in un loop infinito, di dubbi, e incertezze. Ogni interazione, online, è un nuovo contatto, con il patogeno digitale, un’opportunità, per il virus, dell’ignoranza, e della disinformazione, di infettare, e corrompere, le menti vulnerabili – Nell’oscurità, dei recessi virtuali, le menti sono soggette, a un assedio costante, di informazioni distorte, e manipolate, come antociani, che si diffondono, nei tessuti, dell’organismo, provocando, una reazione, a catena, di sintomi imprevedibili. Le barriere, tra ciò che è vero, e ciò che è falso, diventano sempre più sottili, mentre l’individuo si trova intrappolato, in un loop infinito, di dubbi, e incertezze. Ogni interazione, online, è un nuovo contatto, con il patogeno digitale, un’opportunità, per il virus, dell’ignoranza, e della disinformazione, di infettare, e corrompere, le menti vulnerabili.

     

    In psicologia, l’aggressione si riferisce a un comportamento che è intenzionalmente diretto a causare danni o dolore a una persona, fisicamente o emotivamente.

    Utilizzare il testo in maiuscolo può essere interpretato come un modo per urlare nel contesto della scrittura online. MA COME POSSIAMO DISTINGUERE L’EMFASI DALL’IRRITAZIONE? FORSE È SOLO UN’ABITUDINE CHE DERIVA DALL’ERA DEI FORUM E DEI CHATROOM, DOVE I CARATTERI MAIUSCOLI SPICCAVANO TRA UN MARE DI MESSAGGI. OPPURE È UN RIFLESSO DEL NOSTRO STATO EMOTIVO, UNA MANIERA IMPULSIVA DI ESPRIMERE RABBIA O FRUSTRAZIONE. IN OGNI CASO, IL LINGUAGGIO DELLE MAIUSCOLE HA ACQUISITO UN SIGNIFICATO PIÙ AMPIO, VENENDO ASSOCIATO ANCHE ALL’IMPORTANZA O ALL’URGENZA DEL MESSAGGIO. TUTTAVIA, BISOGNA PRESTAR ATTENZIONE A NON ABUSARNE, ALTRIMENTI SI RISCHIA DI PERDERE IL LORO EFFETTO IMPATTO. Questo può manifestarsi in vari modi, come aggressione fisica, verbale, o anche attraverso azioni passive come l’ignorare deliberatamente o escludere qualcuno.

    IL DISSING CIBERNETICO È L’ATTO DI OPPORSI O NEGARE QUALCUNO ONLINE ATTRAVERSO COMMENTI OFFENSIVI O INSULTANTI – COME ENTRARE IN UN RING DI PAROLE VIRTUALI E LANCIARE FRECCE DIGITALI CONTRO QUALCUNO – ANCHE SE SEMBRA SOLO UN GIOCO DI PAROLE – IL DISSING PUÒ AVERE CONSEGUENZE – REALI – PUÒ FERIRE SENTIMENTI – CAUSARE LITIGI – DANNEGGIARE LA REPUTAZIONE ONLINE DI QUALCUNO.

    Dissare è come lanciare frecce nel cuore virtuale della gente.

  • La torre nera: otto libri nel film di Nicolaj Arcel

    La torre nera: otto libri nel film di Nicolaj Arcel

    La torre nera, film del 2017 diretto dalla regia di Nicolaj Arcel e animato dalla destrezza dei due protagonisti principali interpretati da Idris Elba e Matthew McConaughey, è stato dichiarato dalla critica uno dei dei film più ambiziosi del 2017. Il film sarà stato all’altezza delle aspettative innalzate? Cerchiamo di scoprirne di più.

    È utile cominciare dall’idea del film e più precisamente dalla sua genesi esatta. Per chi non fosse un lettore incallito di Stephen King chiariamo subito che il film trae ispirazione dall’omonima saga dell’autore, una serie di romanzi, otto nello specifico, che sfiorando lo stile di vari generi dal fantasy, all’horror, al western, rintraccia le gesta del protagonista Roland, ultimo cavaliere vivente alle prese con la ricerca della Torre nera, un mitico edificio rappresentante la principale via d’accesso per l’universo, passaporto per tutti i mondi altri.

    È da qui che Nicolaj Arcel prende le mosse tentando di tradurre per immagini e filmicamente ciò che Stephen King stende e narra in oltre otto libri. Arduo è l’intento di Arcel obbligato a compiere naturalmente scelte registiche ben precise.

    Vari i punti di contatto tra la serie di romanzi e la pellicola, come varie sono le differenze. Accennando ai primi possiamo scovare nella scelta cinematografica di Arcel una linea ben precisa, quella di mettere ossia in contatto la tormentata ricerca di Roland all’interno del Medio-Mondo con le strane visioni manifestatesi nei sogni di Jake, un malinconico ragazzino che vive in una New York contaminata da mostri celati da sembianze umane che si muovono per la città rapendo ragazzi inconsapevoli dei propri poteri per destinarli ad altri mondi.

    Passando alle differenze, potremmo segnalare uno dei tratti maggiormente distanti del film rispetto ai libri. Il personaggio Eddie – assai importante nella serie di libri – che nel film non è stato introdotto, probabilmente per condensare al massimo gli intrichi della trama. Ritroviamo quest’ultimo tra le pagine della saga cimentarsi in indovinelli con Blaine riuscendo ad avere la meglio su di lui, come accade quando si trova in qualche bottega alle prese con i dadi, o quando più in generale giocando a blackjack riesce a vincere con un diciassette. Un numero, il diciassette, di cui secondo la strategia standard del blackjack classico sarebbe meglio non accontentarsi, ma per Eddie sembra rivelarsi piuttosto vincente.

    È quindi Jake il movente del film, il personaggio mediante cui possiamo accedere al Medio-Mondo. Jake è ossessionato da strani sogni al cui interno aleggia spesso una torre nera e un singolare pistolero, Roland Deschain. È grazie a uno dei disegni che Jake fa in seguito alle visioni che riesce a raggiungere un edificio al cui interno è posizionato un dispositivo che una volta attivato trasporrà il ragazzo in uno dei mondi paralleli.

    Da qui in poi il cammino di Jake si unisce e si fonde a quello del solitario pistolero Roland il cui obiettivo – oltre quello di raggiungere la Torre nera – è arrestare il sinistro mago Walter, impersonato da un accattivante Matthew McConaughey, uomo in nero che vuol abbattere la leggendaria torre.

    È in questi termini che il film, ammantato di una copertura fantasy, dispiega il suo potere più decisivo, quello di rinfrescare la manichea lotta tra male e bene, buio e luce, Walter e Roland.

    In questo senso probabilmente La torre nera attende le aspettative di tutti coloro che cercavano nel film non una mera trasposizione del libro. L’ardita operazione di Arcel si propone di rivestire i personaggi della saga di King di un’altra e più profonda luce. Quella che pertiene alla visione del mondo più antica di tutte e che non cesserà mai di esercitare il suo fascino sugli spettatori. Walter è il mago scaltro e efferato che vuole distruggere; Roland con Jake è il vessillo di chi lotta per offrire una possibilità al mondo.

    La torre nera di Arcel è certamente un prodotto che attraversa e si pone al di là di ogni aspettativa. Vedere per credere.

    Photo by cdrummbks / CC BY 2.0