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  • Dietro la porta chiusa di Fritz Lang c’era un mondo oscuro (ma non troppo)

    Dietro la porta chiusa di Fritz Lang c’era un mondo oscuro (ma non troppo)

    Cecilia è una giovane donna riluttante al matrimonio, che durante un viaggio in Messico conosce un affascinante architetto, che deciderà inaspettatamente di sposare. L’uomo sta sviluppando una teoria sull’architettura delle camere, che – a suo dire – sarebbero legate a ciò che succede, o è successo, all’interno delle stesse. Cecilia scoprirà una vera e propria collezione di stanze, di cui l’ultima è rimasta chiusa per motivi incomprensibili…

    In breve. Thriller d’epoca profetico per forma e sostanza, dai toni che richiamano Hitchcock e a cui molti altri registi sembrano essersi ispirati in seguito. Da un lato troviamo le porte della casa, un elemento portante della storia e con tutto ciò che implicano e sottintendono nella psicologia dei personaggi; dall’altro, alcune ingenuità della storia, ed il tono rassicurante del finale, finiscono per rendere godibile il film per ogni spettatore, più che renderlo fiacco. Rilevante perchè si può considerare quasi un saggio di psicanalisi, perchè il rapporto ambiguo tra i due coniugi è archetipico e anche perchè – in modo parzialmente involontario – molti elementi del film si ritroveranno anche in tantissimi gialli all’italiana.

    Incluso nella lista dei 1001 film da vedere prima di morire (1001 Movies You Must See Before You Die, scritto dal critico Steven Schneider, con volume disponibile su Amazon apparentemente solo in inglese), è uno dei padri più importanti e film più influenti per il genere giallistico, di cui eredita molti elementi che saranno poi tipici dei gialli all’italiana. Si tratta del primo film americano dell’attore Michael Redgrave, abbastanza in voga nel periodo e qui presente nella parte di Mark Lamphere, uno dei protagonisti della storia. Storia che Fritz Lang declina con toni hitchcockiani subito dopo aver tentato di realizzare una propria versione del celebre Rebecca – La prima moglie, con risultati tutt’altro che esaltanti, e finendo fuori budget e fuori tempo massimo.

    Secret Beyond the Door finisce per essere un film parecchio rilevante per il genere thriller, soprattutto nel proprio essere archetipico, quasi fuori dal tempo, prima di chiunque altro: la storia che racconta è morbosa quanto universale, non è invecchiata fino ai giorni nostri ed è girata con grande gusto per le immagini. Il film verte sulla progressiva scoperta da parte della protagonista (una Joan Bennett particolarmente calata nella parte) dell’identità reale del proprio compagno, dipinto inizialmente come mite ed affabile ed in realtà legato ad una morbosa storia legata, come in una favola nera, a sette stanze di cui una inaccessibile dall’esterno. Il soggetto, poi, è tratto da un racconto di Rufus King, dal titolo Museum Piece Nb.13.

    Valgono a molto, a riguardo, le parole di elogio del critico Cesare Sacchi, che sulla rivista Cineforum n.252 definisce “Dietro la porta chiusa” uno dei migliori saggi freudiani mai girati: “uno degli omaggi più seri ed attenti che il cinema abbia fatto alla cultura freudiana. Infatti, un caso clinico, presentato con rigore, sensibilità e competenza, viene contemporaneamente ridefinito, arricchito e trasfigurato in un linguaggio cinematografico allusivo, pregnante, quasi onirico, che risulta non solo molto aderente alla vicenda psicopatologica e terapeutica, ma sembra altresì in grado di suggerire e sottolineare l’intensità e in certo modo l’intimità di talune atmosfere relazionali, quali si producono, specificamente, nel corso di un’analisi“.

  • Brivido: macchine che si ribellano agli uomini, regia di Stephen King

    Brivido: macchine che si ribellano agli uomini, regia di Stephen King

    Come diretta conseguenza del passaggio di una cometa le macchine (dai cabinati di videogame ai bancomat, passando per camion e coltelli elettrici) impazziscono, e si ribellano agli uomini. Un gruppo di persone si ritrova in una stazione di servizio per provare una disperata fuga.

    In due parole. Un classico dell’orrore anni ’80, caratterizzato da una minaccia strisciante e infida che viene fuori dalle macchine, ed è in grado di rivoltarsi violentemente contro l’uomo. King, omaggiando il cinema di genere anni 50 e 60, con Brivido volle simboleggiare la propria inquietudine per l’avvento di una tecnologia in rapido sviluppo in quegli anni, che oggi (peraltro) appare obsoleta: nonostante questo, il film non sembra troppo vecchio rispetto all’età che ha, e presenta vari punti positivi che lo rendono puramente cult (anche se non al top).

    Annunciato con scarsa modestia (vedi tagline della locandina) come un masterpiece del terrore diretto da uno dei più grandi scrittori del genere, Brivido si rivela quasi subito, durante la visione, per quello che è: un modesto b-movie che, a seconda dei punti di vista, convince poco o abbastanza – ma diverte, tutto sommato. Anche solo per le situazioni che si vedono, perfettamente riconoscibili per i fan del regista (abituati alla sua scrittura ed agli scenari che descrive): il cinico boss della stazione di servizio, ad esempio, oppure la svampita che lavora ai tavoli, sono senza dubbio tra i più stereotipati.

    “Tesoro, se ho ben capito questa macchina mi sta dando dello stronzo” (S. King)

    A cominciare dal bancomat che insulta un cliente, passando per coltelli elettrici impazziti, camion con istinti omicidi, flipper che si muovono da soli, ponti mobili che si aprono senza preavviso e distributori di bibite che sputano lattine, con “Brivido” Stephen King tenta la sua prima ed unica esperienza registica, mostrando da subito una capacità fuori da comune di sintetizzare gli stereotipi dell’orrore. Il più grande pregio di un film del genere, del resto, risiede proprio in questa immensa capacità di sintesi, nel suo saper dire qualcosa senza dire nulla di nuovo. E questo si nota soprattutto nelle classiche situazioni e/o scenette tipiche del genere negli anni ’80: l’apparente normalità che aggredisce l’uomo, l’ambientazione in una stazione di servizio, i personaggi tipici – dal cinico alla svampita, passando per il lavoratore sfruttato nonchè deus ex machina – soprattutto i richiami alla situazione di stallo romeriana: tutti i personaggi restano intrappolati in un edificio per via di una minaccia esterna, trend inaugurato da La notte dei morti viventi.

    Questo avviene sia dal punto di vista delle sequenze, delle scene e delle svariate situazioni archetipiche per il genere, che da quello di valorizzare un cinema classico che stava per perdere, suo malgrado, numerosi colpi: un equilibrio globale piuttosto raro nel periodo, che potrebbe interessa il pubblico ancora oggi e fa sentire poco l’età del film stesso. Certamente il fatto che l’autore dello script sia uno scrittore di professione e soprattuto coincida con la figura del regista ha fatto sì che l’intera impalcatura potesse reggere in modo dignitoso, anche se (soprattutto se visto oggi) sembra fuoriluogo parlare di un vero e proprio capolavoro.

    Certamente si tratta di uno dei tanti classici del genere horror anni ottanta, per quanto non sia troppo raffinato o sanguinolento, e soprattutto nonostante la situazione base ricordi in parte (e con mezzi molto minori, ovviamente) quella vista nella popolare saga di Terminator o Hardware – Metallo letale – nelle quali, pero’, per macchine che si ribellano agli uomini si intendevano cyborg molto fighi.

    In definitiva un film per appassionati “raw & wild” o, se preferite, per onanisti dell’orrore. Colonna sonora affidata interamente agli AC/DC, su esplicita richiesta kinghiana.

  • Le nove vite di Fritz il gatto: il cartone underground che uscì prima di qualunque altro

    Le nove vite di Fritz il gatto: il cartone underground che uscì prima di qualunque altro

    Le nove vite di fritz il gatto” è un cartone animato del circuito underground americano risalente al 1974, tratto dal soggetto originale di Robert Crumb e sceneggiato da Ralph Bakshi. Esso rappresenta una violentissima satira polverosa, dura, sessualmente esplicita e piena di volgarità di ogni genere. Insomma il genere di opera che avrebbe prodotto forse solo un Bukowski in particolare stato di ebbrezza, che fulmina le convenzioni della castissima (almeno all’apparenza) società americana, facendosi gioco di chiunque: del governo, del lavoro, della famiglia, del proibizionismo e anche della stessa cultura underground da cui questo prodotto deriva.

    In breve: irriverente, politicamente scorretto, scurrile e sovversivo. Come sarebbero i Simpson e South Park, in altri termini, se fossero stati realizzati da Charles Bukowski.

    Si tratta a onor del vero del seguito di “Fritz il gatto“, l’opera prima della serie che non ha avuto molto successo qui in Italia, probabilmente per il discutibile doppiaggio di bassa qualità che venne realizzato: in questo episodio le cose vanno decisamente meglio, Fritz esce fuori in tutta la sua grottesca trivialità, sempre impegnato a fregarsene degli stimoli che vorrebbero che facesse una vita normale ed un lavoro ordinario, e preoccupato esclusivamente di tirare a campare godendosela il più possibile su ogni fronte. Per scansare la moglie conformista che sbraita contro di lui, gli rinfaccia la mancanza di responsabilità ed ammette di tradirlo, Fritz inizia a passeggiare per le strade della sua città in solitaria: incontrerà così i più assurdi personaggi che si possano immaginare.

    Essendo un gatto, Fritz ha la possibilità di rivivere le ben note “nove vite”, ed è così che nell’ordine si trova in nove pazzeschi mini-episodi che trasudano psichedelia e pulp da ogni poro. Roba che girava nei primi anni 70, che probabilmente dovevano produrre lo stesso effetto provocato oggi dalle puntate più crude di South Park, per intederci.

    1. Fritz incontra un portoricano (Juan), e si reca a casa della sorella di lui, Chita. Dopo averla convinta a fumare, i due iniziano a fare sesso ma vengono scoperti dal padre di lei, che rincorre Fritz armato di fucile il quale salta giù dalla finestra;
    2. successivamente fa amicizia con un ubriacone che afferma di essere dio in persona;
    3. si ritrova a letto con due ragazze tedesche, e successivamente psicoanalizza Hitler in persona. Il dittatore viene rappresentato da un cane con un solo testicolo;
    4. cerca di barattare un preservativo usato per una bottiglia di liquore, per poi scoprire di aver passato la gonorrea alla moglie del droghiere, con cui ha avuto una relazione clandestina;
    5. fa un viaggio nel tempo totalmente psichedelico e sconnesso negli anni 30, ballando il tip-tap;
    6. si rivolge ad un banco dei pegni gestito da un corvo ebreo, con il quale contratta per avere un assegno in cambio di una tazza del water. Alla fine ottiene in alternativa un casco spaziale;
    7. diventa quindi astronauta della NASA, deciso a partire in missione su Marte; durante l’attesa della partenza fa sesso con una reporter, ma alla fine l’astronave esplode nello spazio;
    8. parla con il fantasma del corvo precedentemente ucciso, ed ha una sorta di flash-forward in cui vede che il New Jersey è diventato “New Africa“, ed ospita solo corvi neri. Inviato lì come corriere, viene accusato ingiustamente di aver ucciso il presidente, di aver provocato la guerra tra New Africa e Stati Uniti e, alla fine, viene giustiziato;
    9. alla fine incontra un guru indiano ed il diavolo in persona dentro le fogne di New York, ma la visione viene interrotta dalla moglie che lo sveglia e lo caccia di casa, mentre il gatto afferma “Questa è la peggiore vita che abbia mai avuto“.
  • Ex libris (quiz interattivo)

    Ex libris (quiz interattivo)

    Ti proponiamo solo 5 domande, saprai rispondere? Le domande cambiano ogni volta che si aggiorna la pagina, pescando da una banca dati che abbiamo creato.

    Ex libris

     

    Benvenuto/a al test Ex libris, progettato per mettere alla prova la tua conoscenza dei libri che leggi! Rispondi alle seguenti domande con vero o falso: questo tipo di Ex libris potrebbe essere un modo divertente per stimolare la riflessione sui libri letti e per incentivare una maggiore attenzione al loro contenuto.

    1 / 5

    Cos’è la banda secondo Ciccarelli/Monti nel libro Spaghetti hacker?

    2 / 5

    Lacan scrive, nel XXIII seminario (Il sinthomo): Il desiderio di conoscere incontra ostacoli. Ho inventato il nodo per…

    3 / 5

    La verità può solo semi-dirsi è una frase di …

    4 / 5

    Un callback è una funzione che viene passata come argomento a un’altra funzione e che viene chiamata all’interno di questa funzione principale, solitamente quando si verifica un determinato evento o condizione. Cosa indica un callback nel contesto di Spaghetti hacker?

    5 / 5

    Il meglio e il peggio del capitalismo in un colpo solo e una definizione data da Anna frei nel suo libro Hello Word in relazione a…

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  • Heat – la sfida: cast, produzione, sinossi, curiosità e spiegazione finale del film

    Heat – la sfida: cast, produzione, sinossi, curiosità e spiegazione finale del film

    Cast

    • Al Pacino nel ruolo del Tenente Vincent Hanna
    • Robert De Niro nel ruolo di Neil McCauley
    • Val Kilmer nel ruolo di Chris Shiherlis
    • Tom Sizemore nel ruolo di Michael Cheritto
    • Jon Voight nel ruolo di Nate
    • Ashley Judd nel ruolo di Charlene Shiherlis
    • Natalie Portman nel ruolo di Lauren Gustafson

    Produzione

    Il film “Heat – La Sfida” è stato diretto da Michael Mann ed è stato rilasciato nel 1995. Il regista ha lavorato a lungo sulla sceneggiatura e ha assemblato un cast di attori di grande calibro per i ruoli principali.

    Sinossi

    Il film segue il tenente Vincent Hanna (Al Pacino), un determinato detective di Los Angeles che è sulle tracce di un gruppo di rapinatori di banche guidato da Neil McCauley (Robert De Niro). McCauley e il suo team sono abili professionisti che pianificano attentamente le loro operazioni, cercando di evitare l’attenzione della polizia. Hanna è deciso a catturare McCauley e la sua banda, ma la linea tra il bene e il male si fa sempre più sfumata mentre entrambi i protagonisti si trovano ad affrontare scelte difficili e sfide personali.

    Curiosità

    • “Heat – La Sfida” è noto per la celebre scena in cui Al Pacino e Robert De Niro condividono lo schermo per la prima volta, nonostante i due abbiano recitato in “Il Padrino Parte II”, non condividevano mai una scena insieme in quel film.
    • Per catturare l’autenticità delle scene di sparatorie, il regista Michael Mann ha collaborato con esperti di tattiche di polizia e di armi da fuoco.
    • Val Kilmer e Ashley Judd, che interpretano una coppia nel film, sono diventati successivamente marito e moglie nella vita reale.

    Spiegazione Finale

    Avviso spoiler

    Nel clou del film, Hanna e McCauley si ritrovano faccia a faccia in un ristorante. Durante questa conversazione intensa, entrambi i personaggi riconoscono il rispetto reciproco e la comprensione delle loro vite parallele. McCauley riconosce che Hanna è troppo determinato per lasciare che lui sfugga di nuovo, e quindi decide di abbandonare il suo piano di fuga e affrontare Hanna.

    La scena finale mostra McCauley e Hanna in una sparatoria, dove entrambi rimangono feriti. McCauley muore in aeroporto mentre cerca di scappare, e Hanna lo guarda spirare. Questa sequenza riflette l’ossessione di Hanna nei confronti del lavoro e il rispetto che ha sviluppato per McCauley durante la loro caccia reciproca.

    Il finale del film sottolinea la complessità dei personaggi e delle loro motivazioni, mettendo in luce il conflitto tra giustizia e la vita criminale, oltre a esplorare temi di identità e destinazione.