CORTI_ (7 articoli)

I cortometraggi che abbiamo visto: ne parliamo in questa sezione.

  • Ro.Go.Pa.G.: Frammenti di Desiderio e Decadenza

    Ro.Go.Pa.G.: Frammenti di Desiderio e Decadenza

    Film diviso in quattro episodi a se stanti, ognuno diretto da un diverso regista: Roberto Rossellini, Jean-Luc Godard, Pier Paolo Pasolini e Ugo Gregoretti.

    In breve. Un classico che rientra nella consolidata tradizione dei film a più registi e a episodi, dalla confermata attitudine socio-politico-satirica.

    4 cortometraggi incentrati su quattro argomenti diversi: sessualità, separazione, fame e consumismo.  A ben vedere, due coppie di opposti che finiscono per creare un immediato gioco di contrasti, tra la gioia apparente del sesso alla frustrazione per la conquista fino al dramma della gelosia e della separazione. E naturalmente le psicosi moderne, da quelle indotte dal consumismo a quelle di natura sociale. Se ci mettiamo la società del boom economico allora nascente (il film è del 1963), il contesto diventa fondamentale per inquadrare l’importanza del lavoro, esattamente così come viene presentato.

    Lavoro che, per inciso, nasce da un’idea dei produttori Angelo Rizzoli, Alfredo Bini e Alberto Barsanti che decidono di chiamare il progetto Ro.Go.Pa.G. dalle iniziali dei quattro registi coinvolti, dando ad ognuno massima libertà espressiva. In questi casi i risultati tendono ad essere altalenanti, proprio perchè manca un filo conduttore, cosa che in questo caso non succede anche perchè è relativamente agevole identificarne almeno uno (quello nichilistico, su tutti). Quattro storie contemporanee, moderne per l’epoca in cui uscirono, incentrate su una tematica sociale o politica precisa, e caratterizzate da un artista ormai rassegnato – e nichilisticamente sconfitto – dal conformismo imperante.

    Illibatezza (Rossellini)

    L’episodio di Rossellini è forse il più immediato dei quattro pur mostrando, per la verità, una tematica impegnativa: il celebre complesso di Edipo proposto da Sigmund Freud, qui concretizzato nella storia di un americano alcolizzato, che durante un viaggio di lavoro si invaghisce di una hostess italiana, iniziando a seguirla ovunque e comportandosi grottescamente come un bambino che reclama la figura materna. Sarà l’intervento di uno psichiatra a lenire le pene della ragazza, grazie alla brillante proposta di passare da un personaggio di mora dall’aria affidabile a femme fatale bionda, riconquistando il fidanzato geloso (un calabrese stereotipato che tende, tuttavia, a parlare in siciliano) e respingendo così definitivamente le asfissianti avance dell’americano. Un micro-episodio d’epoca su un boomer ante litteram, che inizia a stalkerare (diremmo oggi) la bella e giovane hostess Anna Maria, arrivando a raggiungerla nella sua stanza d’hotel di soppiatto, ed inscenando patetiche sceneggiate pur non farsi cacciare. L’effetto grottesco è garantito, soprattutto per la determinazione insospettabile della donna.

    È evidente la tematica dei tempi che stanno cambiando, delle persone radicate nella tradizione che avranno maggiori imbarazzi ad accettare il cambiamento di valori del prossima a venire Sessantotto, di una esplosiva emancipazione femminile e dell’avvento, nella società italiana, delle più classiche teorie psichiatriche e psicologiche, destinate – di lì a breve – a pervadere qualsiasi ambito.

    Il nuovo Mondo (Godard)

    Il corto di Godard è probabilmente il più filosofico e basato su sottintesi, e non è proprio immediato comprenderne il senso: lo stile narrativo si ispira alla più classica Nuovelle vague (la nuova onda del cinema francese, quella nata nel 1957), ma probabilmente c’è qualcosa anche da L’amante di Harold Pinter, una piece teatrale dell’assurdo uscita appena un anno prima (1962), nota quest’ultima per l’incipit che è passato allo storia: un marito chiede amorevolmente alla moglie “Viene il tuo amante, oggi?“, la moglie annuisce, la coppia discute l’evento come se fosse una cosa qualunque.

    Nulla di troppo diverso, in effetti, da ciò che succede tra il protagonista (di cui non sappiamo il nome) e Alexandra, una giovane donna innamorata e ricambiata dall’uomo. Viene poi mostrata la prima pagina di un quotidiano, che annuncia vari esperimenti atomici a 120.000 metri sotto la città: non erano trascorsi nemmeno venti anni dalla tragedia di Hiroshima e Nagasaki, per cui l’evento dovrebbe fare scalpore, provocare preoccupazione. Il problema è che sembra passare indifferente alla popolazione, nessuno ne parla: questo per quanto l’evento sembri aver innescato (mediante modalità non esplicitate) una mutazione profonda, non nei corpi ma nel comportamento umano.

    È il protagonista ad rendersene conto: da’ appuntamento ad Alexandra che, presumibilmente per la prima volta, non si presenta. Informatosi presso un vicino, va a trovarla in piscina, e la vede baciare e abbracciare una persona (che poi svelerà di non conoscere affatto). Alexandra diventa così scostante, illogica, sembra smarrirsi in un vaneggiamento perenne senza capo nè coda, da’ risposte contraddittorie ed afferma più volte al compagno “io ti ex-amo“, pur accettando di rimanere a dormire da lui quella sera.

    Convintosi di un collegamento indiretto con l’esperimento nucleare (e dell’annessa disumanizzazione), l’uomo scrivere le proprie memorie, nella speranza che qualcuno dei posteri possa capirne il senso. Il film termina dopo aver mostrato la penna del protagonista prendere appunti, non prima di aver mostrato a più riprese vari parigini che attraversano la scena ingerendo delle pillole.

    Le musiche sono i quartetti per archi di Ludwig van Beethoven (n. 7, 9, 10, 14 e 15), e l’apocalisse è servita.

    La ricotta (Pasolini)

    Una troupe sta girando, diretta da un regista dai modi caustici (interpretato da Orson Welles), una riedizione della Passione di Cristo in chiave artistico-concettuale. Ci troviamo nella campagna romana, ed emerge da subito la figura di Stracci, la comparsa che interpreta il ladrone buono nella scena della crocifissione. Pasolini rappresenta questo personaggio in modo simile allo Zanni portato sulle scene (e reso celebre) da Dario Fo: legato alla terra, dalle movenze grottesche, dedito ai travestimenti per avere doppia razione di cibo e, naturalmente, perennemente affamato. Dopo che il cane di una vanitosa attrice gli ha sottratto il cibo da lui gelosamente nascosto e accumulato, decide di venderlo all’insaputa della donna ad un giornalista di passaggio. C’è tempo per uno splendido siparietto tra il mediocre giornalista e il colto regista, con il primo che cerca di intervistarlo mediante domande banalotte ed il secondo che afferma la propria natura marxista, legge una poesia tratta da Mamma Roma (libro proprio di Pasolini, che l’uomo ovviamente non capisce), lo sminuisce e lo insulta con eleganza. E si arriva poi al clou della storia: Stracci viene scoperto nella grotta in cui sta accumulando il cibo, viene deriso dalla troupe ed invitato a mangiare pantagruelicamente. Col risultato che avrà un malore proprio mentre impersona il ladrone e si trova sulla croce, impossibilitato a pronunciare la battuta finale mentre il regista ne constata gelidamente la morte.

    È difficile discutere ogni singolo aspetto di questo piccolo capolavoro di Pier Paolo Pasolini, intellettuale a tutto tondo che subì un vero e proprio boicottaggio, per questo corto, e si arrivò ad una condanna censoria per vilipendio alla religione. Si ebbe poi un’amnistia, ma nel frattempo il regista aveva già fatto delle modifiche definitive all’audio e alle scena. Aveva, ad esempio, dovuto cambiare la frase finale da “crepare… è stato il suo solo modo di fare la rivoluzione” a un più innocuo (e forse non meno significativo, in un certo senso) “non aveva altro modo per ricordarci che anche lui era vivo“, e certe sequenze considerate inopportune vennero tagliate (la versione su Amazon Video del film sembra essere, in teoria, quella senza tagli).

    La ragione della censura, del resto, sembra oggi difficilmente riconducibile a vilipendio, anche perchè se si fosse applicato questo criterio uniformemente, più della metà degli horror successivi non sarebbero mai circolati in Italia. Il problema de La ricotta è probabilmente nella sua valenza politica diretta e senza filtri, nel suo saper usare la Satira portando il sacro a livello del profano (la maschera tragicomica di Stracci, lo spogliarello dell’attrice che interpreta la Maddalena), nelle pose plastiche degli attori sotto la croce per cui sbagliano a mandare la musica e, come se non bastasse, scoppiano tutti a ridere durante le riprese, nella sua brutale constatazione inerenti divisioni sociali sempre più nette, nel dialogo (mai abbastanza citato) tra i due attori che interpretano i ladroni, in cui quello che afferma di essere tentato di bestemmiare viene frenato dall’altro, che poi lo biasima per essere un “morto di fame” che resta, nonostante tutto, dalla parte dei padroni.

    La questione è complessa da affrontare, e ci limiteremo a scrivere che c’è una questione di irrisolti politici da sempre, a riguardo, oltre a molteplici imbarazzi e lacune che sono culminate, purtroppo, con la morte prematura del regista (nel 1975) e miriadi di teorie, ipotesi più o meno credibili e presunti complotti su come siano andate realmente le cose.

    Il pollo ruspante (Gregoretti)

    Da un lato, un sociologo ospita un convegno assieme a vari “pezzi grossi” della società (ingegneri, dirigenti, presidenti, politici), usando un laringofono per parlare – il che gli conferisce un’inquietante voce robotica. Racconta delle ultime scoperte in ambito psicologico e sociologico sull’induzione all’acquisto da parte dei consumatori. Dall’altro, vediamo un padre che firma più di venti cambiali pur di avere una TV di ultima generazione: i suoi figli sanno le pubblicità a memoria e la moglie è perennemente frustrata. I due coniugi inseguono affannosamente il Consumo: valutano di comprare un terreno che già sanno di non potersi permettere, vogliono già cambiare la televisione dopo averne comprata un’altra di recente, acquistano miriadi di prodotti inutili in autogrill, si conformano ai modi dei fast food millantando di conoscere (da cui il titolo) la differenza tra polli di allevamento e polli ruspanti. Finalmente si distaccano da quel modello malsano di finto benessere, in una doccia fredda di consapevolezza, e pensano di poter vivere diversamente. Ma è troppo tardi: Togni si distrae alla guida ripensando ai terreni perduti e muore, presumibilmente con tutta la famiglia, in un frontale.

    Si tratta dell’episodio forse più politico e sovversivo in assoluto, con un Ugo Tognazzi sempre in splendida forma, per un cortometraggio sulla perfetta falsariga di quelli visti ne I mostri oppure in Signore, signori, buonanotte.

  • Corti di fantascienza degni di nota: “Pathos” (2009, Dennis Cabella, Marcello Ercole, Fabio Prati)

    Corti di fantascienza degni di nota: “Pathos” (2009, Dennis Cabella, Marcello Ercole, Fabio Prati)

    In un futuro post apocalittico la Terra è un deserto inospitale e sommerso di spazzatura: gli uomini vivono in squallide stanze chiuse, nelle quali pagano mediante carta di credito anche per sognare…

    In breve. Corto “mordi e fuggi” all’italiana, che cita apertamente il tema distopico alla Verhoeven, si fa contaminare sia da “The cube” che da “Matrix”, ha certamente considerato la crudeltà di qualche post-apocalittico cult (pur senza svilupparla, di fatto) ed esce fuori in assoluta autonomia, senza poter essere tacciato di citazionismo o scopiazzatura.

    Mentre viviamo, il Grande Fratello ci osserva, e ci suggerisce come vivere, come pensare e cosa sognare: i cinque sensi non sono più gratuiti, nel futuro esiste un vero e proprio abbonamento da rinnovare. Chi ritarda per qualsiasi motivo l’abbonamento periodico, si ritroverà a perderne l’uso. Film forse troppo breve (a volergli trovare un difetto) e sostanzialmente privo di un vero e proprio intreccio (ma questo, in fondo, non è un problema): forse avrebbe potuto essere maggiormente arricchito da dettagli di vario tipo, caratterizzazioni dei personaggi, interazioni.

    Probabilmente il tutto, confinato tra inquietanti schermi televisivi alla Videodrome e squallide stanze semi-vuote, finisce per accentuare il senso di isolamento degli individui e, in tal senso, è una mossa molto azzeccata. Inquadrature e fotografia cyberpunk da brivido: un ottimo prodotto, in definitiva, per chi ama l’essenzialità e la fantascienza classico-complottistica.

    L’interpretazione di Fabio Prati, vittima della macchina “pathos”, è davvero convincente ed intensa, e merita certamente una citazione finale.

  • Ultracorpo: una fantascienza intelligente che riflette sulla discriminazione di genere

    Ultracorpo: una fantascienza intelligente che riflette sulla discriminazione di genere

    Umberto lavora come idraulico, è il classico “uomo medio” insicuro e al tempo stesso affetto da machismo, il quale soddisfa la propria sessualità barcamenandosi, con pochi soldi, tra prostitute e pornografia. Per pura necessità un giorno finisce a casa di un ragazzo all’interno di un quartiere popolare: questi è omosessuale dichiarato, e la situazione provocherà una forte mutazione interiore…

    In breve. Interessante cortometraggio thriller cosparso di citazioni (a partire ovviamente dal cult dei celebri body snatchers, e finendo con una rappresentazione dell’orrore interiore da vero cinema d’autore), viene proposto come forte atto di denuncia anti-omofoba. Non tutti i personaggi sono curati con la stessa intensità, ed esiste per la verità qualche pecca a livello narrativo: ma il risultato colpisce dritto nel segno ugualmente, pur contenendo una sola vera sequenza allucinatoria riconducibile all’horror. Il resto è psicologia, e riesce a fare molta più paura.

    All’interno del mercato globalizzato e conformistico all’italiana, una ventata di aria fresca fa sempre piacere. E questo piccolo gioiello del regista Michele Pastrello certamente riesce ad andare orgogliosamente (e con intelligenza: non era facile) in controtendenza rispetto al “volemose-bene” che regna sovrano da diversi anni nelle nostre distribuzioni più grosse, riuscendo a farsi carico di un importante messaggio sociale senza alcun appesantimento. Film tecnicamente notevole, dotato di una fotografia suggestiva e tipicamente metropolitana, Ultracorpo parte da una celebre citazione del quasi omonimo film per arrivare a collegare, in modo forse prevedibile, il “baccello” alieno con una trasformazione interiore del protagonista. Una mutazione facile da indovinare, così come non sarà difficile intuire lo sviluppo delle vicende: un uomo come tanti, vittima delle proprie assurde convizioni che viene sopraffatto dal lato oscuro del cambiamento, e finisce per cambiare per sempre. Un passaggio che merita una visione per sua fortissima attualità: perchè la solitudine di Umberto, costellata di cura per il corpo nella palestra di casa e istinti repressi che tardano ad uscire fuori, esplode nella violenza nel modo più inatteso, e lascia un messaggio forte e chiaro. Un qualcosa che, nell’Italia delle aggressioni facili contro i “diversi”, lascia svariati spunti di riflessione.

    Il mio nome è Umberto. E sta succedendo qualcosa in me. Sì, c’è qualcosa che non va. Non ho un soldo in questi tempi di crisi, vivo in una vecchia casa che mi ha lasciato mia madre e devo accettare qualsiasi sporco lavoro pur di non sprofondare. Ma lì, in quel cesso di posto non dovevo andarci, non dovevo accettare. Maledetti soldi. Ora sono qui, con lui. No, ora se n’è andato, ma sento che i suoi occhi continuano ad osservarmi. Ce ne sono altri come lui in giro, ti attraggono a loro, l’ho capito ora ma non mi faccio ingannare. Sento che vuole il mio corpo: sento che può entrare. E’ un incubo. Devo rimanere sveglio e all’erta.

  • The ABCs of death 2 è perfetto per voi se amate i micro-horror a episodi

    The ABCs of death 2 è perfetto per voi se amate i micro-horror a episodi

    Una nuova antologia horror di 26 nuovi cortometraggi, dall’andamento meno altalenante del precedente capitolo ed accomunati dalla stessa tematica. Come nel caso precedente, gli episodi migliori sono stati sottolineati.

    In breve. Antologia dell’horror moderno basato su un’idea semplice e molto generale: una lettera dell’alfabeto assegnata ad ogni regista, un format imposto quale cortometraggio e nessun vincolo, a parte dover legare le varie storie alla morte. Segue la precedente raccolta ABCs of death: anche in questo caso si alternano esperimenti, idee discrete ma non inedite, ottimi corti e qualche banalità e forzatura. Contraddicendo la nota regola secondo lui i primi sono sempre i migliori, e dovendo scegliere, converrebbe forse optare per questo secondo che per il suo predecessore.

    A is for Amateur (di E. L. Katz). Un killer viene assoldato per uccidere uno spacciatore; l’uomo dovrà penetrare nell’appartamento della vittima camuffandosi da operaio, per poi fare fuoco col proprio silenziatore. Le cose, pero’, non andranno come previsto (da cui il riferimento all’amatorialità): un primo, curioso saggio del thriller-horror, ben diretto ed interpretato, e con un finale grottesco e sopra le righe.

    B is for Badger (J. Barratt).Il badger non è altro che la talpa (Badger), oggetto del documentario di un insopportabile showman: l’animaletto in questione è stato, infatti, contaminato dalle radiazioni. Toni tragicomici sulla falsariga del precedente corto, accettabile nel suo complesso.

    C is for Capital Punishment (J. Gilbey). Gli abitanti di una comunità chiusa e retrograda incolpano, si scoprirà ingiustamente, un uomo della scomparsa di una ragazzina. L’andamento fatalista della storia riflette un duro messaggio politico contro la pena di morte: per l’appunto, Capital Punishment.

    D is for Deloused (R. Morgan). Film di animazione realizzato in clay-motion, con protagonista un enorme insetto (un pidocchio, da cui Deloused ovvero spidocchiare), che resuscita misteriosamente dal sangue di un assassino ed offre alla vittima la possibilità di vendicarsi. Ovviamente l’inganno è dietro l’angolo: altro corto notevole.

    E is for Equilibrium (A. Brugués). Simpatica storia di due naufraghi e degli equilibri (Equilibrium) che si spaccano con l’arrivo di una immancabile naufraga. L’horror e la morte sono, in questo caso, poco meno di un accenno, per cui il risultato – per quanto divertente  e ben realizzato – sembra c’entrare poco col contesto. Un problema che si ripropone anche in questa antologia sono i corsi apparentemente fuori contesto e poco legati alle premesse horror e mortifere della trama.

    F is for Falling (A. Keshales, N. Papushado). Una militare israeliana si imbatte casualmente – dopo una caduta dal paracadute, Falling – in un ragazzino palestinese: la storia diventa simbolo della frattura, insabile, tra due popoli. Anche qui, poco e per nulla horror ma tanta sostanza.

    G is for Grandad (J. Hosking). La storia, tra il serio ed il faceto, di un nipote ed un nonno e dell’odio che covano, segretamente, l’uno per l’altro. Rimane il vero oggetto misterioso dell’antologia, si fatica a coglierne il senso ma lo spirito horror grottesco oltre che claustrofobico c’è tutto.

    H is for Head Games (B. Plympton). Un bacio tra un uomo ed una donna che si trasforma, mediante associazione di idee o flusso di coscienza (head games, giochi mentali) in un turbine di emozioni impalpabili e indefinite. Non male nel suo complesso, ma poco comprensibile, senza contare che – anche qui – la morte e l’horror passano ancora una volta in secondo piano.

    I is for Invincible (E. Matti). Una centenaria (120 anni, si dice) è oggetto del tentativo dei familiari di farla fuori: peccato che sia, come suggerisce il titolo, Invincible!

    J is for Jesus (D. Ramalho). Torture porn (come andava di moda definirli anni fa) che simboleggia l’assalto brutale della morale religiosa contro gli omosessuali; due religiosi, infatti, fanno rapire un uomo ed ucciderne il compagno, sottovalutandone il ritorno e la vendetta in forma di inquietante demone. Uno dei punti più alti della raccolta, qualitativamente parlando: peccato che il riferimento a Jesus (Gesù) sia leggermente forzato.

    K is for Knell (K. Buožytė, B Samper). Questa coppia di registi presenta la storia di una donna che nota una nube nera che rende gli uomini degli assassini. Presto verrà a farle visita, concludendosi in un finale per certi versi poco chiaro. Il knell del titolo dovrebbe essere un “rintocco funebre”.

    L is for Legacy (L. O. Imasuen): Un sacrificio umano viene interrotto nel momento culminante, ed un topo viene ucciso al posto della vittima prescelta; compare così un demone che, probabilmente per vendicare ciò che considera un inganno, uccide la popolazione del villaggio col semplice contatto. Non memorabile.

    M is for Masticate (R. Boocheck): Senza un apparente motivo, un uomo barbuto e corpulento corre per strada in mutande, aggredendo a casaccio chiunque incontri; poco prima di essere fermato dalla polizia, morde (Masticate, per l’appunto) un malcapitato. La causa del tutto viene spiegata con un flashback dal retrogusto tarantiniano.

    N is for Nexus (L. Fessenden): Ad Halloween, un uomo vestito da Frankstein si affretta a raggiungere la fidanzata. Il ritmo è frenetico e si insiste su guidatori imprudenti e distratti: Nexus non è altro (o almeno dovrebbe essere) l’incrocio fatale, inteso come connessione fisica.

    O is for Ochlocracy (mob rule) (Hajime Ohata). Una donna viene condannata a morte da un grottesco tribunale fatto interamente da morti viventi, capaci di sfruttare un vaccino in grado – secondo loro – di eliminare gli effetti dell’infezione. Un testimone del processo, ad esempio, è solo una testa (!) a cui viene sottoposto il farmaco, inizia ad urlare e tanto basta perchè la sua sia considerata una prova. Uno degli episodi più originali dell’antologia, senza dubbio, e forse uno dei più raffinati: l’oclocrazia del titolo, per inciso, non è altro che una degenerazione della democrazia, in cui il potere delle masse diventa legge assoluta, al di sopra di tutto. A giudicare dalle degenerazioni attuali lamentate spesso sui social, appare come una profezia molto precisa.

    P is for P-P-P-P SCARY! (T. Rohal). Un episodio surreale (girato in bianco e nero), che deve qualcosa al teatro dell’assurdo, si vedono tre evasi, in uno scenario buio, con un’atmosfera che richiama le commedie di inizio secolo scorso e, almeno in parte, la comicità slapstick, incontrano un uomo con in braccio un bambino: inizieranno a danzare, e poi spariranno (!) uno dopo l’altro. Quello di Todd Rohal è senza dubbio uno degli episodi più arthouse e meno mainstream della serie, difficile da valutare in sè e soggetto a preferenze / conoscenze regresse del pubblico che lo guarderà.

    Q is for Questionnaire (R. Ascher): Sottoposto ad un test di intelligenza per strada, un uomo scopre a sue spese che si tratta solo di un pretesto per un trapianto di cervello uomo-gorilla (!). Il tutto si sviluppa mediante un parallelismo di immagini realmente suggestivo. L’ultima inquadratura è realmente sorprendente.

    R is for Roulette (M. Kren): Una roulette russa che finisce in maniera del tutto imprevedibile, condotta da due uomini ed una donna nascosti in uno scantinato (non vediamo da cosa o chi si stessero riparando).

    S is for Split (Juan Martinez Moreno). Home invasion inquietante e diretta magistralmente, dalla trama intelligente e di ispirazione hitcockiana (per non dire argentiana sul finale): mentre è al telefono col marito, una donna viene assalita da un individuo incappucciato armato di martello, che agisce (come si scoprirà) per un motivo preciso. Uno dei migliori della serie, sicuramente il più compatto. Split significa “divisione”, in un senso ben precisato dal finale sorprendente.

    T is for Torture Porn (Jen e Sylvia Soska): Una donna – la modella e performer di burlesque Tristan Risk – viene molestata ed aggredita ripetutamente durante un’audizione; i suoi misogini antagonisti non hanno pero’ fatto i conti con una sua singolare caratteristica fisica. Parte bene, ma la sorpresa è forse banalotta ed in modo quasi surreale (sfiorando l’arthouse puro); nonostante tutto, discretamente realizzato.

    U is for Utopia (V. Natali): In un ipotetico prossimo futuro, dominato dalla “U” dello sfavillante ed elegatissimo brand Utopia, ovviamente all’interno un un asettico centro commerciale, un uomo  – dall’apparenza diversa da tutti gli altri, in realtà perfettamente normale –  viene prima puntato poi circondato dai suoi simili, per poi essere catturato da un drone-poliziotto che lo brucia vivo, in modo che non ne rimanga traccia. Il regista di Cube gioca con atmosfere distopiche e con le metafore dell’omologazione, colpendo nel segno in pochi minuti.

    V is for Vacation (J. Sable): Un uomo in vacanza con un amico comunica con la fidanzata mediante videochiamata; sarà proprio il compagno di viaggio a rivelare verità alquanto imbarazzanti, destinate a degenerare nel peggiore dei modi. Nonostante l’intero film sia ripreso dal punto di vista del videotelefono della ragazza, il corto è un buon equilibrio tra tensione e narrazione e si lascia guardare.

    W is for Wish (S. Kostanski): Partendo dalla pubblicità televisiva di un giocattolo ad ambientazione fantasy – e sulla scia di un non meglio precisato flusso di coscienza – due ragazzini vengono catturati da alcuni misteriosi esseri, e si trovano ad incontrare l’idolo di sempre: l’Uomo Fantasia. Idea senza dubbio originale, ma troppo breve, probabilmente, per essere considerata davvero degna di nota.

    X is for Xylophone (Julien Maury, Alexandre Bustillo): Ossessionata dal suono sordo di uno Xilofono giocattolo, una donna (Béatrice Dalle) arriva alle estreme conseguenze. Breve e brutale, come da tradizione Bustillo verrebbe da dire.

    Y is for Youth (Soichi Umezawa): I tormenti di una ragazzina difficile, trascurata da entrambi i genitori, che immagina una vendetta splatter nei confronti degli stessi; la storia si concluderà con la sua, forse definitiva, ribellione.

    Z is for Zygote (Chris Nash): Una donna incinta viene abbandonata dal marito, preda di mille paure e tormenti; assume periodicamente una misteriosa radice, una “medicina” che permette al nascituro di crescerle letteralmente dentro al corpo. Trascorrono molti anni e la donna è convinta di sentirlo parlare dentro di sè, fino ad un gran guignol di splatter – molto crudo – in cui il figlio arriva a prendere organicamente le sembianze della madre. Al rientro del marito, sembra chiaro che il tutto abbia simboleggiato un aborto dal punto di vista della stessa.

  • 12 cortometraggi gratuiti da riscoprire

    12 cortometraggi gratuiti da riscoprire

    Stasera vi proponiamo una piccola selezione di cortometraggi di vario genere, tutti gratuitamente reperibili e che potete gustarvi direttamente dal nostro sito. Abbiamo alternato perle dimenticate del passato con film più recenti, in nome di un’amalgama che raccoglie più feeling: distopia, puro gusto per la narrazione, nichilismo ma anche rilassatezza e gusto per la grafica 3D.

    Buona visione!

    Skywatch

    Spring

    La città nel cielo

    recensione

    FIRE (POZAR)

    Un corto di David Lynch che potrebbe esservi sfuggito, pubblicato sul suo canale Youtube.

    Alone

    I’m going out for cigarettes

    Un corto suggestivo e dai tratti grotteschi, con riferimenti al mondo della psicologia e del complesso edipico.

    OLTRELUOMO

    Un picconiere e un caruso rimangono intrappolati in miniera, a causa di un’esplosione di gas grisou. Non c’è via di uscita. Un corto profondo e filosofico sulla condizione sociale dei protagonisti.

    Take me please

    Cittadino modello

    Un cortometraggio del 2020 di David James Armsby, che rielabora l’eterno tema della distopia.

    Coda

    Purl

     

    Love is mute

    Una simpatica storia su come un accenno di magia porta Mike, il protagonista di questo corto realizzato da Pranav Pujara, a superare la paura di esprimersi.