MAGLIE OSCURE_ (22 articoli)

Film di ogni genere basati su cospirazioni, reali o immaginarie.

  • L’occhio nel triangolo: gli zombi nazisti di Weiderhorn

    L’occhio nel triangolo: gli zombi nazisti di Weiderhorn

    Un gruppo di naufraghi, il Triangolo delle Bermuda ed un generale delle SS che comanda un manipolo di soldati zombi invincibili: per usare una metafora calcistica, il film vince (per la tripla interpretazione Carradine, Cushing, Adams), ma non convince affatto nella sua interezza.

    In due parole. Esperimenti tedeschi segreti hanno permesso di realizzare dei pericolosi soldati modificati geneticamente, sopravvissuti alla guerra fino agli anni 70. Nonostante l’interpretazione di due “mostri sacri” quali John Carradine (il capitano della nave) e Peter Cushing (il comandante SS sull’isola), il film finisce per essere un’occasione persa.

    L’ispirazione della trama è basata su alcune notissime dietrologie, come confermato dall’introduzione originale del film in cui si racconta di soldati tedeschi visti combattere a mani nude durante la seconda guerra mondiale, apparentemente invincibili e mai catturati vivi. Si tratta di una delle note teorie del complotto nazista, con annessa creazione mediante ingegneria genetica di superguerrieri, unite alle ipotesi inquietanti sul Triangolo delle Bermuda. Non si può fare a meno di notare come la storia sia piuttosto fragile nel suo incedere, con momenti decisamente poco credibili ed un po’ campati in aria (l’attacco di claustrofobia di uno dei protagonisti), mentre altre trovate appaiono piuttosto azzeccate, quantomeno per la loro portata “economica” (ad esempio il regista riuscì a far sembrare numeroso un esercito di soli otto attori-zombi, e ridusse a quattro giorni le riprese con gli attori più famosi per poter rientrare nel budget).

    Il film, per la verità, non dice moltissimo: piuttosto prevedibile nello sviluppo, un po’ lento, poco coinvolgente ed interpretato in modo piatto: tuttavia Ken Weiderhorn (regista de “Il ritorno dei morti viventi – parte II” come de “I paraculissimi”) fornisce una prova sostanzialmente non disprezzabile. Un film che potrebbe divertire per la sua ostentata serietà, che racconta una trama prevedibile che fa quasi passare la voglia, e che vive di un’eccessiva ripetitività dell’azione (gli zombi tendono a ripetersi fin troppo), ed è bene che il pubblico abituato a ben altri prodotti stia alla larga.

    Gli automi nazisti sono stati realizzati sui corpi dei soldati migliori dell’esercito tedesco, ed hanno sviluppato forza disumana, capacità di stare sott’acqua e di essere “non morti, non vivi, ma qualcosa di mezzo“: essi non tarderanno ad attaccare gli sventurati naufraghi dell’isola, convinti di essere ancora in guerra agli ordini del proprio comandante. Esiste soltanto un modo per sconfiggerli, e sarà la giovane Brooke Adams a scoprirlo incontrandone uno; nel frattempo pero’, si sono create delle aspettative nello spettatore, che si aspetta una svolta al piattume che lentamente sommerge lo schermo, fino ad arrivare ad un finale amaro e piuttosto “vuoto”.

    La tagline del DVD italiano, in versione integrale con reintegrazione di tutte le scene originali con sottotitoli, è da apoteosi del kitsch, e riassume efficacemente l’intero film: “zombi nazisti in cerca di prede umane“. Dato che la storia non è impresentabile di per sè, “L’occhio nel triangolo” sembra – visto oggi – un’occasione persa o, se preferite, un cult mancato.

    Fonte: imdb

  • L’invasione degli ultracorpi e lo specchio capovolto

    L’invasione degli ultracorpi e lo specchio capovolto

    Una malattia mentale misteriosa sembra aver contagiato varie persone: il sospetto che ci sia qualcosa di reale all’interno di una apparente psicosi colletiva convince sempre di più un medico della città.

    Dr. Miles Bennell/Kevin McCarthy (Photo by Allied Artists/Getty Images)

    Se c’è una cosa che spesso fa riflettere nei vecchi film d’annata è la sostanziale (più ingenua, poco elaborata, a volte spicciola, senza dubbio differente da oggi) percezione della realtà, percezione che sceneggiatura e regia, in primis, dovevano aver avuto. Difficile del resto trovare un film di fantascienza più archetipico di questo, in tal senso – quanto meno tra i titoli più pop: un film che si apre lateralmente con il botto, e ci mostra quello che sarà il protagonista della storia, considerato pazzo per qualcosa che ha detto, o teme di aver visto. Certamente le diagnosi di pazzia di oggi sarebbero parecchio diverse, ed è anche corretto che ci sia una maggiore sensibilità sul tema psichiatrico in generale, tanto che viene da pensare che un film come Il corridoio della paura non uscirebbe mai oggi, o uscirebbe tra interminabili polemiche sui social.

    L’etichetta di “pazzo” oggi andrebbe attribuita con una certa cautela, giustamente: a differenza di quanto avvenisse all’epoca quando, più e più volte, veniva utilizzato come escamotage narrativo per creare i presupposti di miriadi storie del genere (viene in mente Invaders from Mars, un prodotto ottantiano in cui venivano criticati l’eccessivo disincanto e l’apatia del mondo degli adulti, così come avviene anche in Nightmare). Il folle di questo film è un folle che soffre di insonnia, letteralmente, perchè non accetta il conformismo generale e si mantiene sveglio per evitare di essere ghermito dagli alieni durante il sonno.

    Un ultracorpo si guarda allo specchio (DALL E)
    Un ultracorpo si guarda allo specchio (DALL E)

    La sequenza iniziale del protagonista che afferma una verità clamorosa che il pubblico ancora non conosce, e che non viene creduta, è archetipica, per forza di cose, e crea frustrazione o apprensione in chi guarda, nonostante siamo ancora ai primissimi fotogrammi e l’unico antefatto che abbiamo visto è una macchina della polizia. Creare più sospensione di così era impossibile, dato che nulla ancora si è ancora visto: cosa è successo di preciso?

    Il film prosegue sulla falsariga di un flashback di ciò che è il protagonista che dice di essere un medico afferma di aver visto, in un crescendo di tensione e di persone comuni che ritrovano prima dei corpi clonati di se stessi e poi, addirittura, dei giganteschi baccelli (pods) in cui tali cloni vengono coltivati, nelle serre come nel terreno agricolo. Gli ultracorpi (traduzione di body snatchers, letteralmente ruba-corpi o pod people, nel gergo che poi sarebbe stato reso celebre dal film più famoso di Don Siegel) stanno invadendo la terra, e si nascondono tra gli esseri umani mediante questo singolare e memorabile stratagemma.

    Quando sarà finito, che faccia avrà? Rispondimi! Che faccia avrà?

    Il dottor Bennel è l’eroe archetipico che si accorge, primo e unico fra tutti, del pericolo a cui l’umanità è esposta, facendo quasi tutto di propria iniziativa e ponendosi come simbolo del risveglio delle coscienze dall’apatia. L’invasione degli ultracorpi resta una fantascienza essenzialmente mentale, misteriosa e concettuale, che si sviluppa come un noir (la voce del protagonista che racconta i fatti a titolo di narratore onniscente) e per cui non si vede nulla di propriamente fantascientifico in quanto tale. L’attributo “mentale” non è casuale, in ogni caso, perchè fin dalle prime mosse vediamo un personaggio raccontare della propria cugina che non riconosce più il proprio padre: una sindrome di identificazione errata rara quanto realmente esistente (sindrome di Capgras).

    Il caso non è isolato: poco dopo il medico protagonista si imbatte in un ragazzino che non riconosce o diffida della propria madre, manifestando la paura di essere catturato a sua volta. Ciò che viene presentato come patologia mentale è in realtà afferente al reale, e sarà compito dell’eroico (quanto incompreso) protagonista occuparsene per salvare il mondo. La recitazione composta e teatrale degli interpreti contribuisce alla costruzione di un film invecchiato benissimo, se rivisto oggi, tratto dal romanzo di Jack Finney del 1955 sempre con lo stesso nome, L’invasione degli ultracorpi: un cardine della fantascienza paranoica di ogni tempo e luogo.

    In termini sociologici L’invasione degli ultracorpi aiuta a leggere la realtà in cui vivevamo, già ai tempi in cui uscì. Ad esempio vale la pena di osservare, tra le altre cose, come i primi cento casi di nevrosi riferiti nel film siano attribuiti ad una causa precisa: “preoccupazione, nervi scossi” (secondo il cauto doppiaggio italiano), “preoccupazioni per ciò che sta succedendo nel mondo” (secondo una traduzione più precisa dalla lingua originale). Profezie che raccontano di come le tragedie globali possano influenzare le vite dei singoli (gli stessi che poi, per intenderci, non vanno neanche a votare perchè “tanto non cambia nulla“) che se riviste minuziosamente oggi (eravamo negli anni cinquanta, in piena Guerra Fredda) più che profezie sono racconti auto-riferiti, al limite profezie che si autoavverano. Un genere umano che si sente in colpa per i danni che provoca ai propri simili, rimasto radicato a superstizioni e credenze, contrapposizioni sterili e tutto ciò che ne consegue, e che ha smarrito il senso civico e di partecipazione alla vita vivendo passivamente i propri giorni. Secondo la lettura del regista Don Siegel, per amor di cronaca, nessuno per la verità aveva mai pensato “ad un qualunque simbolismo politico. Nostra intenzione era attaccare un’abulica concezione della vita”, una frase di culto a cui i soliti critici politicizzanti, ne siamo certi, attribuiranno lo stesso, comunque la giri, una valenza politica. Si attacca concettualmente, con quest’opera, la stessa indolenza che si raccontava anni dopo in un film quale 2022 I sopravvissuti, fantascienza post-umana e distopica tanto da sembrare reazionaria, per certi versi.

    La straordinaria regia di Don Siegel si evidenzia in tantissime sequenze di culto: la scoperta dei baccelli alieni nella serra di uno dei personaggi, i momenti da film romantico in cui emerge la nobiltà d’animo del protagonista contrapposta alla passività del resto del mondo, la sequenza di culto in cui il medico e la donna assistono dalla finestra alla distribuzione dei baccelli tra la popolazione, che si muove esattamente all’arrivo della polizia convergendo passivamente verso la stessa. Sono scene difficili da dimenticare, che restano impresse e ci ricordano di restare umani, per quanto questo messaggio sia ormai stato corrotto e banalizzato, nella realtà di oggi, da qualcosa che se non è un germoglio alieno potrebbe assimilarsi a qualcosa di simili (l’indifferenza, il cinismo ostentato).

    L’invasione degli ultracorpi rappresenta inoltre la disgregazione sistematica della fase dello specchio lacaniana: il momento in cui ogni bambino forma il proprio Io, una fase gioiosa che avviene solitamente sorridendo alla propria immagine riflessa. Qui viene capovolto e degenerato il concetto: ogni uomo ritrova un replicante alieno a propria immagine e somiglianza in cui, ovviamente, non può riconoscersi. L’alieno non solo lo imita nella forma biologica, ma ambisce addirittura a prendere il suo posto, a usurparne il trono. È l’uomo che non sa più riconoscersi nell’Altro e ne diffida passivamente, e sono i presupposti da cui era nato un altro cult d’epoca, uscito qualche anno prima, La cosa da un altro mondo (1951, reso poi celebre da John Carpenter negli anni ottanta).

    La morale del film è a questo punto tutt’altro che inconsistente: il mondo appare diviso da diffidenza reciproca, dove ogni buon americano diffida dal proprio vicino o parente rifiutando di riconoscerlo. Questo esasperato disconoscimento avrebbe una causa psico-somatica in qualsiasi altro contesto, ma non qui: Don Siegel mostra un medico razionalista quanto guidato da una premonizione, che nota qualcosa di strano nel mondo che risulta familiare e terrorizzante al tempo stesso. Non un azzardo pensare, a questo punto, agli ultracorpi come elementi perturbanti per eccellenza. Non è un azzardo pensarci anche perchè, a ben vedere, la sostituzione progressiva degli alieni agli uomini avviene durante il sonno, il che rappresenta lo stesso piano immaginifico in cui si muoveva Freddy Krueger, spaventoso a livello onirico quanto, anch’esso, non creduto dai più nella realtà.

    Del resto anche quel finale – solo apparentemente nichilistico – riserva un barlume di speranza: messa alla strette la sua stessa sopravvivenza, l’umanità può ancora trovare un modo per rigenerarsi e tornare umana. Atteggiamenti e parole che pesano, viste oggi, sia pur viziate da esigenze di produzione che all’epoca imposero un finale ottimistico per piacere al grande pubblico. Nel finale originale, il film si chiudeva sulla sequenza in autostrada in cui il dottore è perseguitato dagli ultracorpi e, rimasto solo, cerca di fermare gli automobilisti che non credono alla sua storia. La frase che concludeva il film nelle intenzioni del regista è “you’re the next!“, voi siete i prossimi, mentre il finale in ospedale e l’antefatto vennero di fatto imposti dalla produzione dell’epoca.

  • Omen!

    Omen!

    Omen” è una parola latina che si riferisce a un presagio o a un segno, spesso associato a eventi futuri o a cambiamenti imminenti. Può essere considerato un segnale, positivo o negativo, che si crede sia significativo o predittivo di ciò che accadrà in seguito.

    Ad esempio, se qualcuno ha un sogno inquietante che poi si avvera esattamente come nel sogno, potrebbe considerare quel sogno come un “omen” di qualcosa di negativo in arrivo. Allo stesso modo, alcuni credono che certi eventi naturali, comportamenti degli animali o fenomeni atmosferici possano essere considerati “omen” di futuri eventi.

    Etimologia e significato di omen

    La parola “omen” ha radici nell’antica lingua latina. Deriva dal latino “omen”, che significava letteralmente “segno” o “presagio”. Questa parola latina a sua volta deriva dal verbo “omo”, che significa “osservare” o “guardare attentamente”. Nell’antica Roma, gli “omen” erano considerati segni divini o presagi che venivano interpretati dagli auguri per prevedere il futuro. Gli auguri osservavano attentamente i fenomeni naturali, come il volo degli uccelli, il tuono, i fulmini, la forma delle nuvole, e interpretavano questi segni come indicazioni degli dei riguardo a eventi futuri. La credenza nell’interpretazione degli “omen” era parte integrante della pratica religiosa e politica dell’antica Roma e svolgeva un ruolo significativo nelle decisioni e nelle azioni della società romana. Con il passare del tempo il concetto di “omen” si è diffuso anche in altre culture e lingue, mantenendo il suo significato di segno o presagio di eventi futuri. Anche oggi, la parola “omen” viene utilizzata per riferirsi a segni o presagi che vengono interpretati come indicazioni del destino o del futuro imminente.

    In senso più ampio, la parola “omen” può essere utilizzata anche in senso figurato per descrivere qualsiasi segno o indicazione di qualcosa che accadrà in futuro, sia che sia interpretato come un avvertimento o come una promessa di cose a venire. La parola si riferisce a segni o presagi che anticipano eventi significativi o inquietanti. La parola è utilizzata per evocare un senso di mistero, tensione e potenziale pericolo, sia nella canzone dei The Prodigy che nel film “The Omen”.

    “Omen” dei The Prodigy: “Omen” è una canzone del gruppo musicale britannico The Prodigy, pubblicata nel 2009 come singolo estratto dall’album “Invaders Must Die”. Nel contesto della canzone, “omen” potrebbe essere interpretato come un presagio o un segno di qualcosa di potente, forse di una tempesta imminente o di un evento catastrofico. La parola è usata in modo evocativo per creare un’atmosfera intensa e inquietante nella canzone.

    “Omen” il film: “The Omen” è un film horror del 1976 diretto da Richard Donner. Nel film, “omen” si riferisce al presagio del nascituro Damien, il cui vero padre è il Diavolo. I presagi includono fenomeni come tempeste violente, animali che reagiscono in modo strano e segni religiosi, tutti indicativi della natura malefica di Damien e degli eventi oscuri che circondano la sua esistenza. L’uso del termine “omen” nel titolo suggerisce che questi presagi sono indizi della natura sinistra del personaggio principale e degli eventi che lo circondano.

    Omen, secondo Midjourney.
  • Archive 81: recensione, trama e cast della serie TV su Netflix

    Archive 81: recensione, trama e cast della serie TV su Netflix

    Da due settimane Archive 81 – Universi alternativi di Rebecca Thomas si trova sulla cresta dell’onda tra gli spettatori di Netflix, anche in Italia – dove è comparsa con tanto di buon doppiaggio (tanto vale scriverlo a chiare lettere). Classe 1984, la Thomas è nota per il film (ispirato a Pasolini, per la cronaca) Electrick Children e per un episodio (il primo ) di Stranger Things, oltre che per questo Archive 81 prodotto e distribuito da Netflix e Atomic Monster, con Paul Harris Boardman e James Wan (Insidious, Saw: L’enigmista) come produttore esecutivo.

    VHS ritrovate, ambientazione da inizio anni 80, tensione e distorsioni temporali ci conducono in una dimensione narrativa complessa, accattivante e che si preannuncia piuttosto lunga. Ma cosa c’era in quelle videocassette?

    Trama

    Dan è un esperto di archivistica in grado di recuperare vecchi nastri di VHS d’epoca, riportandoli in condizione di poter essere visionati. Durante il proprio lavoro si imbatte nella singolare storia del condominio Visser, distrutto da un incendio ed i cui condomini sembrano scomparsi nel nulla. Una multinazionale di cui non si sa nulla nemmeno dal web, nel frattempo – la LMG – lo contatta per proporgli un restauro pagato una cifra spropositata, da svolgersi  in una casa sperduta modello Shining. Inutile sottolineare che durante il proprio lavoro succederanno strane cose: i personaggi dei filmati VHS sembrano quasi rivolgersi a lui, e la figura del padre del protagonista (prematuramente scomparso) apparirà all’interno di uno dei nastri.

    E se la LMG fosse un’enorme multinazionale di giochi da tavolo? […]

    Recensione

    La genesi dell’opera è senza dubbio curiosa perchè, tanto per cominciare, è stata prodotta sulla falsariga narrativa dell’Inferno di Dante Alighieri. Quantomeno, il riferimento è sostanziale: il protagonista si chiama Dan (T.), mentre il suo accompagnatore sarà, come si scoprirà, Virgil. Ma non solo: non mancano i personaggi di Beatrix, il cerchio (riferimento a quello dantesco) e naturalmente, essendo una serie thriller horror, Kharon, il Caron dimonio. Alla base della trama gli aspetti più inquietanti legati alle videocassette VHS (per qualche strano motivo quel formato video induce una specie di paura ancestrale) nonchè alla storia, confermata solo in parte, che alcune di esse fossero state commercializzate come snuff (ovvero filmati in cui si assiste a morti reali, di animali o persone, non sceneggiate o simulate). L’inferno di Archive 81 non sembra dissimile da quello mortifero, inquietante e a suo modo ordinario di Antrum.

    Fosse solo una serie TV modello mockumentary horror, forse, non varrebbe forse neanche la pena approfondirla: certo, i riferimenti ad elementi fondanti di film come V/H/S, The last horror movie The poughkeepsie tapes, S&MAN non sono da poco, e restano sostanziali. Ma c’è dell’altro, e basta vedere i primi trenta minuti dell’episodio pilota (su Netflix, ovviamente) per capacitarsene. Peraltro, gli stessi vengono declinati dentro Archive 81 (dove 81 fa riferimento all’anno 1981, per capirci) nel senso più paranoico possibile. Ed è chiaro che Dan è un archetipo, oltre che letteralmente dantesco, del protagonista medio di serie come Ai confini della realtà, travolto o coinvolto da un gioco più grande di lui, forse manipolato da tante scatole cinesi panottiche, in cui tutti possono spiare tutti. Nulla di diverso dal mondo qualunquista e iperconnesso in cui viviamo, in effetti, e di cui questo Archive 81 si mostra in tutta la propria preoccupazione, tensione e paranoia, per una serie che è (solo per comodità) di genere horror sovrannaturale e che, ad oggi, conta otto episodi in tutto. Molto probabilmente e come da tradizione, non si fermerà neanche a questi ultimi.

    Del resto il buon Dan, difensore della propria privacy dalle incursioni internet (come dice a più riprese lui stesso), a parte essere un personaggio romeriano – un solitario, oppresso dalla società e di etnia afro-americana, come il Duane Jones / Ben de La notte dei morti viventi –  è uno scettico convinto: non crede al sovrannaturale, lo rigetta e nasconde un passato traumatico (aveva pure un padre docente di psicologia, come se non bastasse). Un vero e proprio en plein di stereotipi psico-sociali – e, anche solo per questo, vittima designata delle peggiori sofferenze di qualsiasi opera di questo tipo.

    Opera molto diretta, pertanto, ispirata ad un sottogenere mockumentary preciso e a suo modo archetipica (nonostante l’idea di fondo non sia nuova), diretta brillantemente da una regista con le idee chiare. Girata, peraltro, riportando alla luce le narrazioni classiche di pseudo-snuff exploitativi, paranoici e gran guignoleschi come quelli citati: il mood paranoico e spaventoso non è cambiato, e farlo diventare una serie TV relativamente pop non era cosa banale.

    Tanto più se nel farlo si evitano gli eccessi dei vari filmacci qui citati, rimanendo su un equilibrio visuale e comunicativo di sostanza, che si riflette, soprattutto, in un horror lucido quanto onirico, anche solo nella trovata dei “paralleli comunicanti” mediante nastri VHS. Nastri, questi ultimi, simbolo di un tempo che non c’è più, di un filmato amatoriale che è simbolo quasi implicito di scheletro nell’armadio, filmato amatoriale come locuzione più ambigua che mai (..amatoriale in che senso?). Un cinema ritrovato on the road, parte del vissuto di ognuno di noi,un espediente narrativo in parte abusato ma che qui, nonostante tutto, si rinnova con saggezza nel gioco di ricicli del caso.

    Archive 81 è anche debitore di (ovvi?) echi ottantiani, gli stessi che serie come Stranger Things hanno saputo sfruttare (forse in vaga modalità poser, in quel caso), sulla falsariga del dubbio ancestrale che un qualche parente di qualsiasi famiglia custodisse sempre e comunque VHS atipiche nell’armadio della nonna. Ma anche solo (se preferite) del sano, classico e archetipico effetto nostalgia, lo stesso rievocato periodicamente da radio e TV – nonchè sbeffeggiato da South Park mediante la trovata dell’uva parlante, i ricordàcini.

    Effetto che in questa sede va al di là della semplice evocazione modello “si stava meglio quando si stava negli anni 80″: grazie alla trovata dei mondi paralleli alternativi, di fatto, dentro Archive 81 il sottogenere acquisisce, finalmente, nuova linfa. Suscita, a suo modo, curiosità rinnovata, anche nel pubblico meno propenso o più disilluso da mille mostri e villain considerati poco attuali o poco credibili. Il tutto anche grazie all’idea di un protagonista credibile quanto insolito, affiancato da una sorta di doppelganger femminile con cui ovviamente, si instaurerà fin da subito una sorta di legame psichico. Due protagonisti – forse volutamente, a questo punto – fuori norma, romeriani e carpenteriani a tutti gli effetti perchè multi-etnici, umani e coinvolgenti.

    Ci basta questo per farci amare, una volta tanto, una serie TV: specie noi che difficilmente le apprezziamo, in generale, siamo felici di essere smentiti.

    Cast

    Mamoudou Athie – Dan Turner
    Dina Shihabi – Melody Pendras
    Evan Jonigkeit – Samuel
    Ariana Neal
    Matt McGorry
    Martin Donovan Martin Donovan …
    Daniel Johnson Daniel Johnson …
    Kate Eastman Kate Eastman …
    Charlie Hudson III Charlie Hudson III …
    Kristin Griffith Kristin Griffith …
    Johnna Leary Johnna Leary …
    Eden Marryshow Eden Marryshow …
    Jacqueline Antaramian Jacqueline Antaramian …
    Jaxon Rose Moore Jaxon Rose Moore …
    Trayce Malachi Trayce Malachi …
    Sol Miranda Sol Miranda …
    Hilda Ivette Rodriguez Hilda Ivette Rodriguez …
    Martin Sola Martin Sola …
    Shay Guthrie Shay Guthrie …
    Gameela Wright Gameela Wright …
    Africa Miranda Africa Miranda …
    Allyson R. Hood Allyson R. Hood …
    Penelope Bauer Penelope Bauer …
    Frances Chao Frances Chao …
    Dennis Joseph Dennis Joseph …
    Georgina Haig Georgina Haig …
    Roger Petan Roger Petan …
    Robert Kwiatkowski Robert Kwiatkowski …
    Meg Hennessy Meg Hennessy …
    Nick Podany Nick Podany …
    Gilles Geary Gilles Geary …
    Zach Villa Zach Villa …
    Ellen Adair Ellen Adair …
    Michelle Federer Michelle Federer …
    Emy Coligado Emy Coligado …
    Mitzi Akaha Mitzi Akaha …
    Anaya Farrell Anaya Farrell …
    Ken Bolden Ken Bolden …
    Carla Brandberg Carla Brandberg …
    Curtis Caldwell Curtis Caldwell …
    Ebony Cunningham Ebony Cunningham …
    Jay Klaitz Jay Klaitz …
    Rosie Koster Rosie Koster …
    Angela Nicole Hunt Angela Nicole Hunt …
    Jake Andolina Jake Andolina …
    Ahlam Abbas Ahlam Abbas …
    Kaylin Horgan Kaylin Horgan …
    Teri Clark Teri Clark …
    Joseph Cannon Joseph Cannon …

    Trailer ufficiale

     

     

  • I pistoleri solitari dell’11 settembre

    I pistoleri solitari dell’11 settembre

    Come ricorderanno i fan di X-Files, per quanto i personaggi di Mulder e Scully fossero al centro di quasi ogni episodio, di tanto in tanto ricevettero un aiuto significativo, nei loro sforzi per scoprire la verità di una serie di cospirazioni cosmiche, da un trio di singolari personaggi dai tratti caratteristici (tre sostenitori di teorie del complotto, per inciso). Si trattava di John Byers, Melvin Frohike e Richard Langly, protagonisti di uno spin off di X Files che entusiasmò vari complottisti, fin dall’epoca della sua uscita, per quanto sia stato abbandonato dopo una serie per la scarsità di ascolti. La serie in questione, per inciso, non è mai arrivata in Italia, e questo naturalmente ha finito per alimentare il mito cospirativo sulla serie stessa.

    Di Witchblue - DVD originale della serie X-Files, Stagione 9, episodio n. 15 intitolato Modifica genetica, Copyrighted, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=2227589
    Di Witchblue – DVD originale della serie X-Files, Stagione 9, episodio n. 15 intitolato Modifica genetica, Copyrighted, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=2227589

    I tre personaggi divennero meglio conosciuti come The Lone Gunmen (Pistoleri Solitari, letteralmente), nome che uscì fuori da uno spinoff di X-Files uscito nel 2001, circa sei mesi prima degli attentati dell’11 settembre. Il primo episodio andò in onda il 4 marzo 2001, con il titolo Pilot (probabile gioco di parole implicito tra “pilota d’aereo” ed “episodio pilota“), e narra una storia che sarebbe diventata familiare ai più: un hacker prende il controllo di un Boeing 727 e lo fa volare verso il World Trade Center, con l’intenzione di farlo schiantare contro una delle Torri Gemelle.

    I Lone Gunmen riusciranno a contro-hackerare l’aggressore informatico e a scongiurare un disastro che poi, in seguito, sebbene in modalità leggermente diverse sarebbe avvenuto sul serio. Ovviamente la vulgata complottista divenne monolitica nell’affermare che quell’episodio avesse “previsto” gli attentati dell’11 settembre 2001. L’episodio arrivò in Australia, ad esempio, meno di due settimane prima di quella data fatidica che cambiò il mondo.

    Suggestioni, chiaramente, prive di effettive prove su un fatto che oggi presenta un impatto emotivo diverso, su cui rimangono punti da chiarire (ovviamente) ma che, di fatto, negli USA fece scalpore pur passando in sordina (condizioni ideali per il fiorire di cospiracy theories).

    La storia era particolarmente intrigante, peraltro, se si pensa che il personaggio l’hacker non era un lupo solitario o uno schizofrenico. La macchinazione, nella sceneggiatura, era frutto del lavoro di un’organizzazione segreta all’interno del governo, quello che oggi molti complottisti chiamerebbero deep state, la cui esistenza viene da sempre negata ufficialmente. Stando al loro piano segreto, se l’attentato avesse funzionato, si sarebbe data colpa degli attacchi al World Trade Center a uno o più dittatori stranieri che, citando la serie, “imploravano di essere bombardati“.

    La trama di Pilot fu affrontata in modo riluttante sui media, il che naturalmente finì per alimentare le narrazioni cospirative sull’auto-attentato, costruito dagli USA stessi per avere un pretesto per fare la guerra. L’episodio passò in sordina per via della singolare coincidenza, soprattutto perchè, probabilmente, le reali vittime degli attentati fecero passare la voglia di proporre parallelismi di alcun genere.

    Da un punto di vista psicologico o razionale potrebbe trattarsi di un caso di cherry picking collettivo (si selezionano accuratamente solo gli aspetti coincidenti con la realtà ignorando, ad esempio, che nel vero 11 settembre non figurò alcun attacco informatico), senza contare il più classico dei bias di conferma, ovvero la tendenza a cercare ad ogni costo conferme di fatti che già crediamo, anche se esistono prove contrarie in merito. In fondo chi crede al complotto ci crede lo stesso (I want to believe è da sempre uno dei motti dei fan di certa ufologia), e non c’è modo di discuterne, come dimostrato da mockumentary come Operazione Luna, per quanto chiaramente la forte suggestione in questo caso rimanga, anche a distanza di anni.

    La cosa che mi preoccupa è che, come scrittore di fantascienza, ti viene in mente che se puoi immaginare uno scenario del genere, anche il potere potrebbe farlo (Frank Spotnitz, produttore esecutivo della serie)

    Foto di copertina: Lerone Pieters on Unsplash