Doppelgänger: il tema del doppio nella fantascienza di fine anni 60

Uno scienziato scopre un nuovo pianeta nel nostro sistema solare: la cosa viene coperta dal massimo riserbo e si organizza una spedizione conoscitiva in fretta e furia. I due astronauti selezionati scopriranno una realtà davvero singolare sul nuovo pianeta…

In due parole. Un classico della fantascienza di fine anni 60, diretto da Robert Parrish e scritto dai produttori Gerry e Sylvia Anderson. Si sviluppa in una storia semplice e piuttosto suggestiva che ha a che fare col tema del “doppio”: si immaginano due mondi paralleli che scambiano i rispettivi “cloni” da una parte all’altra dello spazio. Oggi probabilmente fa sorridere, per l’epoca fu un bel colpo.

Un esempio di fantascienza classica piuttosto ordinaria, costituita su un intreccio diretto, discreti effetti per l’epoca e pochi e semplici personaggi, che non perdono occasione per mostrare caratteristiche topiche molto ben riconoscibili: l’astronauta americano sicuro di sè, lo scienziato avulso dai compromessi, la moglie infida, il capo senza scrupoli.

Sembrerebbe un campionario di caratteri talmente ovvio da indurre di smettere la visione dopo massimo mezz’ora: eppure, alla fine dei conti, Doppelgänger conquista. E lo fa sulla falsariga delle teorie scientifiche dell’epoca, evidentemente: già a metà anni 50 effettivamente si riuscì a riprodurre antiprotoni ed antineutroni. Ovviamente il concetto, per rendere la narrazione più accattivante, viene esteso alle esistenze dei vari personaggi, vite private incluse, che si ritrovano in un mondo riflesso a milioni di chilometri di distanza, dalla parte opporta rispetto al sole. Riflesso, in effetti, di nome e di fatto, visto che avviene uno scambio di persona: l’astronauta della Terra finisce sul pianeta Terra “gemello”, vive in particolare un momento di disorientamento e poi scopre di riuscire a leggere soltanto attraverso uno specchio.

Il riflesso dell’altro (o di noi stessi) – ne Il signore del male di John Carpenter gli specchi avevano una valenza di porte dimensionali, ad esempio – diventa qui una scusa non tanto per scomodare improbabili simbolismi, quanto per mostrare psichedelia, senso di confusione, avidità e mancanza di scrupoli di certi individui. L’esito della nuova missione, atta a stabilire la verità, sarà tutt’altro che scontato, per quanto resti allo spettatore qualche dubbio sulla sostanza di quello che si è visto, a maggior ragione che il film sembra piuttosto “rigido” dal punto di vista scientifico. “Doppia immagine nello spazio” è certamente un cult nell’ambito del cinema di fantascienza, ma francamente credo che la pellicola sia surclassata da numerosi epigoni: basti pensare al celebre “Il pianeta delle scimmie” (1968), capace di provocare i brividi ancora oggi basandosi su una sorta di simile “dualità”, per quanto non tra uomini-specchio bensì tra scimmie ed umani. Teoria, quella di “Doppia immagine”, forse curiosa per l’epoca, ma anche tra le meno flessibili a disposizione degli sceneggiatori, che si ritrovano necessariamente vincolati a “telefonare” un po’ la vicenda, rendendola un po’ scontata a mio vedere (ogni pianeta riflette i comportamenti dell’altro, proprio come due mondi paralleli). Interessante, ad ogni modo, il fatto che la specularità del “mondo parallelo” sia visibile dalle immagini invertite sullo schermo: uno stratagemma semplice e geniale, a suo modo, per rendere l’idea anche agli spettatori meno esperti.

Del resto si azzarda, ma non troppo: basti pensare a Le orme (che uscirà solo 5 anni dopo), in effetti, con la sua fantascienza frammista di allucinazioni, thriller e tensione – che è comunque molto più “pluri-genere” di quanto non sia Doppelgänger – per capire come ci si potesse spingere oltre realizzando film di questo tipo, rendendoli già all’epoca realmente memoriabili. Altri dettagli sul film si trovano sulla rivista Terre di confine.

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