Il fallimento di FTX ci rende ancora meno fiduciosi nei giovani startupper

L’exchange di criptovaluta FTX è andato in bancarotta letteralmente da un giorno all’altro, lasciando migliaia di investitori nel dubbio e nell’attesa, difficilmente soddisfacibile, di riavere indietro i soldi investiti. Un giorno nella gloria, il giorno dopo non sei più nessuno: se dovessimo riassumere il senso di questa storia in estrema sintesi, la frase da utilizzare potrebbe essere questa (da 32 miliardi di valutazione a nulla). Ed è altrettanto ironico – o tragicamente tale – che il CEO di FTX, società in fallimento, si chiami Samuel Bankman-Fried, dove quel bankman (uomo-di-banca, tradotto letteralmente) avrebbe dovuto (forse) opporsi al collasso della finanza tradizionale basata su dollari, speculazioni ed analisi di mercato, proponendo un mercato finanziario basato sulle criptovalute che, vale la pena ricordarlo, nascono come strumento di finanza decentralizzata alternativa, almeno inizialmente non di natura speculativa.

Un’analisi che guida molti esperti, spesso presunti tali, nel comprendere ciò che davvero è successo – nel dettaglio sembra plausibile che nessuno lo saprà mai – tanto peggio se poi orde di giornalisti (affamati di click per le rispettive testate) fanno il riassunto del riassunto dell’analista amico dello zio, uno bravissimo col computer s’intende, ponendo le basi per la concretizzazione di un perverso relativismo interpretativo a cui, alla fine siamo abituati: lo stesso storytelling che se da un lato ammette una guerra, una aggressione, una pandemia, un fallimento di un exchange, ammette la possibilità che a qualcuno piaccia leggere le cose in modo diverso, parlando rispettivamente di reazione da uomini duri, “se l’è cercata”, solo un’influenza, fallimento totale delle criptovalute. Assolutizzare l’informazione – come se non esistessero vie di mezzo, e come se la realtà fosse esattamente come la scriviamo e la leggiamo, nel 100% dei casi – è un’altra caratteristica perversa del mondo basato sulla comunicazione spicciola in cui viviamo.

La cultura negazionista, di per sè, si arroga spesso il diritto di proporre riletture della realtà, provando a ribaltare le cronache, polverizzando e rendendo nulla ciò che Lacan distingueva tra il e l’immagine del sè: due cose ben diverse, per cui se uno nega che ci sia stata una crisi significa che quella crisi potrebbe non esserci stata, e ti verrà addirittura il dubbio che le vittime della crisi in questione nemmeno esistano. Queste chiavi di lettura perverse strizzano l’occhio di continuo al darwinismo sociale, ormai sdoganato non solo dal pensiero reazionario, e sono chiavi di lettura altresì figlie della post verità (l’assunto secondo cui se la realtà non è accettabile possiamo arrogarci il diritto di riscriverla, anche a costo di negare la realtà). In questo scenario sguazzano, spesso e volentieri, ulteriori imprenditori 2.0 o 3.0 o addirittura oltre, pronti a svelarsi al popolo del web come detentori della Verità, spesso sono negazionisti di qualcosa (e questa cosa ne esalta l’aspetto innovatore o presunto tale, bene o male purchè se ne parli), ed è come se – ancora una volta – bastasse convincersi di qualcosa perchè si avveri (pensiero magico puro, se vogliamo).

Post verità che non è mai stata parte delle 77 (o quasi) regole di internet, ed appare molto improbabile che siano state causate da internet. Sono state, semmai, più probabilmente causate dallo stesso sentiment (come piace dire oggi) che guidò il disastro di Wall Street del 2006, quando Lehman Brothers dichiara bancarotta sconvolgendo i mercati e provocando sostanziali problemi economici a tanti investitori finiti senza casa e senza lavoro, il tutto a causa di una asimmetria informativa, secondo molte teorie economiche, per cui chi ci guadagnò lo fece perchè ne sapeva più degli altri. La crisi delle criptovalute di cui si parla freneticamente per FTX non è (solo) una crisi delle criptovalute, come la stampa liberal si affretta a concludere: è una crisi del concetto stesso di speculazione, del vivere una vita senza certezze non deprimendosi, non sia mai, bensì esaltandosi finchè dura. La stessa stampa che demonizza tecnologie e criptovalute (che, lo ricordiamo perchè nessuno lo sta facendo, non nascono come strumenti di speculazione, i wallet in loco rimangono più sicuri del fidarsi dell’ennesimo startupparo con sede nell’ennesimo paradiso fiscale e, in definitiva, non sono la Causa Finale ma anch’esse colpite in negativo da situazioni del genere), demonizza del resto marketizzando gli investimenti tradizionali “tutelati”, almeno sulla carta, dalle banche. Nulla di che stupirsi se pensiamo che tra gli sponsor dei giornali online figuano spessissimo banche, alla fine. Da un lato, pertanto, ci viene di fidarci sempre meno di giovani startupper che dicono di avere soldi, di averne fatti e di voler filantropicamente aiutare altri ad averne. Dall’altro non ci fidiamo nemmeno di come ci raccontano queste storie, in cui emerge un filo di tecnofobia per cui, alla fine dei conti, la “colpa” è dei computer e tanto vale tornare al baratto ed al denaro contante, signora mia.

Non solo: il fallimento di FTX ci rende molto meno fiduciosi dei giovani startupper da un lato (e questo non aiuta la diffusione sana delle tecnologie stesse in genre), ma è anche in parte la concretizzazione dell’era filo-negazionista in cui viviamo, dove chiunque può dire ciò che vuole e non solo, può anche costruirsi un fedele seguito di adepti. Del resto esiste una ipotesi di complotto su qualsiasi cosa e, ne siamo abbastanza certi, qualcuno avrà da ridire su ciò che realmente è successo. Ma reale rispetto a cosa, in che rapporto con ciò che vediamo la mattina quando ci svegliamo e fissiamo per qualche istante il soffitto, forse? O magari in ciò che mostrano internet e la vituperata TV? Difficile rispondere. Quando Lacan distinse tra i livelli del Reale, Immaginario e Simbolico, del resto, spiegò a più riprese come le tre dimensioni fossero legate e modellizzabili come tre anelli intrecciati, tre link (in gergo matematico) tra di loro incatenati: se uno dei tre si scollega, viene meno l’inconscio, si sconfina nella psicosi. La definizione del Reale venne pero’ lasciata nel dubbio, rimase più indefinibile e venne riscritta varie volte negli anni, forse non a caso: il reale è sempre difficile da definire, e l’ossessione per trovare una chiave di lettura gradevole per ognuno finisce spesso per stravolgere i fatti. Che sono che l’ennesima società speculativa è fallita a danno degli investitori, questi sono i fatti, e forse non è così importante (s)parlare di criptovalute perchè, alla fine, potevano essere qualsiasi altra cosa.

Immagine di copertina: Jp Valery on Unsplash – Immagine dentro l’articolo: Samuel Bankman-Fried losing some money in the market, StarryAI

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