L’impressione che il politically correct coincida con un divieto di libertà di espressione è molto comune (anche nella stampa generalista), e in teoria qualifica ab ovo la potenziale discussione: una giungla priva di regole in cui, di fatto, una persona (in molti casi un po’ buzzurro) che si sente privata della “libertà” di insultare gli altri.
Chiariamo, non sembra esistere una singola accezione del termine politically correct: nell’ambito cinematografico, ad esempio, non è raro che esso venga utilizzato in modo improprio, e non mancano esempi in cui si riferisce della scorrettezza di personaggi che non sono persone, che appartengono comunque al mondo dell’immaginario e contro i quali, se non altro, l’atto di sfogarsi aiuta forse a lavare la coscienza. Esiste anche una ulteriore accezione del termine, usata da persone prevalentemente conservatrici, che ne fanno uso a titolo di assurda “arma bianca” da usare contro l’interlocutore, specie se quest’ultimo non è troppo attrezzato verbalmente.
In un libretto denso e di poche pagine in cui parla del film Matrix, Slavoj Zizek smentisce tra l’altro il mito del politicamente corretto (come lo chiama lui stesso) secondo il quale Lacan, il celebre filosofo e psicologo di inizio novecento, avrebbe relativizzato anche la scienza esatta, per “farlo sembrare”, in qualche modo, più “flessibile”. In realtà potrebbe essere una semplice banalizzazione del concetto, cosa non da poco ma sicuramente meno grave del ritenere il politically correct un “tabù” da sfondare egoisticamente e come se nulla fosse.
Sono questi i limiti in cui dovremmo muovere e focalizzare la nostra discussione, in effetti: comprendendo che se è accettabile una certa flessibilità nelle scienze sociali, non possiamo applicare lo stesso criterio in modo acritico anche a concetti di fisica o medicina. Non che queste ultime siano infallibili e non possano prendere svarioni, ma proprio perchè è in qualche modo il “prezzo da pagare” a fare la differenza.
Bonding è una serie TV uscita nel 2018 (e terminata quest’anno) da riscoprire, per chi non l’avesse vista, per una varietà di motivi: tanto per cominciare, la durata degli episodi, di circa venti minuti ciascuno, a comporre due sole stagioni (la terza, inizialmente annunciata, non sembra che uscirà mai). In secondo luogo, gioca a suo vantaggio la fresca leggerezza della narrazione, in grado di disseminare gli episodi di spunti auto-ironici e di personaggi gradevoli.
In ultimo ma tutt’altro che ultimo come importanza, BONDiNG tende mediamente a normalizzare gli aspetti sessuali della vita di chiunque, affrontando con disinvoltura tabù medi e grandi della società in cui ci pregiamo di vivere. Gli stessi tabù a cui siamo soggetti senza volerlo davvero, a volte, abbagliati da false conquiste e da aperture solo di facciata così come, altrettanto spesso non perfettamente a nostro agio nel rendere pubbliche le nostre perversioni. BONDiNG ha il merito di normalizzare il mondo del feticismo sessuale osando rappresentare l’eccitazione sessuale in modo fortemente soggettivizzato, non soltanto esternando o alludendo (senza stereotipi) a relazioni omosessuali, tra docente e studente e via dicendo.
Ed è proprio la leggerezza di fondo ad essere il suo punto di forza; con un tono non certo da trattato filosofico sul genere (modello Cronenberg o Von Trier), bensì dando spazio alle fantasie sessuali umane e, per l’appunto, rendendole accettabili. Un pregio considerevole, a conti fatti, considerando l’arretratezza culturale in cui si vive in molte parti del mondo, ma anche allargando l’osservazione al mondo delle serie e dei film Netflix incentrati sul tema del sesso, che su altri frangenti è quasi sempre costituito da banalità malassortite e sedicenti role play, triti e ritriti.
La questione è complessa, più di quanto possa sembrare: certi cambiamenti come l’effettiva parità tra i generi alla fine si raggiungeranno, sperabilmente, ma credo anche sia necessario introdurre un concetto di gradualità nell’introduzione. L’assalto frontale alla società benpensante, da sempre teorizzato e praticato da tanti, rimane ovviamente lecito, ma c’è anche il dubbio che si possa arrivare ad una maggiore accettazione anche in modo più indiretto. Non che l’opera di Rightor Doyle (con Zoe Levin e Brendan Scannell, tra gli altri) ambisca a farlo a livello di “manifesto”, ovviamente, ma di sicuro è lecito leggera la popolarità della serie almeno in termini di piccolo segnale positivo.
Cosa non da poco, dicevamo poco fa visto che si parla di pratiche bondage, BDSM in genere, female domination, fetish, pissing e via dicendo, pratiche sessuali effettivamente esistenti e parte, piaccia o meno, del dark side sessuale di ognuno di noi. In questo frangente sorprende come, fin dal primo episodio, lo stereotipo sia smentito: a partire da quel Pete il timido che sembra lasciare spazio alla più becera stereotipizzazione da commedia americana, tra studentesse attratte dal docente di psicologia (eccallà), una protagonista dalla doppia vita da matricola e sex worker e naturalmente l’immancabile, l’immarcescibile, l’indomabile “amico gay” di lei, per cui non serve essere esperti di studi di genere per intuirne la portata banalizzante (l’unica vera pecca, forse, a livello di caratterizzazione dei personaggi).
Stereotipare e banalizzare, parlandone più in generale: tutto questo BONDiNG non lo ha fatto, e gliene va dato atto. Le critiche che vennero espresse all’epoca dalla community delle dominatrici di professione, in effetti, che lo accusarono di eccessiva superficialità, nonchè di non insistere abbastanza sull’aspetto consensuale di questo genere di attività, rischiano quasi di lasciare il tempo che trovano. Per lo stesso motivo per cui un film, non andrebbe dimenticato, esprime un punto di vista ed una panoramica del mondo per come regista, produzione ed attori lo vedono in quell’istante. Istante che, mentre leggete, potrebbe essere già superato da nuove conquiste.
Come ricorderanno i fan di X-Files, per quanto i personaggi di Mulder e Scully fossero al centro di quasi ogni episodio, di tanto in tanto ricevettero un aiuto significativo, nei loro sforzi per scoprire la verità di una serie di cospirazioni cosmiche, da un trio di singolari personaggi dai tratti caratteristici (tre sostenitori di teorie del complotto, per inciso). Si trattava di John Byers, Melvin Frohike e Richard Langly, protagonisti di uno spin off di X Files che entusiasmò vari complottisti, fin dall’epoca della sua uscita, per quanto sia stato abbandonato dopo una serie per la scarsità di ascolti. La serie in questione, per inciso, non è mai arrivata in Italia, e questo naturalmente ha finito per alimentare il mito cospirativo sulla serie stessa.
Di Witchblue – DVD originale della serie X-Files, Stagione 9, episodio n. 15 intitolato Modifica genetica, Copyrighted, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=2227589
I tre personaggi divennero meglio conosciuti come The Lone Gunmen (Pistoleri Solitari, letteralmente), nome che uscì fuori da uno spinoff di X-Files uscito nel 2001, circa sei mesi prima degli attentati dell’11 settembre. Il primo episodio andò in onda il 4 marzo 2001, con il titolo Pilot (probabile gioco di parole implicito tra “pilota d’aereo” ed “episodio pilota“), e narra una storia che sarebbe diventata familiare ai più: un hacker prende il controllo di un Boeing 727 e lo fa volare verso il World Trade Center, con l’intenzione di farlo schiantare contro una delle Torri Gemelle.
I Lone Gunmen riusciranno a contro-hackerare l’aggressore informatico e a scongiurare un disastro che poi, in seguito, sebbene in modalità leggermente diverse sarebbe avvenuto sul serio. Ovviamente la vulgata complottista divenne monolitica nell’affermare che quell’episodio avesse “previsto” gli attentati dell’11 settembre 2001. L’episodio arrivò in Australia, ad esempio, meno di due settimane prima di quella data fatidica che cambiò il mondo.
Suggestioni, chiaramente, prive di effettive prove su un fatto che oggi presenta un impatto emotivo diverso, su cui rimangono punti da chiarire (ovviamente) ma che, di fatto, negli USA fece scalpore pur passando in sordina (condizioni ideali per il fiorire di cospiracy theories).
La storia era particolarmente intrigante, peraltro, se si pensa che il personaggio l’hacker non era un lupo solitario o uno schizofrenico. La macchinazione, nella sceneggiatura, era frutto del lavoro di un’organizzazione segreta all’interno del governo, quello che oggi molti complottisti chiamerebbero deep state, la cui esistenza viene da sempre negata ufficialmente. Stando al loro piano segreto, se l’attentato avesse funzionato, si sarebbe data colpa degli attacchi al World Trade Center a uno o più dittatori stranieri che, citando la serie, “imploravano di essere bombardati“.
La trama di Pilot fu affrontata in modo riluttante sui media, il che naturalmente finì per alimentare le narrazioni cospirative sull’auto-attentato, costruito dagli USA stessi per avere un pretesto per fare la guerra. L’episodio passò in sordina per via della singolare coincidenza, soprattutto perchè, probabilmente, le reali vittime degli attentati fecero passare la voglia di proporre parallelismi di alcun genere.
Da un punto di vista psicologico o razionale potrebbe trattarsi di un caso di cherry picking collettivo (si selezionano accuratamente solo gli aspetti coincidenti con la realtà ignorando, ad esempio, che nel vero 11 settembre non figurò alcun attacco informatico), senza contare il più classico deibias di conferma, ovvero la tendenza a cercare ad ogni costo conferme di fatti che già crediamo, anche se esistono prove contrarie in merito. In fondo chi crede al complotto ci crede lo stesso (I want to believe è da sempre uno dei motti dei fan di certa ufologia), e non c’è modo di discuterne, come dimostrato da mockumentary come Operazione Luna, per quanto chiaramente la forte suggestione in questo caso rimanga, anche a distanza di anni.
La cosa che mi preoccupa è che, come scrittore di fantascienza, ti viene in mente che se puoi immaginare uno scenario del genere, anche il potere potrebbe farlo (Frank Spotnitz, produttore esecutivo della serie)
No, i Simpson non avevano “previsto il Covid-19”: non arriveremo a sostenere una cosa del genere. Pero’ abbiamo curiosato lo stesso in un vecchio episodio dei Simpson, visto per la prima volta in Italia all’inizio del nuovo millennio, qualche tempo prima di quell’11 settembre che ancora oggi ricordiamo.
La traduzione del titolo originale dell’episodio in questione sarebbe pressappoco “Il computer con le scarpe minacciose”, incomprensibile in italiano e reso giustamente, per questo motivo, Galeotto fu il computer e chi lo usò (serie 12, episodio 6). Per inciso il titolo originale The Computer Wore Menace Shoes omaggia, senza citarlo esplicitamente nell’intreccio, il classico film Disney The Computer Wore Tennis Shoes (Il computer con le scarpe da tennis del 1969, oggetto di un remake nel 1995).
The Simpsons – Galeotto fu il computer e chi lo usò (12×6)
Diretto da Mark Kirkland e scritto da John Swartzwelder, Galeotto fu il computer e chi lo usò è stato visto per la prima volta in Italia nei primi anni 2000, all’interno della 12ma serie, e racconta di Homer che decide di comprare un computer (anche a costo di farsi un quinto mutuo, come ammette lui stesso). Non solo: Homer apre un sito e lo riempie di gossip e fandonie, riscuotendo grande successo.
Inizialmente la home page del suo sito è solo singola pagina zeppa di GIF animate messe a caso (tra cui un Gesù ballerino e delle bocche parlanti), presto diventerà uno dei siti più popolari del momento.
Non temere testone, ora sarà il computer a pensare per noi!
Sulla falsariga dei buoni suggerimenti di Lisa, Homer travisa gli insegnamenti ed inizia a pubblicare nel proprio sito prima un po’ di gossip, poi vere e proprie fake news. Presto finirà confinato su un’isola deserta, ispirata a quella della serie The Prisoner, dove vengono rinchiusi per sempre tutti coloro che “sapevano troppo”. La puntata è forse uno dei migliori esempi dei Simpson old school, calato nel contesto tecnologico oggi a noi più che familiare, nonchè abbastanza diverso dai Simpson più recenti.
Homer, dicevamo, colpisce nel segno pubblicando gossip a volontà, firmandosi con lo pseudonimo Mister X: la logica errata e semplicistica con cui il personaggio ritiene che basti un nickname per essere anonimi su internet dovrebbe, al giorno d’oggi, essere familiare ai più.
Esisterebbe peraltro una scena tagliata, a quanto pare, in cui Homer digita parole chiave a caso su un motore di ricerca e finisce in un sito per adulti, poco dopo bloccato da Marge.
Si scopre che il gossip di Mister X nasconde delle verità: il sindaco della città possiede effettivamente una lussuosa piscina segreta all’interno del comune, Apu commercia ciambelle avariate, Krusty ha commesso un omicidio con occultamento di cadavere e Burns vende uranio ai terroristi. Si decide pertanto di conferire un premio Pulitzer all’anonimo autore delle inchieste, con Homer che solo ora svela la propria identità.
L’associazione esplicita tra io-virtuale e io-reale, ovvia nell’era dei social network, è l’inizio della fine per il protagonista dell’episodio.
Fin dai tempi di John Titor…
L’idea che un anonimo utente del web possa detenere la Verità e diffonderla su internet dovrebbe sembrare illogica ed incoerente fin dalle sue premesse, tant’è che nel cinema nemmeno il più oscuro e sconclusionato dei b movie è mai arrivato ad ispirarsi ad un’idea del genere. Al tempo stesso, pero’, fin dai primi 2000 ebbe molto successo la “saga” di John Titor, presunto soldato USA che aveva dichiarato su un forum (col nicknameTimetravel_0) di essere stato spedito indietro nel tempo (come in Terminator) per recuperare un vecchio modello di IBM.
I am a time-traveler from the year 2036. I am returning home after having retrieved an IBM 5100 computer from 1975 (cicap.org)
Tra le profezie narrate da Titor vale la pena di ricordare, per quel poco che vale, quella dell’arrivo del morbo della mucca pazza negli USA, la fine dell’azienda Microsoft e una guerra civile negli USA dal 2004 al 2015. La sua storia fu quasi certamente viral marketing e venne creduta da molti, mentre il fatto che alcune cose non siano avvenute venne giustificata dalla tipica non-falsificabilità del complottismo: se non è avvenuto nella nostra realtà, è comunque avvenuto in una diversa linea temporale del multi-verso.
Per diversi anni quella di Titor fu una urban legend oggetto di varie forme di debunking, tra cui quello di Paolo Attivissimo e del fisico Robert Brown, il quale delineò l’implausibilità della storia, accusandola di aver plagiato un paio di storie di fantascienza e definendola (su un sito ormai defunto)a sad reflection on the gullability of our culture (una triste riflessione sulla creduloneria della nostra cultura). Sulla gullability dei nostri tempi, del resto, bisognerà scrivere un saggio, prima o poi, facendo soprattutto lo sforzo di rendere non-insultante l’approccio nei confronti dei “credenti”. Certo, siamo felici di essere zeppi di libri di debunking che smontano teorie del complotto da ogni dove, ma non sembra siano bastati. Solo in pochi casi (o forse addirittura in nessuno) essi sono riusciti a redimere o far ritrattare qualcuno dei complottisti (sempre più convinti, in molti casi, nonostante le prove contrarie).
Lo scrittore Wu Ming 1, a riguardo, è stato lapidario: Smontare le teorie del complotto è facile. Il difficile è convincere chi ci crede a non crederci più. È difficile dargli torto, soprattutto nei tempi in cui viviamo.
La teoria del complotto sui vaccini nel sito di Homer
Le notizie scarseggiano: la gente non parla più in presenza di Homer, che manca di fonti ed è costretto così ad inventarsi le news. Una pratica che i numerosi casi reali di bufale pubblicate da giornali anche autorevoli ha finito per abituarci, soprattutto nell’era post 11 settembre, con un picco ulteriore a partire dal 2020 in occasione della pandemia mondiale.
Il clou dell’episodio in oggetto arriva nel momento in cui Homer scrive nel proprio sito che il governo vorrebbe controllare le menti delle persone mediante vaccinazioni di massa.
A questo punto una misteriosa organizzazione lo rapisce e lo deporta sull’isola di quelli che “sanno troppo“, mentre l’originale viene sostituito da un sosia identico nelle fattezze, e dall’accento tedesco. Un personaggio autoritario rivelerà in seguito al vero Homer che il motivo per cui i vaccini si fanno prima di Natale è per assicurarsi che la gente spenda per i regali, e che per questo motivo Homer sarebbe diventato un personaggio “scomodo” per il sistema. Si tratta di una satira gustosa e azzeccata rivolta al mondo del complottismo, peraltro declinata in tempi non sospetti in cui il massimo della conspiracy era sulle scie chimiche o, al limite, sulle reali dinamiche dell’11 settembre.
La “profezia” è sicuramente un termine scomodo (che vorremmo evitare), ma l’episodio assume ugualmente una valenza fondamentale anche oggi, nel contesto e nel mondo in cui viviamo. – Foto di copertina di desarrollosklm da Pixabay – Le immagini dell’episodio sono tratte dal blog simpsonssummaries
Internet, fin dalle sue origini, è sempre stata una fucina di conoscenza condivisa, anche se non sempre perfettamente verificata e a volte del tutto inesatta o scorretta. Questo è andato di pari passo con la diffusione di vari tipi di forum tematici su diversi argomenti, che vanno dalla pesca allo sport passando musica e cinema, naturalmente. Queste comunità virtuali sono sempre state fondamentali per almeno due motivi:
conoscere persone che hanno i nostri stessi interessi
condividere la conoscenza delle nostre passioni con altri appassionati come noi
Grazie all’uso delle community di geek specializzati e nerd incalliti su internet, in effetti, si è realizzata – almeno in parte – la fame di conoscenza e di sapere che accomuna molti di noi. Ciò significa, in effetti, conoscere le cose in modo del tutto informale, nella maggioranza dei casi, facendo in modo (nella migliore delle ipotesi) che ciò potesse fungere da stimolo per ricercare informazioni sempre aggiornate su vari argomenti. C’è da rimarcare che – soprattutto al giorno d’oggi – questo ha comportato un problema di fondo come la diffusione spesso indiscriminata, e difficile da contrastare, di notizie parziali, inesatte e tendenziose, quando non di vere e proprie fake news spesso scritte ad arte.
Ma quello che vorremmo rimarcare in questo articolo riguarda, alla fine, l’uso dei forum per la ricerca di argomenti appassionanti, che nulla hanno a che vedere con le tematiche più impegnative come la scienza e la medicina. Per cercare informazioni sulle nuove serie TV, fare domande ed ottenere risposte anche orientative, cosa c’è di meglio di un forum ben curato, alla fine?
Dopo aver fatto queste necessarie premesse, è venuto il momento di presentare forum.tecnologiacasa.it, un forum che abbiamo scoperto da qualche tempo e che abbiamo molto apprezzato per gli spunti che offre. Dove possiamo trovare un determinato film in streaming? Quali sono le serie più interessanti offerte dalle piattaforme negli ultimi tempi?
In tempi di post pandemia come quelli che stiamo vivendo, in effetti, il numero di prodotti che stanno uscendo è estremamente numeroso e denso, e non sarà facile per il pubblico orientarsi nella scelta di cosa guardare. Ci ritroviamo, infatti, persi tra le uscite dello scorso anno e quelle del 2021, che sostanzialmente raddoppiano – almeno, ad occhio – il numero di titoli che affollano le piattaforme a cui siamo abbonati. Un bel forum, soprattutto in ambito cinema, può essere l’ideale per trarre informazioni in forma discorsiva e poi, magari, indagare su quello che interessa per conto nostro.
La forma del forum di tecnologiacasa.it è anche più ordinata della media, ed il sito è molto facile da consultare anche da mobile a differenza di altri “colleghi” del settore. All’interno potete trovare i suggerimenti degli informatissimi utenti del forum che vi daranno qualche idea sulla prossima serie da vedere su Netflix, ad esempio, oppure più in generale sulle novità filmiche che caratterizzano gli ultimi tempi.
Per iscriversi nel forum basta registrarsi gratuitamente con il proprio indirizzo email, oppure sfruttando direttamente il login mediante il proprio accountsocial come Facebook (questa modalità di accesso, lo ricordiamo, non condivide la nostra password del social con il sito in questione, bensì accede mediante un token interno criptato).
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