Ospite Inatteso

  • BREAKING NEWS! Le 9 notizie che hanno fatto interrompere le trasmissioni nella storia

    BREAKING NEWS! Le 9 notizie che hanno fatto interrompere le trasmissioni nella storia

    interrompiamo le trasmissioni, interrompiamo le trasmissioni per comunicarvi una notizia straordinaria, interrompiamo il programmazione. Ci sono state diverse occasioni nella storia in cui le trasmissioni televisive sono state interrotte a causa di eventi di grande rilevanza o di emergenze nazionali o internazionali.

    L’interruzione dei programmi TV per un’edizione straordinaria potrebbe essere interpretata come un’alterazione dell’ordine e della routine quotidiana, che sono importanti per mantenere un senso di sicurezza e controllo nell’individuo. Secondo Freud, classicamente, gli esseri umani sono motivati da due impulsi principali: l’impulso di vita (Eros) e l’impulso di morte (Thanatos). Quando viene interrotto il flusso normale delle attività quotidiane, può suscitare ansia e conflitto nel soggetto. Inoltre, dal punto di vista freudiano, potrebbe essere interpretato anche come una minaccia alla sfera del piacere e della soddisfazione immediata (principio di piacere), in quanto l’individuo è costretto a interrompere ciò che stava facendo per fronteggiare una situazione imprevista e spesso stressante. In aggiunta, alcuni potrebbero interpretare l’interruzione dei programmi TV come un’invadenza nell’ambito della sfera privata e personale (principio di privacy), che potrebbe generare sentimenti di frustrazione e disagio. In alcuni casi, negazione di quello che sta succedendo.

    Ecco alcune notizie che hanno portato all’interruzione delle trasmissioni.

    Assassinio di John F. Kennedy

    Il 22 novembre 1963, l’assassinio del presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy ha portato all’interruzione delle trasmissioni televisive in tutto il mondo.

    Pandemia di Covid-19

    11 settembre 2001

    Gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 hanno causato l’interruzione delle trasmissioni televisive in molti paesi, mentre il mondo intero seguiva gli eventi in tempo reale.

    Morte di Diana, principessa del Galles

    Il 31 agosto 1997, la morte di Diana, principessa del Galles, in un incidente automobilistico ha portato all’interruzione delle trasmissioni televisive in tutto il Regno Unito e in molti altri paesi.

    Guerra del Golfo

    Durante la Guerra del Golfo nel 1991, le trasmissioni televisive furono interrotte o modificate per fornire aggiornamenti in tempo reale sul conflitto.

    Morte di Papa Giovanni Paolo II

    La morte di Papa Giovanni Paolo II nel 2005 ha portato all’interruzione delle trasmissioni televisive in tutto il mondo mentre il Vaticano annunciava la notizia e si tenevano cerimonie di lutto.

    Allunaggio dell’Apollo 11

    Nel luglio 1969, le trasmissioni televisive furono interrotte in molti paesi per trasmettere in diretta l’allunaggio dell’Apollo 11 e il primo passo dell’uomo sulla Luna.

    Attentati di Parigi del novembre 2015

    Gli attentati terroristici di Parigi del novembre 2015 hanno portato all’interruzione delle trasmissioni televisive in Francia e in molti altri paesi europei mentre la situazione si evolveva.

    Attentati di Boston del 2013

    Gli attentati alla Maratona di Boston del 2013 hanno portato all’interruzione delle trasmissioni televisive negli Stati Uniti mentre la città era sotto lockdown e le autorità cercavano i responsabili.

     

    Foto di Clker-Free-Vector-Images da Pixabay

  • Il balcone di Fantozzi è ancora lì

    Il balcone di Fantozzi è ancora lì

    Nel vasto panorama del cinema italiano, ci sono poche scene così iconiche e memorabili quanto la famosa “Sequenza del Balcone” nel film Fantozzi. Questa sequenza, che si svolge nel film del 1975 “Il secondo tragico Fantozzi“, è un perfetto esempio di umorismo cult e di grande capacità nel creare situazioni comiche.

    In questa breve analisi, esploreremo la sequenza del balcone di Fantozzi, un momento epico del cinema italiano.

     

    La scena ha luogo durante uno degli innumerevoli episodi di sfortuna che il povero ragioniere Ugo Fantozzi, interpretato dal leggendario Paolo Villaggio, deve affrontare la quotidianità: alzarsi la mattina per andare al lavoro. Fantozzi, sempre sfortunato e maltrattato da colleghi e superiori, malinteso dalla sua famiglia e dal mondo in generale, si trova a dover affrontare una serie di eventi tragicomici.

    Fantozzi è in ritardo: decide così di prendere l’autobus al volo, perchè diversamente arriverebbe in ritardo. La via su cui è stata girata la scena è l’attuale tangenziale Est di Roma, tra via Casilina e via degli Orti Varani.

    Le coordinate geografiche di questo evento:

    • Latitudine: 41.8892663
    • Longitudine: 12.5197229,19z

    Su Maps: Balcone Film Fantozzi

    Non l’ho mai fatto, ma l’ho sempre sognato!

    La frase “Non l’ho mai fatto, ma l’ho sempre sognato” può essere interpretata attraverso diversi contesti e sotto molteplici punti di vista, ma ha radici profonde nella psicologia umana che possiamo esplorare.

    1. Desiderio e Aspirazione: Questa frase può riflettere un desiderio profondo o un’aspirazione irrealizzata. Può rivelare un’idea o un’azione che una persona ha sempre desiderato compiere, ma per qualche motivo non ha mai realizzato. Questo desiderio può essere legato a una serie di fattori, tra cui paura, mancanza di fiducia in sé stessi, restrizioni esterne o altre priorità che hanno preso il sopravvento.

    2. Rimpianto e Nostalgia: Allo stesso tempo, la frase può portare con sé un senso di rimpianto o nostalgia. Anche se non è stata presa alcuna azione per realizzare quel sogno, il pensiero di ciò che avrebbe potuto essere può generare sentimenti di perdita o di opportunità mancata. Questo senso di rimpianto può essere amplificato dalla consapevolezza che il tempo per realizzare quel sogno potrebbe essere passato.

    3. Identità e Autenticità: In alcuni casi, questa frase può essere una dichiarazione di identità o autenticità. Può indicare che il sogno in questione è così profondamente radicato nella personalità o nei valori di una persona che, anche se non è stato materializzato, continua a definirla. In questo senso, il sogno può essere visto come una parte essenziale della propria identità, anche se non si è trasformato in realtà.

    4. Autoconsolazione e Giustificazione: Infine, la frase potrebbe essere usata come forma di autoconsolazione o giustificazione. Può essere utilizzata per lenire la delusione o l’insoddisfazione derivante dal non aver realizzato un desiderio, fornendo una sorta di scudo emotivo contro il senso di fallimento o inadeguatezza.

    Conclusioni: Un Capolavoro di Comicità Italiana

    La sequenza del balcone di Fantozzi è un momento iconico che rappresenta il meglio della comicità italiana. Con la sua miscela di umorismo intelligente, situazioni assurde e dettagli impeccabili, questa scena rimane impressa nella memoria degli spettatori come uno dei momenti più indimenticabili del cinema italiano. E mentre Fantozzi continua la sua eterna lotta contro la sfortuna e l’ingiustizia, noi continueremo a godere di queste piccole perle di comicità che solo il cinema italiano sa offrire.

  • Il finale di Archive 81 contiene riferimenti a due film di Fulci

    Il finale di Archive 81 contiene riferimenti a due film di Fulci

    La parola magica per capire il finale di Archive 81 – recensione qui – è cliffhanger, ovvero un finale sospeso; senza pensare al film cult omonimo con Stallone del 1993, più semplicemente si tratta di un finale aperto, in cui non è dato sapere un bel po’ di cose. Per chi legge, dovrebbe essere ovvio aver già visto la serie, in caso non fosse così preavviso nuovamente: spoiler in arrivo. Ci sono fin troppe domande rimaste aperte su Archive 81, e non riusciremo davvero a rispondere ad ogni dubbio: fin troppo è ambivalente, multi-interpretabile, soggettivo. Per cui, se va trovato un difetto alla serie, probabilmente potrebbe risiedere proprio qui, in quel finale aperto che quasi banalizza, se vogliamo, la bellezza dei singoli episodi.

    Le domande non mancano: su tutte, che fine ha fatto Dan, in che mondo sia finito e come sia arrivato in ospedale, per quanto la TV faccia capire che è finito negli anni 90, precisamente attorno al 5 aprile 1994, dato che viene mostrata la morte di Kurt Kobain come elemento caratterizzante il periodo. Il suo viaggio nell’Oltremondo è andato, tutto sommato, a buon fine: ha rivisto la propria casa, ha trovato e mandato a casa Melody, ha rivissuto con la propria famiglia morta nell’incendio.

    Ma… adesso cosa succederà? Furbescamente, la produzione ha deciso di lasciare la domanda aperta a mille interpretazioni e fan theory. Alcune sono davvero deliziose, secondo noi, e ne riportiamo due tratte da Reddit (PS ricordiamo che le fan theory sono, per definizione, pure invenzioni più o meno plausibili sulla trama, effettuate da persone che hanno visto la serie):

    1. Per quale motivo Virgil Davenport, che tanto aveva fatto e fornito per salvare i nastri, rifiuta di tornare nell’Oltremondo per salvare il fratello? L’utente doctorsolitaire su Reddit ipotizza che il fratello in realtà non esiste, insinuando che Virgil e Samuel (coi suoi numerosi pseudonimi) siano addirittura la stessa persona. In altre parole, l’uomo si sarebbe rifiutato di andare a prendere il fratello perché, semplicemente, era già sul posto, per quanto ciò cozzi col fatto che in un video si vedono entrambi.
    2. Perchè viene scelto Dan per indagare sui nastri? Al netto delle sue capacità tecniche, probabilmente (secondo un altro utente Reddit) Dan potrebbe avere poteri, che non ricorda di avere, da medium o comunque sovrannaturali, il che spiegherebbero la sua empatia psichica con Melody. Il che si collegherebbe, a questo punto, col sospetto che suo padre oltre ad essere uno psichiatra fosse anche un para-psicologo, vicino al mondo del sovrannaturale.

    Nell’Oltremondo il tempo è semi-congelato o non scorre come dovrebbe (ce ne accorgiamo dall’esperiente visivo delle particelle sospese nel vuoto, senza fluttuare), e tutto sembra suggerire che alla fine Dan sia rimasto intrappolato in un’altra dimensione. Questo è quanto si riesce ad evincere da un finale, alla fine dei conti, puramente lovecraftiano, debitore dei finali aperti modello Lucio Fulci che, per semplice parallelismo, ci siamo permessi di rievocare qui. Ci guardiamo bene, ovviamente, dal sostenere che Archive 81 sia un film collegato direttamente a Fulci: al massimo, infatti, Archive 81 potrebbe essere sottilmente lovecraftiano, con i suoi richiami ad un dio feroce e crudele da un’altra dimensione, ma anche su questo frangente potrebbe essere un accostamento indebito. Quello che ci interessa è evidenziare come certi percorsi narrativi, oggi resi celebri da una serie horror sovrannaturali di grande successo, siano stati, come minimo, intuìti da Fulci prima di chiunque altro.

    E tu vivrai nel terrore… L’aldilà! (1981) presenta una situazione in parte simile a quella vissuta da Melody e Dan, mediante i personaggi di Liza e McCabe. Nel cult fulciano i due attraversano una cantina, dopo essere fuggiti dall’ospedale, e si ritrovano all’interno del paesaggio dipinto dal pittore Zweick, morto crocefisso e murato nelle stanze dell’hotel maledetto nella scena iniziale del film. Liza e McCabe si trovano così in una dimensione nebbiosa, sinistra, mortifera e cosparsa di cadaveri, per dirla con le parole del regista: un deserto senza luce, senza ombre, senza vento (La notte americana del dott. Lucio Fulci, documentario del 1994). In parallelo Melody e Dan stanno cercando una via d’uscita da un Oltremondo infernale, tenendosi la mano in vari passaggi del loro viaggio, in cui la sensazione che non ci sia una vera via d’uscita è costante in entrambi i film. Ricerca l’uno dell’altra che culmina in un viaggio, di cui avevano ricevuto solo suggestioni oniriche nelle puntate precedenti. Liza e McCabe, ne L’aldilà, si ritrovano sul posto senza sapere come, se non a livello inconscio – o tra mille suggestioni incerte, in grado di creare una poetica macabra quanto straordinaria.

    A differenza del nichilismo di Fulci che sancisce la scomparsa materiale dei due protagonisti dalla scena, la serie di Rebecca Sonnenshine decide di separare la coppia, consegnando Melody alla madre che l’aveva sempre cercata e, quasi come contrappasso dantesco, intrappolando Dan nell’altra linea temporale. Per sempre. O forse …

    Il tema della separazione o del confinamento inatteso di un personaggio protagonista all’interno di un altro mondo, del resto, non è nuovo: bastebbe pensare anche solo all’archetipo creato da L’armata delle tenebre, ad esempio, o a molti episodi de Ai confini della realtà,  per comprendere la devozione incrollabile della serie ai classici dell’horror e ai loro twist più sconvolgenti.

    Dopo aver finito diligentemente di vedere la prima serie, comunque, e fermo restando le considerazioni fatte in precedenza, resta un po’ di amaro in bocca per le parentesi aperte rimaste tali, o se preferite per il gran numero di personaggi che non siamo nemmeno sicuri se siano vivi o morti. È quasi certo, da quello che si legge sul web, che Archive 81 avrà una seconda serie, probabilmente anche una terza, una quarta e così via, andando ad approfondire qualsiasi personaggio in un potenziale infinito dilagare di spin off. Avremmo idealmente preferito che restasse tutto com’è adesso, in questa deliziosa (tutto sommato) sospensione narrativa, in cui Dan ha assolto il proprio destino ed è pronto a ricominciare una nuova vita (ammesso ottimisticamente che non si voglia ritenerlo perso). Avremmo preferito questa sospensione, questa “inconcludenza”: avremmo preferito far finire Archive 81 alla prima stagione, e quasi speriamo che sia così. Perchè non siamo troppo convinti che meriti, artisticamente parlando, di diventare l’ennesima telenovela-polpettone a infinite puntate, personaggi e improbabili resurrezioni. Addirittura gli amatissimi viaggi nel tempo sono diventato il deus ex machina onnipresente che rimette in sesto anche il più sciatto dei cinecomics

    Quello stesso senso di sospensione e di irrealizzabilità di un finale, in questi casi, Lucio Fulci lo aveva intuito – e coraggiosamente realizzato prima di chiunque altro, per quanto certi suoi finali furono tacciati di essere fuori bersaglio. Fu il destino, ad esempio, di un altro lavoro fulciano analogo, anche lì caratterizzato da suggestioni lovecraftiane e passaggi non lineari o illogici: Paura nella città dei morti viventi. Anche qui troviamo una coppia  che fugge via da un’inferno sotterraneo, e quando stanno per riabbracciare il mondo dei vivi succede qualcosa. La protagonista urla (non vediamo cosa succede), il fermo immagine si blocca sulla figura del ragazzino (fino a poco prima, apparentemente felice di vederli), due poliziotti camminano dietro di lui con un’andatura quantomeno ambigua (forse sono zombi, forse i morti viventi sono riusciti a seguire sulla terra i due protagonisti, forse addirittura il ragazzino è diventato un morto vivente). Succede qualcosa, insomma, ma non sapremo mai che cosa: l’immagine si spacca, si dissolve nel nero e finisce il film, lasciandoci scossi e annichiliti, incerti su cosa abbiamo davvero visto. Per quanto si sia romanzato sulla realtà delle motivazioni di quel finale, pare che il regista cambiò idea in corsa (di sicuro, aveva in mente H. P. Lovecraft), oppure (secondo altre versioni) pare che qualcuno rovesciò del caffè sui negativi del finale, ormai perso per sempre (che suggestione puramente fulciana, quest’ultima!), e poi riparato alla meno peggio in fase di montaggio.

    D’accordo tutto, intendiamoci: godiamoci altri 999 spinoff a tema, riguardiamo Archive 81 altre cento volte, rendiamo Dan uno degli eroi umani con cui empatizzare, addirittura il simbolo del risveglio post-trauma incendiario, pandistruttivo o pandemico che sia. Godiamoci il parallelismo con l’Inferno dantesco, i rimandi al cinema di genere, le sedute spiritiche agghiaccianti e le suggestioni a metà strada tra L’inquilino del terzo piano e [REC]. Ammesso che sia possibile suggerire un alternate ending per Archive 81, pero’, siamo dell’idea che fare una cosa sulla falsariga degli incompiuti fulciani sarebbe stato davvero meraviglioso. Una serie TV che culmina, praticamente, come cinema d’autore, consacrandone i meriti – senza nulla togliere al fatto che comunque la produzione fa quello che gli pare per i seguiti, per cui…

    A questo punto pensiamo valga la pena rivedere ancora una volta quel finale: quel lugubre, incompiuto e sinistro finale (di seguito trovate la versione tratta dalla VHS danese: dopo la spaccatura del fotogramma, si intravede una vista sul cimitero e la citazione “L’anima che brama per l’eternità supererà la morte; tu, abitante del vuoto crepuscolare, vieni a Dunwich” di H. P. Lovecraft).

  • Archive 81: recensione, trama e cast della serie TV su Netflix

    Archive 81: recensione, trama e cast della serie TV su Netflix

    Da due settimane Archive 81 – Universi alternativi di Rebecca Thomas si trova sulla cresta dell’onda tra gli spettatori di Netflix, anche in Italia – dove è comparsa con tanto di buon doppiaggio (tanto vale scriverlo a chiare lettere). Classe 1984, la Thomas è nota per il film (ispirato a Pasolini, per la cronaca) Electrick Children e per un episodio (il primo ) di Stranger Things, oltre che per questo Archive 81 prodotto e distribuito da Netflix e Atomic Monster, con Paul Harris Boardman e James Wan (Insidious, Saw: L’enigmista) come produttore esecutivo.

    VHS ritrovate, ambientazione da inizio anni 80, tensione e distorsioni temporali ci conducono in una dimensione narrativa complessa, accattivante e che si preannuncia piuttosto lunga. Ma cosa c’era in quelle videocassette?

    Trama

    Dan è un esperto di archivistica in grado di recuperare vecchi nastri di VHS d’epoca, riportandoli in condizione di poter essere visionati. Durante il proprio lavoro si imbatte nella singolare storia del condominio Visser, distrutto da un incendio ed i cui condomini sembrano scomparsi nel nulla. Una multinazionale di cui non si sa nulla nemmeno dal web, nel frattempo – la LMG – lo contatta per proporgli un restauro pagato una cifra spropositata, da svolgersi  in una casa sperduta modello Shining. Inutile sottolineare che durante il proprio lavoro succederanno strane cose: i personaggi dei filmati VHS sembrano quasi rivolgersi a lui, e la figura del padre del protagonista (prematuramente scomparso) apparirà all’interno di uno dei nastri.

    E se la LMG fosse un’enorme multinazionale di giochi da tavolo? […]

    Recensione

    La genesi dell’opera è senza dubbio curiosa perchè, tanto per cominciare, è stata prodotta sulla falsariga narrativa dell’Inferno di Dante Alighieri. Quantomeno, il riferimento è sostanziale: il protagonista si chiama Dan (T.), mentre il suo accompagnatore sarà, come si scoprirà, Virgil. Ma non solo: non mancano i personaggi di Beatrix, il cerchio (riferimento a quello dantesco) e naturalmente, essendo una serie thriller horror, Kharon, il Caron dimonio. Alla base della trama gli aspetti più inquietanti legati alle videocassette VHS (per qualche strano motivo quel formato video induce una specie di paura ancestrale) nonchè alla storia, confermata solo in parte, che alcune di esse fossero state commercializzate come snuff (ovvero filmati in cui si assiste a morti reali, di animali o persone, non sceneggiate o simulate). L’inferno di Archive 81 non sembra dissimile da quello mortifero, inquietante e a suo modo ordinario di Antrum.

    Fosse solo una serie TV modello mockumentary horror, forse, non varrebbe forse neanche la pena approfondirla: certo, i riferimenti ad elementi fondanti di film come V/H/S, The last horror movie The poughkeepsie tapes, S&MAN non sono da poco, e restano sostanziali. Ma c’è dell’altro, e basta vedere i primi trenta minuti dell’episodio pilota (su Netflix, ovviamente) per capacitarsene. Peraltro, gli stessi vengono declinati dentro Archive 81 (dove 81 fa riferimento all’anno 1981, per capirci) nel senso più paranoico possibile. Ed è chiaro che Dan è un archetipo, oltre che letteralmente dantesco, del protagonista medio di serie come Ai confini della realtà, travolto o coinvolto da un gioco più grande di lui, forse manipolato da tante scatole cinesi panottiche, in cui tutti possono spiare tutti. Nulla di diverso dal mondo qualunquista e iperconnesso in cui viviamo, in effetti, e di cui questo Archive 81 si mostra in tutta la propria preoccupazione, tensione e paranoia, per una serie che è (solo per comodità) di genere horror sovrannaturale e che, ad oggi, conta otto episodi in tutto. Molto probabilmente e come da tradizione, non si fermerà neanche a questi ultimi.

    Del resto il buon Dan, difensore della propria privacy dalle incursioni internet (come dice a più riprese lui stesso), a parte essere un personaggio romeriano – un solitario, oppresso dalla società e di etnia afro-americana, come il Duane Jones / Ben de La notte dei morti viventi –  è uno scettico convinto: non crede al sovrannaturale, lo rigetta e nasconde un passato traumatico (aveva pure un padre docente di psicologia, come se non bastasse). Un vero e proprio en plein di stereotipi psico-sociali – e, anche solo per questo, vittima designata delle peggiori sofferenze di qualsiasi opera di questo tipo.

    Opera molto diretta, pertanto, ispirata ad un sottogenere mockumentary preciso e a suo modo archetipica (nonostante l’idea di fondo non sia nuova), diretta brillantemente da una regista con le idee chiare. Girata, peraltro, riportando alla luce le narrazioni classiche di pseudo-snuff exploitativi, paranoici e gran guignoleschi come quelli citati: il mood paranoico e spaventoso non è cambiato, e farlo diventare una serie TV relativamente pop non era cosa banale.

    Tanto più se nel farlo si evitano gli eccessi dei vari filmacci qui citati, rimanendo su un equilibrio visuale e comunicativo di sostanza, che si riflette, soprattutto, in un horror lucido quanto onirico, anche solo nella trovata dei “paralleli comunicanti” mediante nastri VHS. Nastri, questi ultimi, simbolo di un tempo che non c’è più, di un filmato amatoriale che è simbolo quasi implicito di scheletro nell’armadio, filmato amatoriale come locuzione più ambigua che mai (..amatoriale in che senso?). Un cinema ritrovato on the road, parte del vissuto di ognuno di noi,un espediente narrativo in parte abusato ma che qui, nonostante tutto, si rinnova con saggezza nel gioco di ricicli del caso.

    Archive 81 è anche debitore di (ovvi?) echi ottantiani, gli stessi che serie come Stranger Things hanno saputo sfruttare (forse in vaga modalità poser, in quel caso), sulla falsariga del dubbio ancestrale che un qualche parente di qualsiasi famiglia custodisse sempre e comunque VHS atipiche nell’armadio della nonna. Ma anche solo (se preferite) del sano, classico e archetipico effetto nostalgia, lo stesso rievocato periodicamente da radio e TV – nonchè sbeffeggiato da South Park mediante la trovata dell’uva parlante, i ricordàcini.

    Effetto che in questa sede va al di là della semplice evocazione modello “si stava meglio quando si stava negli anni 80″: grazie alla trovata dei mondi paralleli alternativi, di fatto, dentro Archive 81 il sottogenere acquisisce, finalmente, nuova linfa. Suscita, a suo modo, curiosità rinnovata, anche nel pubblico meno propenso o più disilluso da mille mostri e villain considerati poco attuali o poco credibili. Il tutto anche grazie all’idea di un protagonista credibile quanto insolito, affiancato da una sorta di doppelganger femminile con cui ovviamente, si instaurerà fin da subito una sorta di legame psichico. Due protagonisti – forse volutamente, a questo punto – fuori norma, romeriani e carpenteriani a tutti gli effetti perchè multi-etnici, umani e coinvolgenti.

    Ci basta questo per farci amare, una volta tanto, una serie TV: specie noi che difficilmente le apprezziamo, in generale, siamo felici di essere smentiti.

    Cast

    Mamoudou Athie – Dan Turner
    Dina Shihabi – Melody Pendras
    Evan Jonigkeit – Samuel
    Ariana Neal
    Matt McGorry
    Martin Donovan Martin Donovan …
    Daniel Johnson Daniel Johnson …
    Kate Eastman Kate Eastman …
    Charlie Hudson III Charlie Hudson III …
    Kristin Griffith Kristin Griffith …
    Johnna Leary Johnna Leary …
    Eden Marryshow Eden Marryshow …
    Jacqueline Antaramian Jacqueline Antaramian …
    Jaxon Rose Moore Jaxon Rose Moore …
    Trayce Malachi Trayce Malachi …
    Sol Miranda Sol Miranda …
    Hilda Ivette Rodriguez Hilda Ivette Rodriguez …
    Martin Sola Martin Sola …
    Shay Guthrie Shay Guthrie …
    Gameela Wright Gameela Wright …
    Africa Miranda Africa Miranda …
    Allyson R. Hood Allyson R. Hood …
    Penelope Bauer Penelope Bauer …
    Frances Chao Frances Chao …
    Dennis Joseph Dennis Joseph …
    Georgina Haig Georgina Haig …
    Roger Petan Roger Petan …
    Robert Kwiatkowski Robert Kwiatkowski …
    Meg Hennessy Meg Hennessy …
    Nick Podany Nick Podany …
    Gilles Geary Gilles Geary …
    Zach Villa Zach Villa …
    Ellen Adair Ellen Adair …
    Michelle Federer Michelle Federer …
    Emy Coligado Emy Coligado …
    Mitzi Akaha Mitzi Akaha …
    Anaya Farrell Anaya Farrell …
    Ken Bolden Ken Bolden …
    Carla Brandberg Carla Brandberg …
    Curtis Caldwell Curtis Caldwell …
    Ebony Cunningham Ebony Cunningham …
    Jay Klaitz Jay Klaitz …
    Rosie Koster Rosie Koster …
    Angela Nicole Hunt Angela Nicole Hunt …
    Jake Andolina Jake Andolina …
    Ahlam Abbas Ahlam Abbas …
    Kaylin Horgan Kaylin Horgan …
    Teri Clark Teri Clark …
    Joseph Cannon Joseph Cannon …

    Trailer ufficiale

     

     

  • Mission mind control: il documentario della ABC che parlò per primo del progetto MK Ultra

    Mission mind control: il documentario della ABC che parlò per primo del progetto MK Ultra

    Farmaci per l’alterazione della personalità. Uso dell’ipnosi per scopo manipolatorio di un soggetto. Sostanze atte ad inibire temporaneamente qualsiasi movimento. Possibilità di produrre sintomi di malattie senza alcuna reale infezione (malattie simulate). Uso di allucinogeni e somministrazione ad alcuni soggetti, al fine testarne la resistenza mentale agli interrogatori e a condizioni di stress. Sono soltanto alcuni degli obiettivi che gli USA provarono a portare a termine, dal 1953 al 1977, relativamente ad uno dei progetti segreti più inquietanti mai venuti alla luce nella storia. Il progetto MKUltra (scritto a volte MK-Ultra), nome in codice di un programma di sperimentazione governativo sugli esseri umani, in seguito sciolto perchè considerato illegale e nato su iniziativa della CIA (Central Intelligence Agency).

    Una storia vera e documentata da numerose prove (più di 2 milioni di pagine di documenti declassified), più che altro a livello di bilancio di spesa (che provano, pertanto, essenzialmente che il governo USA finanziò questo genere di attività), desecretate nel 1977 su iniziativa del Freedom of information act (nonchè disponibili online nel sito TheBlackVault). Tra i film più popolari incidentalmente ispirati a questa vicenda troviamo, ad esempio, The Manchurian candidate (vecchio cult del 1962, rifatto nel 2004 con Denzel Washington protagonista), tratto dal romanzo omonimo di Richard Condon, ed incentrato sul lavaggio del cervello subito da un militare americano, indottrinato al pensiero comunista.

    Sulla falsariga della storia di MKUltra (e dei suoi sotto-progetti specializzati su vari ambiti) sono nate e si sono evolute decine di fantasie di complotto, non a caso, che sembravano ispirarsi proprio a questa storia – una delle rare storie più documentate di questo tipo. Prima di puntare, pertanto, la non falsificabilità delle fantasie complottistiche, ridurre il debunking ad una questione inter nos e minimizzare il problema ad un fatto socio-culturale, trattandolo con snobismo e polarizzando i pareri, sarebbe almeno il caso di conoscere questa storia nel dettaglio, anche perchè gli spunti di interesse sono numeri, tragici, interessanti e soprattutto realmente avvenuti.

    Screenshot tratta da alcuni documenti desecretati, https://www.theblackvault.com/documentarchive/

    Gli esperimenti di MKUltra sono diventati, per quello che vale, anche un “modello” ideale di moltissime teorie del complotto diffuse fino ad oggi. Con la differenza che in questo caso i fatti sono avvenuti sul serio: si indagava ad esempio sull’uso di LSD durante gli interrogatori, su tecniche di lavaggio del cervello e di tortura psicologica. Il programma rimase segreto per molti anni e coinvolse, come nel più inquietante dei film di fantascienza, inconsapevoli cittadini statunitensi e canadesi.Cosa resa ancora più spregevole, peraltro, dalla scelta di somministrarle alla parte debole della società: emarginati, tossicodipendenti, prostitute, in modo tale da ridurre al minimo le possibilità di ritorsioni legali.

    Frank Olson, biologo americano (1910-1953), coinvolto nelle attività di somministrazione di LSD a soggetti inconsapevoli. Morì cadendo da una finestra dell’Hotel Pennsylvania, New York, forse in stato di depressione. La vera causa della sua morte resta uno dei più controversi punti interrogativi sul progetto MK Ultra.

    La sperimentazione prevedeva, da quello che sappiamo, anche l’uso di elettroshock,  abusi sessuali e verbali, ipnosi e deprivazione sensoriale. Gran parte di quello che sappiamo ad oggi su MK Ultra, peraltro, deriva da una documentazione ufficiale estremamente frammentata (che riuscirono, almeno in parte, a far sparire per sempre), ma soprattutto da un documentario prodotto dalla ABC News (emittente TV statunitense) dal titolo “Mission Mind Control“.

    Gli ingredienti di un complotto da manuale ci sono tutti, e fa impressione come collidano con topos classici del mondo delle dietrologie: cittadini usati come cavie, esperimenti segreti per testare il controllo della mente, tecniche di manipolazione da usare per gli interrogatori ed un retaggio inquietante che fu, almeno in parte, trascinato in ambito militare USA fino ai crimini di Abu Graib, giusto per citare un caso molto noto. E soprattutto l’insabbiamento finale, l’occultamento e la distruzione delle prove di quanto era avvenuto, con una freddezza degna di un episodio di X-Files e con la differenza, sostanziale, che questi fatti sono ampiamente documentati. L’uso di LSD venne peraltro incoraggiato da parte dei dipartimenti universitari di ricerca negli USA, tanto più che qualcuno sospetta un collegamento diretto con l’utilizzo, su larga scala, della sostanza psicotropa, giusto negli anni 60 dei primi hippie e della controcultura.

    Grottescamente, a questo punto, proprio con il contributo della CIA.

    Il caso di James Thornwell, scomparso nel 1984 in seguito ad una crisi epilettica mentre era in piscina, è un ex militare USA sottoposto a dosi di LSD all’interno del progetto MK Ultra. Lo scopo ufficiale della sperimentazione era verificare se fosse possibile spingere un prigioniero a confessare a prescindere dalla sua volontà. Gli venne somministrato allucinogeno a sua insaputa durante un interrogatorio, scoprendo in seguito che la cosa si era ripetuta per 16 anni. Intentò causa al governo, chiedendo 10 milioni di dollari di danni, ma ne ottenne solo 625.000 su un fondo fiduciario. Soffrì di disordini mentali e dolori fisici per tutta la vita, e non riuscì a trovare un altro lavoro (fonte)

    Il progetto viene avviato nel 1953 dall’allora direttore della CIA Allen Dulles, con la consulenza scientifica di Gottlieb, cercando di emulare le presunte tecniche di plagio mentale attuate dal blocco sovietico contro alcuni prigionieri americani, “convertiti” alla causa del comunismo, almeno secondo le informazioni dell’epoca. MKUltra ha tentato, senza successo, di produrre una droga della verità per interrogare le spie sovietiche durante la Guerra Fredda, mediante il progetto noto come “Perfect Concussion“, tra cui l’uso di tecniche per cancellare la memoria.

    Uno degli aspetti più impressionanti di MK Ultra fu legato allo studio di tecniche per costringere un soggetto a confessare qualcosa al di là della sua volontà: fu quanto sponsorizzò a più riprese una delle anime scientifiche del progetto, il chimico Sidney Gottlieb , che approvò l’uso di LSD nel progetto, con riferimento alle tecniche controverse di “svuotamento del cervello” promosse da psichiatri come Donald Cameron.

    Un’altra vittima celebre di quel periodo (così pieno di misteri e sotto-storie trafugate in seguito) fu il tennista Harold Blauer, ricoverato in clinica per uno stato depressivo e sottoposto ad un’iniezione di MDA, all’epoca studiato come arma chimica per indurre la schizofrenia nel soggetto. Molti anni dopo, nel 1987, un tribunale condannò il governo a pagare 700 mila dollari alla famiglia di Blauer, a titolo di risarcimento per aver utilizzato l’uomo come cavia umana.

    Lo scopo di sviluppare procedure e identificare droghe psicoattive da usare per indebolire le persone e forzarnee le confessioni attraverso il lavaggio del cervello e la tortura psicologica è suggestiva e racconta una storia segreta di una nazione occidentale realmente incredibile (e non sarà nemmeno la prima volta, a dirla tutta), ma non è purtroppo esente da buchi narrativi e da lacune colmate, in molti casi, senza prove documentali.

    Al di là del tono vagamente psichedelico della ABC News, forzato sul sensazionalismo in mancanza d’altro, non si può fare a meno di notare che molti dei fatti dell’epoca sono dati per assodati per associazione di idee, e sulla base di semplici affermazioni che potrebbero essere lacunose. Come forse è avvenuto, ad esempio, in quella che viene definita la prima intervista pubblica dello psichiatra della CIA John Gittinger (artefice del modello di personalità noto come Personality Assessment System), si riferisca l’uso di LSD da parte dei sovietici da prima che ci pensassero gli USA, per quanto lo scienziato riconosca di non avere vere e proprie prove a riguardo.

    Come in una teoria del complotto della migliore fattura, quanto sappiamo su MK Ultra e sulle sue ambizioni (ambizioni che già renderebbero inquietante il tutto, figurarsi se qualche tentativo è stato realmente fatto su cavie umane, come risulta dai documenti) è comunque solo una parte dell’iceberg, e certi legami e volontà politiche in ballo probabilmente sono state cancellate per sempre dalla storia.

    La maggior parte dei documenti ufficiali su MKUltra sono stati distrutti nel 1973 per ordine del direttore della CIA Richard Helms, per cui molte delle informazioni disponibili sull’argomento è possibile che non siano totalmente esatte. È sicuro che il progetto fu finanziato e che ci furono almeno 150 sotto-progetti di ricerca seguiti direttamente dalla CIA. Il suggerimento generale è quello di vedere il video, di neanche un’ora, ricco di testimonianze dirette, omissioni forse in parte romanzate, cinismo ed autentici imbarazzi dei soggetti interpellati sul tema, che raccontano come andarono le cose. Di seguito trovate il video in questione, in versione integrale, del documentario Mission: Mind Control.