Lasciatelo cucinare. È questo il messaggio dietro il meme “Let him cook“, nonchè la sua traduzione letterale dall’inglese. Ma cosa significa e cosa indica questo meme?
Let Him Cook, noto anche come Let That Boy Cook o Let him cook Toy Story, è un termine gergale e uno slogan usato come richiamo per dare a qualcuno lo spazio per pianificare, elaborare strategie o affinare la propria arte.In molti casi viene riferito scherzosamente a flirt in corso, specialmente sui social, ovviamente in ottica predatoria o maschilista e spesso all’insaputa dei partecipanti al flirt stesso.
Lo spezzone originale è tratto dal film Toy Story 3.
Spiegazione del meme
Il meme “Let him cook” è diventato popolare sui social media come espressione di fiducia in qualcuno che sta per fare qualcosa di potenzialmente sorprendente o straordinario. La frase viene utilizzata per incoraggiare qualcuno a continuare con quello che sta facendo, suggerendo che potrebbe avere un piano o un’idea che porterà a risultati impressionanti. In Italia il meme è diventato “lasciatelo cucinare” ed è spesso riferito all’attuale allenatore dell’Inter Simone Inzaghi, il “Demone” di Piacenza, secondo la pagina Aggiornamenti quotidiani sul demone di Piacenza.
Utilizzo sui social media
Sui social media, la frase è stata adottata in modo più ampio e viene spesso utilizzata in modo ironico o umoristico. Ad esempio:
Situazioni comiche: Se qualcuno sta facendo qualcosa di strano o divertente, si può usare “let him cook” per suggerire che potrebbe esserci un senso nascosto dietro le sue azioni.
Creatività e ingegno: Quando qualcuno sta lavorando su un progetto creativo o sta ideando qualcosa di nuovo, la frase può essere usata per mostrare fiducia nelle sue capacità.
Video e meme: È comune vedere questa frase accompagnata da immagini o video di persone che sembrano completamente immerse in quello che stanno facendo, spesso con risultati inaspettati o comici.
Esempio visivo
Un esempio classico potrebbe essere un video di qualcuno che prepara un piatto in modo non convenzionale o inventa un nuovo modo di fare qualcosa. Qualcuno potrebbe commentare “let him cook” per suggerire che, nonostante l’approccio strano, il risultato potrebbe essere sorprendente.
Su internet è nota come Lucy, e gestisce un proprio blog sui big data. Di recente ha proposto un uso curioso dell’intelligenza artificiale nota come DALL E, creata dalla OpenAI nel 2021 – una delle innovazioni forse più importanti in questo ambito tecnologico che consiste, in breve, in un software avanzato in grado di generare immagini a partire da una descrizione testuale. Nel senso: diamo in input “disegna un cavallo” e DALL E riesce a disegnarne uno, in modo originale e senza ricopiare immagini già esistenti, peraltro con vari stili, angolature e sfumature del soggetto.
Non solo: DALL E riesce a processare input complessi in linguaggio naturale, come ad esempio “disegna un cavallo che usa un computer mentre beve il caffè“, mediamente entro pochi minuti a seconda della risoluzione richiesta per l’immagine.
La tecnologia in questione è profondamente perturbante, nel senso freudiano del termine: sappiamo cosa significhi chiede ad un computer di farci un disegno sulla base del nostro input descrittivo, possiamo intuirne la portata e ne ammettiamo, in media, la possibilità. Ma il pensiero che il disegno realizzato possa risultare inatteso, spaventoso e destabilizzante sembra inscindibile dalla tecnologia stessa, e questo porta il dibattito etico, sostanziale e tecno-cratico in una direzione di cui si continuerà a parlare a lungo, a mio avviso, nei prossimi anni. Del resto questo è ciò che restituisce DALL E se gli chiediamo di disegnare:
– Una scimmia che programma sorseggiando una birra fresca
– Cani che giocano a #scacchi.
– Un ingegnere informatico che gioca a pallone (in porta).
– Un pinguino che fa skateboard a Roma, nei pressi del Colosseo.
– Una tigre al cinema che mangia popcorn.
Molto interessante, senza dubbio, quanto suggestivo per una potenziale generazione di artisti visuali che potrebbero dover imparare a scrivere, per poter disegnare. Il tutto ha portato Lucy a porsi una domanda interessante: riuscirà DALL E a riprodurre le copertine di celebri album musicali dei Beatles, dei Rolling Stones, dei Nirvana e dei Pink Floyd?
The Velvet Underground & Nico – The Velvet Underground & Nico
A banana on a white background in the style of Andy Warhol: questo l’input che ha prodotto il risultato seguente, ricalcando addirittura lo stile di Warhol “su richiesta”. Niente male, per essere il prodotto di un algoritmo. La copertina originale è diversa ma, a suo modo, l’algoritmo di IA ha saputo ricrearla in modo originale.
Pink Floyd – The Dark Side of the Moon
Qui abbiamo una delle copertine forse più complesse da riprodurre per la macchina (Welcome to the machine, parafrasando i Pink Floyd): il problema principale è infatti nel descrivere in modo testuale e comprensibile la posizione del prisma rispetto alla rifrazione, ed i risultati sono frammentari quanto, a loro modo, emblematici – e in qualche modo onirici.
Pink Floyd – Wish You Were Here
Anche qui abbiamo una reinterpretazione creativa della copertina originale, rappresentata da due uomini (di cui uno in fiamme) che si danno la mano: l’IA ha pensato di rappresentarli di fronte ad un’industria, di cui una dal sapore vagamente post apocalittico.
Nirvana – Nevermind
Anche in questo caso la copertina è stata riprodotta in maniera impressionante: da più angolazioni, con stili differenti e con una sostanza abbastanza fedele alla copertina originale.
The Rolling Stones
Le labbra realizzate sul modello cartoon ed associate ai Rolling Stones sono diventate ormai iconiche: le originali sono state concepite e disegnate a suo tempo da John Pasche, ispirate dal desiderio di Mick Jagger di votare, a quanto pare, un tributo alla dea Kalì della tradizione indù ed al senso energizzante.
L’immagine è la copertina di una antologia della band di Mick Jagger del 1983.
The Beatles – Abbey Road
In questo caso abbiamo un’immagine abbastanza fedele rispetto al celebre originale, tratto dal dodicesimo album dei Beatles, del 1969. Siamo in pieno fermento – non solo musicale – e i quattro di Liverpool si ispirano ad Abbey Road, una delle vide che li aveva visti incontrarsi più volte in passato per quello che sarebbe diventato, di fatto, il loro ultimo album.
L’intelligenza artificiale è riuscita a riprodurre la celebre camminata beatlesiana al netto dei visi, che la data scientist è riuscita a riprodurre inizialmente da angolazioni differenti:
per poi produrre una nuova versione più allineata all’originale, per quanto i quattro appaiano curiosamente senza testa.
Uno dei tratti distintivi del 2023 è stato senza dubbio il tema dell’etica dell’intelligenza artificiale, che si pone in maniera universale forse per la prima volta nella storia. Fa riflettere che le stesse tematiche vengano sollevate dagli esperti da ben prima che si scomodassero dei miliardari per esprimere un parere solo apparentemente più autorevole di quello di altri.
Ci sono vari aspetti ed è bene procedere per ordine, nella trattazione. La celebre lettera firmata da Wozniak e Musk e diffusa a marzo 2023, per esempio, sollevava vari ordini di preoccupazione e di tecnofobia, paradossale se si pensa a quanto le tecnologie siano state determinanti per mettere alcune (non tutte) di quelle personalità al centro del dibattito. I dubbi etici sollevati all’epoca riguardavano due assunti: non solo quello esplicito di disporre di IA che fossero troppo potenti per essere gestite attualmente (diciamo da GPT-4 in poi), ma anche uno implicito altrettanto profondo. Poco ovvio, per la verità, ma sostanziale: ovvero il fatto che dietro la volontà di frenare le IA ci fosse un qualche tipo di interesse personale.
Fin quando, infatti, un qualsiasi politico anti-tecnologico e diffidente facesse un’affermazione sulla pericolosità di sottovalutazione delle IA potremmo discuterne, confutare in termini politici. Se invece lo fa un imprenditore o un gruppo di imprecisate personalità del mondo IT ed annessi, si tratta di figure jolly che si adeguano al contesto per definizione (il loro obiettivo chiaro rimane, sempre e comunque, quello di far guadagnare la propria azienda, perchè se non lo facessero perderebbero l’interesse da parte di azionisti ed inserzionisti).
Sono uscite miriadi di lettere di richiamo in merito: la succitata richiesta di stoppare le IA per 6 mesi si affianca ad esempio ad un condivisibile (parere personale, s’intende) manifesto dell’AI sottoscritto da vari italiani, di circa un anno prima, e che sottolinea tra i punti che “come agiamo, così diventiamo”. Sembra più psicologia che tecnologia, curiosamente, ma le cose non sono scorrelate come potrebbe sembrare: ormai in effetti è chiaro che non esiste più un’informatica che sia avulsa dal contesto e che si limiti a fare i suoi calcoletti nerd. Anzi, le tecnologie dilagano in ogni aspetto quotidiano e ci suggeriscono come vivere, dove lavorare, dove mangiare, dove andare, quando uscire, con chi accoppiarci. Sta al nostro comportamento limitarne l’uso indebito, e non spetta certamente a delle “lettere di richiamo” in cui miliardari di vario ordine e grado decidano paternalisticamente quale debba essere la giusta disciplina da impartire alle macchine artificiali (come sottolineato dall’articolo di Paolo Bory su LMDP di giugno, che evidenzia come siano quasi sempre figure maschili ad essere investite di questo ruolo, per definizione inappellabile).
Già nel 1950 il genio visionario di Alan Turing, informatico par excellence (tanto per doti quanto per incomprensione da parte del mondo a lui contemporaneo), immaginò tra le altre cose la possibilità di creare una child machine: una vera e propria “macchina bambino”, un prototipo di macchina di apprendimento (espressione del machine learning) che fosse in grado non solo di eseguire diligentemente i compiti che gli venivano assegnati, ma anche di correggere il tiro se sbagliava. Turing stava giocando intellettualmente sul tema del gioco dell’imitazione, ed era probabilmente influenzato dalla scuola comportamentista inaugurata da da Watson nel 1914, la quale si incentrava sui meccanismi di reazione organica agli stimoli e alle logiche tipo “premio e punizione”, poi rigettate dalle scuole pedagogiche modello Maria Montessori. L’idea della macchina bambino era esattamente questa, e si immaginava che una macchina potesse essere letteralmente educata a fare del suo meglio. Oggi sappiamo che il comportamentismo è solo una delle tante scuole pedagogiche, ed è plausibile che una pedagogia-macchina possa un giorno esistere ed essere utilizzata per provare a misurare i risultati.
Per comprendere i rischi autentici delle IA, che certamente non vanno sminuiti nè sottostimati, serve un approccio che sia corretto metodologicamente, e che non ci esponga allo sciacallaggio del primo imprenditore che passa per strada e che vorrebbe, con la sua lettera aperta, imporre agli altri la propria visione del mondo.
L’industria del gioco online è uno dei settori più sensibili allo sviluppo di nuove tecnologie digitali, utilizzate principalmente per ottimizzare e personalizzare l’esperienza degli utenti. Spesso, inoltre, queste vengono integrate in svariate strategie promozionali, rivolte sia ai potenziali nuovi clienti quanto a coloro i quali hanno già creato un account attivo su una piattaforma di gioco. Non è difficile immaginare, quindi, come il futuro dell’i-Gambling sarà contraddistinto dalla progressiva implementazione di tecnologie innovative, in grado di offrire all’utente un’esperienza a 360°, interattiva e immersiva, sempre più modellata attorno alle proprie preferenze individuali. Nel nostro approfondimento, vediamo quali sono le prospettive, tanto per gli operatori di settore quanto per la platea dei giocatori attivi.
Strategie: bonus e meccanismi promozionali
Dal punto di vista ‘strategico’, i singoli casinò adottano politiche diverse tra loro, sebbene in linea di massima i meccanismi di promozione siano piuttosto simili.
Quelli più comuni in assoluto sono certamente i bonus; consistono in crediti di gioco, in quanto non hanno un valore economico reale (sebbene, per convenzione, vengano quantificati come importo in denaro). In termini pratici, ciò implica che il bonus non viene accreditato sul conto di gioco né può essere prelevato, ma va investito giocando all’interno del casinò online. Per usufruirne, l’utente deve rispettare termini e condizioni previste dal concessionario (la società che gestisce la piattaforma di gioco).
I bonus possono essere con o senza deposito. Nel primo caso, uno dei requisiti necessari per l’attivazione della promozione è effettuare una prima ricarica sul proprio conto personale, entro una soglia minima prestabilita (quasi sempre occorrono almeno 10 euro di versamento iniziale). Quelli senza deposito, invece, si attivano al momento della registrazione al sito e con la successiva validazione del conto gioco. I welcome bonus sono quelli destinati ai nuovi utenti che si registrano al casinò online per la prima volta; per questo, rappresentano uno dei parametri su cui i giocatori basano la propria scelta, al pari di altri fattori quali, ad esempio, il deposito minimo consentito. Per orientarsi rispetto ad un orizzonte di mercato particolarmente variegato da questo punto di vista, sempre più spesso gli utenti si avvalgono delle analisi comparative a cura di un portale specializzato quale MigliorCasinoBonus.com, che offre numerosi approfondimenti sul mercato italiano del gambling online.
Al di là dei bonus, i casinò digitali fanno leva anche su altri dispositivi promozionali; i più diffusi sono i free spin, ovvero giri gratuiti – offerti anche tramite iniziative periodiche o giornaliere – da utilizzare per giocare ad una selezione di titoli inclusi nella promozione. Un’altra tipologia di incentivo è quella del cashback, un semplice meccanismo di rimborso delle somme non vincenti (per una percentuale che può oscillare dal 50% al 100%) fino al raggiungimento di una soglia limite prestabilita.
Le nuove tecnologie al servizio del gioco online
Sono diverse le tecnologie digitali che trovano larga applicazione nel campo del gambling online; in particolare, i casinò digitali stanno esplorando in maniera sempre più diffusa le potenzialità dell’Intelligenza Artificiale. I software di AI, infatti, sono in grado di implementare numerose funzioni, funzionali all’ottimizzazione della user experience a 360°. Nello specifico, all’interno di un casinò online, possono essere impiegati svariati modelli di Intelligenza Artificiale:
i chatbot, ossia i programmi integrati nel servizio di customer care dedicato ai clienti. Si tratta, semplicemente, di una chat automatica, in grado di rispondere agli input dell’utente e guidarlo verso le risorse necessarie a risolvere un problema di natura tecnica. Molte piattaforme di gioco online fanno leva su risorse di questo tipo per offrire un servizio di prima assistenza immediato, anche al di fuori degli orari d’ufficio e quelli di disponibilità del call center;
i dealer virtuali; in molti dei giochi proposti dai casinò online è prevista la figura del dealer, ossia colui il quale gestisce il ‘banco’. Per rendere l’esperienza di gioco più autentica e immersiva, molti provider implementano un dealer virtuale, utilizzando principalmente software di Realtà Virtuale (VR) o Realtà Aumentata (AR). Questo tipo di applicazione dell’AI riguarda soprattutto giochi quali il poker e il Bingo, ma non di rado viene estesa anche ai cosiddetti ‘game show’ quali la ruota della fortuna;
i motori di raccomandazione; sono algoritmi estremamente diffusi, anche in settori diversi dal gaming online, che consentono di personalizzare l’offerta di gioco. Il modello analizza il pattern di comportamento del giocatore e seleziona quelle più aderenti alle sue scelte precedenti. In tal modo, il casinò è in grado di personalizzare l’esperienza di gioco, suggerendo titoli che possano risultare di maggior interesse per l’utente.
Le potenzialità dell’Intelligenza Artificiale non si limitano al miglioramento dei vari aspetti caratterizzanti l’esperienza di gioco; i concessionari, infatti, possono impiegare i software di AI anche per ottimizzare la gestione delle proprie piattaforme, ovvero:
monitorare i flussi di gioco e individuare movimenti sospetti o potenzialmente fraudolenti;
analizzare i dati riguardanti gli utenti che accedono alla piattaforma;
individuare pattern di giocopotenzialmente rischiosi per gli utenti e attivare protocolli di protezione in presenza di comportamenti compulsivi;
elaborare strategie promozionali ‘su misura’, calibrando bonus e requisiti di giocata in relazione alle tendenze di mercato o degli utenti;
implementare automaticamente misure di compliance legale e normativa, al fine di offrire un ambiente di gioco che rispetti le disposizioni della giurisdizione di riferimento (per i casinò che operano sul mercato italiano, le direttive sono appannaggio dell’ADM, che assolve alla funzione di ente di regolamentazione ed emissario delle licenze di autorizzazione).
Perchè disegno sempre fiori? Perchè disegno sempre cuori? Perchè disegno sempre cubi? Perchè disegno sempre occhi? Perchè disegno sempre frecce? Perchè disegno sempre alberi?
Abbiamo ricopiato i primi sei suggerimenti di Google qualora iniziate a cercare la frase “perchè disegno“.
Come vedete Google aggiunge la parola sempre, e successivamente – in un delirio tecnico-onanistico di soddisfacimento dell’utente – si diverte a disseminare quella ricerca con vari termini. Pressappoco, le domande più frequenti sull’argomento fatte dai suoi stessi utenti, precedentemente memorizzate e qui riproposte. Restiamo seri per un attimo e distacchiamoci dal contesto puramente tecnologico o di marketing: ci chiediamo, ma scusate, che cosa ci spinge a disegnare? È una domanda serissima, in realtà. Google lo sa?
Abbiamo un’idea, a questo punto. Che non sia un modo per comunicare con il nostro inconscio, disseppellendo desideri repressi, o magari – come certa psicoanalisi moderna a volte suggerisce – si arriva alla definizione del senso solo mediante tanti passaggi, da una forma all’altra, da un significante al prossimo, passando per domini diversi tra loro fino ad arrivare alla sudatissima… “verità”?
Disegno sempre fiori, ad esempio, perchè ho un animo sensibile. Disegno sempre cuori, a questo punto, perchè desidero essere amato e sono probabilmente vittima di un qualche amore non corrisposto. Se disegno cubi desidero riorganizzare la mia esistenza, trovare gli scomparti scomparsi, rieleggere qualcosa o qualcuno a barlume della mia esistenza. Se invece disegno pupille di occhi, evidentemente, desidero sedurre l’Altro, trovare una persona con cui condividere un’intimità, guardarla dentro. Se disegno frecce – hai visto mai – possiedo un’aggressività latente. Se disegno triangoli sono perfezionista; se disegno alberi avrò volto lo sguardo all’origine stessa dell’esistenza, addirittura.
Dare risposte così nette è quantomeno azzardato ed è impressionante come, ad oggi, nessuno si sia posto il problema delle risposte facilone ai problemi esistenziali; se sono spariti da Google i risultati di ricerca che suggerivano di curare col bicarbonato molte delle malattie più gravi, è davvero strano che non si sia usata la medesima cura per i problemi esistenziali. L’esempio è stato sfruttato come starter di un modo diverso di affrontare la questione che ci apprestiamo a mostrare qui, oggi.
Lungi da noi, per intenderci, addentrarci nei meandri delle spiegazioni letterali o puntuali dei fenomeni: l’ottica sarebbe prettamente fuorviante, e potrebbe convincere qualcuno un metodo di auto-analisi che troveremmo, da profani, quantomeno improprio. Tantomeno possiamo eccedere all’opposto: se è vero che disegnare cilindri non presuppone necessariamente una mancanza di tipo fallico, così come disegnare spirali ne implichi una di tipo uterino, non possiamo cavarcela semplicemente con l’eccesso contrapposto di un qualche approccio olistico alla questione.
Non è proprio il caso, tanto è vero che rigettiamo con forza sia le interpretazioni letterali delle cose che quelle fantasiosamente omnicomprensive, in grado di generare titoli ad effetto come “la mano invisibile del destino” o “la psico-analisi del mercato liberista“.
Nel quinto libro di Jacques Lacan sulle formazioni dell’inconscio l’autore – psicoanalista, medico e rivoluzionario filosofo del Novecento – riprende il noto concetto freudiano del motto di spirito (Der Witz, in tedesco “lo scherzo”, traduzione neanche a dirlo letterale), e lo estende in lungo e in largo lavorando, soprattutto, sulla figura retorica della metonimia. Non c’è oggetto del desiderio che non sia metonimico, scrive Lacan, l’oggetto del desiderio è sempre oggetto del desiderio dell’Altro, di quello che manca attraverso l’Altro, di ciò che viene chiamato “a piccolo”, l’oggetto smarrito da ritrovare in fase di analisi. Il senso nasce, a questo punto, da una catena di sostituzioni, passando da un significante all’altro mediante passaggi successivi e dall’alto valore simbolico (nonchè metaforico). A questo punto un discorso non potrà, scrive Lacan, mai essere un “evento puntiforme”: esso non è fatto solo da mera materia e tessitura, ma anche da tempo, spessore. Prova ne sia che se inizio una frase, riuscirete a capirla soltanto dopo che io l’avrò davvero finita.
E questa è in un certo senso una autentica condanna, dato che ogni discorso si porterà dietro “la ruota della macina” di parole, ed il discorso finirà sempre per dire più di quanto suggeriscano le apparenze. Motivo per cui, per chiudere il cerchio, è chiaro che le parole caricate da Google a titolo – e solo a titolo – di risposte a profonde domande esistenziali, o per dare soddisfazione alle ricerche annoiate di soggetti diversissimi che cercano “perchè disegno sempre ornitorinchi” e simili, debbano essere rivalutate nell’ottica di una concatenazione di sensi. Della serie: invece di fermarmi a considerare quella domanda, tanto varrebbe interrogarsi sulle origini, seguire la catena di associazioni mentali e provare, una buona volta, a trovare una risposta anche negli atti più semplici: passeggiare senza pensare, rinviare la risposta su WhatsApp al giorno dopo, non auto-riferirsi qualsiasi male dell’universo, respirare senza pensare continuamente al lavoro del giorno dopo. Attraverso l’analisi delle metafore che ci vengono suggerite dalla mente, sembra suggerire Lacan, sarà possibile trovare finalmente uno o più sensi a cui appellarsi. Il primo punto della nostra risposta al perchè disegnare, in effetti, potrebbe stare qui.
Non proprio un approccio per spiegare la questione al bar tra amici, a meno che non siano tutti filosofi e psicoanalisti (e anche in questo caso non ci sentiamo sicuri del successo dell’idea), ma sicuramente performante nell’esprimere l’idea del nostro articolo di oggi. Che parte dalle ricerche bislacche e inconcepibili che Google suggerisce, e che cercano ed esprimono la necessità di trovare un “senso” mediante l’analisi di una singola, puntuale abitudine come quella di fare disegni in astratto mentre si fa una call col capo o si fa finta – rigorosamente – di lavorare.
Nella struttura generale della frase Perchè disegno sempre X, dove X varia su un range sterminato che abbiamo voluto ridurre a cinque parole per amor di brevità, emerge un “sempre” che suggerisce un assolutismo, una generalizzazione probabilmente impropria: a meno che uno non sia seriamente problematizzato (cosa che potrebbe anche essere, in effetti) non sembra così comune che uno disegni “sempre” la stessa cosa. Non quanto le ricerche più frequenti di Google possano in tal caso suggerire, quantomeno. E qui si arriva, finalmente, al secondo punto importante del nostro discorso.
La tendenza ad assolutizzare i bisogni è tipica del marketing tecnologico, come dimostrano i casi di funzionalismo puro da cui siamo martellati: le app per fare incontri, le app per ordinare cibo, le app per assolvere a qualsiasi compito, sia anche il più perverso o non confessabile. Motivo per cui, forse, certe risposte andrebbero trovare più dentro noi stessi che attraverso una tecnologia solo in apparenza gratuita.
sigmund freud drawing a cube, DALL E
Foto di copertina: a portrait of jacques lacan in modern, cubism style, DALL E
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