Salvatore

  • How deep is your love: di cosa parla il testo

    How deep is your love: di cosa parla il testo

    “How Deep Is Your Love” è una canzone pop scritta e registrata dai Bee Gees nel 1977. È una delle loro canzoni più famose ed è diventata un classico della musica pop. La canzone è stata pubblicata come singolo estratto dall’album della colonna sonora del film “Saturday Night Fever”, il quale ha contribuito in modo significativo al successo della canzone e del gruppo.

    “How Deep Is Your Love” è una ballata romantica che parla dell’amore e della profondità dei sentimenti. Il testo riflette sull’intensità e sulla forza dell’amore tra due persone e sottolinea la domanda su quanto profondo sia l’amore che si sente. La canzone esplora la profondità emotiva e l’importanza di essere vicini e solidali in una relazione amorosa.

    La melodia dolce e coinvolgente della canzone, unita alla voce distintiva dei Bee Gees e alla produzione accurata, ha contribuito a renderla un successo internazionale. È stata reinterpretata e coverizzata da numerosi artisti nel corso degli anni, dimostrando la sua duratura popolarità e rilevanza nel panorama musicale.

  • I social NON leggono nel pensiero (ma ci arrivano lo stesso): fenomenologia del mago di Segrate

    I social NON leggono nel pensiero (ma ci arrivano lo stesso): fenomenologia del mago di Segrate

    Grand Hotel Excelsior era il cult di Castellano e Pipolo uscito nel 1982, giocato su un umorismo schietto, senza fronzoli e dai tratti surreali, oltre che precorritore di carovane di personaggi assurdi, macchiettistici, italiano-medio – tra cui naturalmente il mago di Segrate interpretato da Diego Abantantuono. Tra gli ospiti dell’hotel del film troviamo infatti il famoso “Mago di Segrate”, un mago autodidatta dotato di straordinari poteri paranormali, tra cui quello (gettonatissimo anche oggi, a giudicare dal successo dei cartomanti online) di prevedere il futuro di alcune persone, oltre a indovinare l’esito di un incontro di boxe.

    Oggi il “pubblico” che assiste a qualsiasi film (inclusi quelli delle vite dei popoli, ci viene da scrivere) lo osserva mediante internet. Nel film i poteri reali del mago rimangono in forte discussione per scopi grotteschi, ma il personaggio finisce lo stesso per conquistare il pubblico per il modo in cui viene costruito e per come presenta le cose – tanto che, ci verrebbe da scrivere, potremmo arrivare proporre una fenomenologia del mago di Segrate per la comunicazione sul web.

    La fenomenologia del Mago di Segrate potrebbe offrire un approfondimento interessante su come, alla lunga, le abilità magiche possono influenzare la percezione e la cognizione umana, oltre ad esplorare il significato culturale e storico di tali abilità. In particolare quella annessa alla lievitazione, che si vede verso la fine del film – quando il mago decide di eseguire una autentica levitazione dal balcone della sua camera, davanti a un pubblico entusiasta.

    La gioia e l’ammirazione sono di breve durata, nonostante tutto: l’assistente del mago, Ginevra, nel momento in cui si complimenta per la sua impresa, gli dà una pacca sulla spalla con un po’ troppa forza, che lo fa perdere l’equilibrio e cadere dal balcone, finendo così in ambulanza.

    I social hanno invaso le nostre vite private e produce una moderata indignazione, per dirla con un eufemismo, che i loro meccanismi siano ancora oggi poco comprensi e inquadrati dai più come qualcosa di esoterico. Perchè è inutile girarci attorno: quella del mago di Segrate voleva essere solo un’immagine suggestiva per mostrare l’idea che oggi, nonostante la mole di dati gigantesca con cui dobbiamo avere a che fare ogni giorno, nostro malgrado, dopo miriadi di spiegoni e di tomi che hanno spiegato in lungo e in largo il fenomeno della gestione “allegrotta” della privacy sui vari strumenti social, tutto sommato è “accettabile” scrivere che:

    i social “leggono nel pensiero”

    cosa che evidentemente rende l’idea e serve (si spera per loro) ad attirare qualche click in più.

    Strano a dirsi, ma questa è (articoli di settembre 2023).

    Nessun blog, nessuna testata è veramente immune al clickbait, per cui lungi da noi, sia chiaro, fare moralismo fine a se stesso per questo genere di scelta: del resto va detto non c’è lettura nel pensiero, signori, ci sono big data e analisi statistiche in ballo, oltre a numerosi bias psicologici che ci fanno sentire ancora più osservati del dovuto (il fenomeno più noto a riguardo è quando leggi qualcosa su internet e pensi che si rivolga automaticamente a te).

    Non vogliamo nemmeno minimizzare la portata dello spionaggio social, che peraltro sosteniamo non da oggi (da molto prima che diventasse una fissazione come un’altra per fan rossobruni e luddisti “le tecnologie sono il male“): ci piacerebbe, più che altro, che quei titoli (peraltro cappello di contenuti quasi sempre dettagliati e dignitosi, non è questo il punto) rischino di diventare l’espressione dell’epistemologia del Mago di Segrate, chie fa capire le cose a modo suo, fa ridere un po’ tutti (e nessuno ci crede sul serio, si spera) eppure tutti gli danno retta, in mancanza d’altro.

    Alzi la mano chiunque non sia incappato nella discussione con una persona qualsiasi che riteneva seriamente di attribuire poteri sovrannaturali al proprio smartphone, ad esempio. Se è vero che la quantità di dati personali trattati dall’IT è ultra-industriale, si potrebbe anche sostenere che nessuno è obbligato a stare sui social e tantomeno è obbligato (per quanto le condizioni contrattuali siano sempre più stringenti) a fornire dati reali agli stessi. Si potrebbe anche discutere sul fatto che non è affatto ideale fare uso di questi strumenti se davvero ci sentiamo come lo scarico di un lavandino in cui finisce letteralmente tutto.

    Rispondo sempre, in questi casi, che non si tratta di magia, magari fosse così semplice: magia in effetti sarebbe una spiegazione chiusa e ben definita (se ovviamente la scienza riuscirà mai a spiegarla, s’intende). Il punto è che promettere anche di magico a spiegazioni che sono ben note da tempo, significa anche sospettare che parlare di big data e di inferenza sui dati sia troppo per il pubblico a cui ci stiamo rivolgendo, E a qualche malizioso potrebbe venire il sospetto che si tratti di insopportabile snobismo. Ne stavo giusto parlando con un amico su WhatsApp, prima, sottolineando peraltro come – a mio umile parere – la migliore scrittura è sempre quella che spiega le cose difficili in modo semplice. Quello che forse dovrebbero fare quegli articoli, o altri che ne usciranno. Senza mai usare parallelismi con la magia e con i maghi di Segrate, se possibile.

    Stiamo peraltro imparando a nostre spese che le spiegazioni delle “cose” – le cose di cui si occupa la fenomenologia, di per sè: comprensione della coscienza e dell’esperienza umana – sono quasi sempre complesse, niente è mai causa di tutto, non è mai colpa di X (con X singoletto), e soprattutto sappiamo bene che constatare la complessità del mondo crea scompensi notevoli ad alcuni: negazionismo, complottismo, cecità al cambiamento ostentata come la tessera di un partito politico. Che finisce anche per svilire la nobiltà degli intenti di chi vorrebbe denunciare le violazioni della privacy, che non dovrebbe fare appello ad allegorie fantasmologiche, sortilegi o fatture (se non in senso fiscale: gran parte dei social network si affida a data broker per rivendere i dati che volontariamente ci chiedono, come spiegato in quel primo articolo del Corriere dove, purtroppo, rimane il difetto di fondo dell’aver voluto fare uso dell’immagine impropria della “lettura nel pensiero”, nè più nè meno che attribuire il moto di un’automobile al turco meccanico).

    Se il concetto di “lettura del pensiero” può sembrare affascinante o misterioso, in definitiva, spesso le spiegazioni razionali si basano su processi cognitivi e comunicativi ben compresi, tutt’altro che noiosi o incomprensibili (breaking news: si possono divulgare tranquillamente a scuola e nei corsi di formazione per chiunque), il che sarebbe preferibile per limitare allarmismi ed isterie (una cosa di cui non abbiamo bisogno, nel contesto attuale). Le aziende che gestiscono i social sono più mentalisti che altro, al giorno d’oggi. Il mentalismo, lo ricordo, è un tipo di performance in cui il mentalista  fa sembrare di avere la capacità di leggere i pensieri, mentre sta usando tecniche consolidate di cold reading, suggestioni, bias psicologici e chi più ne ha, ne metta.

    Non che uno debba conoscere per forza queste cose, però almeno dotarsi della capacità di razionalizzarle, visto che parliamo di tecnologia e non di magia, sarebbe molto meglio.

  • Guida pratica al panottico (πανόπτικον)

    Guida pratica al panottico (πανόπτικον)

    Quello che ci offre il Panottico è una visione paradigmatica del controllo sociale, uno strumento potentissimo per manipolare e modellare il comportamento umano. Bentham, in tutta la sua genialità, ha forgiato questa prigione delle menti umane, dove un occhio invisibile osserva costantemente, ma non conosciamo mai il momento preciso dell’osservazione. Il concetto di Panottico è diventato ampiamente noto grazie alle opere di Jeremy Bentham e ha influenzato notevolmente il pensiero filosofico e sociologico sulla sorveglianza, il potere e il controllo sociale. Bentham coniò il termine “panopticon” per descrivere questa struttura, basandosi sulla sua etimologia greca e latina.

    Il Panottico, o Panopticon, è un concetto architettonico e sociale ideato dall filosofo e giurista inglese Jeremy Bentham nel XVIII secolo. Si tratta di un modello di prigione o istituzione di sorveglianza che ha lo scopo di ottenere un controllo costante ed efficace su un gran numero di individui con il minimo sforzo da parte dei sorveglianti.

    Pensateci bene, siamo tutti potenziali detenuti in questa struttura di controllo. La paura di essere sorvegliati in qualsiasi momento ci induce a conformarci, a piegarci alle norme, anche quando nessuno ci sta osservando effettivamente. Ecco il vero potere del Panottico, una sorta di auto-sorveglianza interiore che si attiva, e questa auto-sorveglianza, questa disciplina auto-imposta, è il più subdolo dei poteri. Ma sappiamo che questo modello è imperfetto, perché, come sempre, c’è un gioco di potere in gioco. Chi detiene davvero il potere, chi controlla l’occhio che guarda? Non possiamo essere ingenui riguardo a chi ha il controllo sul Panottico. Potrebbe essere un potere centrale, un governo, o un’autorità invisibile e onnipresente, come la società stessa, le norme sociali, le aspettative internalizzate. E qui arriva il colpo di genio di Bentham: anche se il Panottico non esiste fisicamente, il suo modello permea la nostra società moderna. Le tecnologie di sorveglianza, i social media, il controllo digitale, tutto ciò sono strumenti moderni del Panottico. La nostra vita è sottoposta a un costante scrutinio digitale, e spesso siamo noi stessi a fornire volentieri i dettagli delle nostre vite.

    Panottico in chiave paranoica

    Sviluppare il Panottico come emblema per un uomo paranoico e psicologicamente fragile richiederebbe una rappresentazione che catturi i temi di sorveglianza e controllo, ma con un’attenzione particolare alla fragilità psicologica e alla paranoia dell’uomo moderno, immerso nei social e in un mondo che gli piace sempre meno. Ambientazione claustrofobica. Questo potrebbe simboleggiare la sensazione di essere intrappolati e costantemente sorvegliati, tipica della paranoia. Un occhio stilizzato e onniveggente, rappresentato come simbolo centrale.

    Una catena spezzata o un simbolo di prigionia rotta potrebbe rappresentare il desiderio di liberarsi dal controllo e dalla sorveglianza oppressivi, simboleggiando il desiderio di rompere con le paure paranoiche. Potrebbero essere presenti espressioni o elementi che rappresentano l’ansia e la tensione psicologica, come linee spezzate, forme contorte o colori discordanti. Alcuni elementi che rappresentano la mente potrebbero essere inclusi per riflettere la fragilità psicologica, come labirinti, ingranaggi o vortici, suggerendo un flusso confuso di pensieri e paure. L’uso di colori scuri o cupi, come il nero, il grigio e il blu scuro, potrebbe sottolineare la natura oscura e opprimente della paranoia e della fragilità psicologica.

    L’emblema dovrebbe essere realizzato con sensibilità e attenzione per non enfatizzare eccessivamente la paranoia o rafforzare idee deliranti, ma piuttosto rappresentare simbolicamente l’esperienza emotiva del paranoico e psicologicamente fragile, incoraggiando un’empatia verso la sua lotta interiore.

    Significato panottico

    L’etimologia della parola “panottico” deriva dal greco antico: la parola “pan” (πᾶν) nel greco antico significa “tutto”, “ogni cosa”, mentre “optikon” (ὀπτικόν) significa “relativo alla visione” o “ciò che vede”. Insieme, “panopticon” (πανόπτικον) significava “che vede tutto”, letteralmente “tutto ciò che vede”.

    Questo termine fu poi adottato nella lingua inglese dal filosofo e giurista inglese Jeremy Bentham nel XVIII secolo per descrivere il concetto architettonico e sociale da lui ideato. Il Panottico era un modello di prigione o istituzione di sorveglianza che permetteva a un unico punto di osservazione di vedere tutti i detenuti o soggetti sorvegliati, creando così un costante senso di vigilanza e controllo.

    Film e serie TV ispirate al panottico

    Questi film e serie televisive esplorano il tema del controllo sociale, della sorveglianza e della manipolazione delle masse, spesso offrendo spunti di riflessione sulla nostra società e sul futuro delle tecnologie.

    1. The Truman Show” (1998) – Questo film diretto da Peter Weir è un esempio classico di un individuo che vive in un ambiente controllato e sorvegliato senza saperlo. Il protagonista, interpretato da Jim Carrey, vive in una città fittizia dove ogni aspetto della sua vita è trasmesso in diretta televisiva.
    2. The Circle” (2017) – Un film diretto da James Ponsoldt basato sull’omonimo romanzo di Dave Eggers. Affronta il tema dei social media e della sorveglianza digitale, dove una giovane donna viene assunta in un’importante società tecnologica che promuove la trasparenza estrema e il controllo dei dati personali.
    3. “Gattaca” (1997) – Un film di fantascienza che esplora temi di eugenetica e controllo genetico. La società è organizzata in base al perfezionamento genetico, e chi non ha le qualità genetiche desiderate viene emarginato.
    4. “Equilibrium” (2002) – Questo film distopico presenta un futuro in cui le emozioni sono considerate illegali e soppresse attraverso l’uso di una droga. La società è altamente controllata e qualsiasi forma di espressione emotiva è punita.
    5. Black Mirror” (2011-2019) – Una serie televisiva antologica che esplora le implicazioni sociali e psicologiche delle tecnologie avanzate, spesso mettendo in evidenza la sorveglianza, la perdita di privacy e il controllo sociale.
    6. “Minority Report” (2002) – Un film di fantascienza diretto da Steven Spielberg, basato su un racconto di Philip K. Dick. La trama coinvolge un’unità speciale di polizia in grado di prevenire i crimini futuri attraverso la visione dei “precog”, individui in grado di vedere il futuro.

    Immagine di copertina generata da DALL E (a dark modern panopticon).

  • Girlfriend experience

    Girlfriend experience

    Se si cerca su Google “girlfriend experience” uno dei primi risultati, almeno allo stato attuale, è una FAQ in cui la domanda recita “dove posso trovare girlfriend experience“: la risposta, naturalmente, è su Amazon, e fa riferimento alla serie TV del 2016 di tre stagioni, uscita qualche anno fa, ad opera dei registi Lodge Kerrigan e Amy Seimetz. Nel primo episodio si mostra uno spaccato della vita di Christine, studentessa di giurisprudenza che trascorre le giornate tra studio, tirocinio in uno studio legale e relazioni occasionali, e quella dell’amica Avery, che lavora come escort proprio in termini di Girlfriend Experience.

    Eppure dove posso trovare girlfriend experience è una domanda che suona spaventosamente ambigua, perchè nulla sappiamo sul reale intento di ricerca da parte dell’utente e non sappiamo, in definitiva, se fosse desiderio di una fidanzata simulata o di una serie TV. Di fatto l’acronomo GFE, che in genere accompagna nel gergo di internet le Girl Friend Experience, è un servizio sessuale vero e proprio, in cui si chiede – al di là della prestazione sessuale – che la donna (o l’uomo, nel caso di una boyfriend experience o BFE) mostri un attaccamento sentimentale alla persona. Quindi a parte il sesso ci saranno scherzi, coccole, intimità e via dicendo. Il dizionario urbano, caustico come al suo solito, definisce BFE / GFE come Affection oriented escort, ovvero sex worker orientate all’affetto. E molte escort, a quanto pare, offrono questo servizio nella miriade di acronimi di natura prettamente sessuale, tra cui esce fuori GFE come se fosse una threesome o un 69.

    Girlfriend experience è sostanzialmente una escort che offre più del semplice sesso, ma anche baci, coccole, carezze e abbracci. È pura distopia, a pensarci. Ma forse già pagare per il sesso si affaccia sullo stesso scenario, perchè ci costringe quantomeno a fare i conti con l’incapacità, la sfortuna, la mancanza di contesto, il disagio che provano troppi di noi nello stringere una relazione sessuale anche occasionale. Perchè non è facile darsi e concedersi facilmente, e perchè ci sentiamo sempre più insicuri nel farlo. E se possiamo pagare anche per questo, se da un lato è il trionfo del capitalismo – che, come previsto da Marx, si insinua ovunque – d’altro canto costringe a fare i conti con l’aspetto sostanziale della questione, che è proprio quella dimensione sociologico-distopica di solitudine di cui troppo poco, forse, si parla nel dibattito pubblico.

    Un dibattito che tiene giustamente in considerazione gli aspetti alienanti della vita di coppia, delle coppie bianche che convivono in modo stabile senza sesso e via dicendo, ma che – al tempo stesso, per una assurda disparità di trattamento – non da’ abbastanza spazio alla solutudine dei single che hanno, se non altro, la possibilità di rivivere certe esperienze pagando. Anche se queste esperienze non sono prettamente sessuali, di fatto. Fa strano, giustamente, ma va contestualizzato e – quasi certamente – accettato. Sono le conseguenze del mondo frenetico e deregolamentato in cui viviamo, nel quale la relazione è un “di più”, un lusso per pochi, anche se si trattasse di relazione puramente occasionale, in molti casi.

    Per un’esigenza prettamente indotta dal mondo che li circonda, che gli urla troppo spesso in faccia “sono tutti fidanzati tranne te”, generando inutile sofferenza di natura comparativa. Ma il capitalismo è abile a confrontare le prestazioni e fin troppo scontato, in effetti, che faccia classifiche tra le persone, anche se i punti non valgono letteralmente nulla e sono esclusivamente indicativi di status esterni; e questo almeno fin a quando non sarà seriamente messo in discussione.

    Un amore impossibile in stile Munch, generato da una IA.
  • La vera storia del meme di Spiderman

    La vera storia del meme di Spiderman

    Il meme di Spider-Man, in cui due versioni del supereroe si indicano reciprocamente, viene utilizzato per rappresentare situazioni di confusione, accuse reciproche o situazioni in cui due entità simili si confrontano. La scena del meme, tratta dall’episodio “Double Identity” della serie animata del 1967, mostra due Spider-Man che si accusano a vicenda di essere l’impostore, creando un momento comico e surreale di doppio inganno.

    Le principali interpretazioni del meme includono:

    1. Confusione e Accusa Reciprocate: Quando due persone o gruppi simili si accusano a vicenda o si confondono l’uno con l’altro, il meme rappresenta visivamente questa dinamica.
    2. Situazioni di “Simili ma Diversi”: Il meme può essere usato per evidenziare somiglianze tra due cose che, nonostante siano molto simili, hanno delle differenze che causano confusione o conflitto.
    3. Critiche o Ironia: Viene anche usato in contesti ironici o critici, per esprimere la difficoltà di distinguere tra due cose che dovrebbero essere chiaramente diverse ma che appaiono identiche.

    Il meme è diventato popolare grazie alla sua semplicità e versatilità, adattandosi a una vasta gamma di situazioni per esprimere la confusione o il conflitto in modo umoristico.

    Storia

    Nella puntata “Double Identity” (Episodio 19, stagione 1), appare un impostore che si traveste da Spider-Man, portando a una situazione in cui i due personaggi si indicano reciprocamente per identificarsi.