Salvatore

  • Mamma, ho perso l’aereo: ma Kevin è morto?

    Mamma, ho perso l’aereo: ma Kevin è morto?

    Davvero considerevole la fan theory che è iniziata a circolare sul sito TheDailyBeast, e che propone una singola spiegazione alla capacità di Kevin – il giovane protagonista del celebre film “Mamma, ho perso l’aereo!” – di proteggere egregiamente la propria casa, proprio mentre tutta la sua famiglia è lontana da casa. In realtà, come ogni fan theory che si rispetti, nasce su qualche forum di cinema, ed è interessante parlarne in un sito di horror soprattutto per via della rilettura con plot twist che fa di una storia poco credibile nel suo insieme (per quanto di grande successo) un qualcosa di, almeno in parte, quasi sconvolgente.

    Non c’è dubbio che Home alone abbia fatto parte dell’infanzia di moltissimi di noi, e che non ci voglia un critico cinematografico per capacitarsi che sia un film divertente per il target a cui a è rivolto quanto, sostanzialmente, mediocre nell’impianto.

    Questa critica è stata sarcasticamente raccontata da un micro-episodio dei Griffin, del resto; ma qui si cerca di andare oltre, e di trovare significati nascosti all’interno di una storia ben nota.

    Le domande a cui è più difficile rispondere in “Mamma, ho perso l’aereo“, del resto, sono le seguenti:

    • Perchè Kevin è così odiato dalla propria famiglia?
    • Perchè la scalcinata banda formata da Joe Pesci e Daniel Stern sopravvive a trappole che, nella realtà, dovrebbe ferirli gravemente, o addirittura ucciderli?
    • Come può Kevin, imbranato ed ingenuo così come viene presentato all’inizio, ordire un piano così elaborato in così poco tempo?
    • Per quale motivo si mostra così protettivo nei confronti di casa sua?
    • Soprattutto, perchè non va ad avvisare la polizia o qualche adulto di ciò che accade in casa?
    • Perchè sembra aver sviluppato un legame speciale solo con la madre?

    Ecco, la madre: punto cruciale di una fan theory che tanto per (non) cambiare ha a che fare con la morte. Secondo questa rilettura, la madre non si sarebbe mai rassegnata alla morte del figlio, e sarebbe la sola a continuare a parlarci a differenza di tutti gli altri che sostanzialmente ne hanno paura. Se ricordate più o meno a metà della storia, la madre di Kevin dall’aeroporto si procura un passaggio per tornare a casa a prendere il figlio, grazie ad una band musicale che gentilmente si offre di accompagnarla. La donna racconta al musicista Gus di aver lasciato il proprio figlio solo a casa, alchè l’uomo risponde che gli è successa una cosa simile tempo prima: ha dimenticato il proprio ragazzo in una sala mortuaria, “era terrorizzato”.

    Nell’originale Kate risponde “Maybe we shouldn’t talk about this“, e l’uomo chiude la discussione con “I’m sorry I did” – ed è proprio questo scusarsi che fa scattare la scintilla: la madre sta tornando a casa perchè crede di aver dimenticato un figlio – che in realtà è morto da tempo – essendo l’unica non rassegnata alla morte di Kevin. Del resto il figlio non racconta mai apertamente di aver cacciato degli scassinatori da casa, e si tornerà (a questo punto più o meno) felicemente alla situazione di partenza. Nella versione ufficiale, lo fa perchè ciò rappresenta la sua crescita definitiva; in quella alternativa, lo farebbe perchè è lo spirito che continua a proteggere la propria casa.

    Se ricordate da dove siamo partiti, ci sono altri indizi interessanti: Kate, la madre di Kevin, è la sola a reagire con vivacità alla notizia di aver dimenticato il figlio a casa, tanto che è la sola che il passivo consorte concede la possibilità di tornare a casa (assecondando così il desiderio di una donna fragile). A questo punto, quindi, nella caotica scena iniziale assisteremmo semplicemente ad un piccolo fantasma dispettoso che non vuole saperne di morire, e che realizza piccoli dispetti ai familiari. L’odio nei suoi confronti (un innocuo bimbo di 8 anni), secondo la fan theory, a quel punto sarebbe giustificata dal fatto che sarebbe un fantasma che non si decide a lasciare la casa, da cui la sua capacità innata di proteggerla.

    La fan theory è certamente affascinante, sotto un certo punto di vista direi che arriverebbe a migliorare grandemente il film (se ci fosse stata la rivelazione finale che Kevin è morto non sarebbe più un film per bambini, ma sarebbe stato un mind-blown non da poco, degno di Shamalayan o Mangold), a questo punto; ovviamente è solo una suggestione che non regge sotto vari punti di vista (cambia radicalmente il senso del film che sarebbe, a questo punto, poco più di una favola nera), e tra le altre cose non giustifica apparentemente l’esistenza di un seguito.

    Cosa che, in realtà, non sembra giustificata lo stesso – per cui tanto vale… (fonte)

  • Esiste un episodio dei Griffin in cui mettono Quahog in quarantena

    Esiste un episodio dei Griffin in cui mettono Quahog in quarantena

    L’episodio EACX03 dei Griffin sembra essere abbastanza profetico, e con diversi anni di anticipo, rispetto alla situazione che abbiamo vissuto nel 2020. Come sappiamo, infatti, molti paesi europei tra cui il nostro sono in difficoltà per colpa di una pandemia da coronavirus, in attesa che si possa trovare una soluzione in tempi rapidi e nel primo periodo in cui non esistevano ancora vaccini. Se è vero che da tempi non sospetti 8 italiani su 100 erano contrari a qualsiasi vaccino (dato del 2017), è chiaro che le cose sarebbero comunque state complicate lo stesso, in qualche modo: e questo episodio dei Griffin fornisce ironicamente, a riguardo, più di uno spunto di riflessione.

    Dopo una breve visita in ospedale, Peter e Lois si convincono a non vaccinare i propri figli, poiché (dopo una superficiale quanto convintissima analisi di alcuni siti internet) porterebbe a gravi conseguenze fisiche: viene citato più volte il mito (errato) che i vaccini causino l’autismo. Vediamo anhe Peter mentre gira un demenziale spot per convincere le persone a non vaccinarsi.

    Stewie non sarà vaccinato, nonostante le rimostranze di Brian (che rappresenta la parte progressista di una famiglia USA vagamente reazionaria, in genere), ed inizia una vera e propria crociata in città da parte dei due genitori. Dopo qualche tempo Stewie avrà contagiato tutti e la città di Quohag verrà messa in quarantena. Ci penserà direttamente Sean Penn a salvare la situazione, paragonando la città di Stewie ad una del terzo mondo a livello sociale e culturale.

    La satira contro la mentalità no-vax è esplicita ed evidente, ed è significativo che addirittura un cartone animato americano non sempe esattamente progressista vi si sia scagliato contro.

    Ci sono due ulteriori particolarità attorno a questo episodio (uscito nel 2016 negli USA e nel 2017 in Italia): la prima è la dinamica con cui i Griffin diventano novax, che è subdola al massimo. Peter ferisce accidentalmente Stewie che viene subito portato in ospedale. Il medico chiede se il bambino abbia già fatto i vaccini, e mostra un opuscolo informativo a Lois in cui vengono descritti i dettagli del loro funzionamento: la donna rimane terrorizzata da quello che legge (senza capirlo), e inizia a documentarsi su internet. Scatta quindi il cortocircuito: Peter e Lois diventano no-vax, ed iniziano una crociata per cercare di convincere anche gli altri genitori. Poco dopo scoppia una vera e propria epidemia in città, che culmina con la polizia che invita le persone a rimanere a casa, e con tutti i negozi chiusi. Stewie nel frattempo scappa di casa ed inizia un viaggio per trovare un modo di vaccinarsi, ed incontrerà anche il suo alter-ego dal futuro, aggirandosi in una città completamente deserta.

    Ma c’è una seconda particolarità ancora più clamorosa: un pipistrello entra in casa di Peter, che dovrà trovare i modi più assurdi e demenziali per mandarlo via. Impossibile, a questo punto, non pensare al pipistrello che (secondo le prime indicazioni) avrebbe avviato il contagio da coronavirus mediante spillover.

    Informazioni sull’episodio

    Fenomeni (Hot Shots)

    • Diretto da: John Holmquist
    • Scritto da: David A. Goodman
    • Anno: 2016
    • Serie: 15
    • Episodio: 6 (EACX03)

    https://www.youtube.com/watch?v=PemqqQ_bA2Q

  • Percorrere il pensiero magico

    Percorrere il pensiero magico

    La definizione precisa del pensiero magico può variare leggermente se utilizzata da teorici diversi o tra diversi campi di studio. In antropologia viene attribuito ad un qualcosa annesso al rituale religioso, alla preghiera, al sacrificio o all’osservanza di un tabù, in vista di un potenziale beneficio o ricompensa. Ricerche successive indicano che il pensiero magico è comune anche nelle società moderne, e che sia sbagliato (oltre che razzista, in alcuni casi) attribuirlo solo a popolazioni meno evolute o disagiate. In psicologia sociale, il pensiero magico rappresenta la convinzione che i propri pensieri possono produrre effetti nel mondo, o che pensare qualcosa corrisponda a farlo. Queste convinzioni possono indurre una persona a provare una paura irrazionale di compiere determinati atti o avere determinati pensieri a causa di una presunta correlazione tra il farlo e la minaccia di calamità.

    L’antropologo Edward Burnett Tylor ha coniato il termine “pensiero associativo come un modo di pensare sostanzialmente pre-logico, in cui si opera una confusione tra una connessione autentica ed una solo immaginata. Nel contesto in questione, si crede ad un mago il quale sostiene che alcuni oggetti connessi tematicamente e/o simili possano influenzarsi a vicenda, solo in virtù della loro somiglianza. Il collegga Evans-Pritchard racconta dei membri della tribù Azande che, nei suoi resoconti, sono convinti che strofinare i denti di coccodrillo sulle piante di banano possa provocare un raccolto fruttuoso: questo sembra avvenire perchè i denti di coccodrillo sono curvi esattamente come il celebre frutto, per cui la tribù crede ad una forma di pensiero magico e nella capacità di rigenerazione del mezzo, per cui lo sfregamento favorirebbe l’evento.

    Il pensiero magico viene a volte (quasi sempre?) banalizzato come mera superstizione e, per quanto tale visione non sia totalmente avulsa dalla realtà delle cose, più in generale possiamo pensarlo come annesso alla convinzione che gli eventi non correlati siano collegati causalmente. Se le cose vanno male ho il malocchio, ad esempio, ma non solo: l’idea che i pensieri personali possono influenzare la realtà esterna (pensare sempre alla pandemia, ad esempio, farà passare la pandemia), oppure quella che gli oggetti siano collegati causalmente se hanno forme simili oppure, ancora, che due persone rimangano in contatto psichico dopo essersi lasciate, anche se vivono in luoghi distanti (per i razionalisti puri, potremmo essere al limite dello stalking).

    Secondo gli scritti di Bronisław Malinowski un ulteriore tipologia di pensiero magico prevedere che suoni e parole possano influenzare il mondo: un leitmotiv tipico di molti horror, in cui (estremizzando) “parli del diavolo e ti troverà”. Più in generale, diventa pensiero magico prendere un simbolo o una analogia come referente per rappresentare un’entità non nominabile o tabù. Sigmund Freud del resto era convinto che il pensiero magico fosse prodotto da fattori di sviluppo cognitivo, in cui i “maghi” proiettavano – semplificando un po’ – la propria visione bambinesca nel mondo.

    Come con tutte le forme di pensiero magico, le nozioni di causalità basate sull’associazione e sulle somiglianze non sono per forza dettate da pratiche propriamente magiche (nel senso di “legate ad un mago”). Ad esempio, la dottrina delle segnature sosteneva che le somiglianze tra parti vegetali e parti del corpo indicavano la loro efficacia nel trattamento delle malattie di quelle parti del corpo, e per quanto oggi sappiamo che fosse un caso di euristica di rappresentatività per molti anni, nel Medioevo, nessuno ebbe nulla da ridire in merito (altro caso di pensiero magico ricorrente e comune, questa euristica o scorciatoia mentale: vediamo due persone assieme, e pensiamo automaticamente che siano una coppia).

    Alcune teorie del complotto afferiscono più o meno vagamente al pensiero magico, e tendono a confermare una visione non scientifica che, per supremo paradosso, risulta altrettanto credibile (con buona pace dei seguaci di Popper). Il pensiero magico viene creduto e tanto basta, del resto come avviene – secondo Suspiria – per la magia vera e propria: la magia è quella cosa che ovunque, sempre e da tutti, è creduta. Per non parlare della ritualistica annessa al calcio, per cui qualsiasi tifoso (o quasi) ha sempre fatto scongiuri e rituali scaramentici pre partita, per poi dimenticarsene se la squadra del cuore perde, e glorificando la vittoria “magica” in caso contrario. Chiunque usi un social network, che lo faccia tra troll impenitente o moralista irreprensibile, ha ritenuto almeno una volta nella vita che pensare qualcosa equivalga a farla.

    Viene anche da chiedersi come il pensiero magico sia sopravvissuto alla tecnologia ed alle innovazioni: le motivazioni sono varie,e  difficilmente si trova un accordo sostanziale sul tema.  Da un punto di vista psicologico, infatti, varie scuole di pensiero insistono sul fatto che il pensiero magico sia terapeutico, ovvero che le persone si rivolgano a “credenze magiche” qualora esiste un senso di enorme incertezza e potenziale pericolo, e non sia possibile accedere a risposte logiche, sistematiche o scientifiche. Il pensiero magico assolve ad un tentativo di controllo delle circostanze, e può diventare drammatico da gestire e accettare soprattutto per i razionalisti di ferro.

    Fu Jean Piaget (psicologo dello sviluppo) tra i primi a discutere di pensiero magico, e secondo i suoi scritti lo stesso sarebbe prevalente nei bambini di età compresa tra i 2 ed i 7 anni (cosiddetta fase pre-operatoria): età tipica in cui gli stessi tenderebbero a credere che i pensieri personali influenzino la realtà (nei giochi d’infanzia la cosa dovrebbe essere evidente, e basta ripensarci un po’ per capacitarsene). In questa fase avviene un passaggio fondamentale: mancando il raziocinio più tipico dell’età adulta, concetti come la morte appaiono non comprensibili, e un bambino potrebbe convincersi che se il suo cano è “andato” un giorno potrebbe tornare (film horror come Pet cemetary sono particolarmente emblematici in tal senso). Ci pensa il pensiero magico, in questi anni, a colmare un divario incolmabile, e il passaggio alla fase successiva costringe il bambino a capacitarsi della realtà e a crescere.

    Alcuni studiosi ritengono che la magia sia efficace soprattutto (se non soltanto) psicologicamente. Citano l’effetto placebo e la malattia psicosomatica come ottimi esempi di come le nostre funzioni mentali esercitano potere sui nostri corpi. Allo stesso modo, l’antropologo Robin Horton si è spinto a sostenere che impegnarsi in pratiche magiche possa in alcuni casi alleviare l’ansia, il che potrebbe avere un effetto positivo. In assenza di un’assistenza sanitaria adeguata, tali effetti svolgerebbero un ruolo importante anche se non essenziale, contribuendo così a spiegare la persistenza e la popolarità di queste pratiche. In ambito psichiatrico, tuttavia – senza voler azzardare diagnosi spicciole, fin troppo alla moda negli ultimi anni – il pensiero magico è un disordine mentale vero e proprio, che denota la falsa convinzione che i propri pensieri, azioni o parole causeranno o impediranno una conseguenza specifica, in barba alla causalità classica.

    Da un punto di vista generale, vari ricercatori hanno identificato due possibili principi come cause formali dell’attribuzione di false relazioni causali nel pensiero magco:

    • la contiguità temporale di due eventi, per cui se due cose avvengono in tempi brevi la precedente abbia causato la successiva;
    • il cosiddetto pensiero associativo, l’associazione di entità in base alla loro somiglianza o le classiche “associazioni di idee”. Quello del pensiero associativ era un tema caro a tanti studiosi dell’era vittoriana, che tendevano ad associarlo all’irrazionalità, probabilmente generalizzando.

    Nonostante l’opinione che la magia sia meno che razionale e comporti un concetto inferiore di causalità, dobbiamo a Claude Lévi-Strauss la possibilità che non esista alcuna distinzione netta tra pensiero “primitivo” e “civilizzato”, cosa provata dal dilagare nel pensiero magico, a nostro avviso, a partire dai primi anni di pandemia.

  • Intervista ad Alberto Antonini (regista di Seguendo il sangue)

    Intervista ad Alberto Antonini (regista di Seguendo il sangue)

    Ciao Alberto e grazie della tua disponibilità. Direi di iniziare con una tua presentazione personale. I soci del nostro circolo hanno avuto occasione di vedere “Seguendo il sangue”, che mi pare tu abbia definito “thriller psicologico”. Mi racconti la genesi dell’opera?

    L’ho definito “thriller psicologico” ,in quanto nel film c’è una forte tensione dall’inizio alla fine e il dubbio di non capire dove il film si concluderà…Il film ha inizio nel lontano 2008, quando decisi di invertire la mia posizione da spettatore a creatore di un opera audivisiva; ho iniziato a pensare a cosa avrei voluto dire, il mio particolare messaggio al mondo.Ed il mio messaggio era che si può cambiare e che se nell’animo umano ci sono tante costrizioni e limitazioni ad essere se stessi, ascoltandosi o meglio avvicinadosi a noi stessi e poi cercando di “sentirsi” riusciremo a sorpassare l’ostacolo e arrivare finalmente a Noi Stessi.

    Di fatto viene rappresentata la mutazione interiore di un sequestratore, che vive un rapporto morboso tra morte e sesso… Come si lega Freud alla trama del film?

    Freud, il padre della psicologia, e in particolare la seconda topica freudiana è stata la scintilla, che ha fatto mettere in moto tutto il lavoro per arrivare poi a Seguendo il Sangue. Nello specifico la seconda topica afferma che ognuno di noi oscilla tra 2 forze tra loro in contrapposizione la Passione, nel film parafrasata con il SANGUE, e il dovere,che impone in quanto tale di non ascoltare appunto la passione o il sangue. Nel film il personaggio è totalmente preda del dovere e proprio con il sequestro cerca di annientare per sempre il sangue/la passione….per poi alla fine del film ribaltare completamente la situazione e darsi ai suoi piaceri, ovvero avrà finalmente la possibilità di aprirsi ad un amore omesessuale….visto la draq queen, che vede ossessivamente in tv e che appunto non può parlarle, non può toccarla, non  può amarla; ma solo dopo la morte del tiranno la forza del dovere introiettata, potrà rivedere la luce del giorno e lasciare l’oscurità del suo animo depresso ed intrappolato; visto che,parafrasando Osho, è solo grazie alla distruzione che ci può essere la rinascita. E’ proprio di questo che si parla nel film la lotta per la rinascita, per un cambiamento interiore verso il sangue, verso quello che scorre nelle nostre vene e che per noi è linfa vitale, necessaria e indispensabile per non morire dentro.

    La sequenza migliore del film, a mio avviso, rimane la “televendita” che assume una connotazione decisamente satirica o sbaglio (il “Ministero della Purificazione”, se ricordo bene)?

    Si, appunto, volevo mettere alla berlina quelle autorità che si mettono sul pulpito, che non discutono con te, ma ti ordinano , convinte di avere con sé la verità, pronti a giudicare ogni tua piccola mossa, ma appena il riflettore della vita si accende su di loro, li vedi fare affari nel modo più disonesto possibile, sono  mercanti da strapazzo, che vendano attravero la tv, organo principe della menzogna e della mistificazione, la pozione miracolosa il facile rimedio ad ogni male “ l’aria di Napoli” per la nostra salvezza, appunto da ottimi imbonitori e truffaldini mercanti.

    Ci sono altri punti che mi hanno incuriosito sul film: la prima cosa è legata al simbolismo della maschera della donna rapita. Mi daresti qualche indizio in più a riguardo? Devo dire che mi ha un po’ spiazzato…

    Diciamo che l’utilizzo della maschera è stato dovuto anche piccoli mezzi che avevo a mia disposizione, perchè in realtà doveva essere un trucco sul volto, sempre uguale alla maschera.

    L’immagine della maschera l’ho scelta soprattutto per la lingua, in quanto rappresenta l’azione sibillina del personaggio e poi mi ricordava un serpente,  il serpente dell’eden.

    Quali sono le tue influenze cinematografiche principali?

    Domanda difficile, io prima di ogni cosa sono un grandissimo amante del cinema e il mio posto sicuro è il cinema, quando entro nella sala sono completamente rapito dalla magia, questo per dirti che ho visto veramente moltissimi film e dei generi più svariati; ma sicuramente le mie ispirazioni si rifanno a Bill Viola, La Fura Dels Baus,Lynch, Cronenberg,Lars von trier,Oliver Stone, Tarantino,Fassbinder….ma amo alla follia il primo  Sorrentino,Louis Malle, Monicelli,alcuni film di Steno,Kubrik,Lars von trier,Wim Wenders, Carlo Lizzani, Giuliano Montaldo, Sergio Leone,Francesco Rosi, Pietro Germi, Orson Welles, Martin Scorzese, Abel Ferrara ,i film di totò, tutti i polizzioteschi italiani , soprattutto con il mitico Maurizio Merli… come vedi è un po’ difficile dire chi mi è vicino e chi lontano.

    Dovendo indicare i tre film che porteresti con te sulla classica isola deserta, quali sarebbero?

    Questa oltre ad essere la domanda più difficile  è anche la più crudele, io amo il cinema e considerare solo 3 film mi sembra di tradire tutti gli altri . Comunque risponderò alla domanda C’eravamo tanto amati, Un anno con 13 lune, Il Settimo sigillo…ma non finirei mai!!!!

    Parliamo dell’oggi e del futuro: cosa hai in mente di realizzare nel prossimo periodo?

    ho in porto di dirigere alcuni corti e intanto sto già iniziando a pensare al prossimo lungometraggio, sicuramente un noir, genere che mi ha sempre affascinato.

    Mi dai un tuo parere sulla situazione distributive del genere horror in Italia? Mi riferisco alle note difficoltà che sta attraversando, nonostante ci sia davvero molta “roba” in giro che pero’ circola poco (Eaters, ad esempio, non esiste in edizione italiana, e questo è a dir poco scandaloso!)

    Voglio citare Marco Bellocchio “Tutti si buttano sulla commedia – poveramente, miseramente – perché ha avuto successo; invece bisognerebbe cercare strade nuove”. Secondo me questa dichiarazione riassume bene la situazione in Italia, dove le possibilità per i giovani sono molto risicate …non abbiamo budget e nessuno è interessato a darcelo,però poi veniamo messi al confronto con i film in sala, che magari non hanno una storia, ma tecnicamente completi, e ci definiscono filmetti. Se guardiamo al di fuori dei nostri confini, ovviamente in Usa stanno promuovendo moltissimi concorsi focalizzati a cercare nuove storie tra gli amatori…questo ci dimostra che il cinema ,tranne per qualche splendida eccezione, quest’anno direi Miracolo a Le Havre, che cmq nn ha una storia originalissima basta andare in dietro di qualche anno e troviamo Welcome, Shame, Drive, Cesare deve morire, Melancholia (ovviamente mi riferisco ai film arrivati da noi in sala, perchè altrimenti mi sento di aggiungere Il cavallo di Torino di Bela Tarr ed altri che appunto appartengono alla nicchia dell’indipendente…o basta ricordare le difficoltà di The Road per arrivare in sala da noi) è predominato da storie vecchie e già ormai conosciute, come un abito ormai liso dai tanti anni che si porta sulle spalle.

    Ritengo che la questione si possa allargare anche ad altri generi, non solo all’horror ….cmq in conclusione vi voglio lasciare con un mio dubbio…vado quasi 1 volta a settimana al cinema e a vedere i film, tipo quelli citati sopra, siamo veramente in pochi a vederli se non da solo, mentre i film ultramainstream fanno sempre il pieno, Checco Zalone etc etc….forse è lo stesso pubblico che non ha più voglia di mettersi in gioco, anche in un certo modo di cooperare al film, di impegnarsi nel seguire storie di dare una propria visione di giocare con il film e non solo di passare 2 ore di tempo perchè magari fuori piove o non c’è niente di meglio da fare? e perchè si guardano film , che non hanno dire niente altro oltre il trailer?  dove è finita la passione per il cinema ?

    Nota: questa intervista è stata da me realizzata nel 2012 e pubblicata all’interno del blog RecensioniHC, i cui contenuti sono stati spostati qui.

  • Le 10 colonne sonore più intense mai sentite in un film

    Le 10 colonne sonore più intense mai sentite in un film

    La musica da film ha sempre appassionato e fatto discutere milioni di appassionati di cinema: serve a rimarcare le scene più intense, i finali indimenticabili o sottolineare quelli che diventeranno spesso veri e propro momenti cult. In questo articolo ho selezionato le 10 migliori colonne sonore che è possibile trovare nei film che ho visto.

    Avviso: molti brani sono relativi a finali, per cui è necessario, prima di leggere, essere consapevoli di uno spoiler alert – del resto immagino che chiunque legga questo articolo dovrebbe aver visto i film in questione.

    The divide

    Un thriller apocalittico recente di cui, secondo me, non si è parlato abbastanza – e che riprende la gloriosa tradizione di genere anni 70 e 80 mescolandola con una forte contaminazione dal new horror francese.

    La colonna sonora, struggente e malinconica (in linea col finale imprevedibile del film) è stata realizzata dal chitarrista e compositore francese Jean-Pierre Taïeb‎.

    Nightmare

    Il capostipite della saga inventata da Wes Craven è stato musicato da Charles Bernstein, già noto per le colonne sonore di Cujo e Da solo contro tutti.

    Un tema minimal ed ipnotico, che i fan della saga non riusciranno a dimenticare, come una nenia demoniaca e autenticamente da incubo.

    Starman

    Per una volta Carpenter non si occupa delle musiche di un suo film, ma lascia l’incarico al compositore Jack Nitzsche. Uno dei lavori più atipici del maestro dell’horror americano, in grado di suscitare emozioni forti quanto zuccherose, forse, ma semplicemente unica nel suo genere e con tanto di solenni synth.

    Requiem for a dream

    Uno dei film più struggenti e tragici mai diretti, non poteva che essere accompagnato da un requiem per un sogno: come se, in un incubo fatto di dipendenze da droga, nessun sogno o ambizione, alla fine, possa pienamente realizzarsi.

    La musica è stata composta, in questo caso, dal britannico Clint Mansell.

    Non si sevizia un paperino

    Considerato dai più l’autentico capolavoro di Lucio Fulci, presenta una delle scene più crudeli accompagnate da “Quei giorni insieme a te” di Ornella Vanoni, a sottolineare la brutalità dell’intolleranza dei paesani verso la povera “Maciara”.

     

    Il giorno del venerdì santo

    Alle note scritte da Francis Monkman è affidata, in particolare, la clamorosa sequenza finale del film: il protagonista Harold, dopo aver incontrato i suoi rivali e con la convinzione di essere quasi onnipotente, entra nella sua auto e viene sequestrato dall’IRA. Ora non può più nulla: è prima sbalordito, poi rabbioso ed infine rassegnato al proprio ineluttabile destino.

    Spider

    Alle note di Howard Shore è affidato, questa volta, il finale di Spider: Cleg, ormai cresciuto e completamente travolto dai propri ricordi, ricorda ciò che potrebbe aver soltanto immaginato, e sulla frase “Che cosa hai fatto, signor Cleg“, viene ricoverato di nuovo.

    Nekromantik

    L’opera prima di Buttgereit (un cult dell’horror più underground, noto e amato probabilmente solo da una piccola nicchia di fan) è accompagnata, tra le altre, durante il macabro ménage à trois dalle note struggenti e malinconiche di John Boy Walton, con il brano dal titolo Ménage A Trois.

    Napoli violenta

    Ridurre l’attività di compositore del romano Franco Micalizzi ad un singolo film è complesso, per non dire impossibile: ha dato vita ai temi musicali di buona parte dei “poliziotteschi” più famosi, senza dimenticare escursioni nell’horror (Chi sei?) e nel western (Lo chiamavano Trinità).

    Folk and violence è uno dei brani probabilmente più evocativi mai composti, e fa parte della colonna sonora di Napoli violenta.

    https://youtu.be/FrSgAo61LEY

    Suspiria

    La musica dei Goblin di Suspiria – recentemente oggetto di un remake – è sinistra, apocalittica e coinvolgente: forse uno dei temi musicali più amati incondizionatamente dai fan del genere horror.

    https://youtu.be/pins1y0XAa0