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Cinema, arte, spettacolo e filosofia spicciola.

  • Grand Guignol: il teatro dell’orrore che prolificò anche in Italia

    Grand Guignol: il teatro dell’orrore che prolificò anche in Italia

    Grand Guignol è usato più che altro come aggettivo, in questi anni, e probabilmente non tutti ricordano le sue oscure origini. Non è un caso che in pochi ricordino questo particolare sottogenere, anche perchè la critica fondamentalmente lo disprezzò sempre, a cominciare da Silvio D’Amico che non perse mai occasione per evidenziarne i limiti. Limiti che, a ben vedere, riguardano sempre le solite questioni per cui l’horror viene snobbato ancora oggi: trame risibili, interpreti sacrificati, minestra riscaldata e così via.

    Nella sua primordiale sublimazione della paura, il palcoscenico apparve come lo scenario claustrofobico ideale per la nascita e la morte di quelle micro-storie, spesso affidate ad effetti speciali artigianali ed ingegnosi che, ovviamente, risentivano dell’effetto “dal vivo”. Uno dei volumi di riferimento sull’argomento, per l’Italia, è senza dubbio Teatro Sinistro di Carla Arduini (Bulzoni Editore), che traccia una storia molto puntuale e precisa del fenomeno, e che abbiamo utilizzato come fonte per la nostra analisi.

    Nascita del Grand Guignol

    Il Grand Guignol venne fondato formalmente a Parigi, nel quartiere Montmatre, nel 1897, dove rimase attivo fino al 1962. Col tempo si diffuse anche fuori dai confini francesi,e  furono moltissime le compagnie che provano, non sempre con troppo successo, ad emularne le gesta. Lungi dall’essere un fenomeno localizzato o di provincia, il Grand Guignol venne emulato un po’ dovunque in Europa, ed affascinò per molto tempo artisti, impresari e pubblico, ponendo una base indiretta del concepimento di moltissimi film horror, sia di vecchia e nuova generazione.

    Tematiche del Grand Guignol

    Gli spettacoli di questo genere, che potremmo agevolmente definire un teatro horror o teatro thriller che dir si voglia, erano quasi sempre atti unici estremamente compressi  e circoscritti, in cui venivano narrate storie di efferati delitti caratterizzati da una forma di realismo molto marcato. Sangue, crudeltà e violenza la facevano da padrone, ed in cui le narrazioni sono ambientate, spesso e volentieri, nei vicoli bui delle città in cui si viveva all’epoca.

    La derivazione del genere horror a livello cinematografico dal Grand Guignol appare, a questo punto, lampante – così come il tasso di exploitatation in qualche modo in nuce, vincolato da effetti speciali da palcoscenico che, per forza di cose, dovevano sfruttare l’ingegnosità (al contrario di un film, se un effetti speciale salta perde credibilità l’intera messa in scena, e non si può certamente tagliare nulla).

    Grand Guignol in Italia

    Nel nostro paese la figura di riferimento nel genere fu senza dubbio la compagnia di Alfredo Sainati, capocomico ed attore della Drammatica Compagnia Italiana, che propose un ricco repertorio di Gran Guignol dal 1908 al 1936). A livello internazionale, per inciso, la drammaturgia di riferimento viene spesso ricondotta ad Andrè De Lorde (1871-1942).

    Pline, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons – L’attuale International Visual Theatre, dove nacque in Grand Guignol – attualmente restaurato e dall’aria diversa rispetto a come si presentava all’epoca.

    Sainati non fu l’unico artefice di una compagnia del genere, ma sicuramente fu tra quelli che durarono di più: si contarono compagnie di Gran Guignol italiane che non durarono neanche un anno, a volte. Sulla figura di Sainati ci sarebbe moltissimo da scrivere: venne considerato l’unico autentico artefice del genere del teatro horror nel nostro paese, nonostante un esordio non proprio incoraggiante: dopo il debutto al Teatro Pavone di Perugia, Sainati lancia il Grand Guignol nelle città di Napoli, Torino, Firenze e Milano, ottenendo una reazione quasi sempre non esaltante dalla critica, che considerò il genere eccessivo e, in qualche modo, diseducativo.

    La cosa che rende interessante il genere, di fatto, è che a mio avviso conferisce al genere una forma di letteratura popolare: della serie, se è vero che le storie di questo tipo sembrano tratte da fatti di cronaca tanto assurdi da sembrare inventati, c’è sempre l’approfondimento psicologico e intimo dei personaggi, con riferimenti espliciti a sesso, morte e violenza. Eppure all’inizio del Novecento un letterato come James Joyce si era interessato al genere, tanto da contattare Sainati per fargli realizzare la Cavalcata del Mare di Synge, progetto mai realizzato per mancata autorizzazione degli eredi dell’autore. Riders to the sea è considerato uno dei capolavori del teatro irlandese, un atto unico in cui si mescola un singolare connubio tra realismo, sovrannaturale e folklore.

    Alcune trame degli spettacoli di Grand Guignol

    Gli intrecci del Grand Guignol erano in genere brevi ed intensi, spesso anche a discapito dell’approfondimento psicologico dei personaggi, e caratterizzati da micro-mondi che si aprivano e si dischiudevano in pochi attimi. Molte di quelle storie si limitavano ad aprire e chiudere un micro-universo, come avviene nel caso della storia di un medico che, scoperto che la propria moglie aveva un amante, li chiude in un cottage, inoculando ad uno dei due il virus della rabbia (senza specificare quale). Quasi un Hostel in nuce, verrebbe da dire, in grado di fornire in modo essenziale uno dei feeling più comuni del teatro horror: il tema, svisceratissimo anche nel cinema, della vendetta.

    Premesso che molti di questi spettacoli assorbivamo più elementi al proprio interno (inclusi alcuni ironici o intrisi di humor nero), il libro più celebre nella nostra lingua che ne parla è senza dubbio Teatro del Grand Guignol di Corrado Augias, un libro non più edito dei primi anni 70 e attualmente (a quanto pare) di complicata reperibilità. Tra le opere citate ve n’è una, Mammina, che suscita più di una curiosità: è l’unica della raccolta di cui non è noto il nome del traduttore (la maggioranza sono state tradotte da Carlo Cignetti e Giuseppe Concabilla), e a dispetto dell’innocenza del titolo è una storia terribile, in qualche modo quasi antesignana del genere rape’n revenge. Una prostituta in vena di trasgressione si concede ad un apache dall’aria selvaggia: chiede all’uomo, durante il rapporto, di raccontargli il suo ultimo crimine. Si rende progressivamente conto che le vittime da lui indicate sono la madre ed il figlio della donna, motivo per cui ucciderà l’uomo pugnalandolo. Sabotaggio di Charles Hellem, W. Valcros e Pol D’Estoc è un altro dramma incidentalmente familiare dai toni simili: un operaio fa saltare la corrente del proprio quartiere come atto di ribellione e sabotaggio, ma nel farlo provoca un problema al figlio malato di crup, proprio mentre sta subendo una tracheotomia che ovviamente fallisce.

    Con l’avvento del cinema, progressivamente, il Gran Guignol perse, anno dopo anno, la propria popolarità, per essere recuperato solo in seguito da alcune compagnie teatrali (in Italia, ad esempio, il Grand Guignol de Milan). Le suggestioni del teatro dell’orrore, ovviamente, non dovrebbero mai essere sottovalutata – nemmeno oggi.

  • I pistoleri solitari dell’11 settembre

    I pistoleri solitari dell’11 settembre

    Come ricorderanno i fan di X-Files, per quanto i personaggi di Mulder e Scully fossero al centro di quasi ogni episodio, di tanto in tanto ricevettero un aiuto significativo, nei loro sforzi per scoprire la verità di una serie di cospirazioni cosmiche, da un trio di singolari personaggi dai tratti caratteristici (tre sostenitori di teorie del complotto, per inciso). Si trattava di John Byers, Melvin Frohike e Richard Langly, protagonisti di uno spin off di X Files che entusiasmò vari complottisti, fin dall’epoca della sua uscita, per quanto sia stato abbandonato dopo una serie per la scarsità di ascolti. La serie in questione, per inciso, non è mai arrivata in Italia, e questo naturalmente ha finito per alimentare il mito cospirativo sulla serie stessa.

    Di Witchblue - DVD originale della serie X-Files, Stagione 9, episodio n. 15 intitolato Modifica genetica, Copyrighted, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=2227589
    Di Witchblue – DVD originale della serie X-Files, Stagione 9, episodio n. 15 intitolato Modifica genetica, Copyrighted, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=2227589

    I tre personaggi divennero meglio conosciuti come The Lone Gunmen (Pistoleri Solitari, letteralmente), nome che uscì fuori da uno spinoff di X-Files uscito nel 2001, circa sei mesi prima degli attentati dell’11 settembre. Il primo episodio andò in onda il 4 marzo 2001, con il titolo Pilot (probabile gioco di parole implicito tra “pilota d’aereo” ed “episodio pilota“), e narra una storia che sarebbe diventata familiare ai più: un hacker prende il controllo di un Boeing 727 e lo fa volare verso il World Trade Center, con l’intenzione di farlo schiantare contro una delle Torri Gemelle.

    I Lone Gunmen riusciranno a contro-hackerare l’aggressore informatico e a scongiurare un disastro che poi, in seguito, sebbene in modalità leggermente diverse sarebbe avvenuto sul serio. Ovviamente la vulgata complottista divenne monolitica nell’affermare che quell’episodio avesse “previsto” gli attentati dell’11 settembre 2001. L’episodio arrivò in Australia, ad esempio, meno di due settimane prima di quella data fatidica che cambiò il mondo.

    Suggestioni, chiaramente, prive di effettive prove su un fatto che oggi presenta un impatto emotivo diverso, su cui rimangono punti da chiarire (ovviamente) ma che, di fatto, negli USA fece scalpore pur passando in sordina (condizioni ideali per il fiorire di cospiracy theories).

    La storia era particolarmente intrigante, peraltro, se si pensa che il personaggio l’hacker non era un lupo solitario o uno schizofrenico. La macchinazione, nella sceneggiatura, era frutto del lavoro di un’organizzazione segreta all’interno del governo, quello che oggi molti complottisti chiamerebbero deep state, la cui esistenza viene da sempre negata ufficialmente. Stando al loro piano segreto, se l’attentato avesse funzionato, si sarebbe data colpa degli attacchi al World Trade Center a uno o più dittatori stranieri che, citando la serie, “imploravano di essere bombardati“.

    La trama di Pilot fu affrontata in modo riluttante sui media, il che naturalmente finì per alimentare le narrazioni cospirative sull’auto-attentato, costruito dagli USA stessi per avere un pretesto per fare la guerra. L’episodio passò in sordina per via della singolare coincidenza, soprattutto perchè, probabilmente, le reali vittime degli attentati fecero passare la voglia di proporre parallelismi di alcun genere.

    Da un punto di vista psicologico o razionale potrebbe trattarsi di un caso di cherry picking collettivo (si selezionano accuratamente solo gli aspetti coincidenti con la realtà ignorando, ad esempio, che nel vero 11 settembre non figurò alcun attacco informatico), senza contare il più classico dei bias di conferma, ovvero la tendenza a cercare ad ogni costo conferme di fatti che già crediamo, anche se esistono prove contrarie in merito. In fondo chi crede al complotto ci crede lo stesso (I want to believe è da sempre uno dei motti dei fan di certa ufologia), e non c’è modo di discuterne, come dimostrato da mockumentary come Operazione Luna, per quanto chiaramente la forte suggestione in questo caso rimanga, anche a distanza di anni.

    La cosa che mi preoccupa è che, come scrittore di fantascienza, ti viene in mente che se puoi immaginare uno scenario del genere, anche il potere potrebbe farlo (Frank Spotnitz, produttore esecutivo della serie)

    Foto di copertina: Lerone Pieters on Unsplash

  • Da John Titor a Homer Simpson: il primo sito con fake news sui vaccini anti-influenzali

    Da John Titor a Homer Simpson: il primo sito con fake news sui vaccini anti-influenzali

    No, i Simpson non avevano “previsto il Covid-19”: non arriveremo a sostenere una cosa del genere. Pero’ abbiamo curiosato lo stesso in un vecchio episodio dei Simpson, visto per la prima volta in Italia all’inizio del nuovo millennio, qualche tempo prima di quell’11 settembre che ancora oggi ricordiamo.

    La traduzione del titolo originale dell’episodio in questione sarebbe pressappoco “Il computer con le scarpe minacciose”, incomprensibile in italiano e reso giustamente, per questo motivo, Galeotto fu il computer e chi lo usò (serie 12, episodio 6).  Per inciso il titolo originale The Computer Wore Menace Shoes omaggia, senza citarlo esplicitamente nell’intreccio, il classico film Disney The Computer Wore Tennis Shoes (Il computer con le scarpe da tennis del 1969, oggetto di un remake nel 1995).

    The Simpsons – Galeotto fu il computer e chi lo usò (12×6)

    Diretto da Mark Kirkland e scritto da John Swartzwelder, Galeotto fu il computer e chi lo usò è stato visto per la prima volta in Italia nei primi anni 2000, all’interno della 12ma serie, e racconta di Homer che decide di comprare un computer (anche a costo di farsi un quinto mutuo, come ammette lui stesso). Non solo: Homer apre un sito e lo riempie di gossip e fandonie, riscuotendo grande successo.

    Inizialmente la home page del suo sito è solo singola pagina zeppa di GIF animate messe a caso (tra cui un Gesù ballerino e delle bocche parlanti), presto diventerà uno dei siti più popolari del momento.

    Non temere testone, ora sarà il computer a pensare per noi!

    Sulla falsariga dei buoni suggerimenti di Lisa, Homer travisa gli insegnamenti ed inizia a pubblicare nel proprio sito prima un po’ di gossip, poi vere e proprie fake news. Presto finirà confinato su un’isola deserta, ispirata a quella della serie The Prisoner, dove vengono rinchiusi per sempre tutti coloro che “sapevano troppo”. La puntata è forse uno dei migliori esempi dei Simpson old school, calato nel contesto tecnologico oggi a noi più che familiare, nonchè abbastanza diverso dai Simpson più recenti.

    Homer, dicevamo, colpisce nel segno pubblicando gossip a volontà, firmandosi con lo pseudonimo Mister X: la logica errata e semplicistica con cui il personaggio ritiene che basti un nickname per essere anonimi su internet dovrebbe, al giorno d’oggi, essere familiare ai più.

    Esisterebbe peraltro una scena tagliata, a quanto pare, in cui Homer digita parole chiave a caso su un motore di ricerca e finisce in un sito per adulti, poco dopo bloccato da Marge.

    Si scopre che il gossip di Mister X nasconde delle verità: il sindaco della città possiede effettivamente una lussuosa piscina segreta all’interno del comune, Apu commercia ciambelle avariate, Krusty ha commesso un omicidio con occultamento di cadavere e Burns vende uranio ai terroristi. Si decide pertanto di conferire un premio Pulitzer all’anonimo autore delle inchieste, con Homer che solo ora svela la propria identità.

    L’associazione esplicita tra io-virtuale e io-reale, ovvia nell’era dei social network, è l’inizio della fine per il protagonista dell’episodio.

    Fin dai tempi di John Titor…

    L’idea che un anonimo utente del web possa detenere la Verità e diffonderla su internet dovrebbe sembrare illogica ed incoerente fin dalle sue premesse, tant’è che nel cinema nemmeno il più oscuro e sconclusionato dei b movie è mai arrivato ad ispirarsi ad un’idea del genere. Al tempo stesso, pero’, fin dai primi 2000 ebbe molto successo la “saga” di John Titor, presunto soldato USA che aveva dichiarato su un forum (col nickname Timetravel_0) di essere stato spedito indietro nel tempo (come in Terminator) per recuperare un vecchio modello di IBM.

    I am a time-traveler from the year 2036. I am returning home after having retrieved an IBM 5100 computer from 1975 (cicap.org)

    Tra le profezie narrate da Titor vale la pena di ricordare, per quel poco che vale, quella dell’arrivo del morbo della mucca pazza negli USA, la fine dell’azienda Microsoft e una guerra civile negli USA dal 2004 al 2015. La sua storia fu quasi certamente viral marketing e venne creduta da molti, mentre il fatto che alcune cose non siano avvenute venne giustificata dalla tipica non-falsificabilità del complottismo: se non è avvenuto nella nostra realtà, è comunque avvenuto in una diversa linea temporale del multi-verso.

    Per diversi anni quella di Titor fu una urban legend oggetto di varie forme di debunking, tra cui quello di Paolo Attivissimo e del fisico Robert Brown, il quale delineò l’implausibilità della storia, accusandola di aver plagiato un paio di storie di fantascienza e definendola (su un sito ormai defunto) sad reflection on the gullability of our culture (una triste riflessione sulla creduloneria della nostra cultura).  Sulla gullability dei nostri tempi, del resto, bisognerà scrivere un saggio, prima o poi, facendo soprattutto lo sforzo di rendere non-insultante l’approccio nei confronti dei “credenti”. Certo, siamo felici di essere zeppi di libri di debunking che smontano teorie del complotto da ogni dove, ma non sembra siano bastati. Solo in pochi casi (o forse addirittura in nessuno) essi sono riusciti a redimere o far ritrattare qualcuno dei complottisti (sempre più convinti, in molti casi, nonostante le prove contrarie).

    Lo scrittore Wu Ming 1, a riguardo, è stato lapidario: Smontare le teorie del complotto è facile. Il difficile è convincere chi ci crede a non crederci più. È difficile dargli torto, soprattutto nei tempi in cui viviamo.

    La teoria del complotto sui vaccini nel sito di Homer

    Le notizie scarseggiano: la gente non parla più in presenza di Homer, che manca di fonti ed è costretto così ad inventarsi le news. Una pratica che i numerosi casi reali di bufale pubblicate da giornali anche autorevoli ha finito per abituarci, soprattutto nell’era post 11 settembre, con un picco ulteriore a partire dal 2020 in occasione della pandemia mondiale.

    Il clou dell’episodio in oggetto arriva nel momento in cui Homer scrive nel proprio sito che il governo vorrebbe controllare le menti delle persone mediante vaccinazioni di massa.

    A questo punto una misteriosa organizzazione lo rapisce e lo deporta sull’isola di quelli che “sanno troppo“, mentre l’originale viene sostituito da un sosia identico nelle fattezze, e dall’accento tedesco. Un personaggio autoritario rivelerà in seguito al vero Homer che il motivo per cui i vaccini si fanno prima di Natale è per assicurarsi che la gente spenda per i regali, e che per questo motivo Homer sarebbe diventato un personaggio “scomodo” per il sistema. Si tratta di una satira gustosa e azzeccata rivolta al mondo del complottismo, peraltro declinata in tempi non sospetti in cui il massimo della conspiracy era sulle scie chimiche o, al limite, sulle reali dinamiche dell’11 settembre.

    La “profezia” è sicuramente un termine scomodo (che vorremmo evitare), ma l’episodio assume ugualmente una valenza fondamentale anche oggi, nel contesto e nel mondo in cui viviamo. – Foto di copertina di desarrollosklm da Pixabay – Le immagini dell’episodio sono tratte dal blog simpsonssummaries

  • Devolution. Una teoria DEVO è carico di amarezza (e realismo)

    Devolution. Una teoria DEVO è carico di amarezza (e realismo)

    Sono tornati i DEVO, e lo hanno fatto con un documentario in free streaming, di quelli da non perdere per nessun motivo. Quello dei DEVO sul sito della RAI viene definito “rock sociologico”, una definizione originale quanto inedita quanto, a mio modo di vedere, azzeccata.

    Il documentario “Devolution. Una teoria DEVO” viene proposto in Italia su Rai 5, ed è attualmente reperibile in streaming gratuito dal sito ufficiale; di fatto, attraversa le origini della celebre band, partendo dagli studi alla Kent State University che accomuna i quattro componenti (ad oggi, dopo alcuni cambi di formazione: Gerald V. Casale, Mark Mothersbaugh, Bob Mothersbaugh, Josh Freese) e snocciolando aneddotica, storie più o meno serie e quant’altro.

    Il senso del documentario è chiaro: dopo molti anni dalle prime uscite discografiche (la prima fu del 1978, per la Warner Bros., dal titolo nerdistico Q: Are We Not Men? A: We Are Devo! il quale venne classificato frettolosamente come new wave) siamo arrivati ad un punto, nella storia dell’umanità, in cui la de-evoluzione è evidente (fake news, post verità, Trump, disastri ambientali e via dicendo) ed ha smesso di essere, di fatto, solo una mera narrazione da musicisti colti.

    I DEVO seppero costruire intrecci musicali mai sentiti prima – dando un senso al rock elettronico che fosse quasi “pop” nella forma, quanto profondissimo nella sostanza: per convincersene, basta leggere il testo di Beautiful World e la celebre inversione di significato contenuta nel testo (il mondo è bellissimo per te – ma non per me).

    Devolution: A Devo Theory (produzioni Escape Media) viene concluso nel 2020, agli albori della pandemia, per poi essere pubblicato l’anno dopo su varie piattaforme di streaming, a cominciare da quelle australiane. Il documentario è incentrato molto sulle interviste ai quattro protagonisti, esplorando così i DEVO delle origini, il contesto sociale in cui si mossero e la cupa filosofia che ne accompagna le esibizioni: l’uomo si sta de-evolvendo, diventando sempre più nichilista, avido e propenso all’autodistruzione della razza umana.

    La critica culturale e sociologica dei DEVO passa ovviamente per i loro studi universitari, per il sentirsi “fuori dal coro” già negli anni ’70 e per episodi politici ben precisi (viene citata e ricordata la repressione, da parte della Guardia Nazionale, contro gli studenti durante la sparatoria della Kent State).

    Come ricordato anche nell’articolo sul video di Jocko Homo, quella dei DEVO fu performance dadaista sia musicale che visuale,  sviluppata in modo intelligente ed arrivata, ad oggi, ad un punto di non ritorno. L’uomo è diventato un imbecille senza speranza, pronto al suicidio collettivo-graduale, ovvero la de-evolution “profetizzata” è reale. Ciò che all’epoca faceva ridere o sorridere in nome del dada, oggi è forse più inquietante di un film post-apocalittico.

    Il futuro è qui: e non è una bella cosa.

    Già più di 40 anni fa i DEVO si accorsero che c’era qualcosa di sbagliato nella storia umana; l’evoluzione sembrava aver terminato il proprio corso, consegnando alla storia una spirale di morte all’insegna della decadenza, dell’approssimazione e di assurde teorie o convinzioni che aleggiano in ognuno di noi. Il riferimento all’oggi è diretto quanto credibile, oltre che azzeccato nella sostanza, e si evince grandemente dalla struttura dei loro testi. Il tutto per quanto, a ben vedere, molti di essi giocassero di (poco ovvi, forse) giochi di parole: nella citata Freedom of choice, ad esempio, si afferma “essere libero di scegliere è ciò che hai, essere libero di non farlo è ciò che vuoi“.

    I fratelli Mark e Bob Mothersbaugh si unirono a Gerald Casale e Alan Myers, sulla falsariga delle delusioni derivanti dall’aver manifestato vanamente contro l’invasione USA in Cambogia. Vollero creare una musica nuova, che suonasse in modo diverso sia dal blues che dal progressive rock all’epoca dilagante.

    “Volevamo essere solo un gruppo art rock un po’ strambo, non volevamo certo avere ragione”

  • Scoprire nuovi film e serie TV in tempi di post-pandemia

    Scoprire nuovi film e serie TV in tempi di post-pandemia

    Internet, fin dalle sue origini, è sempre stata una fucina di conoscenza condivisa, anche se non sempre perfettamente verificata e a volte del tutto inesatta o scorretta. Questo è andato di pari passo con la diffusione di vari tipi di forum tematici su diversi argomenti, che vanno dalla pesca allo sport passando musica e cinema, naturalmente. Queste comunità virtuali sono sempre state fondamentali per almeno due motivi:

    • conoscere persone che hanno i nostri stessi interessi
    • condividere la conoscenza delle nostre passioni con altri appassionati come noi

    Grazie all’uso delle community di geek specializzati e nerd incalliti su internet, in effetti, si è realizzata – almeno in parte – la fame di conoscenza e di sapere che accomuna molti di noi. Ciò significa, in effetti, conoscere le cose in modo del tutto informale, nella maggioranza dei casi, facendo in modo (nella migliore delle ipotesi) che ciò potesse fungere da stimolo per ricercare informazioni sempre aggiornate su vari argomenti. C’è da rimarcare che – soprattutto al giorno d’oggi – questo ha comportato un problema di fondo come la diffusione spesso indiscriminata, e difficile da contrastare, di notizie parziali, inesatte e tendenziose, quando non di vere e proprie fake news spesso scritte ad arte.

    Ma quello che vorremmo rimarcare in questo articolo riguarda, alla fine, l’uso dei forum per la ricerca di argomenti appassionanti, che nulla hanno a che vedere con le tematiche più impegnative come la scienza e la medicina. Per cercare informazioni sulle nuove serie TV, fare domande ed ottenere risposte anche orientative, cosa c’è di meglio di un forum ben curato, alla fine?

    Dopo aver fatto queste necessarie premesse, è venuto il momento di presentare forum.tecnologiacasa.it, un forum che abbiamo scoperto da qualche tempo e che abbiamo molto apprezzato per gli spunti che offre. Dove possiamo trovare un determinato film in streaming? Quali sono le serie più interessanti offerte dalle piattaforme negli ultimi tempi?

    In tempi di post pandemia come quelli che stiamo vivendo, in effetti, il numero di prodotti che stanno uscendo è estremamente numeroso e denso, e non sarà facile per il pubblico orientarsi nella scelta di cosa guardare. Ci ritroviamo, infatti, persi tra le uscite dello scorso anno e quelle del 2021, che sostanzialmente raddoppiano – almeno, ad occhio – il numero di titoli che affollano le piattaforme a cui siamo abbonati. Un bel forum, soprattutto in ambito cinema, può essere l’ideale per trarre informazioni in forma discorsiva e poi, magari, indagare su quello che interessa per conto nostro.

    La forma del forum di tecnologiacasa.it è anche più ordinata della media, ed il sito è molto facile da consultare anche da mobile a differenza di altri “colleghi” del settore. All’interno potete trovare i suggerimenti degli informatissimi utenti del forum che vi daranno qualche idea sulla prossima serie da vedere su Netflix, ad esempio, oppure più in generale sulle novità filmiche che caratterizzano gli ultimi tempi.

    Per iscriversi nel forum basta registrarsi gratuitamente con il proprio indirizzo email, oppure sfruttando direttamente il login mediante il proprio account social come Facebook (questa modalità di accesso, lo ricordiamo, non condivide la nostra password del social con il sito in questione, bensì accede mediante un token interno criptato).