RIDERE_ (65 articoli)

Recensioni dei migliori film commedia usciti al cinema e per il mercato home video.

  • Vieni avanti cretino: il manifesto della commedia all’italiana

    Vieni avanti cretino: il manifesto della commedia all’italiana

    Vieni avanti cretino, a cominciare dal suo epico inizio col il monologo dentro al cesso di Lino Banfi, è un piccolo capolavoro nel mare dei film dell’epoca, fatto di momenti realmente esilaranti e reso digeribile (prima che cult)” da una bella struttura ad episodi. Il protagonista che cerca lavoro appena uscito dal carcere, infatti, diventa un valido pretesto perchè Banfi regali al pubblico quella che è rimasta una delle interpretazioni più amate fino ad oggi.

    Come soy desperado / pero’ non mi so’ sparado

    sono pieno de libido / arrapeto ed ingrifìdo

    e anche un pooooooo’…oooo-oooh… rincoglionido!

    Pasquale Baudaffi è un ex galeotto appena scarcerato che il cugino (Franco Bacardi) cerca di aiutare a trovare un’occupazione: questo diventa la scusa perchè da un lato Banfi faccia sfoggio – come accennavamo – delle sue doti di caratterista, e perchè dall’altro Luciano Salce (che si diletta di meta-cinema nei panni di se stesso nel finale) possa mostrare vizi (tanti) e virtù (poche) dell’italiano medio: esaurito, stressato, rincoglionito al cubo e ossessionato dal desiderio di sesso facile e senza pensieri.

    Molte scene sono tratte direttamente dai classici dell’avanspettacolo, a cominciare dall’equivoco dentista-bordello (con Banfi che per 10 minuti circa scambia l’uno per l’altro), a continuare per la scenetta dal meccanico con strip-tease della bella, disperata e scervellata Michela Miti, a finire con la scena mitica degli schiaffi, tutta in dialetto pugliese e sottotitolata in arabo. E come dimenticare, soprattutto, “la sua soddisfazione è il nostro miglior premio! … piripiripiripiripiripiri” che si fa beffe delle manie industrialiste di produttività, senza risultare mai greve, e con un certo piglio non-sense.

    Pasquale è prima indotto a recarsi in un bordello, che in realtà è uno studio dentistico nel quale si consumano una serie di equivoci clamorosi: successivamente prova a fare il meccanico, va all’ufficio di collocamènDo tentando di avere l’autorizzazione a fare il cacciatore, prova a fare il tecnico-elettronico, e poi anche il cantante (Filomegna in barese-spagnolo è un capolavoro totale del trash, perltro completamente improvvisato a quanto pare).

    Alcuni momenti non spiccano per brillantezza, come la scena in cui il cugino cerca di nascondere la propria relazione clandestina alla moglie servendosi di Banfi come goffa spalla, ma al di là di mostrare belle donne un po’ dovunque, l’intenzione di Vieni avanti cretino è quella di divertire con spunti di intelligenza – a differenza di altri film del genere – al di sopra della media.

    Il film vive comunque vari momenti deboli (la comparsata dell’affascinante Michela Miti, per quanto gradevole per lo scompiglio ormonale maschile, c’entra come i cavoli a merenda e potrebbe risultare irritante), che pero’ si controbilanciano grazie alle numerose scenette efficaci e dal ritmo perfetto. Questo avviene soprattutto nella seconda metà del film, almeno fin quando non arriva la notissima scenetta nell’industria elettronica, tasto-rosso-verde e piri-piri-piri-piri-piri.

    Tra le interpreti meno note, Moana Pozzi (poco riconoscibile, ma accreditata come l’assistente di laboratorio), oltre alla bella Francesca Viscardi (che in quel periodo fece anche Tenebre di Dario Argento). La nudità femminile del film, sempre sospesa in comportamenti surreali delle donne in questione (belle o brutte che siano, in costante attesa di accoppiamento col primo che incontrano): fa ridere il consueto tono sessista con cui tali corpi sono ritratti, senza pero’ cambiare nulla al senso ed al divertimento del film stesso.

    La scena di Banfi operaio nell’industria elettronica, se da un lato entra nella storia del cinema per il suo compiaciuto e demenziale non-sense (Mel Brooks non avrebbe saputo fare di meglio), è stata da alcuni paragonata al celebre film di Chaplin Tempi Moderni che ritrae impietosamente (e con la giusta leggerezza, se vogliamo) il rapporto uomo-macchina. Un paragone che regge francamente poco, ripensandoci oggi, ma che nulla toglie al carattere straordinario di questo film dei primi anni 80 ed alle sue irresistibili macchiette da cabaret.

    Un film leggendario e divertentissimo: uno dei miei preferiti nel panorama del cosiddetto, e spesso abusato, genere trash.

  • Dracula cerca sangue vergine… e morì di sete: il decamerotico horror di Margheriti

    Dracula cerca sangue vergine… e morì di sete: il decamerotico horror di Margheriti

    Il conte Dracula arriva nel nostro paese durante gli anni 30, assieme al suo insopportabile assistente, alla ricerca di ciò che in Romania sembra essere molto poco diffuso: giovani fanciulle senza alcuna esperienza in campo sessuale.

    In breve. Un film di Antonio Margheriti (sotto pseudonimo) che propone una variante, a tasso leggermente più erotico della media, al mito del celebre vampiro. Un film di vecchia scuola, influenzato dal gotico italiano ed incentrato interamente sulla ricerca di una giovane vergine italiana per sopravvivere. Grottesco e, quando necessario, sul filone del decamerotico.

    Come si può immaginare, il plot è uno scenario ideale per mostrare fanciulle vogliose di avventure erotiche, in molti casi represse dall’ambiente in cui vivono: le scene di nudo non sono poche, unite a  qualche momento di sesso per l’epoca piuttosto esplicito. Non mancano spunti ironici che rendono il film tutto sommato gradevole. L’atmosfera è puramente settantiana sia nell’ambientazione che nei velati riferimenti politici, espressi ad esempio nella figura del contadino dal bell’aspetto che se la intende con una delle giovani nobildonne. Tanto più significativa dato che nella casetta dove si appartano capeggia una falce e martello disegnata sul muro! Il film sembra dunque avere una doppia lettura: da un lato una metafora della borghesia (la nobiltà, esasperata nella figura di Dracula) che ha bisogno di sangue puro per sopravvivere (il contadino sfruttato, le fanciulle apparentemente innocenti); dall’altra, il perbenismo della maggioranza che cerca di sedurre i facinorosi con lusinghe irrinunciabili (il sesso tra nobildonna ed il contadino).

    “Non ricominciare con il socialismo! Lo sai che mi annoia a morte…”

    Esmeralda, Rubinia , Perla e Sapphiria sono le quattro figlie di nobile famiglia rigidamente cattolica, che nascondono uno strato di vizi insospettabili. Il mito del vampiro, del resto, non consentiva ampi margini di invenzione: Udo Kier è convincente nella parte del conte, mentre il film probabilmente rischia di annoiare un po’ lo spettatore moderno, per via del suo rallentamento (non diverso, per la verità, dalla media del gotico italiano). Ad ogni modo il gore estremo della scena finale vale il prezzo dell’allora biglietto (o del DVD, per i temerari di oggi).

    Per la cronaca, inoltre, si tratta dell’ultima apparizione sullo schermo del grande Vittorio De Sica: tutto sommato godibile, ben realizzato e divertente, anche se leggermente prolisso.

  • Il moralista: Alberto Sordi è l’irreprensibile Agostino

    Il moralista: Alberto Sordi è l’irreprensibile Agostino

    Alberto Sordi interpreta un irreprensibile (solo in apparenza) segretario dell’Ufficio Internazionale della Moralità, un puritano ed intransigente personaggio che fa chiudere locali, censura pubblicità e non transige sul proprio dovere di censore.

    Affidato all’intepretazione del colossale trio Vittorio De Sica, Franca Valeri e Alberto Sordi nei panni dell’apparentemente irreprensibile moralista, si tratta di una commedia sostanzialmente gradevole, giocata sui toni di attrazione-repulsione dal variegato ed estensivo – per così dire – mondo del vizio. Chiunque provi a convincere o corrompere il protagonista, di fatto, finisce per prendere simboliche sportellate in faccia, finchè la figlia del presidente a cui Agostino è sottoposto, con il suo comportamento più disinvolto, finirà per far svelare vari, imprevedibili altarini.

    Giorgio Bianchi dirige un film molto semplice e diretto nel suo concepimento, ma che non risulta neanche troppo datato – nonostante sia del 1959. Scomoda peraltro un tema molto attuale e controverso fino ai giorni nostri, che è relativo ai paradossi della censura di ogni ordine e grado, in cui un’autorità finisce per applicare un criterio arbitrario (quelle censure, viste oggi, fanno ancora più sorridere) per decidere chi debba vedere cosa. Ogni epoca ha avuto i suoi, senza dubbio, ed è magistrale in tale senso – ad esempio – la parodizzazione dello strip tease, formalmente combattuto da Agostino, il quale poi prova ad esibirsi in una sua (improbabile) riproduzione dal vivo. Per poi, naturalmente, andare a vedersene uno, alternando espressioni di biasimo e di godimento semplicemente da manuale.

    Se svetta per eccellenza l’interpretazione di Sordi, irresistibile nei suoi sguardi giudicanti, il resto della commedia si caratterizza con siparietti consecutivi di ogni genere, che sono commedia pura e cristallina, quasi tutti di natura elegante quanto allusiva – oltre che giocati sul tema evergreen contrasto tra le vecchie e le nuove generazioni. Alla base dell’avversione di Agostino, peraltro, vi è uno specifico trauma che non è mai stato superato, e che rende la trama ancora più divertente quanto, per certi versi, prevedibile. L’unico problema del film è che, di fatto, sembra tirato un po’ troppo per le lunghe: non sarà un capolavoro ma, visto oggi, è sicuramente da riscoprire.

    Che faccio, chiamo ‘e guardie?

  • Signore, signori, buonanotte è il film grottesco di Comencini, Loy, Magni, Monicelli e Scola

    Signore, signori, buonanotte è il film grottesco di Comencini, Loy, Magni, Monicelli e Scola

    In breve. Film a regia collettiva uscito nel bel mezzo degli anni ’70 italiani, in grado di rappresentare una delle più feroci ed efficaci satire cinematografiche contro il Potere, la politica corrotta (prima che diventasse una moda populista), la TV ed i media in generale. Grande e poco noto film che meriterebbe una rivaluazione immediata, anche in vista della sua incredibile modernità e per le trovate degne dei Monty Python.

    Signore e signori, buonanotte porta in sè la rassegnazione e la rabbia di un’intero movimento culturale, quello dei film di genere e d’autore italiano, rappresentato in questa sede da un vero e proprio collettivo registico (il film è presentato a nome de La cooperativa 15 maggio) in grado di confezionare un film avulso da qualsiasi logica commerciale, orgogliosamente anarchico e puramente satirico nei suoi intenti. E quanto esce fuori dal film racconta uno spaccato dell’epoca molto preciso, in cui traspare una certa connotazione ideologica di sinistra ma, al di là di questo, viene raccontato un insieme di storie notevolissime, incisive ed originali. La satira, si sa, e come sostenuto da Daniele Luttazzi, è innanzitutto un giudizio su chi la fa: questo vale sempre, e deve tenerci in guardia e farcela distinguere dallo sfottò, dalla comicità facile e da qualsiasi banale o feroce presa in giro. Ad oggi, soprattutto sul web, la satira è spesso il paravento di una comicità aggressiva e spesso deprimente, che si bulla del proprio ritenersi satira (a torto, peraltro).

    Quella di Comencini, Loy, Magni, Monicelli e Scola è satira nel senso più letterario del termine, e contiene trovate spassose e surreali, quasi insolite per il cinema nostrano: la foto di pericolosi manifestanti di sinistra mostrata nel 3TG che sono soltanto ragazzini delle elementari con cartelli “abaso i dopi turni“, il rapimento di un famoso dirigente italiano svelato come una messainscena, l’intervista ad un politico che ammette di rispettare la legge (del più forte). Il resto è un susseguirsi di episodi altalenanti e legati all’attualità dell’epoca, come l’insegnante di inglese che si spoglia in diretta ed introduce le azioni di un’agente della CIA, il poveretto aggredito dai fascisti a cui chiedono se sia per caso venuto a costituirsi, alcuni poliziotti che credono di scoprire una bomba ed arrivano a farsi un auto-attentato pur di dimostrare che è vero, per poi passare agli episodi forse migliori del film: Da malata a convalescente (quattro politici napoletani che si chiamano allo stesso modo, parlano per frasi fatte e finisco per mangiare un enorme torrone che rappresenta la città), L’ispettore Tuttumpezzo (parodia del poliziotto irreprensibile che finisce per fare il cameriere nell’alta società) e soprattutto Il Disgraziometro (un grottesco telequiz con Villaggio conduttore, su cui non potrà non venire in mente lo sketch Blackmail dei Monty Python).

    L’unico vero difetto del film, in effetti, sono alcune lungaggini forse evitabili all’interno della pellicole, che tendono a conferire meno ritmo di quanto richiederebbe il contesto. Per sua natura, ad ogni modo, certi episodi – soprattutto Santo Soglio – si capiscono e si gustano appieno solo conoscendo la realtà delle cronache d’epoca, ricche di insinuazioni verso autorità corrotte, macchinazioni governative e sfruttamento incondizionato dei più deboli. Cast decisamente di livello per questo lavoro, soprattutto molto eterogeno (da Adolfo Celi a Ugo Tognazzi, da Nino Manfredi a Vittorio Gassman passando per Paolo Villaggio e Marcello Mastroianni), tutti caratteristi molto dotati ed in grado di conferire registri differenti alla recitazione, passando con facilità dal grottesco al drammatico o al parodico-satirico: questo vale soprattutto per Villaggio, legato all’immaginario fantozziano ma che qui si supera tra il succitato conduttore del disgraziometro (con riferimenti parodistici a Mike Bongiorno) e nella bella interpretazione del prof. Ludwig Joseph Smith, l’accademico che propone in diretta TV di mangiare bambini per vincere la fame nel mondo, sulla scia della nota satira di Jonathan Swift, Una modesta proposta.

    Questo film resta comunque, tra episodi molto efficaci ed altri meno, un saggio sul grottesco come pochi ne sono usciti nel nostro paese, e che si potrebbe in parte paragonare ai celebri episodi de I (nuovi) mostri di Risi: la differenza, qui, sta nella forma più diluita dell’intreccio, presentato come micro-episodi collegati da un grottesco telegiornalista. Ed è qui che si notano riferimenti, ammiccamenti e feroci critiche al peggio della società italiana, con il piglio quasi non sense dei Monty Python (per certi versi) e con la precisione millimetrica dei singoli attacchi, condotta sempre contro bersagli meritevoli – ma questo, naturalmente, rischia di essere quasi sempre soggettivo.

  • Nonostante le apparenze e purché la nazione non lo sappia… All’onorevole piacciono le donne: il Fulci satirico anni 70

    Nonostante le apparenze e purché la nazione non lo sappia… All’onorevole piacciono le donne: il Fulci satirico anni 70

    Feroce commedia satirica del regista romano, che narra la storia di un politico italiano piuttosto famoso, vicinissimo alla presidenza della repubblica, follemente erotomane ma apparentemente irreprensibile. Chi vi ricorda? Sia chiaro che ogni riferimento è puramente casuale, come viene specificato poco dopo la comparsa del titolo chilometrico. Al di là di alcuni dettagli, qualcuno parlerebbe seriamente di un’incredibile coincidenza, o di una pazzesca profezia, su un certo andazzo della politica italiana odierna.

    In breve. Uno spaccato sarcastico del Parlamento all’italiana, visto dall’occhio del regista forse più anarchico del cinema di genere nostrano. Con le dovute proporzioni e precisazioni, è una versione grottesca e scollacciata  del celebre “Indagine su di un cittadino al di sopra di ogni sospetto“, priva ovviamente di attori del calibro di Volontè. Il messaggio sociale è fin troppo chiaro, bisogna fare tabula rasa e rifondare la politica: non c’è la poetica sottile di Petri, ma colpisce nel modo giusto ugualmente, tanto che venne sequestrato per oscenità e censurato.

    Il Fulci più (anti)politico di sempre inserisce Lando Buzzanca come protagonista, e secondo alcuni vorrebbe riferirsi all’allora presidente Emilio Colombo, esponente della DC. Sceneggiato da Ottavio Jemma assieme al regista, narra la storia di tale Giacinto Puppis, un economista cresciuto con educazione rigidamente cattolica, apparentemente casto e religioso, erotomane incallito. Girando per le strade di Roma è attratto morbosamente dai fondoschiena femminili, vede donne nude in ogni dove, ha continui sogni di natura sessuale,  ed arriva a far fare una figuraccia alla nazione per via di un video in cui sono stati ripresi i suoi palpeggiamenti ai danni della presidente di uno stato estero.

    Puppis presto viene ricattato, e si scoprirà che è solamente un burattino: mentre il buon amico padre Luciòn cerca in ogni modo di farlo guarire dai suoi raptus erotici, il cardinale Maravidi spinge perchè diventi Presidente della Repubblica, e la chiesa possa così influenzarne l’operato. Per ritrovare se stesso il frate lo porta in convento, sotto le cure di un monaco tedesco e di alcune giovani suore, ma l’unico risultato sarà che, in una notte di passione, finirà a letto con quasi ognuna di loro. Imperdibili i siparietti del candidato rivale Torsello, le battute miratissime e fieramente anti-politiche, le spassose allucinazioni erotiche di Puppis (girate con stile quasi felliniano) e la chicca finale: il cardinale che parla in siciliano come se fosse “Il Padrino“, mentre i boss si rivolgono a lui come dei semplici picciotti.

    Forse il film calca troppo la mano sull’aspetto da puro b-movie, con tutte le esagerazioni del caso, ma complessivamente il messaggio sovversivo resta intatto. Un Fulci anarcoide, che si fida poco della politica e ancor meno del Vaticano, rappresentato come una forza collusa e tendente all’eversione per sua stessa natura. A fare scandalo non furono, in effetti, le scene erotiche accennate o le grazie della Antonelli in vista parziale, quanto l’idea che alcune rappresentazioni fossero destabilizzanti per l’immagine della DC dell’epoca (e, a quanto pare, vennero rimosse del tutto pur rimanendo nella sceneggiatura).

    Da vedere, anche solo per ridere di gusto e cogliere alcuni inquientanti parallelismi con la storia recente.