NETFLIX_ (12 articoli)

Film consigliati da lipercubo.it per la visione immediata. Se non sai cosa vedere su Netflix e ti piace il mondo del brivido, dai un occhio qui.

  • Disicanto: Groening colpisce ancora

    Disicanto: Groening colpisce ancora

    Disincanto è la nuova sitcom di Groening che sta spopolando su Netflix, e che propone una ennesima collezione di personaggi grotteschi e surreali. Un lavoro che arriva alla sua terza stagione (da circa un mese anche in Italia su Netflix), nasce nell’estate del 2018 ed arriva da noi solo in seguito, e sul quale vale la pena di spendere qualche parola.

    L’ispirazione visiva di Disincanto parte dai Simpson ma anche da Futurama, dal quale si eredita un fortissimo mood satirico, spesso collegato con la realtà recente (Make DreamLand Great Again, ad esempio). Ad un’analisi più approfondita, più dai paradossi e dal gusto per l’assurdo tipico del secondo, con la differenza fondamentale che l’ambientazione è quasi del tutto fantasy. Ed è già questo abbastanza insolito, dato che difficilmente si vedono in giro versioni parodistiche di questo genere (che di solito omaggia – e deve molto – all’horror e alla fantascienza, al limite). Groening sembra quindi aver deciso di mollare il modello Simpson, e di declinare Futurama in maniera leggermente diversa: il mondo di DreamLand è dominato da elfi, principesse e animali parlanti, ma l’universo di Disincanto é puramente immaginario e decisamente compatto, come lo sarebbe quello de Il signore degli anelli.

    La storia è interamente svolta in un universo magico, epico quanto demenziale e con alcuni valori portanti invertiti (esempio: gli scienziati sono una specie di stregoni, gli esorcisti sono invece materialisti) altri, invece, intatti (società patriarcale, razzismo, sessismo, discriminazione delle minoranze), popolato di creature fantastiche (elfi, maghi, sovrani, giullari, orchi e così via). Un mondo tutt’altro che perfetto o ideale: esso è vittima, suo malgrado, delle psicosi e dei drammi esistenziali moderni, con figure di sovrani autoritarie quanto goffe, figlie ribelli, elfi bonaccioni e beoti ed un singolare demone-ombra (Luci) che caratterizza il lato ribella della protagonista (una principessa che beve, rutta e fa razzìe di ogni genere).

    Un mondo incantato (o disincantato, per meglio dire) oggetto di parallelismo con quello che conosciamo, e che avrebbe potuto far parte (senza l’apporto anticonformista di Groening) dell’universo classico della Disney. Esso viene declinato in senso cinico e materialista, per quanto mai sgradevole né eccessivo e, in breve, all’insegna di un sostanziale equilibrio narrativo. Questo va a vantaggio della fruibilità della storia, al netto di qualche momento di fiacchezza che poi, più o meno dagli ultimi episodi della seconda serie (Elfo, Luci e Bean che vanno all’inferno) riprende più vigorosamente quota.

    In Disincanto (ovviamente nomen omen significativo) si narra della storia della principessa Bean, avulsa ad un matrimonio di convenienza che il padre vorrebbe imporle, e dedita al vizio del gioco d’azzardo, dell’alcol e delle risse nei locali. La sua storia si intreccia con quella dell’elfo di nome Elfo, alienato e sensibile personaggio: lavora come addetto alla catena di montaggio, e si trova intrappolato in un mondo in cui le persone pensano a incartare regali (e, da buoni elfi, a gioire senza motivo).

    In questo, la frase da lui pronunciata nel primo episodio “Cantare mentre si lavora non è la felicità, è malattia mentale” sarebbe stata perfetta nelle digressioni distopiche di Terry Gilliam (Brazil), ma tra le principali influenze del lavoro è impossibile non citare Fritz The Cat: un film di animazione per adulti realmente di culto, ancora oggi inarrivabile – e dal quale si derivano, seppur in modo molto più frenato, varie allusioni sessuali e satiriche di cui la serie è cosparsa. Nella terza serie, ad esempio, si ironizza a più riprese sull’essere MILF della madre di Bean (la Regina Dagmar), rappresentata come una versione più fitness e molto più cinica della figlia.

    In tal senso Disincanto  ricostruisce un modo nuovo di comunicare, sempre sulla base dei classici stilemi di Groening, che sono sempre equilibrati e sostanzialmente godibili, al netto di qualche lungaggine narrativa. È impossibile non notare, peraltro, come Turanga Leela potrebbe essere il personaggio che ha ispirato la figura della principessa anticonformista, mentre l’Elfo sembra ripreso direttamente (sia nelle fattezze che nei maltrattamenti che subisce) da Bart Simpson.

    Di contro, Disenchantment non sembra avere dalla sua il dono della sintesi, con episodi singoli più lunghi della media di questi casi: questo sia rispetto alle produzioni classiche di Groening sia, ad esempio, rispetto alle sintesi cristalline di South Park, mentre rimane superiore narrativamente a qualsiasi episodio dei Griffin. Probabilmente, in altri termini, come potenziale lungometraggio avrebbe reso ancora meglio.

    Quel formato invece, alla lunga, rischia di stancare (nelle prime due stagioni), per quanto si tratti di una serie pensata per i fan dell’autore e caratterizzata dallo stile che ci saremmo sempre aspettati, quindi abbastanza da prendere per quello che è. Che la serialità sia un pregio o un difetto rimane, pertanto, un po’ dubbio: la critica è stata discorde a riguardo, ma devo riconoscere che sono più le cose che non convincono (eccessiva lunghezza della narrazione, un finale di stagione che mira all’incompiutezza “artistica” ma che, alla fine, non si capisce troppo se si tratta di un finale) che quelle che funzionano (tutti i siparietti in chiave satirica / anti-Potere sono eccellenti). Ad ogni modo è una serie da scoprire, e dalla quale provare a farsi coinvolgere, fermo restando la mia sostanziale avversione alla serialità che, ormai, domina nel mondo della produzione americana – come fosse un requisito senza il quale sia impossibile proporre la realizzazione di qualsiasi cosa.

    E se il cinema indipendente continua a regalarci orgogliosamente perle (ed altrettante porcate autoreferenziali) delle Settima Arte di massimo due ore alla volta, siamo costretti nostro malgrado (e senza nulla togliere) a visionare le ennesime operazioni del genere che, alla lunga, rischiano di saturare il mercato e appiattire la produzione. L’originalità dell’intreccio, ad ogni modo, costituisce un forte punto a favore dell’operazione, soprattutto a confronto della saga dei Simpson che, ormai da anni, sembrano aver perso qualsiasi mordente.

  • Dai siti di incontri al cinema: il film “Newness” di Netflix

    Dai siti di incontri al cinema: il film “Newness” di Netflix

    Le dinamiche relazionali di coppia sono da tempo oggetto di analisi e rielaborazioni – più o meno credibili o fantasiose – all’interno del cinema: non c’è dubbio, ad esempio, che l’horror – uno dei generi che bazzichiamo di più su questo blog – abbia dato un suo contributo in tal senso grazie a pellicole come Smiley in cui il reale ed il virtuale arrivavano a confondersi, sdoppiarsi e risultare inquietanti per lo spettatore. Anche vari siti di incontri, insomma, del tipo Incontri.es o Superincontri, sono apparsi sullo schermo come veri e propri protagonisti della storia: l’ambiente a quel punto diventa un vero e proprio personaggio della storia, un deus ex machina dal quale i protagonisti non riescono a prescindere, e da cui rimangono affascinati o catturati per sempre.

    In tanti suggeriscono, del resto, che questo tipo di film – gli horror ambientati in una chat in tutto o in parte, senza dimenticare ad esempio l’ottimo Cam – non siano credibili, sulla falsariga della considerazione che l’ennesima bella ragazza che ti contatta su internet, in molti casi, non sia altro che un bot virtuale pronto a ricattarti, truffarti e chi più ne ha, ne metta.  Ma non bisognerebbe mai dimenticare che il virtuale che tanto disprezziamo e sottovalutiamo, in effetti, in molti casi è fatto da gente sola come noi, persone fatte di carne e ossa che provano dei sentimenti, e che potrebbero trovarsi in situazioni difficili per quanto possa sembrare tutto virtuale.

    Newness in inglese significa “novità”, ed è il titolo di un film del 2017 distribuito su Netflix, diretto dal Drake Doremus noto per altri lavori come Zoe o il fantascientifico Equals; in esso si narra della storia di due millenials di Los Angeles, della loro relazione e di come i social network e le chat finiscano per intromettersi in negativo nel loro rapporto. Una storia che le coppie di oggi conoscono bene, dato che spessissimo usano i siti di incontri per conoscersi, oppure le app come Tinder, e difficilmente faranno a meno dei social network per comunicare in modo pratico e veloce. Nel farlo, il regista omaggia – guarda caso – durante una sequenza uno degli horror più popolari degli ultimi anni, ovvero Warm Bodies (che racconta di una storia d’amore tra uno zombi ed una ragazza).

    Newness è interessante anche per la presenza di alcuni attori molto noti ai fanatici del cinemics e dei film della Marvel: Pom Klementief (Mantis ne I Guardiani della Galassia vol.2), Danny Houston (Col. Stryker nei film Wolverine), Jessica Henwick (vista anche in Iron Fist e Defenders), Nicholas Hoult (visto anche nel reboot di X-Men).

    Che vuol dire “reale”? Dammi una definizione di “reale”. Se ti riferisci a quello che percepiamo, a quello che possiamo odorare, toccare e vedere, quel reale sono semplici segnali elettrici interpretati dal cervello. Questo è il mondo che tu conosci. (tratta dal film Matrix)

    Del resto non c’è dubbio che la realtà di ogni giorno possa essere un’ottima fonte di ispirazione per qualsiasi forma di arte; ed è giusto, a nostro avviso, che questa tecnologia occupi il giusto spazio all’interno del cinema di ogni ordine e grado. Con un’avviso per tutti gli spettatori: il virtuale ed il reale, a volte, si possono mescolare sul serio, ed è importante riuscire a concepire internet come mezzo, e non come fine o strumenti per specchiarsi in modo egoista o narcisista.