NETFLIX_ (12 articoli)

Film consigliati da lipercubo.it per la visione immediata. Se non sai cosa vedere su Netflix e ti piace il mondo del brivido, dai un occhio qui.

  • The Gift (Atiye): la serie TV turca sull’arte del dipinto

    The Gift (Atiye): la serie TV turca sull’arte del dipinto

    La serie TV “The Gift” è una serie televisiva turca del genere drammatico e fantastico, conosciuta anche con il titolo originale “Atiye”. La serie è stata distribuita sulla piattaforma di streaming Netflix.

    La trama di “The Gift” ruota attorno a una giovane pittrice di nome Atiye, che scopre un simbolo antico in uno dei suoi dipinti. Questo la porta a intraprendere un viaggio alla ricerca delle sue origini e del significato di questo simbolo, il che la coinvolge in misteri e avventure legate all’antica civiltà di Göbekli Tepe e a una profezia che riguarda il destino dell’umanità.

    La serie mescola elementi di archeologia, mitologia, mistero e avventura, creando un’atmosfera intrigante. È stata ben accolta da molti spettatori e ha attirato l’attenzione per la sua trama unica e per le sue ambientazioni suggestive.

    Il cast della serie TV “The Gift” include diversi attori noti nel panorama televisivo turco. Ecco alcuni dei membri principali del cast:

    1. Beren Saat nel ruolo di Atiye: È la protagonista della serie, una giovane pittrice che si trova coinvolta in misteri legati a un antico simbolo.
    2. Mehmet Günsür nel ruolo di Erhan: È uno degli altri personaggi principali e interpreta il ruolo di un archeologo che collabora con Atiye nelle sue ricerche.
    3. Melisa Şenolsun nel ruolo di Cansu: È un’altra figura chiave nella trama, interpretando il personaggio di una giornalista che si unisce alle indagini di Atiye.
    4. Metin Akdülger nel ruolo di Ozan: È il fidanzato di Atiye e un personaggio importante nella storia.
    5. Civan Canova nel ruolo di Serdar: È un personaggio ambiguo che riveste un ruolo significativo nella trama.
    6. Tim Seyfi nel ruolo di Serdar: È un altro personaggio rilevante, con un passato misterioso.
  • Wanna: su Netflix la docuserie sulla televenditrice più discussa di sempre

    Wanna: su Netflix la docuserie sulla televenditrice più discussa di sempre

    Wanna è la docuserie lampo di Netflix (di appena 4 puntate) che racconta la storia di due tra i personaggi TV più iconici di sempre: Wanna Marchi e Stefania Nobile, coppia TV di madre e figlia, nella veste delle iconiche venditrici di prodotti cosmetici (e di lì a poco, di consulti magici, rituali del sale, del desiderio, del danaro, del corallo), dedite ad una singolare forma di upselling telefonico che venne, infine, giudicato come estorsione da una giuria. La scrittura della docuserie in questione è affidata ad Alessandro Garramone, già noto per la sceneggiatura di Italian Horror Stories, mentre produzione e regia sono affidate a Gabriele Immirzi e Nicola Prosatore.

    Tutti abbiamo bisogno di illusioni, nella vita! (W. Marchi)

    Si tratta di quattro episodi per una durata complessiva di circa due ore, visionabili su Netflix a partire da settembre 2022, con la presenza di Wanna Marchi, Stefania Nobile, Federica Landi, Roberto Da Crema, che vengono sia proposti in veste storico-televisiva. Da Crema, ad esempio, è il televenditore che oggi sarebbe probabilmente un meme internet, dal caratteristico tono di voce alto ed esasperato che, come ammette lui stesso candidamente, era inizialmente legato alla sua scarsa esperienza in ambito TV, che interpretava le proprie performance come fosse in un centro commerciale senza microfono. La docuserie è ricca di lunghe, personali e approfondite interviste, mentre viene esplicitato nel finale come le protagonisti abbiano scontato le loro pene e siano, ad oggi, libere cittadine. Wanna Marchi proviene da una famiglia di umili origini, con un marito con cui ha un rapporto complicato ed una figlia a cui è legatissima, tanto da farla esordire in TV come sua spalla fin da giovanissima (il documentario è infarcito di spezzoni TV d’epoca, ovviamente).

    La dinamica delle televendita viene spiegata dalla docuserie ben nel dettaglio: l’hype delle seminali e numerosissime TV commerciali (primi anni ottanta) si stava per scontrare con la necessità di fare cassa, cosa non facile per imprenditori a volte improvvisati o poco avveduti che, come avvenuto nel caso in questione, sfruttavano televendite “memetiche”, facilmente riconoscibili, dirette, molto aggressive, che portarono inaspettatamente a vendite stellari.

    Parliamo della vendita di cosmetici che poi, come viene mostrato, ad un certo punto più non basta: si passa alla vendita di “numeri fortunati” al lotto, di talismani contro la sfortuna e via dicendo, in una catena commerciale infinita che prevedeva, per inciso, l’interlocuzione diretta per telefono con tutti i clienti (circa 300 mila, di cui solo qualche centinaio accettò di testimoniare al processo subito nel 2006). Fa sensazione pensare a tutti questi italiano che “credevano“, come si meraviglia di ammettere una ex centralinista durante un’intervista: il che indica la generazione sottovalutazione del sentimento di credenza o credulità popolare, a nostro avviso, mettendo in luce – cosa che viene apertamente ammessa – come il successo del trio Marchi, Nobile, Do Nascimento fosse da imputare più a cosa (e come lo) dicevano, che ai prodotti in sè. Non importa se poi fossero, come è stato, cure dimagranti o per la cellulite, numeri del lotto, talismani, fino ad arrivare alle televendite telefoniche basate sull’urgenza, sul pericolo imminente quanto non sulla minaccia ai clienti, a livello implicito o esplicito. Non importava perchè il prodotto si situava in un territorio borderline che, ad un certo punto, sfugge di mano alle stesse protagoniste.

    La Marchi auto-assume (con grande personalità ed una buona dose di sfrontatezza, mescolata ad una incoscienza di fondo che quasi certamente fu presente tra gli “ingredienti” di questa storia) il ruolo di leader aziendale, guadagnando tantissimi soldi grazie ad una capacità teatralizzante di effettuare vendite, sfruttando la credenza di cui sopra. Il tutto fino a  insospettire la Finanza, grazie ad una celebre segnalazione al programma Striscia la notizia ed una signora che si prestò a fare da “gancio” per avviare l’inchiesta (un format, quello di Mediaset, che possiede forse un’idea discutibile della comicità e della satira, ma che su questi frangenti è sempre stato molti passi oltre chiunque altro). Fa ancora più impressione, del resto, la linea difensiva delle Marchi, che si muove (estremizzando un po’ la sintesi) sulla falsariga del darwinismo sociale, per cui non sarebbe affatto un delitto raggirare degli ingenui.

    La sua aggressività iconica, in barba a qualsiasi criterio di razionalità e tabù moderno sul body shaming (la Marchi appellava fin dall’inizio come “grasse” le clienti target a cui si rivolgeva, e questa cosa era uno dei tratti distintivi del suo registro di comunicazione), sembrava far parte di una strategia psicologica (probabilmente non del tutto consapevloe) quanto alla prova dei fatti efficace: l’attacco frontale e senza mezzi termini serviva a sbarazzarsi della reticenza nell’acquisto, costruendo un bisogno nel futuro acquirente e facendolo sentire in dovere di fare come dicevano dall’altra parte del telefono.

    Cosa che portò la tele-venditrice più famosa d’Italia negli anni ottanta e novanta a guadagnare molti soldi, salvo doversi confrontare con situazioni non sempre trasparenti (al dramma familiare si aggiunge, ad esempio, la circostanza con cui il suo negozio viene in una circostanza preso di mira, incendiato da ignoti). Niente male, a conti fatti e dopo il trascorrere di qualche tempo, per una persona che nasce e cresce nella promozione di prodotti cosmetici, e che racconta le circostanze incredibili con cui ha arricchito la propria esistenza, fino a scontrarsi con un fallimento negli anni novanta e un processo per truffa e associazione a delinquere.

    Approfondimento esterno: Psicologia e manipolazione mentale

    Wanna colpisce nella lucidità delle testimonianze presentate dai protagonisti delle vicende, ed è interessante cogliere una sostanziale (e poco ovvia, per certi versi) riflessività della vicenda: se accettiamo che personalità del genere siano tipi psicologici più o meno “machiavellici“, il fatto che siano riuscite a vendere l’improbabile a varie gradazioni non le immunizza, come potrebbe sembrare, dal dare per scontato che il loro target fosse altrettanto sincero. In pratica, stando a questa visione psicologica, se è vero che la manipolazione c’è stata è altrettanto vero che non sarebbe comunque facile, per loro, notare a loro volta se qualcuno stesse mentendo

    Magra consolazione, per le vittime, ma tant’è: se una personalità machiavellica tende per sua natura mentire, il rovescio della medaglia è che non per forza si accorgerà se l’Altro mente, a sua volta. Il che suggerisce una escalation di significanti per cui, per associazione di idee neanche troppo arbitraria, che ciò che hanno fatto non siano le sole ad averlo fatto, che insomma il mood trasmesso da Wanda sia stato quasi riciclato da certe multinazionali digitali, per non parlare dei vari settori borderline di vendita-fuffa di cui il web è zeppo. A quel punto non puoi nemmeno farne una questione personale, per così dire, e non ti resta che chiederti: ma come hanno fatto, in quegli anni, a vendere più prodotti di quel tipo che cellulari costosi? Altro interrogativo non da poco consisterebbe, poi, nel chiedersi se quanto avvenuto sia così localizzato, o sia diventato, al contrario, emblematico di un certo modo di vendere abusando della buonafede altrui (con vari gradienti di gravità, s’intende) mediante leve psicologiche, cosa a cui dovremmo essere abituati un po’ tutti, peraltro, a giudicare dal ritmo e dal tenore delle telefonate di marketing da cui siamo tragicamente tempestati.

    Il sistema di vendita della Marchi, così come viene descritto nella docuserie in questione, ricorda in parte quello proposto dalla versione moderna del telemarketing, il digital marketing nelle sue forme più aggressive, anche lì basato sulla costruzione di bisogni e su vari gradi di upselling – ad un certo punto si iniziano a vendere numeri del lotto vincenti e, nel caso in cui non uscissero, si proponeva la lettura delle carte da parte dell’iconico, anche qui, Mário Pacheco do Nascimento. Nulla che in effetti su internet non sia ampiamente diffuso da anni, e sul quale sono cambiate certe modalità di erogazione, in parte, ma non la sostanza: la distrubuzione mediante ads ambigue di info-prodotti fake, pseudo-formazione e via dicendo, rimane ancorata al registro dell’aggressività, dello sminuire il prossimo, con marketer ambiziosi, sprezzanti ed egotici (oltre che moralmente discutibili), dell’”io so’ io e voi non siete un cazzo” di marco-grilliana memoria, uno strano mood che dovrebbe soltanto infastidire ma che, a conti fatti, accresce solo il senso di urgenza dell’acquisto nelle persone più fragili, in un delirio di iperboli e tecniche di manipolazione (implicita ed esplicita) che, spiace riconoscerlo, continuano a funzionare ancora oggi.

    La canzone “prendimi” della colonna sonora di Wanna è il brano Cinque minuti di te di Don Antonio, The Graces. Wanna è disponibile in streaming su piattaforma Netflix.

  • Il mondo dietro di te: trama, cast, critica, recensione

    Il mondo dietro di te: trama, cast, critica, recensione

    Bene. Il sole risplendeva. Lo presero come un segno propizio – la gente trasforma qualsiasi cosa in un presagio. Era come se tutto dicesse che non ci sarebbero state nuvole all’orizzonte. Il sole era al suo solito posto. Il sole persistente e indifferente. (Rumaan Alam, Il mondo dietro di te)

    Leave the World Behind” è un romanzo scritto da Rumaan Alam, sul quale si basa il film “Il mondo dietro di te” molto popolare su Netflix. Un romanzo dallo stile apparentemente scorrevole, accattivante, punteggiato meravigliosamente. Che rende l’atmosfera della storia fin dalle prime righe, con quel sole che inquieta e risplende, con le persone che vedono presagi qualunquisti in qualsiasi cosa, stanno bene così, non importa il resto; l’assenza di nuvole nel frattempo sembra suggerirti che, alla lunga, potresti morire disidratato.

    Un “semisconosciuto romanzo”, per usare la parafrasi generalista usata dal quotidiano La Repubblica, finalizzato alla rappresentazione in chiave sociologica di un mondo che collassa inesorabilmente sotto il peso delle proprie responsabilità politiche, della propria avidità della propria tecnocrazia. L’uso dell’aggettivo non dovrebbe a mio avviso suggerire di un qualcosa di secondo o terz’ordine, anche per quello che traspare dalla scrittura, per quanto poi l’idea sia sempre la stessa dalla notte dei tempi, temiamo. Per certi versi, a guardare bene, nulla di veramente nuovo: nulla che non abbiano già trattato i vari Don’t Look up, Zombi, Il seme della follia, Eaters, The divide e tutta la sequela di horror e fantascienza post apocalittica che conosciamo da tempo. Una fantascienza che oggi è diventata più spaventosa del solito, peraltro, a causa dell’assetto socio-economico e geo-politico che caratterizza gli anni che viviamo, e che finisce per spaventare più di quanto, probabilmente, fosse nelle intenzioni dei rispettivi autori e registi.

    Di National Book Foundation – Rumaan Alam, 2020 Fiction National Book Award Finalist, reads from LEAVE THE WORLD BEHIND at 2:42, rotated, cropped, background extended, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=105567741

    Rumaan Alam è uno scrittore americano classe 1977, autore di diversi romanzi acclamati dalla critica. Prima di dedicarsi alla scrittura, ha lavorato in ambito editoriale e pubblicitario, ed è oggi riconosciuto per la sua capacità di affrontare tematiche complesse, esaminando in profondità le relazioni umane e le sfumature della società contemporanea. Uno dei suoi romanzi più noti è proprio questo “Leave the World Behind”, pubblicato nel 2020 del covid-19 e dell’isolamento che tutto il mondo ha vissuto. Il libro è stato accolto molto positivamente ed è stato finalista per il National Book Award, prefigurandosi come un thriller che esplora le tensioni sociali e familiari durante un evento catastrofico, mettendo in luce le dinamiche di classe, le divisioni razziali e la paura dell’ignoto.

    Il mondo dietro di te ha attirato oltre 42 milioni di spettatori (più Elon Musk) – Il mondo dietro di te, la spiegazione

    Su internet il dibattito intorno a Leave the World Behind – e in particolare il film, in italiano reso con un titolo da commedia adolescenziale (Il mondo dietro di te), è diventato virale, alimentato da un lato dalla straordinaria affluenza di spettatori (42 milioni di visualizzazioni nei primi tre giorni), ma anche da Elon Musk, autentico sponsor non ufficiale dell’opera per via di una dichiarazione sulla sua piattaforma X che ha fatto molto discutere. Per la verità, non mi era troppo chiaro il motivo del risentimento, e del perchè sia stato interpretato come tale: sembra più una marketta alla modalità “Mad Max” che sarebbe disponibile sulle sue auto, e che risale almeno al 2018 (primi tweet hanno quella data). Una tecnologia che richiama le proporzioni e le funzionalità presenti nel celebre film, in cui il combattimento per strada è figlio di una sostanza multiforme determinata da cinismo filosofico, darwinismo sociale, nichilismo e una società letteralmente desertificata e individualista.

    Di (U.S. Air Force photo by Trevor cokley) - https://www.dvidshub.net/image/7132411/usafa-hosts-elon-musk, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=134662229
    U.S. AIR FORCE ACADEMY, Colo. — Tesla Inc. Chief Executive Officer Elon Musk speaks with Lt. Gen. Richard Clark, Superintendent of the U.S. Air Force Academy, during the Ira C. Eaker Distinguished Speaker Presentation in the Academy’s Arnold Hall on April 7, 2022 in Colorado Springs, Colo. (U.S. Air Force photo by Trevor cokley)

    Ma andiamo per ordine: la sequenza promozionale di Netflix “incriminata” andrebbe prima di tutto visionata per comprendere il contesto.

    Vediamo una donna (interpretata da Julia Roberts) che si aggira tra varie macchine bianche che sembrano proprio delle Tesla, mentre la sua famiglia in macchina con figli e padre (interpretato da Ethan Hawke) si interroga sul perchè del blocco per strada. [spoiler] Si nota poi che le Tesla sono tutte “brand new“, nuove di zecca, ma nonostante tutto non sembrano funzionare e soprattutto sono tutte schiantate tra loro, senza alcun passeggero all’interno. Ovviamente l’intento narrativo è quello di costruire un climax che porta alla rivelazione conclusiva del trailer: le macchine si stanno in qualche modo “suicidando”, nel senso che si schiantano senza alcun guidatore all’interno costruendo un cumulo di auto demolite, che dal campo lungo finale sembra essere uan sorta di destino collettivo di gran parte delle autovetture mondiali. [fine spoiler]

    La risposta di Musk a quello scenario impazzito sembra consistere in un non sequitur da manuale:

    “Le Tesla si possono ricaricare dai pannelli solari anche se il mondo diventasse come quello di Mad Max e non ci fosse più carburante disponibile”

    Ma il punto non sembra sostanziale, viene da scrivere che non c’entra molto con il focus in questione (che mostra un mondo impazzito in cui le macchina finiscono per ribellarsi agli uomini, un po’ come avveniva in Brivido di Stephen King). A conti fatti, il tutto ricorda più una marketta auto-promozionale che una qualsiasi osservazione pertinente o critica su quello che viene mostrato.

    Non è la prima volta che Musk fa dichiarazioni poco ovvie o criptiche, ma la cosa da rilevare a mio avviso è che il suo background non sembra troppo sostanziale e ricorda, per l’appunto, più un qualcosa atto a provocare reazioni (sia pure in maniera, riteniamo, goffamente calcolata) quali che esse siano, e sfruttare il brand Musk che qualsiasi cosa scriva pubblicamente, in qualche modo, trova sempre adepti e critici su larga scala.

    La parafrasi dell’episodio, tuttavia, è diventata della fantomatica sequenza “che ha fatto arrabbiare Elon Musk“, in bilico tra l’interpretazione pseudo-psicologica e la pura invenzione, e a quel punto viene un po’ da mettersi le mani nei capelli sia perchè la rabbia eventuale da qui non traspare, sia perchè siamo lontani dalle dichiarazioni del passato (che erano sempre piccate e non sempre erano condivisibili, ovviamente, ma almeno si capivano: tutti ricordano Musk che critica il woke mind virus che avrebbe “infettato” le produzioni Netflix).

    Recensione di “Leave the World Behind” di Rumaan Alam

    Pubblicato nel 2020, il libro è un thriller che esplora le tensioni razziali, sociali e di classe durante un evento catastrofico. La storia segue due famiglie, una coppia di Manhattan e una coppia più anziana, che si trovano a dover affrontare insieme una situazione di emergenza quando il mondo esterno sembra sconvolto da un evento misterioso e minaccioso. Il romanzo esplora le dinamiche familiari, la paura dell’ignoto e le divisioni sociali in un contesto di crisi. È stato molto apprezzato per il modo in cui affronta temi attuali e scottanti, oltre alla sua suspense avvincente.

    Rumaan Alam si rivela un narratore straordinario nel suo romanzo “Leave the World Behind”, un’opera che cattura il lettore con un’abilità impeccabile nel dipingere le tensioni e le incertezze del mondo moderno. Con una scrittura affilata e penetrante, Alam affronta tematiche cruciali come la paura, le divisioni sociali e la disconnessione umana.

    Il romanzo si apre con una prospettiva urbana, presentando una coppia di Manhattan, Amanda e Clay, che si avventurano in una vacanza isolata con i loro due figli adolescenti. La tensione già si avverte nell’aria mentre la famiglia cerca una pausa dalla frenesia cittadina. Tuttavia, il tranquillo rifugio si trasforma improvvisamente quando una coppia più anziana, G.H. e Ruth, si presenta chiedendo riparo durante un’inaspettata emergenza.

    Il potere di Alam risiede nella sua capacità di tessere abilmente le tensioni sottili tra le due famiglie, creando un’atmosfera claustrofobica e tesa. La paura dell’ignoto e l’incertezza sul mondo esterno diventano protagoniste mentre l’evento misterioso fuori dal loro rifugio genera sospetto, timore e domande senza risposta.

    L’autore dipinge con maestria le differenze sociali e di prospettive tra le due famiglie, sottolineando le divisioni razziali e di classe che diventano più evidenti in situazioni di crisi. La trama si sviluppa con un senso costante di inquietudine, mantenendo il lettore avvinto alla storia attraverso la suspense e la paura che permeano ogni pagina.

    Alam affronta la narrativa con una prosa elegante e acuta, in grado di trasportare il lettore in un vortice di emozioni contrastanti. Il modo in cui il romanzo affronta le dinamiche familiari, le incertezze e le paure collettive riflette in modo straordinario il nostro mondo contemporaneo.

    In conclusione, “Leave the World Behind” si rivela un romanzo straordinario, una riflessione acuta sulle nostre paure collettive e sulla fragilità della società moderna. Rumaan Alam emerge come un autore che cattura non solo la realtà attuale, ma anche le ansie più profonde dell’animo umano attraverso una storia coinvolgente e profonda.

    Cast

    Julia Roberts … Amanda Sandford
    Mahershala Ali … G. H. Scott
    Ethan Hawke  … Clay
    Myha’la Myha’la … Ruth Scott
    Farrah Mackenzie … Rose Sandford
    Charlie Evans … Archie Sandford
    Kevin Bacon … Danny
    Alexis Rae Forlenza  … Danny’s Daughter
    Vanessa Aspillaga … Salvadora
    Josh Drennen Josh Drennen … Officer Crow
    Erica Cho Erica Cho … Jocelyn
    Orli Gottesman Orli Gottesman … Taylor

  • Archive 81: recensione, trama e cast della serie TV su Netflix

    Archive 81: recensione, trama e cast della serie TV su Netflix

    Da due settimane Archive 81 – Universi alternativi di Rebecca Thomas si trova sulla cresta dell’onda tra gli spettatori di Netflix, anche in Italia – dove è comparsa con tanto di buon doppiaggio (tanto vale scriverlo a chiare lettere). Classe 1984, la Thomas è nota per il film (ispirato a Pasolini, per la cronaca) Electrick Children e per un episodio (il primo ) di Stranger Things, oltre che per questo Archive 81 prodotto e distribuito da Netflix e Atomic Monster, con Paul Harris Boardman e James Wan (Insidious, Saw: L’enigmista) come produttore esecutivo.

    VHS ritrovate, ambientazione da inizio anni 80, tensione e distorsioni temporali ci conducono in una dimensione narrativa complessa, accattivante e che si preannuncia piuttosto lunga. Ma cosa c’era in quelle videocassette?

    Trama

    Dan è un esperto di archivistica in grado di recuperare vecchi nastri di VHS d’epoca, riportandoli in condizione di poter essere visionati. Durante il proprio lavoro si imbatte nella singolare storia del condominio Visser, distrutto da un incendio ed i cui condomini sembrano scomparsi nel nulla. Una multinazionale di cui non si sa nulla nemmeno dal web, nel frattempo – la LMG – lo contatta per proporgli un restauro pagato una cifra spropositata, da svolgersi  in una casa sperduta modello Shining. Inutile sottolineare che durante il proprio lavoro succederanno strane cose: i personaggi dei filmati VHS sembrano quasi rivolgersi a lui, e la figura del padre del protagonista (prematuramente scomparso) apparirà all’interno di uno dei nastri.

    E se la LMG fosse un’enorme multinazionale di giochi da tavolo? […]

    Recensione

    La genesi dell’opera è senza dubbio curiosa perchè, tanto per cominciare, è stata prodotta sulla falsariga narrativa dell’Inferno di Dante Alighieri. Quantomeno, il riferimento è sostanziale: il protagonista si chiama Dan (T.), mentre il suo accompagnatore sarà, come si scoprirà, Virgil. Ma non solo: non mancano i personaggi di Beatrix, il cerchio (riferimento a quello dantesco) e naturalmente, essendo una serie thriller horror, Kharon, il Caron dimonio. Alla base della trama gli aspetti più inquietanti legati alle videocassette VHS (per qualche strano motivo quel formato video induce una specie di paura ancestrale) nonchè alla storia, confermata solo in parte, che alcune di esse fossero state commercializzate come snuff (ovvero filmati in cui si assiste a morti reali, di animali o persone, non sceneggiate o simulate). L’inferno di Archive 81 non sembra dissimile da quello mortifero, inquietante e a suo modo ordinario di Antrum.

    Fosse solo una serie TV modello mockumentary horror, forse, non varrebbe forse neanche la pena approfondirla: certo, i riferimenti ad elementi fondanti di film come V/H/S, The last horror movie The poughkeepsie tapes, S&MAN non sono da poco, e restano sostanziali. Ma c’è dell’altro, e basta vedere i primi trenta minuti dell’episodio pilota (su Netflix, ovviamente) per capacitarsene. Peraltro, gli stessi vengono declinati dentro Archive 81 (dove 81 fa riferimento all’anno 1981, per capirci) nel senso più paranoico possibile. Ed è chiaro che Dan è un archetipo, oltre che letteralmente dantesco, del protagonista medio di serie come Ai confini della realtà, travolto o coinvolto da un gioco più grande di lui, forse manipolato da tante scatole cinesi panottiche, in cui tutti possono spiare tutti. Nulla di diverso dal mondo qualunquista e iperconnesso in cui viviamo, in effetti, e di cui questo Archive 81 si mostra in tutta la propria preoccupazione, tensione e paranoia, per una serie che è (solo per comodità) di genere horror sovrannaturale e che, ad oggi, conta otto episodi in tutto. Molto probabilmente e come da tradizione, non si fermerà neanche a questi ultimi.

    Del resto il buon Dan, difensore della propria privacy dalle incursioni internet (come dice a più riprese lui stesso), a parte essere un personaggio romeriano – un solitario, oppresso dalla società e di etnia afro-americana, come il Duane Jones / Ben de La notte dei morti viventi –  è uno scettico convinto: non crede al sovrannaturale, lo rigetta e nasconde un passato traumatico (aveva pure un padre docente di psicologia, come se non bastasse). Un vero e proprio en plein di stereotipi psico-sociali – e, anche solo per questo, vittima designata delle peggiori sofferenze di qualsiasi opera di questo tipo.

    Opera molto diretta, pertanto, ispirata ad un sottogenere mockumentary preciso e a suo modo archetipica (nonostante l’idea di fondo non sia nuova), diretta brillantemente da una regista con le idee chiare. Girata, peraltro, riportando alla luce le narrazioni classiche di pseudo-snuff exploitativi, paranoici e gran guignoleschi come quelli citati: il mood paranoico e spaventoso non è cambiato, e farlo diventare una serie TV relativamente pop non era cosa banale.

    Tanto più se nel farlo si evitano gli eccessi dei vari filmacci qui citati, rimanendo su un equilibrio visuale e comunicativo di sostanza, che si riflette, soprattutto, in un horror lucido quanto onirico, anche solo nella trovata dei “paralleli comunicanti” mediante nastri VHS. Nastri, questi ultimi, simbolo di un tempo che non c’è più, di un filmato amatoriale che è simbolo quasi implicito di scheletro nell’armadio, filmato amatoriale come locuzione più ambigua che mai (..amatoriale in che senso?). Un cinema ritrovato on the road, parte del vissuto di ognuno di noi,un espediente narrativo in parte abusato ma che qui, nonostante tutto, si rinnova con saggezza nel gioco di ricicli del caso.

    Archive 81 è anche debitore di (ovvi?) echi ottantiani, gli stessi che serie come Stranger Things hanno saputo sfruttare (forse in vaga modalità poser, in quel caso), sulla falsariga del dubbio ancestrale che un qualche parente di qualsiasi famiglia custodisse sempre e comunque VHS atipiche nell’armadio della nonna. Ma anche solo (se preferite) del sano, classico e archetipico effetto nostalgia, lo stesso rievocato periodicamente da radio e TV – nonchè sbeffeggiato da South Park mediante la trovata dell’uva parlante, i ricordàcini.

    Effetto che in questa sede va al di là della semplice evocazione modello “si stava meglio quando si stava negli anni 80″: grazie alla trovata dei mondi paralleli alternativi, di fatto, dentro Archive 81 il sottogenere acquisisce, finalmente, nuova linfa. Suscita, a suo modo, curiosità rinnovata, anche nel pubblico meno propenso o più disilluso da mille mostri e villain considerati poco attuali o poco credibili. Il tutto anche grazie all’idea di un protagonista credibile quanto insolito, affiancato da una sorta di doppelganger femminile con cui ovviamente, si instaurerà fin da subito una sorta di legame psichico. Due protagonisti – forse volutamente, a questo punto – fuori norma, romeriani e carpenteriani a tutti gli effetti perchè multi-etnici, umani e coinvolgenti.

    Ci basta questo per farci amare, una volta tanto, una serie TV: specie noi che difficilmente le apprezziamo, in generale, siamo felici di essere smentiti.

    Cast

    Mamoudou Athie – Dan Turner
    Dina Shihabi – Melody Pendras
    Evan Jonigkeit – Samuel
    Ariana Neal
    Matt McGorry
    Martin Donovan Martin Donovan …
    Daniel Johnson Daniel Johnson …
    Kate Eastman Kate Eastman …
    Charlie Hudson III Charlie Hudson III …
    Kristin Griffith Kristin Griffith …
    Johnna Leary Johnna Leary …
    Eden Marryshow Eden Marryshow …
    Jacqueline Antaramian Jacqueline Antaramian …
    Jaxon Rose Moore Jaxon Rose Moore …
    Trayce Malachi Trayce Malachi …
    Sol Miranda Sol Miranda …
    Hilda Ivette Rodriguez Hilda Ivette Rodriguez …
    Martin Sola Martin Sola …
    Shay Guthrie Shay Guthrie …
    Gameela Wright Gameela Wright …
    Africa Miranda Africa Miranda …
    Allyson R. Hood Allyson R. Hood …
    Penelope Bauer Penelope Bauer …
    Frances Chao Frances Chao …
    Dennis Joseph Dennis Joseph …
    Georgina Haig Georgina Haig …
    Roger Petan Roger Petan …
    Robert Kwiatkowski Robert Kwiatkowski …
    Meg Hennessy Meg Hennessy …
    Nick Podany Nick Podany …
    Gilles Geary Gilles Geary …
    Zach Villa Zach Villa …
    Ellen Adair Ellen Adair …
    Michelle Federer Michelle Federer …
    Emy Coligado Emy Coligado …
    Mitzi Akaha Mitzi Akaha …
    Anaya Farrell Anaya Farrell …
    Ken Bolden Ken Bolden …
    Carla Brandberg Carla Brandberg …
    Curtis Caldwell Curtis Caldwell …
    Ebony Cunningham Ebony Cunningham …
    Jay Klaitz Jay Klaitz …
    Rosie Koster Rosie Koster …
    Angela Nicole Hunt Angela Nicole Hunt …
    Jake Andolina Jake Andolina …
    Ahlam Abbas Ahlam Abbas …
    Kaylin Horgan Kaylin Horgan …
    Teri Clark Teri Clark …
    Joseph Cannon Joseph Cannon …

    Trailer ufficiale

     

     

  • Cos’è LuLz: guida pratica al trolling attraverso South Park

    Cos’è LuLz: guida pratica al trolling attraverso South Park

    Nel saggio I mille volti di Anonymous l’antropologa Gabriella Coleman approfondisce la psicologia e il comportamentismo associato al gruppo hacker noto come Anonymous, in realtà espressione di gruppi differenti da ogni parte del mondo ed autentico collettivo-comune virtuale di hacker, spesso con pensieri e poliche diverse, se non contrapposte tra di loro.

    Tra le mille incursioni analizzate nel libro con dovizia di dettaglia, spicca la definizione del cosiddetto lulz, una distorsione verbale del più classico acronimo LOL (Laugh Out Loud, utilizzato in alcune chat e traducibile con la frase “rido forte” oppure “mi sto sbellicando”). Molti gruppi hacker che operano per buttare giù siti web istituzionali o provocare disagio o doxxing sui social agiscono, secondo questa idea, puramente per divertimento, in una ideologia non formalizzata che viene ben espressa dal lulz. E quando la Coleman riporta le affermazioni dei veri hacker da lei intervistati (alcuni dei quali in seguito arrestati dalla polizia americana), molti rispondono con una motivazione secca, monolotica ed avulsa ad ulteriori spiegazioni anche per un’antropologa di professione: semplicemente, “l’ho fatto per il lulz“.

    By Lulz Security’s Twitter account: [1], Fair use, https://en.wikipedia.org/w/index.php?curid=32299241
    L’ideologia alla base del lulz è un mix di pensieri di vario genere, che deve molto al pensiero anarchico nelle sue varie sfumature (non ultima quella individualista), e che tende a collocarsi nel più controverso mondo del trolling, ovvero le persone che più o meno consapevolmente concorrono nel creare – usando vari strumenti informatici e tecniche di manipolazione – disagio su internet. Ancora una volta, solo per il gusto di generare il caos, esattamente come viene fatto dal gruppo che è stato noto per anni come LulzSec, un gruppo di hacker attivisti attivo fino al 2011 (e reinventato da molti altri soggetti nel corso degli anni, anche in Italia) che non hanno mai agito per il profitto, ma solo per divertirsi a causare mayhem (ovvero, distruzione casuale) in rete. Si agisce for the lulz e tanto basta, al massimo godendosi coi popcorn in mano l’effetto eventualmente comico della propria azione (imbarazzo dei CEO delle aziende violate, accuse fantasiose o generalizzate dei politici e via dicendo), solo occasionalmente includendo un messaggio politico di protesta al proprio agire.

    Immagine tratta da https://en.wikipedia.org/wiki/LulzSec

    Sono presupposti dai quali è necessario partire per analizzare, o almeno provare a farlo, una delle puntate più epiche in assoluto di South Park, proprio perchè dedicata al mondo dei troll. Articolata in più puntate ad episodi (quasi un nuovo film di South Park, verrebbe da scrivere), parte nel secondo episodio della stagione numero 20 e finisce nell’episodio dieci.

    Il passaggio chiave avviene proprio quando la Danimarca cattura i troll ed interroga il padre di Kyle: in un delirio di onnipotenza, il CEO dell’azienda che ha causato una pesante violazione informatica ammette di “voler trollare il mondo intero“, anche perchè per farlo basterebbe “un leader politico in grado di stuzzicare la gente e farla arrabbiare“. Chiaro che, a quel punto, quel leader se ne starebbe lì a guardare mentre il mondo impazzisce, e tutto questo solo per il lulz, perchè sembra maledettamente divertente farlo.

    La storia raccontata negli episodi della stagione 20, per inciso, è quella del padre di Kyle che coltiva uno strano hobby notturno: trollare sui social VIP di ogni genere, insultando ed esibendo umorismo di cattivo gusto. Il suo comportamento, alla lunga, provoca il suicidio di un’atleta danese che aveva subito una mastectomia, e che si sente attaccata e non capita dalla rete. La conseguente reazione sarà, da parte della Danimarca, di minacciare una terza guerra mondiale, mentre un attacco informatico provocherà ulteriore caos, mettendo online in chiaro tutte le attività compiute da qualsiasi persona su internet.

    Una guerra provocata dal trolling, in effetti, specie in tempi convulsi come quelli che viviamo, assume un aspetto più realistico che sarcastico, ed è per questo che la puntata è particolarmente meritevole di visione (la trovate su Netflix, per inciso).