DENTRO_ (101 articoli)

Film psicologici, thriller e opere che hanno valorizzato e approfondito gli studi di Lacan, Jung e molti altri.

  • Questa data scientist ha fatto ricreare le copertine di alcuni dischi a un’intelligenza artificiale: ecco com’è andata

    Questa data scientist ha fatto ricreare le copertine di alcuni dischi a un’intelligenza artificiale: ecco com’è andata

    Su internet è nota come Lucy, e gestisce un proprio blog sui big data. Di recente ha proposto un uso curioso dell’intelligenza artificiale nota come DALL E, creata dalla OpenAI nel 2021 – una delle innovazioni forse più importanti  in questo ambito tecnologico che consiste, in breve, in un software avanzato in grado di generare immagini a partire da una descrizione testuale. Nel senso: diamo in input “disegna un cavallo” e DALL E riesce a disegnarne uno, in modo originale e senza ricopiare immagini già esistenti, peraltro con vari stili, angolature e sfumature del soggetto.

    Non solo: DALL E riesce a processare input complessi in linguaggio naturale, come ad esempio “disegna un cavallo che usa un computer mentre beve il caffè“, mediamente entro pochi minuti a seconda della risoluzione richiesta per l’immagine.

    La tecnologia in questione è profondamente perturbante, nel senso freudiano del termine: sappiamo cosa significhi chiede ad un computer di farci un disegno sulla base del nostro input descrittivo, possiamo intuirne la portata e ne ammettiamo, in media, la possibilità. Ma il pensiero che il disegno realizzato possa risultare inatteso, spaventoso e destabilizzante sembra inscindibile dalla tecnologia stessa, e questo porta il dibattito etico, sostanziale e tecno-cratico in una direzione di cui si continuerà a parlare a lungo, a mio avviso, nei prossimi anni. Del resto questo è ciò che restituisce DALL E se gli chiediamo di disegnare:

    – Una scimmia che programma sorseggiando una birra fresca
    – Cani che giocano a #scacchi.
    – Un ingegnere informatico che gioca a pallone (in porta).
    – Un pinguino che fa skateboard a Roma, nei pressi del Colosseo.
    – Una tigre al cinema che mangia popcorn.

    Molto interessante, senza dubbio, quanto suggestivo per una potenziale generazione di artisti visuali che potrebbero dover imparare a scrivere, per poter disegnare. Il tutto ha portato Lucy a porsi una domanda interessante: riuscirà DALL E a riprodurre le copertine di celebri album musicali dei Beatles, dei Rolling Stones, dei Nirvana e dei Pink Floyd?

    La risposta sembra essere affermativa (fonte delle immagini).

    The Velvet Underground & Nico – The Velvet Underground & Nico

    A banana on a white background in the style of Andy Warhol: questo l’input che ha prodotto il risultato seguente, ricalcando addirittura lo stile di Warhol “su richiesta”. Niente male, per essere il prodotto di un algoritmo. La copertina originale è diversa ma, a suo modo, l’algoritmo di IA ha saputo ricrearla in modo originale.

    Pink Floyd – The Dark Side of the Moon

    Qui abbiamo una delle copertine forse più complesse da riprodurre per la macchina (Welcome to the machine, parafrasando i Pink Floyd): il problema principale è infatti nel descrivere in modo testuale e comprensibile la posizione del prisma rispetto alla rifrazione, ed i risultati sono frammentari quanto, a loro modo, emblematici – e in qualche modo onirici.

    Pink Floyd – Wish You Were Here

    Anche qui abbiamo una reinterpretazione creativa della copertina originale, rappresentata da due uomini (di cui uno in fiamme) che si danno la mano: l’IA ha pensato di rappresentarli di fronte ad un’industria, di cui una dal sapore vagamente post apocalittico.

    Nirvana – Nevermind

    Anche in questo caso la copertina è stata riprodotta in maniera impressionante: da più angolazioni, con stili differenti e con una sostanza abbastanza fedele alla copertina originale.

    The Rolling Stones

    Le labbra realizzate sul modello cartoon ed associate ai Rolling Stones sono diventate ormai iconiche: le originali sono state concepite e disegnate a suo tempo da John Pasche, ispirate dal desiderio di Mick Jagger di votare, a quanto pare, un tributo alla dea Kalì della tradizione indù ed al senso energizzante.

    L’immagine è la copertina di una antologia della band di Mick Jagger del 1983.

    The Beatles – Abbey Road

    In questo caso abbiamo un’immagine abbastanza fedele rispetto al celebre originale, tratto dal dodicesimo album dei Beatles, del 1969. Siamo in pieno fermento – non solo musicale – e i quattro di Liverpool si ispirano ad Abbey Road, una delle vide che li aveva visti incontrarsi più volte in passato per quello che sarebbe diventato, di fatto, il loro ultimo album.

    L’intelligenza artificiale è riuscita a riprodurre la celebre camminata beatlesiana al netto dei visi, che la data scientist è riuscita a riprodurre inizialmente da angolazioni differenti:

    per poi produrre una nuova versione più allineata all’originale, per quanto i quattro appaiano curiosamente senza testa.

  • Deepnude è la Morte simbolica di qualsiasi fantasia erotica

    Deepnude è la Morte simbolica di qualsiasi fantasia erotica

    Deepnude rappresenta, per quello che ne resta e ne sappiamo ad oggi, una delle forme più incredibili di pornografia reperibile su internet. No, su questo articolo non vi forniremo alcun link per scaricare deepnude, bensì ci concentremo sul parlarne in modo diretto e comprendere perchè sia considerabile il funerale simbolico di ogni fantasia sessuale, a qualsiasi latitudine.

    Una pornografia che, come abbiamo notato in varie occasioni, si è liberata molto spesso di qualsiasi forma di fiction e di eleganza formale, confinandosi nell’abisso del realismo, dell’amatoriale, prima con la diffusione di foto e video amatoriali (esibizionisti), poi non consensuali e successivamente, in un atto di assoluta estremizzazione, mettendo a disposizione app di intelligenza artificiale in grado di “spogliare” le foto altrui.

    Deepnude è il nome dietro il quale si annida questa particolare forma di deepfake, oggetto di molte attenzioni da parte dell’opinione pubblica nei mesi scorsi: i bot Telegram (gran parte dei quali estinti) in grado di espletare la funzionalità, una proposta di legge del 2021 in merito, un chiacchiericcio abbastanza indistinto in merito (tra spiegoni parziali o totali) e, fino a qualche tempo fa, addirittura il codice sorgente pubblico per espletare la discutibile funzione per qualsiasi programmatore esperto.

    I rischi nell’uso di un’app del genere, che sconsigliamo di usare per molteplici ragioni, rimane formalmente illegale per quanto, anche qui, la bolla non sia scoppiata del tutto, sono reali. Non solo per chi li fa, che spesso non valuta che potrebbe subire lo stesso trattamento a  sua volta da parte di terzi, ma anche per chi addirittura paga per un’operazione del genere. Ci sono servizi a pagamento sepolti tra i risultati di ricerca, poi rimossi, poi riemersi, in una battaglia senza tregua che ricorda quella dei siti web pirata che appaiono e ricompaiono all’attenzione del gentile (?) pubblico. Uno strumento per troll, alla fine, uno dei tanti strumenti che internet mette a disposizione e che risulta difficile, se non impossibile, da limitare, se non probabilmente spingendo ad un ragionamento differente dal solito, in merito.

    Le fantasie sessuali sono in genere derubricate a “dedicare qualcosa a qualcuno”, in un’ottica semplicistica quando puerile. Un’ottica errata e da rivedere, ma la cui adesione incondizionata potrebbe portare a curiosare su questi lidi. Il punto chiave di un’app come deepnude, a ben vedere, è che feticizza il sesso nel senso stretto (commerciale) del termine: pago (il più delle volte, queste app sono a pagamento o addirittura a canone mensile) non una persona attraente e sessualmente disponibile in presenza, come farei con una prostituta, bensì dono uno o più oboli in favore di un’intelligenza artificiale, la quale (si spera) possa concretizzare la mia curiosità sessuale di vedere il corpo della vicina, della collega o del capo autoritario.

    Le fantasie sessuali sono sottovalutate, e servono a compensare aspetti della vita non sessuali oltre, naturalmente, a tenere accesa la fiamma dell’interesse verso il sesso stesso con uno o più partner (male che va, anche da soli: è davvero ora di smetterla di derubricare la masturbazione ad attività per sfigati e sfigate). Si noti che le fantasie sessuali relegate ad un ambito mentale, salvo derive orwelliane prossime future, sono lecite, sempre, in ogni caso: possiamo immaginare di fare rough sex con la farmacista da cui andiamo sempre, possiamo sessualizzare la collega più giovane o fantasticare di sculacciare il capo autoritario. Possiamo immaginare le posizioni, l’atteggiamento, la pratica sessuale più atipica, il colore, la consistenza o la presenza assenza dell’indumento intimo, le espressioni facciali della persona oggettificata in quel momento, le pratiche più diverse e perverse: possiamo sognare che ci dicano sempr di sì, che non ci rigettino, che non ci respingano, che non ci facciano sentire in colpa. L’intelligenza artificiale del deepnude rimpiazza brutalmente tutto questo con una scelta su base statistica, rendendo la pornografia autentica macelleria virtuale. Un qualcosa su cui sarebbe ora di riflettere seriamente, almeno quanto parlare della deriva etica e morale annessa ad un qualcosa del genere.

    Secondo la teoria sviluppata dallo psicologo statunitense Michael Bader (il suo saggio del 2018 Eccitazione. La logica segreta delle fantasie sessuali è illuminante in tal senso) la sessualità umana funziona in combinazione di vari livelli, non banali da raggiungere e spesso oggetto di psicosi: consolidamento del senso di sicurezza tra se stessi ed il partner (senza il quale è impossibile pensare eccitarsi), contrasto al senso di colpa, affermazione dell’idea di “spietatezza sessuale” senza la quale diventa molto complicato procurarsi e godere di un rapporto, problemi di transfert e identificazione che certe fantasie come il travestitismo risolvono. Non vogliamo sostenere che quelli che installano deepnude siano per forza malati psicotici (non abbiamo titolo per farlo, e non amiamo le etichette), ma sicuramente decidono volontariamente di abdicare le meraviglie delle fantasie sessuali in favore di “vedere” per forza qualcosa, con lo stesso criterio con cui si cercano video raccapriccianti sul web per il gusto masochistico di rimanerne turbati (o peggio ancora, di farci moralismo in seguito).

    Il libro racconta il contenuto di varie sedute di pazienti (ovviamente anonimi o col nome cambiato) avuti da Bader, uno dei quali ad esempio fantasticava spesso su una ragazza molto più giovane di lui, fronteggiando un senso di colpa considerevole in merito. In realtà, spiega l’autore, la fantasia assume una valenza quasi terapeutica, in quanto assolve il fantasticante dal senso di colpa dell’aver ferito donne in passato, e nulla poteva meglio liberarne le fantasie dell’idea di una ragazza giovane e gioiosa, senza pensieri e senza rinfacciamenti di sorta. L’argomento vale, secondo l’autore, anche per le fantasie più pesanti, annesse a pratiche poco etiche o addirittura inaccettabili moralmente, che vanno dal sado masochismo alla pedofilia, passando per il cybersex, le parafilie come il pissing e le fantasie di sesso violento (il rough sex, anche lì fantasticato da diverse donne, anche nei casi in cui non si sarebbe mai sospettato: una paziente femminista militante o, nel caso di un uomo, un paziente risaputamente mite e gentile con la propria partner).

    I commenti degli utilizzatori soddisfatti di servizi come deepnude, dando per buono per amor di discussione che siano reali, del resto evocano più il lettino dello psicologo che altro: sono felicissimo del servizio, perchè ha soddisfatto i miei sogni più veri. Grazie a questa app posso realizzare il sesso dei miei sogni. L’idea peggiore di deepnude è indubbiamente la sessualità non consenziente a cui si sceglie di partecipare, violando l’intimità dell’ignaro soggetto e togliendo di mezzo la fantasia, quasi declassandola a cosa di second’ordine. Ma la cosa ancora più brutale di deepnude, a questo punto, risiede proprio nell’idea di declassificare le fantasie a sesso di secondo o terz’ordine, sulla base della radicalizzazione del machismo per cui se una persona non posso averla e non riesco ad usare la mia fantasia ormai atrofizzata, posso farmi “aiutare” da un’intelligenza artificiale che spoglia le donne. Nel caso specifico, effettivamente, è un’intelligenza artificiale a prendere il posto della fantasia, deresponsabilizzando il soggetto e rendendolo, di fatto, intrappolato in una sessualità interdipendente dalla tecnologia.

    Il punto chiave delle fantasie erotiche in genere, quali che esse siano, è che sono sepolte inconsciamente in ogni essere umano, e spesso compensano necessità della vita reale ed insoddisfazioni o frustrazioni di vario genere. Sono fantasie, per l’appunto, e rappresentano per le persone l’equivalente del potere della scrittura per autori tormentati come H. P. Lovecraft, he rappresentava come mostri secolari le sue stesse paure e, scrivendo, imparava ad affrontarle e tentava quantomeno di combatterle.

    Per cui, sì: Deepnude è la Morte di qualsiasi fantasia erotica. Più precisamente, in senso strutturalista, è la Morte Simbolica, nel senso lacaniano del termine: perchè è l’espressione di un Altro con cui siamo in relazione, da maschi etero (e non solo, probabilmente) in relazione immaginaria. Tanto immaginaria che non esiste, non è mai esistita e mai esisterà, in uno slancio di tentato accelerazionismo che avremmo voluto conferire alle nostre vite sessuali. La morte è simbolica perchè uccide il simbolo, uccide la fantasia in quanto tale, distrugge qualsiasi parvenza di realismo alla fantasia stessa e si autoconsegna alle odiate tecnologie ed alle perversioni che solo esse sono in grado di darci. Del resto secondo Michael Bader le fantasie sessuali sono il buco della serratura attraverso il quale potremo vedere il nostro vero sè, e viene anche il dubbio che i deepnude (dietro quell’apparenza segreta, quanto perversa, che li rende sempre ricercabili su Google e attraenti per alcuni) finiscano per prendere il posto del sè, spersonalizzando la nostra esperienza, abusando della leva della curiosità e rendendola predeterminata da un algoritmo.

    La fantasia sessuale (e non solo quella sessuale, del resto) non può essere definita adeguatamente da un algoritmo, che finirebbe per approssimarla in modo euristico, anche se ad alcuni va bene e forse, a quel punto, dovrebbero anche rivedere la propria autostima, o magari (se si può, senza traumi) la propria scala di valori. Cosa che rientra a pieno titolo nell’ambito della sessualità, ma non della fantasia: una forzosa fantasia che diventa uno spettro digitale che oggi, ancora, si aggira per la rete.

    Foto di copertina: Anna Shvets

  • Perchè disegno sempre cubi?

    Perchè disegno sempre cubi?

    Perchè disegno sempre fiori? Perchè disegno sempre cuori? Perchè disegno sempre cubi? Perchè disegno sempre occhi? Perchè disegno sempre frecce? Perchè disegno sempre alberi?

    Abbiamo ricopiato i primi sei suggerimenti di Google qualora iniziate a cercare la frase “perchè disegno“.

    Come vedete Google aggiunge la parola sempre, e successivamente – in un delirio tecnico-onanistico di soddisfacimento dell’utente – si diverte a disseminare quella ricerca con vari termini. Pressappoco, le domande più frequenti sull’argomento fatte dai suoi stessi utenti, precedentemente memorizzate e qui riproposte. Restiamo seri per un attimo e distacchiamoci dal contesto puramente tecnologico o di marketing: ci chiediamo, ma scusate, che cosa ci spinge a disegnare? È una domanda serissima, in realtà. Google lo sa?

    Abbiamo un’idea, a questo punto. Che non sia un modo per comunicare con il nostro inconscio, disseppellendo desideri repressi, o magari – come certa psicoanalisi moderna a volte suggerisce – si arriva alla definizione del senso solo mediante tanti passaggi, da una forma all’altra, da un significante al prossimo, passando per domini diversi tra loro fino ad arrivare alla sudatissima… “verità”?

    Disegno sempre fiori, ad esempio, perchè ho un animo sensibile. Disegno sempre cuori, a questo punto, perchè desidero essere amato e sono probabilmente vittima di un qualche amore non corrisposto. Se disegno cubi desidero riorganizzare la mia esistenza, trovare gli scomparti scomparsi, rieleggere qualcosa o qualcuno a barlume della mia esistenza. Se invece disegno pupille di occhi, evidentemente, desidero sedurre l’Altro, trovare una persona con cui condividere un’intimità, guardarla dentro. Se disegno frecce – hai visto mai – possiedo un’aggressività latente. Se disegno triangoli sono perfezionista; se disegno alberi avrò volto lo sguardo all’origine stessa dell’esistenza, addirittura.

    Dare risposte così nette è quantomeno azzardato ed è impressionante come, ad oggi, nessuno si sia posto il problema delle risposte facilone ai problemi esistenziali; se sono spariti da Google i risultati di ricerca che suggerivano di curare col bicarbonato molte delle malattie più gravi, è davvero strano che non si sia usata la medesima cura per i problemi esistenziali. L’esempio è stato sfruttato come starter di un modo diverso di affrontare la questione che ci apprestiamo a mostrare qui, oggi.

    Lungi da noi, per intenderci, addentrarci nei meandri delle spiegazioni letterali o puntuali dei fenomeni: l’ottica sarebbe prettamente fuorviante, e potrebbe convincere qualcuno un metodo di auto-analisi che troveremmo, da profani, quantomeno improprio. Tantomeno possiamo eccedere all’opposto: se è vero che disegnare cilindri non presuppone necessariamente una mancanza di tipo fallico, così come disegnare spirali ne implichi una di tipo uterino, non possiamo cavarcela semplicemente con l’eccesso contrapposto di un qualche approccio olistico alla questione.

    Non è proprio il caso, tanto è vero che rigettiamo con forza sia le interpretazioni letterali delle cose che quelle fantasiosamente omnicomprensive, in grado di generare titoli ad effetto come “la mano invisibile del destino” o “la psico-analisi del mercato liberista“.

    Nel quinto libro di Jacques Lacan sulle formazioni dell’inconscio l’autore – psicoanalista, medico e rivoluzionario filosofo del Novecento – riprende il noto concetto freudiano del motto di spirito (Der Witz, in tedesco “lo scherzo”, traduzione neanche a dirlo letterale), e lo estende in lungo e in largo lavorando, soprattutto, sulla figura retorica della metonimia. Non c’è oggetto del desiderio che non sia metonimico, scrive Lacan, l’oggetto del desiderio è sempre oggetto del desiderio dell’Altro, di quello che manca attraverso l’Altro, di ciò che viene chiamato “a piccolo”, l’oggetto smarrito da ritrovare in fase di analisi. Il senso nasce, a questo punto, da una catena di sostituzioni, passando da un significante all’altro mediante passaggi successivi e dall’alto valore simbolico (nonchè metaforico). A questo punto un discorso non potrà, scrive Lacan, mai essere un “evento puntiforme”: esso non è fatto solo da mera materia e tessitura, ma anche da tempo, spessore. Prova ne sia che se inizio una frase, riuscirete a capirla soltanto dopo che io l’avrò davvero finita.

    E questa è in un certo senso una autentica condanna, dato che ogni discorso si porterà dietro “la ruota della macina” di parole, ed il discorso finirà sempre per dire più di quanto suggeriscano le apparenze. Motivo per cui, per chiudere il cerchio, è chiaro che le parole caricate da Google a titolo – e solo a titolo – di risposte a profonde domande esistenziali, o per dare soddisfazione alle ricerche annoiate di soggetti diversissimi che cercano “perchè disegno sempre ornitorinchi” e simili, debbano essere rivalutate nell’ottica di una concatenazione di sensi. Della serie: invece di fermarmi a considerare quella domanda, tanto varrebbe interrogarsi sulle origini, seguire la catena di associazioni mentali e provare, una buona volta, a trovare una risposta anche negli atti più semplici: passeggiare senza pensare, rinviare la risposta su WhatsApp al giorno dopo, non auto-riferirsi qualsiasi male dell’universo, respirare senza pensare continuamente al lavoro del giorno dopo. Attraverso l’analisi delle metafore che ci vengono suggerite dalla mente, sembra suggerire Lacan, sarà possibile trovare finalmente uno o più sensi a cui appellarsi. Il primo punto della nostra risposta al perchè disegnare, in effetti, potrebbe stare qui.

    Non proprio un approccio per spiegare la questione al bar tra amici, a meno che non siano tutti filosofi e psicoanalisti (e anche in questo caso non ci sentiamo sicuri del successo dell’idea), ma sicuramente performante nell’esprimere l’idea del nostro articolo di oggi. Che parte dalle ricerche bislacche e inconcepibili che Google suggerisce, e che cercano ed esprimono la necessità di trovare un “senso” mediante l’analisi di una singola, puntuale abitudine come quella di fare disegni in astratto mentre si fa una call col capo o si fa finta – rigorosamente – di lavorare.

    Nella struttura generale della frase Perchè disegno sempre X, dove X varia su un range sterminato che abbiamo voluto ridurre a cinque parole per amor di brevità, emerge un “sempre” che suggerisce un assolutismo, una generalizzazione probabilmente impropria: a meno che uno non sia seriamente problematizzato (cosa che potrebbe anche essere, in effetti) non sembra così comune che uno disegni “sempre” la stessa cosa. Non quanto le ricerche più frequenti di Google possano in tal caso suggerire, quantomeno. E qui si arriva, finalmente, al secondo punto importante del nostro discorso.

    La tendenza ad assolutizzare i bisogni è tipica del marketing tecnologico, come dimostrano i casi di funzionalismo puro da cui siamo martellati: le app per fare incontri, le app per ordinare cibo, le app per assolvere a qualsiasi compito, sia anche il più perverso o non confessabile. Motivo per cui, forse, certe risposte andrebbero trovare più dentro noi stessi che attraverso una tecnologia solo in apparenza gratuita.

    sigmund freud drawing a cube
    sigmund freud drawing a cube, DALL E

     

    Foto di copertina: a portrait of jacques lacan in modern, cubism style, DALL E

  • L’orrore del semplicismo

    L’orrore del semplicismo

    Per qualche strano motivo questo blog si è posizionato, per diversi mesi, sulla ricerca “Lacan spiegato semplicemente” (con questo articolo). Come tutti i contenuti del sito, per inciso, è stato modificato e aggiornato varie volte, e mai c’è stata l’esplicita intenzione di posizionarlo su quella ricerca. Per cui non interessa troppo da un punto di vista della SEO tecnica quanto, più sottilmente, da quello del novero dei tutorial “X spiegato semplicemente“, con X variabile da “carbonara” a “filosofia zen”.

    X spiegato semplicemente è parte dello zeitgeist che stiamo attraversando, lo spirito di un tempo che aborre (come avrebbe detto Mughini) la complessità, e vorrebbe spingere il riduzionismo al punto di rendere elementare ogni concetto, ogni idea, ogni cosa, anche a costo di stravolgerne la sintassi o la semantica. Il frutto marcio di questo atteggiamento è spiegato almeno in parte dal semplicismo che spinge milioni di persone a seguire gli influencer più improbabili, che fanno del semplicismo bandiera. Viene in mente l’account Youtube dal nome How To Basic che, in tempi non sospetti – andiamo a memoria, almeno una decina di anni fa – propose uno dei tutorial fake più visti di sempre: un iPhone che veniva utilizzato per preparare una ricetta, per essere sbattuto nell’uovo, impanato, impastato e infine demolito a martellate (il video purtroppo sembra scomparso dalla rete, ed è stato rimpiazzato da un “how to basic” molto più serio). Era un video non sense che mescolava la manìa evergreen per i prodotti Apple (e la loro presunta “sacralità”) con quella emergente delle video-ricette, che spiegano passo passo e in modo semplice (aridaje) come preparare qualsiasi tipo di piatto. Quel canale prendeva in giro, a suo modo, la tendenza al semplicismo che la rete ha sempre preteso di avere, in fondo, e a cui nessuno che compaia nel mondo dei tutorial / how to sembra essere immune.

    Sono tantissime le persone che cercano spiegazioni comprensibili a cose per le quali non hanno tempo, voglia e modo di approfondire. Non mancano le suggestioni che arrivano da Google Suggest: stoicismo, induismo, buddismo, p value (sic), effetto serra, spiegati semplicemente. Vale anche per cose come il sesso, neanche troppo paradossalmente, come è possibile rendersi conto spulciando un po’ Google. Spiegare tutto in modo semplice – qualsiasi cosa significhi – è il mantra della rete e di gran parte di quella più pop, senza contare che secondo autori come Ceruti/Bellusci (nel saggio Abitare la complessità) il semplicismo può diventare una potenziale anticamera del populismo e della sua annessa normalizzazione.

    Il tema del semplicismo è stato trattato variamente in letteratura scientifica, e trova tra i suoi principali esponenti Paul Watzlawick e la scuola di Palo Alto: nel libro Change si riferisce la ricorrenza di quelle che gli autori chiamano “semplificazioni terribili“, le quali si riducono in nuce al meccanismo della negazione. Un meccanismo di protezione dell’Io variamente studiato dalla psicoanalisi, del resto, che qui trova espressione in forma duplice: non si tratta, infatti, solo di semplificare la complessità (il che spesso si traduce, a livello pratico, nell’aggirare le regole o negare i diritti altrui), ma anche di aggredire chiunque faccia notare il diniego. Una negazione che, spiegano gli autori, si traduce a più livelli, dato che si nega la complessità e al tempo stesso si nega di averla negata, il che in termini prettamente logici porterebbe ad una affermazione. Il semplicismo ortodosso, in un tragico e grottesco contrappasso, il più delle volte finisce puer per complicare o aggravare il problema originario, quando non generare frustrazione a più livelli (ad esempio se si partiva da preconcetti o ipotesi semplicemente sbagliate, senza riconoscerlo).

    Il ricorso al semplcismo nasconde una forma di negazione della complessità del mondo che, lungi dall’essere di nicchia, è molto diffusa e radicata in parte di noi. Invece di affrontare le sfide intellettuali con serietà e approfondimento, si preferisce “sbrigarsi”, riducendo ogni argomento a qualcosa che, proprio per la sua superficialità, diventa più facile da digerire. Ma questa facilità è ingannevole. La spinta del semplicismo non è innocua e non andrebbe sottovalutata. Il rischio è che, a forza di semplificare, ci priviamo di ciò che conta.

  • Guida pratica alla società senza memoria

    Guida pratica alla società senza memoria

    Immagina un mondo in cui il passato evapora, un mondo in cui ogni mattina è una pagina bianca e la memoria una reliquia inutile, vivi il presente come un sussurro costante, non c’è storia, non c’è identità, solo flussi infiniti di dati che si cancellano, costruire una società senza radici non è un paradosso, è un metodo, e questa guida è la mappa per camminare in un tempo che non lascia tracce, sei pronto a dimenticare per davvero?

    “Guida pratica alla società senza memoria” potrebbe essere un titolo evocativo per affrontare il tema del progressivo declino della memoria collettiva nella società contemporanea. Potremmo strutturare questa guida per analizzare le cause, gli effetti e le possibili strategie per contrastare tale tendenza.

    Ecco una possibile traccia:


    Guida Pratica alla Società Senza Memoria

    1. Introduzione

    • Cos’è una società senza memoria?
      • Definizione e implicazioni.
      • Il ruolo della memoria collettiva nella costruzione dell’identità culturale.
    • Perché questo tema è importante oggi?
      • Velocità dell’informazione e cultura dell’oblio.

    2. Le Cause del Declino della Memoria

    • La tecnologia e l’oblio digitale
      • Dominio dei social media e frammentazione dell’attenzione.
      • L’archiviazione infinita come paradosso: troppi dati, poca memoria.
    • La perdita delle tradizioni
      • Globalizzazione e omogeneizzazione culturale.
      • Diminuzione della trasmissione orale e delle pratiche rituali.
    • Educazione e memoria storica
      • Programmi scolastici impoveriti.
      • Focus su competenze tecniche a scapito della formazione umanistica.

    3. Le Conseguenze della Dimenticanza Collettiva

    • Crisi identitaria
      • Smarrimento delle radici culturali e storiche.
      • Difficoltà a riconoscere errori passati per evitarli in futuro.
    • Manipolazione e disinformazione
      • La vulnerabilità a fake news e revisionismo storico.
    • Disinteresse per il futuro
      • Mancanza di una visione a lungo termine.

    4. Strategie per Ricostruire la Memoria Collettiva

    • Promuovere la consapevolezza storica
      • Valorizzare le celebrazioni e le commemorazioni.
      • Investire nella ricerca storica e nella divulgazione.
    • Innovare il sistema educativo
      • Includere l’educazione storica e culturale in modo trasversale.
      • Utilizzare la tecnologia come strumento di memoria, non di oblio.
    • Coinvolgere la comunità
      • Progetti locali di raccolta e condivisione delle memorie (archivi di quartiere, podcast, documentari).
      • Incentivare il dialogo intergenerazionale.

    5. Conclusione

    • La memoria come bussola
      • L’importanza di un equilibrio tra passato e presente.
      • La memoria non è solo un bagaglio, ma uno strumento per costruire un futuro più consapevole.

    Ti piacerebbe che sviluppassimo insieme uno dei punti di questa guida o che arricchissimo il contenuto con esempi pratici e consigli concreti?