DENTRO_ (101 articoli)

Film psicologici, thriller e opere che hanno valorizzato e approfondito gli studi di Lacan, Jung e molti altri.

  • M. Butterfly: il tetro spettacolo di David Cronenberg

    M. Butterfly: il tetro spettacolo di David Cronenberg

    Ispirandosi ad un fatto realmente accaduto, Cronenberg racconta la relazione semi-clandestina tra un diplomatico francese ed un cantante dell’opera…

    In due parole. Uno dei film meno noti di David Cronenberg: per la prima volta tanto lontano dall’estetica horror/sci-fi quanto intenso. Non cambia la poetica della mutazione (che in questo frangente è di natura prettamente sessuale) e si mostra la trasformazione umana e psichica di un protagonista: in parte, quella che il regista stesso stava attraversando.

    Il drammaturgo David Henry Hwang (sceneggiatore del film in questione) scrive la pièce teatrale M. Butterfly ispirandosi ad un singolare fatto di cronaca: un diplomatico francese venne accusato di spionaggio per via del rapporto con un’attrice dell’Opera di Pechino, la quale in sede giudiziaria si rivelò essere un uomo. Cosa ancora più singolare, l’uomo si convinse dell’impossibile, ovvero di avere avuto un figlio dalla compagna/compagno con immaginabili conseguenze sul piano mentale e psicologico: un terreno particolarmente fertile per un regista come David Cronenberg, che già in “Inseparabili” aveva giocato sul confronto tra due gemelli identici ma interiormente differenti, e che aveva a suo tempo sviscerato le proprie ossessioni in termini mentali (Scanners), medico-chirurgici (Rabid sete di sangue, Il demone sotto la pelle), ginecologici e sessuali. Un cinema improntato ad una fortissima passionalità di fondo, dunque, che in questo film mostra un’ennesima debolezza umana: noi siamo conquistati prima ancora dall’idea dell’amore e dell’amata che dalla sua concreta materialità.

    Un tema profondo che ha trovato sfogo, ad esempio, nella concettualizzazione della donna ideale da parte dell’impiegato Sam di Brazil (che immagina essere un angelo dai capelli biondi) e la sua materializzazione (una mascolina e rude camionista): in “M. Butterfly” la donna amata, che ha procurato piacere fisico e mentale al protagonista René Gallimard, si rivela essere un uomo. Questo scatena una crisi ulteriore nel personaggio, in bilico tra il dover riconoscere l’abbaglio e la fuoriuscita di una omosessualità probabilmente repressa. Del resto la visione del sesso nei film del regista canadese, almeno fino a quel punto, era improntata a mostrarne dilemmi, virtualizzazioni (Videodrome) e contraddizioni, e questo ad esempio nell’ottica della maternità, comunemente considerata l’aspetto più rassicurante del mondo femminile che assume invece parvenza da incubo (vedi il finale di Brood).  In questa sede il focus sembra spostarsi sull’uomo, sul suo dramma interiore e su un amore impossibile che si risolve nello splendido monologo finale di Jeremy Irons (che vale forse da solo l’intera visione del film).

    Non credo di scrivere eresìe se premetto, a questo punto, che probabilmente “M Butterfly” è uno dei meno immediati film, in termini di intenti, mai girati da David Cronenberg (senza parlare di vera e propria complessità). Quello che intendo prescinde da un discorso prettamente visivo o allucinatorio tipico del cinema del regista canadese (e che qui manca del tutto): l’intensità della storia, un dramma che si sviluppa inesorabile con i punti interrogativi che assillano lo spettatore fino alle ultime sequenze, rendono questo film in qualche modo un unicum. Non è la prima volta che Cronenberg si rifà a modelli letterari pre-esistenti, ma è probabilmente il primo caso in cui l’orrore non viene “esploso” brutalmente sullo schermo ma rimane splendidamente interiore. Del resto la storia ruota su un evento che cambierà per sempre la vita del protagonista, spazzandone via illusioni, equilibrio mentale e identità: una dinamica che ricorda la progressiva demolizione dei personaggi di una tragedia classica (oltre che di altri capolavori del regista, su tutti “La mosca”), e che non lascerà indifferente lo spettatore.

    Un film giocato sulle consuete ambiguità cronenberghiane, a cominciare dal titolo “M Butterfly” che sembra rimanere volutamente sospeso tra “Madame” e “Monsieur”, e che esprime senza retorica o virtuosismi inutili il dramma di un uomo (o di una donna) e di un amore impossibile.

  • Psycho di Hitchcock è il padre putativo di tutti gli slasher

    Psycho di Hitchcock è il padre putativo di tutti gli slasher

    Walt Disney, durante i primi anni 60, rifiutò di consentire a Sir Alfred Hitchcock di girare a Disneyland, perché a suo dire il regista aveva girato “quel film disgustoso, ‘Psycho‘”.

    “Psycho” è un celebre film thriller psicologico del 1960 diretto da Alfred Hitchcock. Ecco alcune informazioni chiave sul film:

    Cast Principale:

    • Anthony Perkins nel ruolo di Norman Bates
    • Janet Leigh nel ruolo di Marion Crane
    • Vera Miles nel ruolo di Lila Crane
    • John Gavin nel ruolo di Sam Loomis
    • Martin Balsam nel ruolo del detective Arbogast

    Storia: La storia ruota attorno a Marion Crane, una segretaria che ruba una grossa somma di denaro e decide di fuggire dalla città. Durante il suo viaggio, si ferma al Bates Motel, gestito da Norman Bates, un uomo con una relazione misteriosa con sua madre. Ciò che segue è un intreccio di suspense, omicidi e psicologia distorta.

    Regia: “Psycho” è stato diretto da Alfred Hitchcock, uno dei più grandi maestri del cinema thriller e suspense. Hitchcock è noto per la sua maestria nella creazione di tensione e atmosfera nel suo lavoro, e “Psycho” non fa eccezione.

    Produzione: Il film è stato prodotto dalla Paramount Pictures ed è stato realizzato con un budget relativamente limitato. Hitchcock ha scelto di girare in bianco e nero, il che ha contribuito a creare un’atmosfera tesa e angosciante.

    Stile: Il film è noto per il suo stile visivo unico e l’uso innovativo della musica, creata da Bernard Herrmann. La colonna sonora è stata cruciale per creare un’atmosfera angosciante e incalzante nel corso del film.

    Sinossi: Marion Crane decide di rubare una grande somma di denaro e fuggire dalla città. Durante il suo viaggio, si ferma al Bates Motel, dove conosce Norman Bates, il misterioso gestore dell’albergo. La storia prende una svolta oscura quando Marion scompare e un investigatore privato viene incaricato di trovarla.

    Curiosità:

    • Il film è basato sul romanzo omonimo di Robert Bloch, che a sua volta si ispirò ai crimini reali di Ed Gein, un serial killer noto per le sue abitudini macabre.
    • La scena della doccia, in cui Marion viene uccisa, è una delle sequenze più iconiche nella storia del cinema ed è stata girata con grande attenzione ai dettagli e montata in modo magistrale.
    • Hitchcock fece in modo che il pubblico non entrasse nella sala cinematografica una volta iniziato il film, una mossa insolita all’epoca, per preservare l’effetto sorpresa della trama.

    “Psycho” è un film che ha rivoluzionato il cinema thriller e ha influenzato generazioni di registi. La sua combinazione di suspense, psicologia e suspense visiva lo rende un classico immortale.

    Recensione di Psycho di A. Hitchcock (1960)

    L’esperienza di vedere Psycho oggi, a più di sessant’anni dalla sua uscita, rientra in quelle necessità cinefile inderogabili che non si possono raccontare senza ambiguità: per quanto sia stato scritto in lungo e in largo su questo film, del resto, rivederlo fa sempre “bene alla salute” e ci ricorda qualcosa di molto importante (che nessuno inventa mai nulla, o che il gioco dei ricicli del cinema di genere parte probabilmente in quegli anni). Una forma di ispirazione che è tutt’altro che formale o didascalica, bensì perfettamente concreta: Psycho riesce nello scopo di incollare lo spettatore alla poltrona, ancora oggi e nonostante tutti (si spera) conoscano il trick nascosto nelle sue maglie narrative (la figura della madre del protagonista).

    Sir Alfred Hitchcock desiderava così tanto realizzare questo film che ha rinviato il suo stipendio standard di $ 250.000 invece del 60% dell’incasso del film. La Paramount Pictures, credendo che questo film sarebbe andato male al botteghino, fu d’accordo. I suoi guadagni personali da questo film hanno superato i $ 15 milioni. Adeguato all’inflazione, tale importo sarebbe di $ 131 milioni nel 2020 dollari.

    Secondo l’analisi proposta da Slavoj Zizek in Guida perversa il cinema, i tre piani della casa in cui è ambientato il film corrispondono a tre, corrispondenti, livelli psicoanalitici: al piano terra troviamo la realtà, ciò che appare e ciò che sembra a prima vista. L’es o istinto freudiano si troverà nel piano inferiore mentre il superio sarà localizzato a quello superiore.

    La questione della localizzazione dei luoghi in termini di stato d’animo e potenziale mood dei personaggi è fondamentale per comprendere la più effettiva chiave di lettura di Psycho: che (un po’ come ha fatto Hellraiser per il genere horror) è un thriller seminale, che ha finito per condizionare in un modo e nell’altro generazioni di cineasti e di cinefili, oltre a porre la questione della paura dell’ignoto su un piano non più alieno (come ne L’invasione degli ultracorpi, ad esempio) bensì su uno perfettamente umano, basato sulla quotidianità del vissuto. Con un finale che più imprevedibile e devastante non si potrebbe, tanto che quando il cast e la troupe hanno iniziato a lavorare il primo giorno, hanno dovuto alzare la mano destra e promettere di non divulgare una sola parola della storia. Hitchcock ha nascosto al cast la parte finale della sceneggiatura fino a quando non ha avuto effettivo bisogno di girarla. Di più: ha acquistato i diritti del romanzo in modo anonimo da Robert Bloch per  $ 9.000, e pare abbia acquistato quante più copie possibile del romanzo, per mantenere massimamente segreto il finale.

    Il film è stato in gran parte realizzato perché Sir Alfred Hitchcock era stufo dei film ad alto budget e costellati di star che aveva recentemente realizzato e voleva sperimentare lo stile più efficiente e più scarno del cinema televisivo. Alla fine ha utilizzato una troupe composta principalmente da veterani della televisione e attori e attrici assunti meno noti di quelli che usava di solito. In particolare, La donna che visse due volte (1958), che in seguito fu acclamato come un capolavoro, fu considerato un fallimento eccessivo e sovradimensionato. E mentre Intrigo internazionale (1959) è stato salutato come un capolavoro ed è stato un successo, è stata una produzione enorme, ed è stata anche molto lunga e costosa. Quindi Hitchcock ha deciso di ridimensionare le cose per il suo prossimo film. Inoltre, nello stesso periodo, il suo rivale, il regista di film noir e new wave francese Henri-Georges Clouzot, colpì il bersaglio e creò scalpore al botteghino con il classico I diabolici (1955). Tutti i critici hanno detto che Clouzot aveva superato Hithcock Hitchcock, e questo ha presentato un confronto che Hitchcock non poteva rifiutare. Diabolique era un film indipendente su piccola scala, grintoso, in bianco e nero, quindi Hitchcock ha deciso di superare Diabolique Diabolique e ha diretto il suo progetto in bianco e nero su piccola scala e grintoso: quello era Psycho.

    Difficile trovare un altro thriller che sia riuscito nell’intento di intrigare e terrorizzare in modo così netto, senza fronzoli ed elegante.  Tanto è stato il fascino che ha esercitato questo film che si tratta di uno dei pochi casi in cui è stato proposto un remake shot-to-shot, fatto esattamente sulla sequenza voluta da Hitchcock e diretto nel 1998 da Gus Van Sant. Un esperimento quasi unico nel suo genere che varrebbe tutto sommato la pena di rivedere, per quanto l’originale rimanga per ovvie e scontatissime ragioni una pietra miliare del suo genere – anche se forse non il miglior film in assoluto di Alfred Hitckcock, nato nel 1899 e morto nel 1980, con la bellezza di 56 lungometraggi all’attivo (senza contare i corti ed i lavori per la TV).

    Seguono curiosità sparse sul film.

    Pare che Sir Alfred Hitchcock fosse così soddisfatto della colonna sonora di Bernard Herrmann che ha raddoppiato lo stipendio del compositore pagandolo 34.501 dollari dell’epoca. Hitchcock in seguito arrivò a sostenere  che il 33 percento dell’effetto di Psycho fosse dovuto alla musica.

    Nella scena iniziale, Marion Crane indossa un reggiseno bianco perché Sir Alfred Hitchcock voleva mostrarla come “angelica”. Dopo che ha preso i soldi, la scena seguente la vede in un reggiseno nero perché ora ha fatto qualcosa di sbagliato e malvagio. Allo stesso modo, prima di rubare i soldi, ha una borsa bianca. Dopo che ha rubato i soldi, la sua borsa è nera.

    Anthony Perkins e Janet Leigh hanno affermato che non gli importava di essere stereotipati per sempre a causa della loro partecipazione a questo film. Hanno detto nelle interviste che avrebbero preferito essere stereotipati ed essere ricordati per sempre per questo film classico piuttosto che non essere ricordati affatto.

    Il regista Sir Alfred Hitchcock originariamente aveva immaginato la sequenza della doccia come completamente silenziosa, ma Bernard Herrmann è andato avanti e l’ha segnata comunque, e dopo averla ascoltata, Hitchcock ha immediatamente cambiato idea.

    Quando uscì al  cinema, Hitchcock diede disposizione che ogni gestore fosse messo a conoscenza del fatto che era vietato, per gli spettatori, entrare dopo l’inizio del film. A rischio della vita del gestore, diceva ironicamente l’avviso distribuito all’epoca. Per garantire che le persone fossero nei cinema all’inizio di questo film, aveva fornito un disco da riprodurre nell’atrio dei cinema. L’album conteneva musica di sottofondo, interrotta periodicamente da una voce che diceva “Dieci minuti all’inizio di Psycho”, “Cinque minuti all’inizio di Psycho” e così via.

    Sebbene Janet Leigh non sia stata infastidita dalle riprese della famosa scena della doccia (anche se ha usato un controfigura), vederla nel film l’ha profondamente commossa. In seguito ha osservato che le ha fatto capire quanto fosse vulnerabile, a suo stesso dire, una donna sotto la doccia. Fino alla fine della sua vita, ha sempre preferito il bagno, da quello che sappiamo.

    Dopo l’uscita di questo film, Sir Alfred Hitchcock ha ricevuto una lettera arrabbiata dal padre di una ragazza che si rifiutava di fare il bagno dopo aver visto I diabolici (1955), e ora si rifiutava di fare la doccia dopo aver visto questo film. Hitchcock ha rispedito un biglietto dicendo semplicemente: “Mandala in tintoria“.

    La Paramount Pictures ha dato a Sir Alfred Hitchcock un budget molto ridotto con cui lavorare, a causa del loro disgusto per il materiale originale. Hanno anche rimandato la maggior parte degli incassi al botteghino a Hitchcock, pensando che il film sarebbe fallito. Non è andata esattamente come si pensava.

    Quando Norman si rende conto per la prima volta che c’è stato un omicidio, grida: “Madre! Oh Dio! Dio! Sangue! Sangue!” Sir Alfred Hitchcock ha rimosso le frequenze dei bassi dalla voce di Anthony Perkins per farlo sembrare più un adolescente spaventato.

    Uno dei motivi per cui Sir Alfred Hitchcock ha girato il film in bianco e nero era che pensava che sarebbe stato a colori troppo cruento. Ma il motivo principale era che voleva realizzare il film nel modo più economico possibile (meno di un milione di dollari). Si chiedeva anche se così tanti film “B” in bianco e nero brutti, fatti a buon mercato andassero così bene al botteghino, cosa sarebbe successo se fosse stato realizzato un film in bianco e nero davvero buono, fatto a buon mercato.

    Il romanzo da cui è tratto questo film è ispirato alla storia vera di Ed Gein, un serial killer a cui si ispirano anche Deranged – Il folle (1974), Non aprite quella porta (1974) e Il silenzio degli innocenti (1991 ).

    Come finisce Psycho (avviso spoiler)

    Alla fine del film, scopriamo che Norman Bates è il vero assassino di Marion Crane. Poteva sembrare ovvio, per certi versi, ma c’è una svolta sorprendente: Norman soffre di disturbo dell’identità e presenta una personalità dissociata, che crede letteralmente di essere sua madre. La madre di Norman è morta da anni, ma egli ne ha preservato il cadavere e vive il cadavere in casa.

    L’omicidio di Marion è stato commesso da Norman mentre era nella personalità della madre. Questo spiega perché non ricorda nulla degli omicidi. Il film si conclude con Norman rinchiuso in un istituto psichiatrico, mentre una voce fuori campo riflette sulla sua condizione psicologica e sugli orrori che ha commesso.

  • Profondo rosso: recensione in 1099 parole (con foto dei luoghi)

    Profondo rosso: recensione in 1099 parole (con foto dei luoghi)

    Il capolavoro di Dario Argento, forse la migliore sintesi di tutti i suoi ingredienti orrorifici e di suspance.

    In breve: il capolavoro del giallo-horror, la sua espressione più nota al grande pubblico. Un successo internazionale che consacra Argento come mago dell’orrore e della suspance.

    Magia. Il solo modo per definire oggi “Profondo rosso“, pur rischiando di sconfinare nella più stereotipata e vuota retorica: un capolavoro senza tempo, la summa della perfezione del cinema thriller, che si contamina con l’horror senza dimenticare, come invece accade oggi, le sue radici puramente giallistiche. Ancora adesso osannato dai fan del genere (e non solo) e da parte della critica cosiddetta seria, ivi compresi gli spettatori più smaliziati che ogni volta si divertono ad evidenziare le incongruenze e le ingenuità dei cosiddetti b-movie. Profondo rosso, pur essendo assimilato ad un certo sottogenere horror che non faceva dei budget elevati il proprio punto di forza, non dovrebbe nemmeno rientrare nella categoria essendo, per sua definizione, forma e sostanza, fuori norma.

    Ma qui non si puo’ scomodare la serie B per nessuno motivo: si rischia di fare un torto enorme a quello che diventerà, da questo momento in poi, il guru del cinema “di paura” nostrano. Ancora devo conoscere una persona che osi – è proprio il caso di dirlo – trovare un aspetto discutibile o fatto male in questo autentico masterpiece del terrore: il fiore all’occhiello di Dario Argento, senza dubbio la sua opera più amata e più ricca di sequenza indimenticabili.

    Da un lato viene rappresentata la normale ordinarietà di un musicista jazz (Marcus/Hammings), di una giornalista attratta da lui (Gianna/Daria Nicolodi), di un commissario di polizia che indaga su una morte misteriosa e di qualche altro personaggio apparentemente qualsiasi: dall’altra la sofferenza del debole musicista Carlo, l’identità di un assassino crudele (uno dei più inquietanti mai realizzati nel cinema, a mio modesto parere), l’incontro casuale con il Male della medium (Helga/Macha Merìl) che lo identifica e ne rimane traumatizzata (oltre che uccisa). Altri marchi di fabbri caratterizzanti il giallo: personaggi che pervengono alla verità componendo frammenti di ricordi. Vittime che vengono colpite a morte spaccando, tipicamente, infissi delle finestre.

    Tra le scene di culto: la rassegna di armi del maniaco in primissimo piano su una stoffa rossa, la morte attraverso le schegge di una finestra, la decapitazione con una collana impigliata nell’ascensore, i denti di una vittima sfracellati sullo spigolo di un camino, un pupazzo a molla che preannuncia l’arrivo del maniaco, i sadici colpi di machete sul corpo di una donna, l’ustione con successivo annegamento nella vasca da bagno. Un campionario dell’orrore che culmina con la lucertola trafitta da uno spillo, il disegno murato nella “casa del bambino urlante“, lo specchio “rivelatore” della verità (anche in chiave psicoanalitica: per scoprire la verità dobbiamo guardare dentro noi stessi, anche a costo di rivelazioni dolorose o sgradevoli), una testa spappolata sotto la ruota di una Lancia Beta Cupè, un corpo trascinato da un autocarro Fiat 643: in altre parole il film in toto, nel suo incedere chirurgico, crudele ed incalzante, per la bellezza di due ore di incredibile Cinema.

    Profondo rosso” si sviluppa come una spira velenosa, un serpente affascinante e pauroso al tempo stesso, che avvolge lo spettatore da più parti facendo scattare un gioco di sospetti, di parole non dette, di confessioni mancate, di insospettabili complici intervallati da esecuzioni macabre, violentissime e mai come adesso “artistiche”. Il killer protagonista conduce i personaggi, in parte consapevoli ma comunque schiavi di un Male subdolo ed incosciente, come un mastro burattinaio, creando i presupposti per uno dei più geniali doppi finali mai concepiti dal regista romano. E questi ultimi, fino ad oggi, sono il suo marchio di fabbrica, il motivo per cui Argento è  da considerarsi anche solo di poco superiore, quantomeno in passato, a tutti i suoi diretti concorrenti (Fulci e Lenzi in primis, ma ovviamente si tratta di confronti solo “di facciata” che non vogliono sminuire nessuno).

    Se avete vissuto sulla Luna fino ad oggi e non avete mai visto Profondo rosso (che mi guardo bene dallo spoilerare, nonostante ci sia un’edizione in DVD che brucia il finale addirittura sulla foto di copertina), basta una capatina nel più vicino negozio o videoteca per rimediare e redimervi dal peccato. Se invece avete già visto Profondo Rosso, adesso vi sembrerà di sentire la colonna sonora dei Goblin: la, la, la, lalala…

    10 curiosità sul film

    Esterni girati a Torino

    Nonostante la storia sia ambientata formalmente a Roma, gran parte degli esterni furono girati a Torino. La scena iniziale nel teatro avvenne presso il sss, mentre gli esterni poco prima del primo omicidio sono nell’attuale piazza CLN, Comitato di Liberazione Nazionale (che all’epoca non aveva un nome, e fu sede delle SS durante la seconda guerra mondiale).

    Eccovi alcune foto recenti di piazza CLN (TO).

    Guanti e primi piani

    I primi piani sono all’ordine del giorno in questo film, tanto da risultare come marchio di fabbrica della regia. Le mani dell’assassino mentre indossa dei guanti sono state eseguite da Dario Argento in persona.

    La sequenza a piazza CLN

    Nella scena ambientata nell’attuale piazza CLN a Torino il personaggio interpretato da David Hemmings esce da un bar di notte per incontrare l’amico pianista: il bar è stato realizzato sulla base del famoso dipinto I nottambuli di Edward Hopper.

    Scene tagliate (e recuperate)

    Dopo gli 11 secondi di restauro effettuati nel 1993 per conto della Redemption, il DVD Platinum ha ripristinato la breve scena del combattimento tra due cani precedentemente scomparsa. La famosa scena della lucertola trafitta da uno spillo è tagliata malamente in alcune versioni. Nella maggioranza delle versioni internazionali le scene sono presenti (immagini tratte da movie-censorship.com)

    Ispirazione

    Stando a quanto dichiarato dallo sceneggiatore Bernardino Zapponi l’ispirazione per la realizzazione degli omicidi è stata guidata dal concepire le maniere più dolorose per procurarsi delle ferite. Il presupposto era che il dolore dovuto ad un urto accidentale con un mobile o una scottatura da acqua bollente fosse più familiare con il pubblico rispetto al classico colpo di arma da fuoco.

    …Suspiria 2

    A causa del grande successo in Giappone di Suspiria del 1977, Profondo rosso uscì col titolo Suspiria 2, per quanto tra i due film non ci sia alcun collegamento.

    I brividi di angoscia

    In Francia il film è uscito col titolo “Les Frissons de l’angoisse”, letteralmente “I brividi d’angoscia”.

    Lo store di Profondo rosso

    In via dei Gracchi a Roma (fermata metro più vicina: Lepanto) esiste il Profondo Rosso Store, il negozio ufficiale di Dario Argento (eccolo su Google Maps). Il regista vi organizza a volte eventi in loco e incontri con i fan.

  • I corsi di seduzione online non servono a niente (e lo dice la statistica)

    I corsi di seduzione online non servono a niente (e lo dice la statistica)

    In una mia precedente vita lavorativa mi venne proposto di frequentare un corso di seduzione in presenza, su “raccomandazione” di un collega che affermava pomposamente di conoscere un coach a cui voleva introdurmi. Trovavo molesto il modo di approcciare alla questione, soprattutto perchè stavamo andando a pranzo e non ricordo come eravamo arrivati a parlare dell’argomento (la dinamica non doveva essere diversa dall’equazione becera identificare un single + additarlo come sfigato, in effetti). Lo lasciai parlare per un po’, in omaggio alla dialettica lacaniana per cui il linguaggio, prima di significare qualcosa, significa per qualcuno: per questo soggetto significava molto dirmi quelle cose, dato l’ardore e la falsa empatia con cui me lo comunicava, e anche perchè (credo) avrebbe incassato una potenziale commissione sul mio futuro acquisto del corso. Alla fine non se ne fece nulla. Dopo neanche un anno da questo episodio, nemmeno lavoravo più lì.

    Mi ritrovo a ripensarci quasi quattro anni dopo.

    Su Google si trovano 2 milioni e 190 mila risultati annessi alla ricerca corso di seduzione, nelle differenti varianti di pluralità (corsi di seduzione), di genere (corsi di seduzione per uomini, soprattutto, ma ce ne sono pure per donne) oltre che su base geografica (corsi di seduzione bologna, strangolagalli, roma, palermo, milano, pocapaglia, cosenza, capracotta e via dicendo). Molti si presentano tra i risultati come coach della seduzione, ed è impossibile non osservare che scrivono addirittura di essere psicologi, in alcuni casi. Il corso di seduzione ovviamente è un presumibile percorso in cui uno impara come sedurre l’altro, sfruttando specifiche tecniche e supponendo, ovviamente, che esista una tecnica (o più di una) per farlo. Mindset, 10 modi per copulare, come guardarla dritta negli occhi, come andare direttamente al punto (che era l’ossessione primaria e il mood dominante del libretto rosso del lupo di Wall Street)

    Un corso di seduzione dovrebbe essere un tipo di programma di formazione o istruzione che mira ad insegnare agli individui come attrarre romanticamente o sessualmente potenziali partner. Questi corsi hanno la pretesa di insegnare abilità sociali, comunicazione efficace e strategie di approccio per aumentare le probabilità di successo nelle relazioni romantiche o sessuali. Alcuni di essi promuovono l’empatia, la comunicazione autentica e il rispetto reciproco come fondamentali per costruire relazioni sane (si spera), mentre altri possono concentrarsi su tattiche più maliziose o manipolative per cercare di “sedurre” qualcuno. Alcuni corsi hanno spesso sollevato preoccupazioni etiche qualora possano promuovere un comportamento coercitivo, ingannevole o (alla meglio) poco rispettoso.

    In molti contesti i corsi di seduzione sono stati oggetto di controversie e critiche, in particolare per il modo in cui possono influenzare le dinamiche di genere e la percezione delle relazioni. Tutte le volte che ho parlato dell’esistenza di questi corsi con qualcuno (a parte il soggettone di cui sopra, ovviamente) il parere unanime era che non fossero efficaci (o peggio), ma la cosa che ho trovato sempre molto curiosa è che la discussione finiva lì: forse si erano imbarazzati e pensavano ne avessi fatto uno, forse (più probabilmente) nessuno avrebbe saputo dire per quale motivo non erano efficaci.

    In alcuni casi, ad esempio, questi corsi provano a proporre elementi di linguaggio del corpo, ma anche una serie di frasi precostituite che un uomo X potrebbe dire ad una donna Y (o viceversa). In altri (mi baso sui video promozionali che ho visto, oltre che post su Twitter e Facebook) vengono promosse (soft?) skill del tipo come farti rincorrere dalla ragazza che ti piace (…rubandole la borsetta, verrebbe da ironizzare), al limite di instaurano preconcetti inconsci – tipo l’uomo è una bestia o è la puttana della donna, mutuando più o meno malamente dalla psicologia e dal mondo della leadership aziendale un po’ di terminologia, a volte prevedendo il futuro per generalizzazione (scoprirai cosa vogliono davvero le donne), senza dimenticare l’immarcescibile conquista del mindset da vero seduttore/seduttrice.

    Non è raro che il corso sia condotto da donne per uomini, da uomini per uomini e via dicendo, in tutte le combinazioni possibili (e non è da escludere che possano riguardare anche i generi non binari), e se in alcuni casi sono autentici scappati di casa, in altri sono professionisti del settore a vari livelli (terapeuti, psicologi). In alcuni casi i corsi avvengono pure in pubblica piazza, con il coach che opera dal vivo e spiega all’allievo come esercitare l’arte di seduzione sulla gente che passa in quel momento per strada.

    Nel libro Pensieri lenti, pensieri veloci dello psicologo Daniel Kahneman si trattano tematiche essenzialmente legate al mondo degli eventi statistici, con un taglio rigoroso quanto discorsivo e senza il piglio (e la supponenza) da scienza dura, rimanendo sempre ancorati ai fatti. Uno dei passaggi meno intuitivi del libro, peraltro, descrive quella che l’autore chiama scienza del “senno di poi” in questi termini, con un esempietto discorsivo:

    Sta imparando troppo da questa storia di successo, che ha un po’ troppe cose giuste al posto giusto. Si è lasciato catturare dalla fallacia della narrazione.

    E poi, poco dopo, si scrive:

    Non ho prove per sostenere che quell’azienda è gestita male. L’unica cosa che so, è che le azioni sono calate. È un bias del risultato, fatto in parte del senno di poi, in parte dell’effetto alone.

    Le affermazioni sono veritiere e verificabili quanto, in apparenza, poco logiche: come si fa a dire che uno stia “imparando troppo” da una case history di successo, ad esempio? Perchè mai non dovrei dare peso al fatto che le azioni sono calate ed hanno causato cattiva gestione? In realtà potrebbe essere un caso  di inversione causa ed effetto: potrebbe essere capitato, in altri termini, che la cattiva gestione di cui il manager era a conoscenza lo abbia depresso e indotto a comportarsi male, e non (al contrario) che il suo cattivo comportamento abbia causato cattiva gestione.

    In effetti non sembra neanche un azzardo prefigurare che un corso di seduzione specifico (non ci riferiamo a nessuno in particolare, tra quelli esistenti, tanto per sgombrare il campo da eventuali risentimenti o peggio: ne parliamo in generale) riporti una certa case history positiva, per dirla con l’autore un po’ troppe cose giuste al posto giusto. È opportuno specificare che quando le situazioni sono troppo “pulite” e prive di imprevisti sono proporzionalmente difficili da mettere in pratica, per lo stesso motivo per cui si studia nella scuola guida e poi difficilmente ti ritroverai degli incroci stradali nell’ordine in cui te li hanno presentati nel manuale. Non per altro, ma anche se uno mi fornisse un algoritmo esatto per sedurre non sono sicuro che potrei applicarlo facilmente: in gioco non ci sono singolarità, bottoni ON/OFF da accendere o spegnere. Semmai, direi, sono in ballo quelli che Deleuze e Lacan chiamano con­ca­te­na­menti di significato, contesti, persone con annesse storie ed esperienze, occasioni uniche nel loro genere, situazioni su cui spesso non sappiamo nulla a priori (possiamo avere tutta la formazione del mondo, per intenderci, ma non potremo mai evitare che il nostro crush sia già impegnato, ad esempio).

    Kahneman dedica un paragrafetto del suo monumentale libro sul funzionamento del cervello umano (distinto da pensieri lenti elaborativi vs. pensieri veloci istintivi quanto fallaci) alle famigerate ricette del successo: la statistica potrebbe essere effettivamente uno strumento utile per misurare il tasso di “acchiappo”, del resto – semplificazione becera e degna dell’argomento del giorno. Se mi si presentano tre occasioni e le fallisco tutte, ad esempio, invece di dannarmi l’anima a capire cosa ho sbagliato potrei pensare di allargare il campione e porre N=100 o N=1000 tentativi, anche perchè il corretto calcolo della probabilità evidenzia la necessità di una adeguata numerosità del campione. Anche se non incontrerò mai 1000 super modelle o sosia di Jason Mamoa, per intenderci, nel lungo periodo mi ritroverò all’incirca una metà di casi potenzialmente favorevoli (e se consideriamo che molte esclusioni comportano che siamo noi a dire di no, ogni tanto, rilevarlo è quantomeno consolatorio). Non serviva un manuale per capirlo, a pensarci, che non fosse al limite uno di statistica e probabilità. Sui piccoli numeri, al contrario, non concludiamo quasi mai nulla: è quando si arriva a numerosi tentativi che le cose diventano interessanti, e non vale solo nella seduzione (qualsiasi cosa si voglia intendere con questa parola, in effetti).

    Kahneman parla anche dell’illusione di aver capito il passato come ingrediente (tossico e fuorviante) per cui ci convinciamo, senza motivo, di aver “imparato la lezione” per il futuro, controllandolo. Come se in futuro si ripeteranno le stesse circostanze, come se il futuro diventasse nostro solo perchè abbiamo attribuito un senso all’esperienza. Sono illusioni confortanti, se non altro, a volte servono a ridurre l’ansia per l’incertezza, ma in generale sarebbe molto più utile imparare a gestire l’ansia un po’ per volta (magari mediante psicoterapia, mi permetto di sottolineare per esperienza diretta). L’autore fa poi l’esempio di blasonati quanto ingannevoli libri di management che mostrano le 10 aziende che hanno avuto successo, invitando i CEO a prendere esempio e replicandolo. 10 aziende scelte perchè hanno avuto successo e che quindi per forza ne avranno, magari dopo averne scartate altre 990 che tanto di successo non erano.

    Del resto il vituperato principio di imitazione – nello specifico l’idea libertaria o liberale che un pinco pallino qualsiasi possa avere successo imitando beceramente la gente che è considerata cool – sulle prime sembra che non presenti nulla di anomalo, anzi. Se ha funzionato per te, perchè non dovrebbe funzionare per me? Provate ad applicarlo quando vedete il palleggio virtuoso di un giocatore di serie A e capiterete cosa intendo. Statisticamente parlando, insomma, ci sono vari errori e bias cognitivi in ballo se decidiamo di seguire questo approccio: chiaro, è evidente che esiste un’influenza tra le scelte del CEO ed il fatturato aziendale, così come le nostre azioni quotidiane condizionano il fatto di rimanere single per X anni o al contrario innamorarci della collega del piano terra. Ma non possiamo controllare tutto e non abbiamo tutto questo potere in mano, alla fine. Al netto del contesto (che è un bel mattoncino da considerare nella sua interezza, e che si potrebbe riassumere nella massima sbrigativa non possiamo controllare tutto, e prima lo accettiamo meglio sarà), entra pure in ballo la  fallacia della narrazione, un ulteriore livello di randomicità che molti scienziati e saggisti hanno evocato per riferire la falsa attribuzione di cause agli eventi, l’illusione di aver capito qualcosa, l’idea che una narrazione accattivante sia pure realistica, l’idea che A provoca B quando in realtà le correlazioni sono quasi sempre randomiche, non causali (esiste una correlazione spuria totalmente insignificante tra il numero di morti per annegamento ed il numero di film girati da Nicholas Cage).

    Consultare o seguire metodi di seduzione facendone uso in senso propositivo può sembrare sulle prime un’idea creativa, quasi divertente, ed è anche fuori di dubbio che esistano almeno un po’ di casi di successo in tal senso. Il problema è che sono comunque affetti dal bias del risultato: significa che tendiamo a considerarli validi perchè hanno prodotto un risultato favorevole, ma questo non vuol dire affatto che sia stata una buona idea farne uso a monte. Molte relazioni iniziano malamente e finiscono peggio anche per questo motivo, ed è comune che uno possa pentirsi di aver preso quel maledetto caffè quel giorno, per poi ritrovarsi con un partner geloso e indisponente al seguito. Senza contare che il tutto si somma ad un potenziale effetto alone, che si esplica nel percepire un tratto basandosi su un parametro errato che non c’entra niente: giudicare l’intelligenza in base all’aspetto fisico, ad esempio, oppure la seduttività mediante il numero di ore giornaliere connessi online.

    La positività e negatività di un approccio di seduzione qualsiasi, in altri termini, è soggetto alla valutazione ed al coinvolgiment di fattori non misurabili (su tutti, il benessere dei soggetti coinvolti) e non andrebbe pertanto affidato a nostro avviso a considerazioni troppo semplicistiche o biased. Questo discorso potrebbe non aver convinto il lettore reduce dal centoquattordicesimo due di picche consecutivo, ma (anche qui) è plausibile che ci sia un bias di campionamento di mezzo: il motivo dei continui fallimenti potrebbe essere legato all’aver escluso (magari inconsciamente) tutte le situazioni favorevoli, limitandosi a considerare quelle negative, assaporando (si fa per dire, ovviamente) la pluri-citata profezia che si autoavvera.

    Non se ne esce facilmente, insomma: l’unica cosa che sappiamo scientificamente è che allargando il campione le probabilità favorevoli prima o poi arrivano, anche perchè esiste il fenomeno di regressione alla media che tende a distribuire  il numero di lanci della moneta tra testa e croce in modo globalmente uniforme (senza che ciò implichi che i casi si “bilanciano”, perchè altrimenti si scivolerebbe nella fallacia del giocatore). Prima o poi, insomma, su lungo periodo qualcosa di buono arriva. Se ci mettiamo a manipolare il campione come io stesso ho fatto per anni, ovviamente, i tempi possono diluirsi un po’ (si spera non troppo).

    L’amore è legato alla fortuna, in fondo: si tratta di un tabù che la società tecnologica e accelerata come quella in cui viviamo non riesce a riconoscere senza diventare isterica, o tende addirittura a negare o ad attribuire ad una “mancata formazione” in ambito seduttivo o allo scarso uso di app di dating. Dubito che la persona che mi propose quel corso con quel modo viscido o passivo-aggressivo fosse troppo esperto della materia, peraltro: a suo stesso dire, a ripensarci, aveva sposato una vicina di casa da ragazzino, e non dava comunque, di per sè, esattamente l’idea di essere l’uomo di mondo che non deve chiedere mai.

    L’ingiustamente vituperata fortuna, del resto, sembra ancora un retaggio odioso e ripugnante, e quanto è antipatico Gastone e quanto è simpatico Paperino, ma andrebbe probabilmente rivalutata nell’ottica di Richard Wiseman,  psicologo sociale orientato (anche qui) sulla statistica, che nel suo libro di auto-aiuto Fattore fortuna suggerisce come, per certi versi, per essere più fortunati nella vita basti (si fa per dire) provarci un po’ di più, in molti casi. Ovviamente bisogna considerare anche ciò che significa per noi soggetti, senza mai sentirci cavie di un progetto malefico: oppure, se preferite, senza mai sottovalutare il nostro vero stato d’animo.

    Una cosa che si impara esclusivamente a proprie spese, del resto.

    Foto di Thomas Bormans su Unsplash

  • L’Anti-Edipo di Deleuze-Guattari illustrato da un’intelligenza artificiale

    L’Anti-Edipo di Deleuze-Guattari illustrato da un’intelligenza artificiale

    Vedere l’Anti-Edipo: vedere un corpo senza organi. Guardalo sul serio, crearne uno. Meglio: chiedere ad una macchina digitale di creare una macchina desiderante. Sembra quella di Matrix. Ci abbiamo provato con Midjourney e questo è il (notevole) risultato. Illustrare Deleuze e Guattari mediante l’interpretazione di una macchina, letteralmente.

    L’Anti-Edipo è un’opera filosofica scritta da Gilles Deleuze e Félix Guattari che esplora le dinamiche del desiderio, del potere e dell’inconscio. È un testo complesso che critica le teorie psicoanalitiche di Freud e cerca di ridefinire la relazione tra individuo e società. Un’intelligenza artificiale può offrire una prospettiva interessante sull’Anti-Edipo, analizzando e sintetizzando i concetti chiave.

    Questo testo affronta la natura della soggettività, il funzionamento del desiderio e la struttura del potere. Un’intelligenza artificiale potrebbe esaminare come Deleuze e Guattari sfidano la psicoanalisi tradizionale, proponendo una visione del desiderio come forza sociale e individuale che va oltre le costrizioni culturali. Di suo, un’IA potrebbe utilizzare esempi e analogie per rendere più accessibili concetti complessi come la “macchina desiderante” o il concetto di “Corpo senza Organi” (CsO), facilitando così la comprensione per chiunque si avvicini per la prima volta a queste idee. La tecnologia può pertanto aiutare a scomporre concetti complessi e a offrire una panoramica degli argomenti trattati in Anti-Edipo.