Ospite Inatteso

  • CAM: la webcam e il suo doppio

    CAM: la webcam e il suo doppio

    Nel buio scolorito di una stanza che ha le tapparelle giù, la webcam accesa come un occhio che non dorme, vediamo Cam (2018) di Daniel Goldhaber. Alice Ackerman: cam-girl, alias “Lola_Lola”, coltiva la sua classifica, i token, quei gettoni-moneta che “valgono” lo sguardo altrui. Ma un mattino scopre che il suo account è attivo, lo streaming prosegue… senza di lei. (IMDb)

    La sua identità, costruita insieme al suo corpo-schermo, viene duplicata, replicata, esposta: è com’è quando il soggetto scopre che il simbolico gli scivola via, che l’immagine che credeva padrona lo sorpassa. E qui, il capitalismo digitale non è sfondo: è substrato. Il lavoro sessuale online è lavoro d’immagine, lavoro di sé, lavoro di mercificazione del desiderio — e Alice lo sa. Ma quando la macchinetta (la piattaforma, lo streaming, l’algoritmo) la sostituisce, la vera catastrofe non è tanto lo sfruttamento — quello lo vive ogni giorno — ma la perdita di sé in un sistema che la trasforma da soggetto a oggetto-replica.

    Riferimenti visibili, costanti: lo username “Lola_Lola”, i numeri della classifica, lo show-in diretta che esplode. E poi, la citazione palese a Alice’s Adventures in Wonderland: Alice come protagonista, “MadHatter” e “MrTeapot” come alias online. (IMDb) È come se Alice scendesse nella tana del web, credendo di controllare lo specchio, e invece vedesse rispecchiarsi un duplicato che la svuota.

    Quando Alice affronta il «fake» Lola, invita il doppio in live e chiede: chi è tu? E chi sono io? Il soggetto-lavoratore digitale, che credeva di possedere la piattaforma, scopre di esserne posseduto. E quel taglio al proprio naso, quell’auto-ferita simbolica, è l’ultimo tentativo di restaurarsi non come immagine ma come carne, come soggetto. La morale non sta nella fine (che rimane aperta) ma nell’atto stesso di resistenza: cancellare l’account, ricominciare come “Emily Ramsay”… e dunque trasformare la piattaforma in un nuovo simulacro, un nuovo campo di lotta.

    Ecco: in Cam non si tratta semplicemente di voyeurismo o di horror telematico, ma della materialità del soggetto – la sua visibilità, la sua rappresentazione, la sua sostituzione – dentro un sistema che chiede: sii mostrato, sii visto, ma quando lo sei davvero, non sei più tu.

    Foto di Utente:Michaelapratt – screenshot autoprodotto, Copyrighted, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=7847125

  • Taxi Driver (1976) – Regia di Martin Scorsese

    Taxi Driver (1976) – Regia di Martin Scorsese

    Taxi Driver (1976)
    Regia di Martin Scorsese

    Travis Bickle guida il suo taxi nella notte di New York come se la città fosse un organismo ostile da cui separarsi. Ogni strada sporca, ogni neon tremolante, ogni incontro con prostitute e tossicodipendenti è un frammento di un mondo che non lo riconosce, che non lo vuole. La sua cresta, improvvisa e aggressiva, non è moda: è il gesto che dichiara la frattura con la normalità, il segnale visibile della tensione accumulata, del desiderio che esplode senza mediazioni. Non ride, non parla: agisce.

    Rick, ehm, Travis — perdonami, l’attore De Niro — diventa un simbolo della solitudine estrema, di un uomo che cerca un ordine impossibile in un caos che non gli appartiene. La sua ossessione per Betsy, e poi la decisione di salvare Iris, non sono romanticismi: sono tentativi disperati di incidere sul mondo, di ripristinare un senso che è stato negato, di farsi vedere dove nessuno lo guarda. La violenza finale, improvvisa e totale, non è catarsi, è manifestazione della frustrazione e della decisione di imporre la propria legge in un mondo che non ne ha più.

    In fondo, Taxi Driver non racconta solo un uomo, racconta la città, il tempo, l’aria pesante di una società in disfacimento. E quella cresta, quel gesto improvviso, è l’immagine perfetta: ribelle, aggressiva, isterica, eppure tragicamente sola.


    Travis Bickle è un reduce del Vietnam, un uomo che si sente estraneo alla società, un “non soggetto” che si muove in una metropoli notturna e alienante. La sua discesa nell’oscurità psicotica è il riflesso di una crisi collettiva: la fine del sogno americano, l’illusione di un ordine sociale ormai dissolto. Il suo taxi diventa il luogo di una solitudine radicale, una cella di isolamento in cui la realtà si frantuma e la violenza emerge come unica risposta al caos.

    Il film si apre con una panoramica su una New York sporca e decadente, un paesaggio urbano che sembra rispecchiare l’interno disgregato di Travis. La sua routine notturna lo porta a contatto con la miseria umana: prostitute, tossicodipendenti, criminali. Ogni incontro è un frammento di un mondo che non riconosce più come suo. La sua ossessione per Betsy, una volontaria in una campagna politica, diventa il simbolo di un desiderio irraggiungibile, un ideale che non può essere raggiunto.

    La figura di Iris, una giovane prostituta interpretata da Jodie Foster, rappresenta la purezza perduta, l’innocenza che Travis cerca di salvare. La sua missione di “pulizia” diventa un atto di redenzione personale, ma anche un gesto di violenza che riflette la frustrazione di un individuo incapace di trovare un posto in una società che lo ha emarginato.

    Il film si conclude con un atto di violenza che sembra restaurare un ordine, ma che in realtà conferma l’assenza di senso. Travis diventa una sorta di eroe locale, ma la sua vittoria è vuota, un’illusione che nasconde la continua disgregazione del soggetto. La scena finale, in cui Travis guida il suo taxi con un sorriso soddisfatto, è un’immagine inquietante di un uomo che ha trovato la sua “via d’uscita”, ma a quale prezzo?

    Trivia IMDb:

    • Robert De Niro ha lavorato per un mese come tassista notturno a New York per prepararsi al ruolo. Durante questo periodo, ha incontrato un attore in difficoltà che lo ha riconosciuto come De Niro, dimostrando quanto fosse immerso nel personaggio. IMDb

    • La sceneggiatura di Paul Schrader è stata parzialmente autobiografica, ispirata a un periodo in cui ha sofferto di un esaurimento nervoso vivendo a Los Angeles. IMDb

    • Jodie Foster, all’epoca dodicenne, non poteva partecipare alle scene più esplicite del film, ma la sua interpretazione ha comunque contribuito a rendere il personaggio di Iris memorabile.

  • C’era una volta a Hollywood… di Quentin Tarantino

    C’era una volta a Hollywood… di Quentin Tarantino

    A Los Angeles, 1969, Rick Dalton, attore televisivo in declino, e Cliff Booth, la sua controfigura, si trovano a fronteggiare un’industria cinematografica in rapida evoluzione. Rick, noto per il ruolo da protagonista in una serie western degli anni ’50, cerca di adattarsi al cambiamento, mentre Cliff, con un passato misterioso, si accontenta di lavori occasionali. I due condividono un legame profondo, tra alcol e nostalgia, mentre cercano di ritagliarsi uno spazio in un’Hollywood che non riconoscono più.

    La vicinanza con Sharon Tate e Roman Polanski, nuovi vicini di casa, offre a Rick una speranza di rilancio. Nel frattempo, Cliff si imbatte in una comunità hippy al ranch Spahn, dove un incontro con George Spahn, il proprietario cieco, e un confronto con alcuni membri della comunità, tra cui Tex, Clem e Sadie, mettono in luce le tensioni latenti.

    Il film si sviluppa come un affresco della fine di un’epoca, mescolando realtà e finzione, e culmina in un finale che riscrive gli eventi storici, offrendo una visione alternativa degli omicidi di Cielo Drive.


    Trivia IMDb:

    • Il personaggio di Flowerchild è basato su una testimone reale degli omicidi della famiglia Manson.

    • Sharon Tate, prima della sua morte, aveva dato al marito Roman Polanski una copia del libro “Helter Skelter”, dicendo che sarebbe stato un ottimo film.

    • Leonardo DiCaprio ha avuto difficoltà a interpretare la scena in cui Rick Dalton recita, poiché doveva interpretare un attore che recita, creando un doppio strato di finzione.

  • L’ape regina: sono andato in bianco, e sono contento

    L’ape regina: sono andato in bianco, e sono contento

    Alfonso decide di sposare Regina, dopo una vita da quarantenne single. L’uomo è convinto di aver trovato la donna perfetta, dato che si mostra sincera e riservata, tanto da non concedersi a lui prima del matrimonio. Dopo essersi sposati, le cose cambiano…

    In breve. Un climax senza sconti sugli effetti del bigottismo sulla società, con un indimenticabile Ugo Tognazzi in un ruolo ineditamente drammatico. Da non perdere.

    L’ape regina, rinominato “Una storia moderna: l’ape regina” dopo l’intervento della censura dell’epoca (siamo nel 1963), è un film grottesco da collocarsi nella complessa poetica del regista Marco Ferreri, che va da La grande abbuffata fino al più criptico Dillinger è morto, con numerose ulteriori opere espressione di un linguaggio complesso, mosso su vari registri e quasi sempre socialmente / politicamente impegnato. Il punto di vista contenuto ne L’ape regina (film per cui Marina Vlady vinse come miglior interprete femminile, e Ugo Tognazzi ebbe un Nastro d’Argento come Migliore attore protagonista) è quantomeno insolito, perchè narra di una neo coppia apparentemente “media”, per cui si disvela un inquietante scenario. Uno scenario in cui l’unico modo per cui la donna possa avere la meglio è, di fatto, quello di “allearsi” al cattolicesimo imperante – il film venne rimaneggiato e censurato dopo la sua uscita, ovviamente.

    Lo sai perchè sono contento? Perchè sono andato in bianco!

    By [1], Fair use, https://en.wikipedia.org/w/index.php?curid=36692171
    Subito dopo il matrimonio, infatti, vediamo sbucare fuori la reale natura di Regina: molto religiosa (devota a una santa barbuta), obbliga il consorte ad abitare vicino al Vaticano, si mostra compiacente rispetto all’invasività nella coppia dei parenti di lei, oltre che condizionante sul carattere di Alfonso (uomo che si rivela fragile, insofferente al bigottismo quanto facile da plagiare). Vediamo la quotidianità ed intimità della coppia, che sembra fatta in apparenza di passione e complicità – ma che sta logorando Alfonso, pressato dalla sessualità dirompente ed invasiva da parte della moglie (che, neanche a dirlo, vorrebbe rimanere incinta ad ogni costo).

    Del resto la religione, abilissima ad avere la pretesa di controllare l’istinto altrui, in questa circostanza si mostra ostile ad Alfonso e strumento nelle mani di Regina: ce ne accorgiamo dalla sequenza in cui l’uomo prova a confidarsi col prete che li ha sposati, il quale gli prescrive un ricostituente ormonico – tanto lo prendono tutti, perchè Sant’Alfonso (evidentemente, nomen omen) ha scritto in ginocchio […] sui rapporti coniugali […]: il coniuge non può e non deve sottrarsi al desiderio legittimo dell’altro coniuge. Il desiderio santo (così come viene definito) è accettabile sempre e comunque, purchè adagiato sui dettami della chiesa, anche se poi diventa ossessivo e svilente per il protagonista, al quale viene ripetuto più volte di fare un figlio alla svelta per “risolvere” il problema.

    Non lo fo per piacere mio, ma per far piacere a Dio!

    In nuce sembra di assistere alle medesime tematiche affrontare, in tempi recenti, da quel piccolo cult quale è The lobster, in cui la sessualità era gestita a comando ed andava finalizzata in modo pre-determinato: coppia o single, senza vie di mezzo e senza sfumature, a voler per fora accondiscendere una delle due distopìe. Ferreri intuisce la questione in modo atipico, se vogliamo, invertendo i ruoli tradizionali uomo-donna e mostrando un uomo succube della consorte. È anche chiaro che manda il messaggio forte e chiaro che la religione svilisca l’aspetto piacevole del sesso e ne esalti, puramente, quello procreativo; tanto peggio se lo fa sfruttando l’avvenenza di Regina, fino alla fine cinica e calcolatrice. Alla fine l’uomo diventerà un vuoto a rendere, privato di ogni individualità, padre destinato a cedere il passo ad una prole mai davvero voluta, prima del tempo.

  • Chi è l’altro: trama, cast, produzione, spiegazione finale

    Chi è l’altro: trama, cast, produzione, spiegazione finale

    La storia si svolge in una fattoria nel New England negli anni ’30 e segue i gemelli Niles e Holland Perry. I due sono legati da un forte legame, ma le loro personalità sono completamente diverse: Niles è dolce e sensibile, mentre Holland è malvagio e crudele. La loro nonna, Ada, introduce Niles a una serie di giochi che coinvolgono poteri psichici, ma questi giochi diventano sempre più sinistri e pericolosi. Nel frattempo, eventi tragici iniziano a verificarsi nella comunità locale, portando alla luce oscuri segreti familiari.

    “The Other” è un film del 1972 diretto da Robert Mulligan basato sul romanzo omonimo di Tom Tryon. Il film è un thriller psicologico e horror che combina elementi di mistero e dramma familiare. Di seguito, troverai una sintesi della trama, il cast principale, una breve analisi, alcune informazioni sulla produzione e una nota sull’accoglienza critica. Avviso spoiler: la trama verrà descritta in modo generale senza rivelare dettagli fondamentali.

    Cast

    • Chris Udvarnoky nel ruolo di Niles Perry
    • Martin Udvarnoky nel ruolo di Holland Perry
    • Diana Muldaur nel ruolo di Alexandra, la madre dei gemelli
    • Uta Hagen nel ruolo di Ada, la nonna
    • Norma Connolly nel ruolo di Vee, la madre di Alexandra
    • Victor French nel ruolo di Rider, l’amico della famiglia

    “The Other” è un film che affronta temi complessi legati all’infanzia, all’identità, alla fragilità interiore dei personaggi. Il regista Robert Mulligan utilizza un tono “intimista” e misurato per creare una tensione sottile durante tutto il film. La trama si sviluppa gradualmente, con il pubblico che inizia a sospettare sempre di più degli eventi inquietanti che coinvolgono i gemelli.

    Il film è stato girato in California e presenta una fotografia suggestiva che contribuisce a creare l’atmosfera inquietante della storia.

    “The Other” è stato generalmente ben accolto dalla critica all’uscita. È stato elogiato per la sua atmosfera cupa e per le performance convincenti dei giovani attori che interpretano i gemelli. Tuttavia, alcuni critici hanno notato che il film potrebbe risultare prevedibile per alcuni spettatori.

    Finale (senza spoiler)

    Il finale di “The Other” è sorprendente e drammatico. Rivelazioni scioccanti cambiano radicalmente la percezione della trama e dei personaggi. Senza entrare nei dettagli specifici, il finale offre una chiusura inaspettata alla storia e solleva importanti domande sull’innocenza e la malvagità nell’infanzia. È uno dei momenti chiave del film che lascia una forte impressione.