Salvatore

  • Angoscia è l’horror di Bigas Luna

    Angoscia è l’horror di Bigas Luna

    Una madre pazzoide condiziona il figlio mediante ipnosi e lo induce a cavare occhi alle persone; in realtà l’intera vicenda è solo un film che stanno vedendo delle persone dentro ad un cinema, le quali subiranno a loro volta un condizionamento subliminale …

    In breve. Piccola escursione thriller del regista de “Le età di Lulù” piuttosto singolare ed inaspettatamente truce, surreale e a tratti addirittura divertente. I piani della realtà si confondono abilmente senza diventare mai un mero esercizio stilistico: il film avvince e … coinvolge, è proprio il caso di dire, fino all’ultima meravigliosa scena.

    Luna riesce, con questo film, a fare letteralmente il buono e il cattivo tempo, avendo l’idea geniale di innestare abilmente una doppia storia: da un lato un serial killer-infermiere che cava gli occhi delle sue vittime, dall’altro una sorta di suo infelice emulo, accomunato dal fatto di essere succube di una madre autoritaria e che si comporta come l’anti-eroe che ha visto sullo schermo decine di volte. “Angoscia” è interamente incentrato sulla reazione che il pubblico horror innesca nei confronti del cinema che si trova a vedere nelle sale: e infatti il primo cambio di prospettiva mostra le facce disgustate di alcuni giovani, di una coppia di adolescenti e di due adulti alla visione delle sadiche efferatezze del… film stesso! Un lavoro che perde gran parte del suo gusto se viene troppo raccontato (va visto, e solo dopo discusso) e che si incentra sulla meta-realtà così come – in tempi piuttosto recenti – solo Carpenter (penso ovviamente a “Il seme della follia”) ed in parte Argento (penso al sottovalutatissimo Opera) si erano spinti. Ovvero: figurare ed estremizzare a tal punto le paure del pubblico. fino ad arrivare a chiedersi se un film dell’orrore possa condizionarne il comportamento e generare N copycat. Roba che gli psicologi da salotto ci farebbero interi palinsesti TV a forza di masturbarsi, e che messi in scena da un regista di film erotici (a proposito di masturbazione) risaltano in un risultato insperabilmente positivo. Considerando il cammino stilistico avviato da Bigas Luna, uno che non ha certo seguito un percorso di cinema cerebrale o intellettuale che dir si voglia, sembra quasi un atto di accusa contro un certo modo di fare cinema. Ovviamente, e direi per fortuna, così non è, e lo vediamo dalla duplice ironia che caratterizza il finale, e dalla presenza di alcuni personaggi visibilmente contraddittori: su tutti, l’emulo dell’assassino, quello che nella “seconda realtà” continua a ripetere una frase “da film” – “fate come vi dico e nessuno si farà male” – salvo sparare all’impazzata nel mentre ed uccidere alla meno peggio. Per capire ancora meglio di che film si tratti, si consideri dunque l’incipit che ricorda i simil-snuff anni 70 che hanno terrorizzato generazioni su generazioni:

    Durante il film che state per vedere, sarete soggetti a messaggi subliminali e ad una leggera ipnosi: questo non vi provocherà alcun danno fisico o effetti duraturi, ma se per qualche motivo perderete il controllo o sentirete che la vostra mente sta lasciando il vostro corpo… lasciate immediatamente la sala! (la traduzione è mia, ndr).

    Ora non so quanto (e se) Luna creda sul serio a quello che ha fatto scrivere, ma sono pronto a scommettere che il tutto rientri in un piano ben preciso: creare horror di intrattenimento che non sia nè banalotto nè troppo sulfureo, bensì un giusto compromesso che lasci lo spettatore soddisfatto, senza banalizzarlo nè appensantirlo con simbolismi intellettuali che molti hanno voluto trovare per forza fino all’esagerazione. Del resto, vista la pignolerìa e l’esigenza di certo pubblico del terrore, era davvero difficile riuscire nell’impresa – e Bigas Luna, pur essendo fondamentalmente un regista di film erotici, ci è riuscito alla grande. Un ulteriore tocco di satira-parodica condita da humor nero, poi, è presente nella rappresentazione del rapporto tra il figlio nerd e la madre autoritaria, che globalmente non tutti hanno percepito dato che il film è quasi passato inosservato, salvo essere riesumato di recente da alcuni noti siti di recensioni horror.

    Angoscia” è un piccolo gioiello di terrore, surreale e realistico al tempo stesso, diretto con grande maestria ed abilità ed interpretato con lo spirito di uno slasher anni 80: semplicemente imperdibile, che altro aggiungere? E ora dite la verità: sentite già che la vostra mente sta lasciando il vostro corpo?

  • The babysitter: un gioco cinematografico (riuscito) sullo stereotipo della babysitter sexy

    The babysitter: un gioco cinematografico (riuscito) sullo stereotipo della babysitter sexy

    Cole (Judah Lewis), un ragazzino timido ed impacciato, è innamorato di Bee, la sua babysitter (Samara Weaving): una sera che i genitori sono fuori casa, decide di rimanere sveglio per curiosare. Scopre così un’incredibile verità sulla ragazza…

    In breve. Comedy horror dai toni leggeri e scanzonati, che ricorda una sorta di versione parodico-splatter di un classico anni ’90 come Home alone. L’ideale per una visione spensierata, e sostanzialmente gradevole, per chiunque (o quasi).

    Quello di The babysitter è un humour nero goliardico e scanzionato, in parte derivativo dallo splatter demenziale alla Bad Taste (in versione meno insistita e b-movie), che strizza l’occhio alle dinamiche delle commedie americane (protagonista, antagonisti-bulli, vicina di casa, …), infarcendole di splatter e violenza – quest’ultima piuttosto ben dosata, e priva di veri e propri eccessi. Se i toni iniziali sono quelli zuccherosi delle prime, ben presto arriveranno le esagerazioni, in un crescendo difficile da prevedere quanto apertamente “fumettistico” nell’impostazione.

    Del resto la storia del nerd pre-adolescente bullizzato dai compagni, con al seguito vicina di casa e baby-sitter super provocante (e dai trascorsi non impeccabili, come si scoprirà) sembrerebbe di suo gettare le basi per una saga genuina, ricca di perle divertenti come (forse) non se ne vedevano dai tempi del primo Scary movie. Il film finisce ovviamente per simboleggiare il processo di crescita del piccolo Cole, da introverso ed imbranato ad inaspettatamente coraggioso e realista; The babysitter, di suo, ricorda molto da vicino un ibrido tra La casa 2 di Sam Raimi e Mamma ho perso l’aereo di Chris Columbus.

    In fondo Cole non è che un Kevin McCallister altrettanto imbranato quanto, stavolta, alle prese con un’imprevista home invasion da parte di un gruppo di satanisti. Il paragone con questo classico degli anni ’90, del resto, ci invita a goderci il film per quello che è, per una volta senza scomodare paragoni e considerazioni troppo profonde e, al tempo stesso, omaggiando in maniera spudorata vari classici del genere. Se nel film di Raimi l’horror cruento e senza speranza aveva ceduto il passo ad una riedizione insistita quanto parossistica fino al demenziale dello splatter, in The babysitter la lezione viene colta appieno e rielaborata, dando spazio a nuove situazioni paradossali e dialoghi surreali tra gli antagonisti. Da godersi per quello che è e per una serata senza troppi pensieri, insomma.

    La regia di “The babysitter” – distribuito su Netflix a partire dal 13 ottobre di quest’anno – è affidata a McG ovvero Joseph McGinty Nichol, già noto per Terminator Salvation e per vari documentari su Offspring e Cypress Hill, che dirige con classe questo particolarissimo film, facendo trasparire una forte influenza tarantiniana nell’impostazione, a partire dai titoli in sovraimpressione da cine-fumetto a finire con le situazioni sanguinolente e surreali che si verificheranno.

  • Macabro: Lamberto Bava crea un piccolo capolavoro low-budget

    Macabro: Lamberto Bava crea un piccolo capolavoro low-budget

    Jane (Bernice Steigers) tradisce il marito all’interno di una villa isolata; durante la sua assenza uno dei due figli muore in circostanze violente, mentre l’amante rimane ucciso in un incidente stradale proprio per la fretta di rientrare a casa. Dopo un anno in clinica, la protagonista ritorna nel luogo dove avvenivano gli incontri sessuali…

    In breve. L’ispirazione dovrebbe risalire ad un pazzesco fatto di cronaca; in realtà i richiami sono molto variegati, si parte dalla tradizione giallistica all’italiana risalente ad almeno dieci anni prima (intrighi tra benestanti, misteri, scheletri nell’armadio) e si contamina l’atmosfera con il gotico “puro” tipico del padre del regista. Il risultato è un film a mio avviso per pochi, con qualche buco narrativo, una trama “da giallo settantiano”, un gore che tarda ad arrivare (e quando lo fa, colpisce duro) ed una verità (forse piuttosto prevedibile) che si svelerà solo alla fine.

    Macabro è, di fatto, il primo Lamberto Bava: quello con le migliori influenze del padre e quel tocco di personalità che hanno concorso a rendere cult la pellicola nei decenni successivi; il film ha una sua importanza storica, tra l’altro, perchè segna un passaggio chiaro dai settanta agli ottanta. Settantiane sono le musiche, la costruzione dei personaggi e la definizione della tensione di fondo: tipicamente eighties, invece, le atmosfere e l’indugiare rapido e conciso su dettagli – neanche a dirlo – profondamente macabri. Lo spettatore maliziato potrà intuire quasi da subito di cosa si tratta (e questo depone un po’ a svantaggio di una visione oggi); in ogni caso la sequenza del doppio incidente iniziale sembra una versione apocrifa della sfiga mortale di Final Destination (ma la decapitazione non potrà che richiamare l’omologa sequenza di Quattro mosche di velluto grigio girata anni prima). Paragoni a parte, Macabro fa respirare dall’inizio aria malsana, ed indaga sugli incubi umani in modo ambiguo e inquietante, rappresentando efficacemente la finta normalità di un’umanità corrotta fino all’osso; davvero troppo difficile dire di più sull’argomento senza fare spoiler, a questo punto.

    Un film che vi lascerà profondamente scossi (si spera), nonostante sia un sostanziale “studio d’atmosfera” che – pensavo mentre lo guardavo – si sarebbe adattato più ad un cortometraggio, liberandosi così dei fronzoli che finiscono (secondo alcuni) per appesantirlo. Per cultori del genere, a mio parere, e per il pubblico più orientato sull’ open-mind; si tenga conto che – nel bene o nel male – un pezzo di storia dell’orrore italiano, per quanto ridimensionabile, è stato girato da Lamberto Bava anche in questa sede.

    Qualche nota a margine sulla trama: il film è lento, decisamente più rallentato rispetto alla media del periodo, e questo lo riconduce a mio avviso ad un film decisamente d’ambiente. La cosa potrebbe inorridire (!) alcuni amanti dell’orrore, specie quelli che non apprezzano il gotico e la sua tipica atmosfera oscura da cui “Macabro” ha tratto gran parte dell’ispirazione. Nel finale, poi – al di là della terrificante scoperta, che come detto prima per molti finirà per essere “acqua calda” – c’è una sostanziale forzatura sovrannaturale, impianta a scopo puramente scenografico che, a mio avviso, fa perdere gran parte dell’efficacia al film. Mi riferisco all’ultimo fotogramma, che ho trovato piuttosto pretestuoso e abbastanza scollegato con il resto della storia. Un tema come la necrofilia, di fatto, non dovrebbe mai cedere il passo ad aperture di questo genere: i più grandi successi non lo hanno mai fatto, perchè un gore poco realista (o poco credibile, se preferite) spaventa molto meno di quanto non faccia, ad esempio, anche il più gratuito degli splatter amatoriali. Se non si trattasse di un film diretto con grande maestria (cosa, questa, assolutamente fuor di dubbio) staremmo qui a parlare dell’ennesimo sconfinamento dell’orrore italiano nel ridicolo involontario. Non me ne voglia nessuno dei fan di questa pellicola, ma trovo che questi difetti rendano sostanzialmente appena sufficente l’intero lavoro, che per quanto ben diretto e discretamente interpetato soffre di un sostanziale problema di script.

  • La morte avrà i suoi occhi: un film da recuperare subito

    La morte avrà i suoi occhi: un film da recuperare subito

    Una donna abita da sola in una baita sperduta (etteparèva) e riceve la visita di uno sconosciuto (Malcom McDowell) che chiede di poter fare una telefonata. I due iniziano a parlare ed a conoscersi, mentre aleggia una diffidenza reciproca…

    In breve. Film semi-sconosciuto e di taglio tipicamente ottantiano, in cui emergono tutti (o quasi) i topos della tensione e del thrilling del periodo. Il risultato finale riesce incredibilmente a sorprendere, soprattutto nel finale. Da vedere.

    Si può fare un lungometraggio thriller con due soli personaggi? Probabilmente è possibile farlo, e una consistente prova in tal senso è data da questo film: basandosi su un bel soggetto di Michael Sloane e sull’interpretazione di due eccellenti attori (Malcom McDowell di Arancia meccanica e Io, Caligola, e l’intrigante Madolyn Smith Osborne), il film si apre con un incipit inquientante (una fotografia ed un’ascia che si abbatte su qualcosa o qualcuno), e racconta dell’incontro casuale tra un uomo ed una donna. Il primo si trova con la macchina in panne, e si rivolge alla seconda per fare una telefonata: dall’incontro nasce una sorta di interesse morboso che nessuno dei due sembra disposto ad ammettere, e che finisce per delinearsi in una specie di lotta psicologica in cui non si capisce chi sia la preda e chi il predatore.

    Diffidenza tra due estranei, dunque, ed una lunghissima analisi del rapporto conflittuale tra essi (giocato quasi esclusivamente sul piano mentale), con uno che cerca di sopraffare l’altra (e viceversa), delineando una delle più ambigue relazioni tra personaggi mai viste su uno schermo. A differenza di molti altri epigoni del genere, del resto, costruiti su buone storie ma sofferenti di dialoghi spesso carenti e poco attrattivi, “La morte avrà i suoi occhi” possiede un buon ritmo e intreccia le storie dei due protagonisti con grande stile. Questo contribuisce a far salire enormemente il livello della pellicola, nonostante la relativa semplicità della messa in scena – un paio di esterni e la casa di lei – e la presenza di indizi piuttosto abusati (le bambole decapitate, la fantasia che si confonde con la realtà). Il finale mostra un cambio di toni assolutamente inattesi e – cosa davvero notevole – in parte anche di genere, cosa che potrebbe spiazzare lo spettatore e per rendere il titolo italiano quasi fuorviante (“The caller“, per la verità, non fa capire molto di più).

    Una buona idea, decisamente originale ed intrigante, per un film con poca azione e molto dialogo, assolutamente funzionale alla bizzarra trama ed ancora più weird nella spiegazione del tutto.

  • Mario Bava: oggi ho visto “Lisa e il diavolo”

    Mario Bava: oggi ho visto “Lisa e il diavolo”

    Durante una visita turistica a Toledo Lisa, una giovane turista, si allontana dal gruppo e finisce a visitare un negozio di artigianato, all’interno del quale trova un inquietante figuro dai modi piuttosto gentili (Telly Savalas, il Theo Kojak che tutti ricordano), somigliante tremendamente ad una raffigurazione demoniaca vista in un dipinto poco prima. All’improvviso Lisa sembra ritrovarsi catapultata in un mondo diverso da quello in cui trovava…

    In breve. Un ottimo film dall’atmosfera oscura ed avvolgente, capace di raccontare una storia terribile con grande classe: da non perdere.

    Recuperato solo nel 2004 (fonte), si tratta probabilmente di uno dei film più suggestivi di Mario Bava, che segna un passo importante nella sua cinematografia e che rappresenta per vari versi un vortice di parallelismi, ambiguità e doppi fili che si sveleranno soltanto nel finale. Nel frattempo Lisa, interpretata da Elke Sommer nonchè ovvio archetipo di bellezza “settantiana”, finirà per smarrirsi modello Alice, in una storia in cui i personaggi figurativi di un dipinto sono diventati reali, il marito della protagonista assume le sembianze di un fantoccio e si scomodano vari simbolismi, per l’epoca, piuttosto suggestivi e tutt’altro che scontati (l’orologio che si spacca, la confusione deliberata e mai chiarita tra sogno e realtà). Se è vero che il mutare dell’ambiente attorno alla protagonista lo rende quasi archetipico di molte altre storie di orrore surreale a venire, si aggiunge un immancabile elemento romantico alla storia, capace così di evidenziare un amore impossibile che, neanche a dirlo, sfocerà nella più nostalgica e inquietante necrofilia.

    Non è azzardato pensare, a posteriori, che ad esempio il Fulci più visionario possa essersi ispirato a questa pellicola qualche decennio dopo (L’aldilà e soprattutto Quella villa accanto al cimitero), confermando così un merito artistico enorme per chi, invero modestamente, si definiva un semplice artigiano dell’orrore. Altri personaggi ed ambienti che popoleranno l’intreccio, tra cui la villa labirintica in cui si svolge la maggioranza della vicenda, il figlio succube di una madre autoritaria (e cieca), nonchè la continua ed insistita ambiguità tra vita e morte, conferma “Lisa e il diavolo” come uno dei migliori film del terrore “puri” di Mario Bava (probabilmente solo dopo La maschera del demonio). Alla morte non si sfugge, sembra voler ricordare il regista, come già un anno – con toni più accentuati e da exploitation di quelli gotici visti in questa sede – all’interno di Reazione a catena.

    Il film venne distribuito come “Lisa e il diavolo” (fedele alla volontà di Bava) ma anche, con l’inserimento di scene extra e di un parziale stravolgimento “esorcistico” della trama (per volontà del produttore, e sulla scia del noto film di Friedrick) come “La casa dell’esorcismo“; attualmente esistono due versioni in commercio del film, la prima della RaroVideo che comprende entrambe le version,i e la seconda della Minerva Pictures contenente soltanto la seconda.

    “Ma come posso combatterti se non ti fai nemmeno vedere? Ma dove sei, vigliacco, esci dalle tenebre, fa’ che io ti veda!”