CULT_ (123 articoli)

Gli imperdibili: una selezione di pellicole da non perdere per qualsiasi appassionato del genere horror, commedia, thriller, trash.

  • Godsend: clonazione e identità

    Godsend: clonazione e identità

    Si tratta di un film del 2004 diretto da Nick Hamm. Il film è un thriller psicologico con elementi di orrore e fantascienza. La trama ruota attorno a una coppia che perde il loro figlio in un incidente tragico e poi accetta l’offerta di un medico di clonare il figlio defunto. La storia esplora le conseguenze etiche e emotive di questa scelta, oltre a presentare elementi di suspense e mistero legati alla natura della clonazione e ai segreti del medico.

    Il cast del film includeva attori come Robert De Niro, Greg Kinnear e Rebecca Romijn. “Godsend” è stato accolto in modo misto dalla critica, con alcune lodi per le performance degli attori ma anche alcune critiche per la trama e la sua esecuzione.

    Nel complesso, “Godsend” affronta temi complessi attraverso un mix di elementi psicologici, thriller e orrore, concentrando l’attenzione su come le decisioni scientifiche e morali possano avere conseguenze inaspettate e profonde.

    Sinossi del film

    Il film inizia con la famiglia Duncan, composta da Paul (interpretato da Greg Kinnear) e Jessie (interpretata da Rebecca Romijn), che vivono felicemente con il loro figlio ottantenne, Adam (interpretato da Cameron Bright). Tuttavia, la loro vita viene sconvolta quando Adam muore in un tragico incidente. Devastati dal dolore, vengono avvicinati dal Dr. Richard Wells (interpretato da Robert De Niro), un esperto di clonazione umana. Il dottore offre loro l’opportunità di clonare Adam e dare così loro la possibilità di avere di nuovo il loro figlio.

    La coppia accetta l’offerta e Adam viene clonato con successo. Tuttavia, la situazione si complica quando la nuova versione di Adam, chiamata Ethan, inizia a mostrare comportamenti inquietanti e inspiegabili. La famiglia si rende conto che il processo di clonazione potrebbe avere effetti imprevisti sulla personalità e il comportamento del nuovo Adam.

    Paul e Jessie cercano di scoprire la verità dietro il programma di clonazione del dottor Wells, e scoprono che il dottore aveva già sperimentato la clonazione su altri bambini, con risultati altrettanto inquietanti. Man mano che la situazione peggiora, Paul e Jessie si sforzano di proteggere il loro nuovo figlio da ciò che potrebbe nascondersi dietro il suo comportamento inquietante.

    La trama si sviluppa in un crescendo di suspense mentre la famiglia cerca di affrontare i segreti scioccanti che circondano la clonazione e i rischi che hanno accettato di correre. Il film esplora le sfide etiche e morali legate alla clonazione umana e mette in discussione la natura dell’identità e dell’anima.

    Cast del film

    • Robert De Niro nel ruolo del Dr. Richard Wells
    • Greg Kinnear nel ruolo di Paul Duncan
    • Rebecca Romijn nel ruolo di Jessie Duncan
    • Cameron Bright nel ruolo di Adam Duncan / Ethan
    • Jenny Levine nel ruolo di Barbara Clark
    • Deborah Odell nel ruolo di Elaine
    • Henry Czerny nel ruolo del Prete
    • Jake Simons nel ruolo di Max Shaw
    • Miko Hughes nel ruolo di Jake Duncan

    Spiegazione del finale

    Nel finale di “Godsend”, Paul e Jessie scoprono che il dottor Wells aveva clonato numerosi bambini in passato, cercando di creare una mente geniale ma con risultati disturbanti. I bambini clonati manifestavano comportamenti instabili a causa del tentativo di condizionamento del dottor Wells.

    Paul e Jessie cercano di liberare Ethan dall’influenza del dottor Wells. Nel culmine, affrontano il dottore nel suo laboratorio e una lotta fisica ne risulta. Durante la lotta, Paul accidentalmente uccide il dottor Wells. Rendendosi conto dell’orrore degli esperimenti del dottore, Paul e Jessie decidono di distruggere tutte le prove dell’esperimento bruciando l’istituto di ricerca.

    Nel finale, la famiglia cerca di ricostruire la loro vita lontano dall’orrore della clonazione e delle manipolazioni genetiche. Sembra che stiano cercando di iniziare una nuova vita insieme, affrontando le sfide come una famiglia unita.

    Il film si conclude sulla nota di speranza mentre la famiglia si impegna a lasciarsi alle spalle gli orrori del passato e a guardare verso il futuro.

  • La corazzata Potëmkin: trama, cast, analisi del film

    La corazzata Potëmkin: trama, cast, analisi del film

    “La corazzata Potëmkin” (in russo: Броненосец Потёмкин) è un celebre film muto sovietico diretto dal regista Sergei Eisenstein e uscito nel 1925. Il film è noto per la sua importanza storica e cinematografica, ed è spesso considerato uno dei capolavori del cinema d’avanguardia e del montaggio cinematografico. La trama del film è basata su eventi reali, in particolare sulla rivolta della corazzata russa Potëmkin e dell’equipaggio contro gli ufficiali oppressivi nel 1905 durante la Rivoluzione russa. Il film racconta la storia della ribellione degli equipaggi e delle conseguenze che essa porta, inclusi momenti di violenza e oppressione brutale. “La corazzata Potëmkin” è noto per la sua straordinaria tecnica di montaggio e la sua capacità di creare tensione emotiva attraverso l’uso innovativo della cinematografia. Il film è stato influente nel campo del cinema ed è ancora oggi studiato e apprezzato per il suo contributo all’arte cinematografica.

    Titolo: La corazzata Potemkin (Броненосец Потёмкин)

    Anno di uscita: 1925

    Regia: Sergei Eisenstein

    Cast Principale: Il cast di “La corazzata Potemkin” è principalmente composto da attori sconosciuti, poiché il film fu realizzato con attori non professionisti. Non ci sono attori famosi nel cast.

    Storia: “La corazzata Potemkin” è un film muto sovietico diretto da Sergei Eisenstein. Il film è basato su eventi storici e rappresenta la rivolta dell’equipaggio della corazzata russa Potemkin contro gli ufficiali oppressivi nel 1905 durante la Rivoluzione russa. La storia si concentra sulla ribellione dell’equipaggio e le conseguenze che essa porta, inclusi momenti di violenza e oppressione brutale.

    Produzione: Il film fu prodotto dall’associazione di produzione cinematografica “Mosfilm” in Unione Sovietica.

    Stile: “La corazzata Potemkin” è noto per il suo stile distintivo, che include l’uso innovativo del montaggio cinematografico. Sergei Eisenstein è considerato uno dei pionieri del montaggio e del cinema d’avanguardia, e il film è un esempio chiave del suo lavoro. Il film presenta una forte enfasi sull’uso delle immagini per creare emozioni e messaggi politici, ed è caratterizzato da una struttura narrativa non lineare.

    Sinossi: Il film racconta la storia dell’equipaggio della corazzata Potemkin, che si ribella contro i loro ufficiali dopo essere stati costretti a mangiare carne infetta. La ribellione si trasforma in una rivolta contro l’oppressione più ampia e la corruzione dell’impero russo. Il film culmina con la famosa sequenza della scalinata di Odessa, in cui l’esercito apre il fuoco contro una folla di manifestanti innocenti.

    Curiosità:

    • “La corazzata Potemkin” è considerato uno dei più grandi capolavori della storia del cinema ed è un’icona del cinema d’avanguardia e del cinema politico.
    • La sequenza della scalinata di Odessa è una delle scene più famose nella storia del cinema ed è stata ampiamente citata e omaggiata in altri film e opere cinematografiche.
    • Il film è noto per il suo impatto sulla cinematografia e il montaggio, ed è stato studiato e apprezzato in tutto il mondo per il suo contributo all’arte cinematografica.

    Spiegazione Dettagliata del Finale con Pre-Avviso Spoiler: Il film si conclude con la famosa sequenza della scalinata di Odessa, in cui l’esercito russo apre il fuoco contro una folla di manifestanti innocenti. La sequenza è notevole per la sua intensità emotiva e il montaggio rapido delle immagini.

    Alla fine della sequenza, un’immagine iconica mostra un bambino morto e la madre disperata che tiene in braccio il suo corpo. Questa immagine simbolizza la tragedia e l’ingiustizia dell’oppressione e della violenza. Il finale del film è una dichiarazione potente sulla lotta per la giustizia sociale e la resistenza contro l’oppressione.

    “La corazzata Potemkin” è un film politico e viscerale che riflette l’ideologia e le speranze della Rivoluzione russa. La sequenza della scalinata di Odessa è spesso interpretata come una metafora della lotta del popolo contro le forze oppressive, e il film nel suo complesso rappresenta un appello per il cambiamento sociale e politico.

  • Anonimo veneziano: cast, trama, musiche originali

    Anonimo veneziano: cast, trama, musiche originali

    “Anonimo Veneziano” è un film italiano del 1970 diretto da Enrico Maria Salerno. Il film è noto per la sua colonna sonora memorabile composta da Stelvio Cipriani e per la sua storia romantica e drammatica ambientata a Venezia.

    La trama ruota attorno a un uomo di mezza età, interpretato da Tony Musante, che visita Venezia per suonare il suo violino in un’orchestra. Durante la sua permanenza nella città lagunare, incontra casualmente una donna, interpretata da Florinda Bolkan, con cui aveva avuto una relazione nel passato. La donna è ora sposata con un altro uomo, ma i due iniziano a riscoprire i loro sentimenti reciproci.

    Il film affronta temi come la nostalgia, l’amore non corrisposto e il senso di perdita. La colonna sonora di Stelvio Cipriani, con il brano principale “Anonimo Veneziano,” ha contribuito in modo significativo al successo del film ed è ancora oggi molto apprezzata.

    “Anonimo Veneziano” è un film molto noto nel panorama cinematografico italiano e rappresenta un esempio classico del cinema romantico italiano degli anni ’70. È stato accolto positivamente dalla critica e ha guadagnato diversi premi e nomination.

    Curiosità

    • La colonna sonora del film, composta da Stelvio Cipriani, è diventata estremamente popolare, soprattutto il brano principale, “Anonimo Veneziano.” La musica contribuisce in modo significativo all’atmosfera romantica del film.
    • Il regista Enrico Maria Salerno ha anche un piccolo ruolo nel film.
    • “Anonimo Veneziano” è stato girato principalmente a Venezia, catturando la bellezza unica della città lagunare.

    Cast

    • Tony Musante interpreta il protagonista maschile, Stefano.
    • Florinda Bolkan interpreta Valeria, l’interesse amoroso di Stefano.
    • Enrico Maria Salerno è il regista del film e appare anche in un ruolo secondario.
    • Altri membri del cast includono Umberto Orsini, Eva Renzi, e Alessandro Haber.

    Sinossi

    “Anonimo Veneziano” è una storia romantica e drammatica ambientata a Venezia. La trama ruota attorno a Stefano, un violinista di mezza età interpretato da Tony Musante, che si reca a Venezia per suonare il suo violino in un’orchestra. Durante il suo soggiorno, Stefano si imbatte casualmente in Valeria, interpretata da Florinda Bolkan, una donna con cui aveva avuto una relazione nel passato. Valeria è ora sposata con un altro uomo, ma i due iniziano a riscoprire i loro sentimenti reciproci mentre condividono momenti romantici e nostalgici a Venezia. Il film esplora i temi dell’amore non corrisposto, della nostalgia e del passato.

    Musiche

    La colonna sonora del film è stata composta da Stelvio Cipriani ed è una parte essenziale dell’esperienza cinematografica. Il brano più noto è “Anonimo Veneziano,” che è stato eseguito con il violino da Tony Renis ed è diventato un successo musicale a livello internazionale. La musica contribuisce in modo significativo all’atmosfera romantica e malinconica del film, ed è uno dei motivi per cui il film è ancora apprezzato oggi.

    Fotogramma: Di Screenshot autoprodotto – Catturato personalmente da Utente:Vabbè, Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=9095364

  • Berberian Sound Studio: meta-horror concreto e accattivante

    Berberian Sound Studio: meta-horror concreto e accattivante

    Gilderoy è un fonico inglese inviato a Roma per lavorare ad un film. Una volta sul posto, si rende conto che qualcosa non va: l’atmosfera è tesa, il rimborso del suo viaggio tarda ad arrivare e la pellicola non è ciò che si aspettava.

    In breve. Meta-horror semplice ed originale, relegato ad una dimensione surrealista. Un terrore che si trova ad essere, atipicamente, di parola: difficile da raccontare quanto affascinante.

    Il curioso titolo del film fa riferimento al mezzosoprano Cathy Berberian, cantante lirica virtuosa e moglie del musicista (pioniere dell’elettronica sperimentale) Luciano Berio. Quest’ultimo pare abbia molto influenzato lo stile di Strickland, che racconta la storia mediante una sequenza minimalista (e dai tratti surreali) di scene. In esse è facile seguire la storia ma è difficile, al tempo stesso, cogliere il senso della condizione kafkiana del protagonista. Ad ogni modo Berberian Sound Studio non compare mai nei titoli di testa: all’inizio vediamo infatti il nome del film oggetto della storia, Il vortice equestre che sembra essere, fin dall’inizio, una storia di stregoneria. Non viene volutamente chiarita la cosa, a questo punto, ed il film nel frattempo prosegue con quest’aura di mistero e di curiosità indotta.

    Strickland dirige, atipicamente, un thriller visto da “dietro le quinte”, in particolare dall’ipotetico studio di doppiaggio di un horror italiano anni ’70: luogo in cui, in modo impeccabile, vengono mostrati (ed omaggiati) i trucchi del mestiere degli effettisti dell’epoca. Il tutto assume quasi la parvenza di un rituale religioso, un rispetto omaggio ai maestri del genere (da Mario Bava in poi) e, per assurdo, quasi a discapito dell’intreccio, il quale assume un’importanza molto contenuta (quanto giustificata, tutto sommato). Le scene gore e splatter, ad esempio, vengono fatte sentire (e non mostrate!) in modo quasi documentaristico; delle urla delle streghe torturate nel fake horror Il vortice equestre vediamo solo le smorfie di dolore delle doppiatrici. E per qualche straniante motivo, inducono tensione e fanno paura lo stesso. Il senso dell’ambizioso progetto di Strickland rimane criptico per molti minuti: il tutto fino alla rivelazione che, probabilmente, ogni personaggio si stava già rivedendo nel film stesso.

    Berberian Sound Studio (…o forse Il vortice equestre!) viene diretto con classe e conoscenza del genere dal regista, grazie all’uso abbondante di dettagli e primi piani, ironizzando sui modi composti del protagonista contrapposti a quelli burberi di tutti gli altri. Dal punto di vista degli appassionati del genere, poi, viene mostrato l’ingegnoso riutilizzo di martelli, padelle e coltelli, qui usati per distruggere ortofrutta di ogni tipo (ovviamente per simulare il suono delle scene più macabre: cadute rovinose, capelli strappati, torture con ferri roventi e via dicendo).

    È tutto finto, lo sappiamo bene, ma è difficile non farsi percorrere da un brivido lungo la schiena mentre vediamo Gilderoy attraversare questo mondo che non conosceva, e soprattutto (scena molto emblematica) trafiggere con malcelato gusto un cavolo, mentre sonorizza una delle scene più complesse (e mentre, forse, il confine tra la sua follia e lucidità sembra essere stato smarrito per sempre).

    Nel mentre, vengono evidenziati i rapporti esclusivamente conflittuali tra i personaggi (basati quasi sempre su rapporti di potere, soldi, sesso e prepotenza), personaggi che sono quasi tutti sulfurei e misteriosi oppure, al contrario, cinici e zoticoni. Dell’horror incluso nella trama, Il vortice equestre (che a più riprese e per varie assonanze richiama Suspiria) non scorgiamo ancora nulla. Vediamo solo un gruppo di produttori, tecnici o registi privi di scrupoli, abili solo a procacciare nuove doppiatrici (non certo per meriti artistici), e cercare nervosamente di finire il doppiaggio di un film che degrada, lentamente, in una spirale mostruosa, della quale è impossibile scorgere l’inizio e la fine. Quasi un nastro di Moebius, a questo punto, nel quale anche il mite Gilderoy sembra destinato a smarrirsi per sempre.

    Un meta-horror, quindi, perchè racconta la storia del genere usando le situazioni e gli strumenti dello stesso, doppiato pazientemente scena dopo scena, di cui all’inizio non vedevamo nulla – salvo improvvisamente accorgerci che lo stavamo già guardando.

    E qui l’omaggio, oltre ai maestri dell’horror nostrano come Argento e Fulci (senza dimenticare Angoscia di Bigas Luna ed il Lamberto Bava di Demoni), si deve a John Carpenter ed alle sue intuizioni meta-cinematografiche, ovvero Il seme della follia, film che viene omaggiato abbastanza chiaramente in una sequenza: quella in cui Gilderoy vede se stesso aggredito dal killer, e da allora inizierà a non parlare più in inglese. Ulteriore peculiarità di Berberian Sound Studio, infatti, è che si tratta di un horror di parola nel senso stretto del termine – e viene in mente l’analogo Pontypool, a questo punto – che viene anche recitato in due lingue: italiano ed inglese, che ogni personaggio parla più o meno fluentemente (per necessità di trama, ovviamente, non per vezzo). Un dettaglio, quest’ultimo, molto interessante ed originale, che se da un lato ha contribuito a rendere unico questo film, dall’altro, probabilmente, ha frenato un po’ la sua fama, soprattutto rispetto al pubblico che (senza doppiaggio e/o sottotitoli in italiano) non vuole saperne di vedere film.

    Reazione curiosa, tutto sommato, per un film che racconta una storia ambientata proprio in una cabina di doppiaggio.

  • Il demonio: il film anni 60 di Brunello Rondi sulla possessione

    Il demonio: il film anni 60 di Brunello Rondi sulla possessione

    Lucania: Purificazione (nomen omen) è posseduta da un amore non corrisposto per un compaesano, già promesso da tempo ad un’altra donna. I suoi comportamenti troppo passionali la porteranno ad essere vista con diffidenza, fino a subire veri e propri abusi…

    In breve. Un piccolo gioiello del cinema “demoniaco”, ricco di sfumature e dettagli antropologici, arrivato sugli schermi molto prima che il genere prendesse una piega monotematica (e spesso, purtroppo, alla pura ricerca di effettacci). Un film girato con piglio documentaristico, privo di eccessi ed apprezzabilissimo ancora oggi.

    Il demonio è un film del 1963 atipico, oltre che in anticipo sui tempi: è uno dei primissimi esempi di cinema con riferimenti demoniaci espliciti, genere che prese definitivamente piede solo con “L’esorcista” e “The omen“. Vale la pena di ricordare, fin da subito, la notizia di cronaca a cui Friedkin sembra essersi ispirato: un quattordicenne che, si racconta, venne liberato dal demonio mediante un esorcismo (“a 14-year-old Mount Rainier boy has been freed by a Catholic priest of possession by the devil, Catholic sources reported yesterday” raccontava il Washington Post nel 1949).

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    In questo lavoro di Rondi, ambientato nella Lucania più oscura e bigotta che si possa immaginare, emerge la bellezza sfregiata di Purificazione (Purì o Purif, in molte parti del film) contrapposta ai paesani rozzi, quale singolare simbolo dell’emarginazione del diverso. Una donna sola con la colpa di essere innamorata di un uomo già promesso, e di essere processata per questo dalla folla inferocita che mai, del resto, è entrata in empatia con lei.

    A differenza di altri film incentrati sul sovrannaturale, sulla propaganda religiosa o sullo splatter in quanto tale, emerge piuttosto la medesima, potente, critica sociale che potremmo esprimere oggi leggendo l’articolo, un po’ ingenuo, appena citato. Articolo che spiega, tra l’altro, la mia generale diffidenza nei confronti di questo sottogenere di horror, che cade (spesso, non sempre per fortuna) nell’errore di sembrare veicolato a messaggi catechizzanti – per non dire peggio. Errore che, a mio avviso, “Il demonio” non commette affatto, visto che il regista è particolarmente attento a ciò che mostra.

    Se questi presupposti ne fanno un film più “politico” (e più significativo) di altri banali e ripetitivi epigoni del genere, numerosi sono i riferimenti etnologici che lo rendono significativo. La cerimonia per scacciare la pioggia, ad esempio, oppure la celebrazione di un antico matrimonio o, più in generale, un curioso mix di religione e superstizione che il registra mostra nel dettaglio. Il lavoro si basa, del resto, sulle ricerche del professor De Martino dell’Università di Cagliari, e questo elemento di approfondimento vive in misura maggiore di qualsiasi altro horror, tanto da far pensare ad un vero e proprio documentario. Del resto ridurre Il demonio ad un mero lavoro di genere sarebbe pesantemente riduttivo, anche perchè manca la spettacolarizzazione dell’orrore tipica di questi casi.

    L’unica sequenza potentemente demoniaca, del resto, è avanti di oltre dieci anni rispetto a ciò che vedremo in seguito: il tentativo di esorcismo in cui la protagonista cammina con la spider walk resa celebre da Friedkin (ma questo film esce molto prima de “L’esorcista”; parte della scena è questa), senza contare che successivamente inizia a parlare col prete in una lingua ignota. Paradossalmente, se vogliamo, il focus dell’azione è più concentrato sulla rappresentazione del contesto, sulle tradizioni vive, sui popolani dalla gogna facile o sulla famiglia ambigua della protagonista che, di fatto, sull’elemento demoniaco in sè. Il riferimento all’esorcismo (racchiuso in poche, essenziali ed efficacissime sequenze) non serve solo a far spaventare (cosa che, a mio avviso, il citatissimo lavoro di Friedkin prova a fare fino alla nausea): le pratiche anti-demoniache sono rappresentate quasi razionalmente, quale segno di una frustrazione latente e come forma di abusi fisici e mentali, per non parlare del fatto che la protagonista è una donna avvenente (i paesani che la demonizzano sono gli stessi che vorrebbero, spesso, abusare di lei). In uno scenario del genere, pertanto, chiedersi se Purificazione sia realmente posseduta, affetta da una malattia o solo esasperata diventa una questione quasi di poco conto.

    Il saper miscelare più generi di Brunello Rondi (dramma, gotico, documentario) è forse il più consistente punto di forza del film. Possiamo solo immaginare l’ennesima violenza, l’ennesimo misfatto confessato, l’ennesimo stupro commesso ai danni di una protagonista vittima di se stessa, della propria passione e, magari, di qualche disturbo mentale. Di contro, una comunità ottusa che vive di superstizione e culti di facciata, che non capisce e non può, per definizione, capire. La sequenza della confessione in pubblico dell’intero paese, in cui vengono riconosciuti sia un furto che un caso di incesto, è la stessa in cui l’esasperazione di Purì arriva al culmine della teatralità, richiamando a più riprese le migliori sequenze di “Non si sevizia un paperino” (Fulci deve probabilmente più di qualcosa a questo film).

    Al tempo stesso la sua avvenenza (per la cronaca, la Lavi girò anche La frusta e il corpo) la fa diventare un facile capro espiatorio delle frustrazioni e delle ipocrisie di una società arcaica e brutale. Quella che doveva essere solo frustrazione per un amore non corrisposto si trasforma in un’attitudine antisociale, che alimenta le ostilità degli abitanti e si tinge, peraltro, di qualche cenno allucinatorio (Purì che crede di parlare con il ragazzino che morirà qualche momento dopo).

    A poco varranno i tentativi di redenzione esplicati dalla protagonista, che anzi precipiterà in un vero e proprio incubo dalle dimensioni crescenti, che culmina in un finale tragico (e anche piuttosto amaro). Una modalità narrativa non nuova, quella della donna sola e perseguitata in un ambiente gretto e (almeno in parte) maschilista, anch’essa splendidamente espressa da Lucio Fulci qualche anno dopo (“è lei a maciara, ha fatto ‘o malocchio su ‘e ccase nostre“, dice qui uno dei personaggi) e, in tempi più recenti, ad esempio da Dogville di Lars Von Trier (anche lì i paesani mal sopportano la presenza della protagonista, e ne abusano a più riprese).

    Un grande film da rivedere e riscoprire senza esitazione, adatto anche a chi non amasse prettamente l’horror e le sue tematiche.