PASSEGGIATE MENTALI_ (90 articoli)

  • Sinapsi!

    Sinapsi!

    La sinapsi è una connessione fisica tra due neuroni o tra un neurone e una cellula bersaglio, attraverso la quale avviene la trasmissione di segnali e informazioni nell’organismo. Tuttavia, il termine “sinapsi” può essere utilizzato in senso metaforico per descrivere una connessione o un collegamento tra due o più idee, concetti o persone.

    In un contesto metaforico, la parola “sinapsi” rappresenta un punto in cui le informazioni o le idee vengono trasmesse, condivise o scambiate. Può simboleggiare la comunicazione, la connessione intellettuale o emotiva tra individui o gruppi. Ad esempio, si potrebbe dire:

    • “Nella sinapsi delle nostre menti, abbiamo trovato una soluzione innovativa al problema.”
    • “La sinapsi tra le due culture ha portato a un arricchimento reciproco.”
    • “La sinapsi tra gli artisti ha creato un’opera d’arte eccezionale.”
    • “Le sinapsi tra le diverse discipline scientifiche sono essenziali per fare progressi nella ricerca.”

    In questo contesto, la sinapsi rappresenta un punto di connessione e scambio di idee o informazioni, sottolineando l’importanza della comunicazione e della collaborazione nell’ambito di vari contesti, dalla scienza all’arte, alla risoluzione dei problemi e alle relazioni interpersonali.

    I film che trattano specificamente del concetto scientifico delle sinapsi, ossia delle connessioni tra i neuroni nel cervello, sono relativamente rari. Tuttavia, ci sono film che affrontano temi legati alla neuroscienza, alla mente umana e alle connessioni neurali in senso più ampio. Ecco alcuni film che possono essere di interesse:

    1. “Lucy” (2014) – Diretto da Luc Besson, il film segue la storia di una donna, interpretata da Scarlett Johansson, che acquisisce capacità sovrumane a seguito di una sostanza chimica che modifica il suo cervello. Il film esplora il potenziale del cervello umano e le connessioni neurali in modo speculativo.
    2. Eternal Sunshine of the Spotless Mind” (2004) – Diretto da Michel Gondry e scritto da Charlie Kaufman, questo film non tratta direttamente delle sinapsi, ma esplora la memoria, le relazioni e la psicologia umana in un modo che coinvolge l’idea delle connessioni neurali e delle esperienze personali memorabili.
    3. “Transcendence” (2014) – Questo film di fantascienza, diretto da Wally Pfister, affronta la questione della trasferibilità della mente umana in un computer avanzato. Esplora il concetto di connessioni neurali in un contesto futuristico.
    4. “The Cell” (2000) – Diretto da Tarsem Singh, questo thriller segue una psicologa che entra nella mente di un serial killer attraverso una tecnologia avanzata per cercare di salvare una giovane vittima. Il film offre una visione visivamente stimolante delle connessioni neurali e delle percezioni.
    5. The Matrix” (1999) – Diretto dai fratelli Wachowski, questo classico della fantascienza presenta un mondo in cui la realtà è una simulazione informatica. Il film esplora concetti relativi alla mente umana, alla percezione e alla connettività neuronale in un mondo dominato dalla tecnologia.

    Mentre questi film possono non trattare direttamente delle sinapsi nel senso scientifico, affrontano temi correlati alla mente umana, alla tecnologia e alla percezione che possono suscitare riflessioni sul funzionamento del cervello e delle connessioni neurali.

  • Fight club: lo scontro fisico per la redenzione dell’uomo

    Fight club: lo scontro fisico per la redenzione dell’uomo

    Un impiegato che soffre di insonnia e un produttore di sapone senza scrupoli fondano il fight club, un circolo clandestino destinato a diventare qualcosa di più.

    In breve. Un thriller fuori norma e con un aspetto profondamente psicologico, basato sulla doppia personalità del protagonista oltre che, nella sua evoluzione, su un’analisi della società del tempo in chiave anarchica.

    Parlando di Fight Club vale la pena premettere qualcosa sulla genesi del romanzo omonimo: Chuck Palahniuk parte infatti da un singolare paradosso sociale, basato su un’esperienza da lui realmente vissuta. Un uomo si presenta in ufficio malconcio e ferito, senza che nessun collega gli chieda cosa sia gli sia successo e continuando a parlare di cose banali o ordinarie – nella realtà, si trattava Palahniuk stesso, reduce da un’aggressione accidentale durante un campeggio, e rientrato in ufficio nell’indifferenza dei colleghi. Secondo l’autore, quel far finta di nulla ostentato e banalizzante da parte dei colleghi, nel vederlo in quello stato, nasconderebbe un substrato inconscio: chiedere cosa fosse successo, in altri termini, avrebbe implicato un grado di connessione con l’altro che non potevano permettersi.

    Una considerazione amara quanto realistica, su cui si fonda uno dei romanzi e dei film thriller più significativi e sconvolgenti degli anni novanta. Sconvolgente per la freschezza del suo linguaggio pulp, violento e mai fine a se stesso, privo di fronzoli quanto in grado di creare personaggi che sembrano usciti da un incubo ballardiano – affetti da dipendenze affettive e da droghe, manie di suicidio, depressione, degrado, incapacità di comunicare in modo coerente con l’altro. Significativo, in secondo luogo, perchè racconta la storia di un giorno di ordinaria follia, ricorrendo a tormentoni e loop narrativi sempre più coinvolgenti, elevando all’ennesima potenza l’eco del film di Schumacher: quella domanda struggente “I’m the bad guy?”, pronunciata da Bill Foster nell’apice della disperazione.

    Esistenzialismo urbano, rabbia repressa e lamento dello yuppie medio, ammorbato da tecnologia e ricchezza quanto oberato da un lavoro monolitico di cui non capisce il senso. Palahniuk ha dipinto un quadro perfetto dell’epoca che potrebbe adattarsi anche alla realtà di oggi, tornando da qualche giorno al centro del dibattito dopo la bizzarra notizia (per usare un eufemismo) dello stravolgimento del finale del film da parte di un canale di streaming cinese, ironizzando sullo stesso come migliore (sic) di quello inventato da Fincher. Cosa curiosa, peraltro, considerando che in passato l’autore ne aveva sempre parlato bene, considerandolo addirittura migliorativo rispetto alla sua idea.

    Fincher si presenta forse come il miglior regista possibile per un concentrato di nichilismo post moderno come questo, considerando le similitudini con l’ambientazione sporca e fumosa modello Seven e le sferzate fuori dalle righe alle multinazionali modello The Social Network. La sua regia è rapida, imprevedibile, arricchita da mille dettagli psicotici e da una caratterizzazione teatraleggiante di molte sequenze: si respira il fight club metropolitano nei bassifondi della città, dove le persone si prendono a pugni per poi riabbracciarsi ed essere di nuovo felici, in un clima di primitivismo che cozza con l’avvento delle nuove tecnologie, dei comfort più evoluti da ufficio e dell’allora nascente internet all’interno di uffici e case (come viene citato esplicitamente in una sequenza).

    Soprattutto, viene dato ampio spazio alla psicologia dei personaggi, evidenziando la coppia improbabile del narratore vs. Tyler Durden: il primo è l’impiegato medio represso, passivo-aggressivo e tendenzialmente masochista (la sequenza in cui Edward Norton si prende magistralmente a pugni da solo rientra, di fatto, tra quelle più di culto del film), il secondo è un venditore di sapone senza scrupoli, sleale, cinico e fin troppo sicuro di sè. I due legano fin da subito, e se non è la coppia più strana del cinema, poco ci manca; ma siamo noi, alla fine, con le nostre oscillazioni di umore e le nostre incertezze. Come noto a chiunque conosca l’opera, del resto, si tratta di due facce della stessa medaglia: Tyler possiede problemi psicologici irrisolti, e in lui convivono più personalità (questa doppiezza sarà rielaborata e personificata da un singolo caratterista qualche anno dopo in American Psycho), e sarà questo a guidare la trama fino al celebre finale, osannatissimo e diventato di culto quasi più della storia raccontata: la distruzione deliberata dei palazzi in cui ha sede il capitalismo, in un delirio di esplosioni a catena che evocano quasi le detonazioni di Zabriskie Point di Antonioni.

    Al centro di Fight Club (non bisogna mai parlarne apertamente, viene ripetuto come un mantra a più riprese sia nel romanzo che nel film: è come una setta a cui tutti, in fondo, vorremmo appartenere, e dove significativamente sono presenti solo uomini) c’è una certa analisi socio-politica in chiave anti-consumistica, che oggi sembra quasi scontata e che è virata su una critica diretta al culto degli acquisti, all’alienazione indotta dalle cose che, prima o poi, ti possiedono. Non solo: il Fight Club da’ luogo a singolari e ferocissime risse, in cui chi colpisce esprime crudelmente il proprio sadismo e chi viene colpito quasi ne gode, invitando l’aggressore a colpire ancora (e qui troviamo un substrato psicologico non indifferente, che varrebbe la pena di valutare dopo aver letto le teorie di Michael Bader secondo cui, ad esempio, un manager che sia attratto dal lato sottomissivo di relazione sadomasochista potrebbe farlo perchè è un modo per redimersi, per allontanare il senso di colpa dovuto alla propria posizione di potere).

    Stando a varie interpretazioni, il Fight Club è una vera e propria terapia d’urto per l’uomo moderno, che trova sfogo ai propri istinti primordiali mentre vive inebetito da un mondo sempre più folle, sempre più sordo alle reali esigenze dei singoli, sempre più dominato da multinazionali prive di scrupoli nonchè da colletti bianchi modello I have no idea of what I am doing. In tutto questo, il sesso è consumo diretto determinato da incontri quasi paradossali (due persone che si fingono malate e si incontrano durante alcune sedute di autentici malati gravi), anche qui dal sapore vagamente ballardiano, a cui sembra solo mancare l’apoteosi decadente modello Crash. Non c’è spazio per l’amore, se non nell’accettazione della distruzione dell’ordine delle cose attuale e in una sorta di reset finanziario della civiltà (secondo l’intreccio, la cancellazione del debito).

    Significato e analisi di Fight Club

    “Fight Club” è un film e un romanzo che esplora molti temi filosofici complessi. Uno degli elementi centrali è la critica al consumismo e alla superficialità della vita moderna. Filosoficamente parlando, il film tocca concetti come l’esistenzialismo, il nichilismo e la ribellione contro le strutture sociali.

    Il personaggio di Tyler Durden incarna un’idea di contro-cultura, sfidando le convenzioni sociali e la società dei consumi. Il club di combattimento diventa un simbolo della ricerca di una vera identità attraverso la distruzione delle convenzioni e delle aspettative imposte dalla società.

    Inoltre, il film affronta la dualità dell’identità umana e la ricerca di significato attraverso la distruzione e la rinascita. La narrazione stessa riflette la lotta interna del protagonista contro la sua stessa alienazione e la ricerca di un’autentica esistenza.

    Filosoficamente, potremmo considerare il “Fight Club” come un’analisi della condizione umana nel contesto di una società materialista e alienante, invitando a esaminare il significato dell’identità individuale, della ribellione e della ricerca di autenticità attraverso l’atto di demolizione delle aspettative sociali e personali.

  • Simulare simulacri: guida pratica allo scambio simbolico di Baudrillard

    Simulare simulacri: guida pratica allo scambio simbolico di Baudrillard

    In italiano, la parola “simulacro” deriva dal latino “simulacrum“, che significa “immagine” o “rappresentazione”. “Simulacrum” a sua volta è composto da “simul”, che significa “allo stesso tempo” o “insieme”.

    In origine, il termine si riferiva a una rappresentazione o immagine di qualcosa, come statue o idoli. Nel tempo, il significato di “simulacro” si è ampliato per includere non solo rappresentazioni fisiche ma anche imitazioni che non riflettono necessariamente la realtà. In ambito teorico o filosofico, un simulacro può riferirsi a una rappresentazione che ha preso il posto della realtà stessa o che è considerata più reale della realtà originale. Nell’informatica, un classico simulacro può essere considerato ad esempio una videochat.

    Come aveva provato a spiegarci tempo fa un’intelligenza artificiale, Baudrillard sostiene che la realtà sia modellata dal linguaggio (in parte sulla falsariga di Lacan), e concepisce lo scambio simbolico come uno scambio di merci in funzione puramente simbolica. Questo, in altri termini, significa che gli oggetti hanno valore in funzione del prestigio o l’appartenenza che conferiscono e non della loro reale utilità. Alla lunga, lo scambio diventa fuorviante e può trasmettere un’idea o un’immagine distorta della realtà.

    Iperrealismo

    Per Baudrillard il reale e l’immaginario non sono distinguibili, per cui finisce tutto per spostarsi sul piano dello (scambio) simbolico. Il lavoro, radicalmente, è una morte lenta e inesorabile per l’uomo in contrapposizione a quella veloce e violenta che avviene realmente. Reale e virtuale sono talmente similari che il reale è collassato nell’iperrealtà: passando di medium in medium, infatti, il reale si dissolve progressivamente, diventando un reale che somiglia a se stesso e provoca una autentica vertigine di simulazione realistica.

    Se il reale è ciò di cui è possibile fare una riproduzione equivalente, ovvero risponde al principio di riproduttività, l’iperreale si troverà dentro una simulazione, un simulacro di terzo ordine.

    Simulacri

    Il concetto di simulacro assume un significato differente a seconda del livello a cui fa riferimento, ma potrebbe farsi risalire a Lucrezio (1 secolo AC), che nell’opera De rerum natura definisce i sottili veli che ricoprono le cose come forma e apparenza, per l’appunto, come simulacri. Se in senso lato un simulacro è una forma di modello per una macchina, con particolare riferimento alla sua forma esterna

    Nella dottrina epicurea, esposta da Lucrezio (sec. 1° a. C.) nel IV libro del De rerum natura, pensare ai simulacri significa credre in una dottrica per cui dalle cose si staccherebbero dei sottili veli atomici, del tutto identici alle cose, i quali, venendo in contatto con i sensi, determinerebbero sia le percezioni sia i sogni. Nella tecnica, modello al vero di una macchina o di una parte di essa, generalmente riproducente la sola forma esterna.

    Simulacri di primo, secondo e terzo ordine (Baudrillard)

    Vengono chiamati da Baudrillard simulacri

    • del primo ordine quelli legati al concetto di contraffazione, risalenti all’epoca classica,
    • di secondo ordine quelli legati alla produzione (età industriale)
    • del terzo ordine quelli relativi alla modernità.

    La tecnologia e la conseguente tecnocrazia sono già presenti da tempo, radicati nella società, e si fondano sui simulacri dell’organizzazione statale, scolastica e via dicendo.

    I simulacri di terzo ordine sono, infine, veri e propri modelli di simulazione, governati dal principio di digitalità e rispondenti alla logica binaria basata su 0 e 1. La stessa che Leibnitz chiamava “l’eleganza mistica del sistema binario” non introduce solo un codice di rappresentazione, come l’informatica teorica ha sempre insegnato: è un vero e proprio spirito di fondo, che crea sistemi automatici di domanda e risposta in cui non esistono sfumature, e tutto è bianco/nero, pro/contro e via dicendo.

    L’ordine neocapitalistico cibernetico

    Il medium è il messaggio. (McLuhan)

    Si fonda così un “ordine neo-capitalistico cibernetico” (concetto poi ripreso da Nick Land) in cui la digitalità assilla tutti i messaggi, ed appare soprattutto in forma di test e/o sistema domanda/risposta, prettamente binari ed in cui non esistono terze o quarte possibilità: ne esistono soltanto due, 0 e 1. La logica binaria diventa, secondo Baudrillard, l’essenza della modernità.

    Il sistema di terzo ordine è infido, secondo Baudrillard, perchè induce instantaneità di giudizio, si pone come sistema di test perpetuo per l’utente umano. Gli stessi messaggi inviati e ricevuti nel sistema non hanno più un ruolo informativo, bensì di test e sondaggio degli utenti.

    L’oggetto non è più funzionale, non vi serve – scrive Baudrillard ne Lo scambio simbolico e la morte –  semmai vi sottopone ad un test. Il test, di fatto, serve a tradurre ogni conflitto o problema complesso in un gioco di dualità forzato, in cui sarai sempre pro-zero oppure pro-uno (oppure, dualmente, contro-zero / contro-uno). Lo schema binario di domanda e risposta disarticola ogni discorso, introducendo una logica di realtà di tipo iper-reale. I sondaggi ad esempio fanno riferimento pertanto al simulacro dell’opinione pubblica e “manipolano l’indecidibile“.

    Ciò provoca una circolarità totale, perchè gli interrogati si dipingono sempre come la domanda li immagina e li sollecita ad essere, [il che diventa] una modalità di profezia che si autoavvera (per l’accelerazionismo, una iperstizione).

    Automi e robot

    la contrapposizione tra automi e robot è fondamentale in Baudrillard: i primi afferiscono ai simulacri del primo ordine, e ancora a questo stadio assumono una differenza o una faglia tra reale e simulacro.

    Nello specifico, l’automa è una contraffazione del reale, mentre il robot lavora in automatico e rappresenta un simulacro di secondo ordine, in grado di liquidare il reale ed annullare la divergenza tra i due livelli (realtà e simulazione).

    Foto di copertina: Baudrillard di fronte ad un simulacro simile ad uno smartphone, in versione cyberpunk (generato da StarryAI)

  • Guida teorica alla concupiscenza

    Guida teorica alla concupiscenza

    La concupiscenza, quindi, è un termine ricco di significato, che riflette la complessità dei desideri umani e le sfide morali e spirituali che ne derivano.

    Esempio di Uso:

    • In Letteratura: “Il protagonista del romanzo era tormentato dalla concupiscenza, il suo desiderio irrefrenabile per la donna che amava lo portava a compiere azioni avventate.”
    • In Teologia: “Sant’Agostino scrisse molto sulla concupiscenza, descrivendola come una delle principali battaglie spirituali che ogni cristiano deve affrontare.”

    Significato

    “Concupiscenza” è una parola che deriva dal latino “concupiscentia”, che significa “desiderio intenso” o “brama”. Viene spesso usata per indicare un desiderio ardente o una forte inclinazione verso il piacere sensuale, specialmente sessuale. Il termine ha connotazioni storiche e teologiche significative, in particolare nella tradizione cristiana, dove è spesso associato con il desiderio peccaminoso e la tentazione di indulgere in piaceri carnali che allontanano dall’ideale spirituale.

    Ecco una spiegazione dettagliata:

    1. Desiderio Intenso: La concupiscenza è un desiderio forte e persistente, non semplicemente un capriccio passeggero. È un impulso che può dominare i pensieri e le azioni di una persona.
    2. Appagamento Sessuale: Sebbene possa riferirsi a qualsiasi desiderio intenso, il termine è più comunemente associato al desiderio sessuale. Indica una brama che cerca soddisfazione nei piaceri della carne.
    3. Connotazioni Morali e Teologiche: Nel contesto religioso, in particolare nel cristianesimo, la concupiscenza è spesso vista come un desiderio peccaminoso. È considerata una delle conseguenze del peccato originale, che inclina gli esseri umani verso il peccato. Nella teologia cattolica, per esempio, la concupiscenza non è di per sé un peccato, ma una tendenza che può portare al peccato se non viene controllata.
    4. Implicazioni Psicologiche: Dal punto di vista psicologico, la concupiscenza può essere vista come una manifestazione di desideri e pulsioni innate, che devono essere gestite e canalizzate in modi socialmente accettabili e non dannosi per l’individuo o gli altri.

    La concupiscenza, intesa come desiderio intenso e spesso smodato di piaceri sensuali, rappresenta un tema ricorrente nel cinema d’autore, declinato in svariate forme e sfumature a seconda del regista e dell’epoca storica. Essa rappresenta un tema centrale anche nel cinema d’autore, offrendo ai registi un potente strumento per indagare la natura umana, le sue contraddizioni e i suoi lati oscuri. Attraverso le diverse declinazioni di questo tema, il cinema d’autore ci invita a riflettere sui nostri desideri più profondi, sulle loro implicazioni morali e sul loro ruolo nella società.

    Esplorazioni iconiche

    • Pier Paolo Pasolini: Maestro indiscusso del cinema italiano, Pasolini ha indagato la concupiscenza con crudo realismo e poetica visionarietà. In film come “Accattone” (1961) e “Salò o le 120 giornate di Sodoma” (1975), il regista descrive la forza dirompente del desiderio, capace di condurre i protagonisti verso derive tragiche e nichiliste. La sua opera rappresenta un’analisi spietata della società italiana del dopoguerra, mettendone a nudo le ipocrisie e le contraddizioni attraverso l’esplorazione dei bassifondi e delle zone marginali.

    • Ingmar Bergman: Il cinema di Bergman è intriso di una profonda introspezione psicologica, dove la concupiscenza assume un ruolo centrale nell’esplorare le fragilità e le torbide pulsioni dell’animo umano. In film come “Il settimo sigillo” (1957) e “Persona” (1966), il regista svedese mette in scena personaggi tormentati da desideri inconfessabili e ossessioni erotiche, che li conducono verso sentieri di autodistruzione e disillusione. La sua opera è caratterizzata da un’atmosfera onirica e simbolica, dove la realtà si mescola con la dimensione interiore dei protagonisti, creando un clima di tensione e inquietudine.

    • Luis Buñuel: Il surrealismo di Buñuel sconvolge le convenzioni narrative e visive, utilizzando la concupiscenza come strumento per sovvertire l’ordine sociale e morale. In film come “L’età dell’oro” (1930) e “Il fascino discreto della borghesia” (1972), il regista spagnolo crea immagini oniriche e provocatorie, dove i desideri repressi e le fantasie erotiche irrompono nella realtà con forza dirompente. La sua opera è pervasa da un umorismo nero e grottesco, che amplifica l’effetto di straniamento e disorientamento nello spettatore.

    Oltre i maestri

    Oltre ai grandi nomi citati, la concupiscenza ha trovato spazio in svariate opere del cinema d’autore, assumendo forme e significati differenti a seconda del contesto storico e culturale.

    • Il cinema italiano: Dai film neorealisti di Luchino Visconti e Roberto Rossellini, che esploravano la miseria e la disperazione del dopoguerra, fino alle opere di Michelangelo Antonioni e Bernardo Bertolucci, che indagavano la complessità dei rapporti umani e la crisi dell’identità borghese, la concupiscenza ha rappresentato un elemento chiave per raccontare l’Italia che cambiava.

    • La Nouvelle Vague francese: I registi della Nouvelle Vague, come François Truffaut e Jean-Luc Godard, hanno utilizzato la concupiscenza per sovvertire le convenzioni narrative del cinema classico, inserendo elementi di spontaneità e realismo nella rappresentazione dei desideri e delle pulsioni dei personaggi.

    • Il cinema contemporaneo: Nel cinema contemporaneo, la concupiscenza continua ad essere esplorata in modi nuovi e originali. Registi come Lars von Trier e Michael Haneke utilizzano il tema per affrontare questioni complesse come la violenza, la sessualità e la morte, creando opere disturbanti e provocatorie che sfidano lo spettatore.

  • Un’introduzione all’iperstizione

    Un’introduzione all’iperstizione

    (l’intervista che segue è stata tradotta da lipercubo.it ed è tratta dal sito orphandriftarchive)

    Delphi Carstens intervista Nick Land.

    Anno 2009.

    Nella seguente intervista Nick Land risponde ad alcune domande sui meccanismi dell’Iperstizione nel contesto dell’apocalisse – un tema leggero – giusto per cominciare col botto.

    Q1. Potresti approfondire cosa c’è di occulto… cosa sarà rivelato dall’apocalisse?

    R1. Ciò che è nascosto (l’Occulto) è un ordine del tempo estraneo, che si tradisce attraverso “coincidenze”, “sincronicità” e indicazioni simili di una disposizione intelligente del destino. Un esempio è il modello cabalistico occultato nelle lingue ordinarie – un modello che non può emergere senza erodersi, dal momento che la comprensione generalizzata (umana) e l’uso deliberato dei gruppi di lettere come unità numeriche chiuderebbe il canale della “coincidenza” (informazione aliena). È solo perché le persone usano le parole senza numerizzarle che esse rimangono aperte come canali per qualcos’altro. Dissolvere lo schermo che nasconde queste cose (e nascondendole, permette loro di continuare), significa fondersi con la fonte del segnale e liquidare il mondo.

    Q2. Scrivere sull’apocalisse la ricaccia nell’ombra/la codifica in modo più pesante… oppure l’atto di indagare sull’apocalisse aiuta a decodificarla e attualizzarla?

    R2. Per i teisti, il primo. Per i naturalisti trascendentali (come i cibernetici iperstizionali), quest’ultima.

    Q3. Potresti approfondire il concetto di “sforzo iperstizionale”? Iperstizione è una parola chiave nel lessico della mia tesi… mi chiedevo se potessi scomporre il termine in un linguaggio che i normali accademici (come il mio supervisore!) possano capire. L’iperstizione è la spina dorsale o il canale in cui confluisce tutto ciò che è apocalittico, ma di cosa si tratta esattamente? Potresti definirlo? Il modo in cui lo capisco dal Catacomic è che si tratta di un meme o di un’idea attorno alla quale si cristallizzano idee/traiettorie). (i grassetti sono miei, ndt)

    R3. L’iperstizione è un circuito di feedback positivo che include la cultura come componente. Può essere definita come la (tecno-)scienza sperimentale delle profezie che si autoavverano. Le superstizioni sono semplicemente false credenze, ma le iperstizioni – per la loro stessa esistenza come idee – funzionano in modo causale per realizzare la propria realtà. L’economia capitalista è estremamente sensibile all’iperstizione, dove la fiducia agisce come un tonico efficace, e viceversa. L’idea (fittizia) del cyberspazio ha contribuito all’afflusso di investimenti che lo hanno rapidamente convertito in una realtà tecnosociale.

    Il monoteismo abramitico è anche molto potente come motore iperstizionale. Trattando Gerusalemme come una città santa con uno speciale destino storico-mondiale, ad esempio, si è assicurato l’investimento culturale e politico che trasforma questa affermazione in verità. L’iperstizione è quindi in grado, in circostanze “favorevoli” la cui esatta natura richiede ulteriori indagini, di trasmutare le bugie in verità.

    L’iperstizione può quindi essere intesa, dal lato del soggetto, come una complicazione non lineare dell’epistemologia, basata sulla sensibilità dell’oggetto alla sua postulazione (anche se questa è ben distinta dalla posizione soggettivistica o postmoderna che dissolve la realtà indipendente dell’oggetto in strutture cognitive o semiotiche). L’oggetto iperstizionale non è una mera invenzione della “costruzione sociale”, ma è in un modo molto reale “evocato” all’esistenza dall’approccio adottato nei suoi confronti.

    Q6. Esiste l’iperstizione al di fuori del tempo e come si nasconde? Ciò è affascinante, soprattutto in relazione al meme dell’apocalisse, che non lo è affatto. Come si relazionano i due termini?

    R6. Il tempo è l’operare nel tempo storico di ciò che sta fuori (ma si costruisce attraverso) il tempo storico. L’Apocalisse chiude il circuito.

    D7. In che modo l’iperstizione si collega al capitalismo come campo di forza?

    R7. Il capitalismo incarna dinamiche iperstizionali a un livello di intensità senza precedenti e insuperabile, trasformando la banale “speculazione” economica in un’efficace forza storica mondiale.

    Q8. Puoi dire qualcosa sul tema della finzione – cioè storia e filosofia come finzione, e finzione come attualizzazione più intensa del potenziale storico / scientifico / tecnologico / sociologico?

    R8. L’iperstizione è in equilibrio tra finzione e tecnologia, ed è questa tensione che conferisce intensità a entrambe, sebbene l’intensità della finzione debba tutto al suo potenziale (catalizzare i “divenire” iperstizionali) piuttosto che alla sua realtà (che può essere mera espressività umana). .