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  • Magnolia: trama, curiosità, spiegazione finale

    Magnolia: trama, curiosità, spiegazione finale

    Molti critici considerano “Magnolia” l’esempio di film postmoderno, nonchè tra i più famosi e iconici lavori cinematografici di fine anni novanta. Il film presenta molte caratteristiche e temi che sono tipici del periodo, sia a livello di approccio che di narrazione intrecciata, dove le storie dei personaggi sono collegate inaspettatamente tra loro, in un turbine non lineare che non lesina la critica sociale.

    Una riflessione profonda e complessa, secondo i più, sulla natura umana e sulla società moderna.

    Sinossi Magnolia

    Magnolia” è un film del 1999 scritto e diretto da Paul Thomas Anderson, regista noto anche per Il filo nascosto. Il film è noto per la sua struttura narrativa complessa e il ricco cast di personaggi, interpretati da attori di talento come Tom Cruise, Julianne Moore, Philip Seymour Hoffman, John C. Reilly, William H. Macy, e molti altri. “Magnolia” è apprezzato per la sua regia, le prestazioni degli attori e la profondità delle sue tematiche. Il film ha ricevuto molte recensioni positive da parte della critica ed è stato nominato per diversi premi, incluso il premio Oscar. Il film è diventato di culto e ha ricevuto elogi dalla critica per la sua maestria tecnica e le prestazioni degli attori. Daniel Day-Lewis è stato particolarmente lodato per la sua interpretazione e ha vinto l’Oscar come Miglior Attore Protagonista per il suo ruolo nel film.

    La storia si svolge a Los Angeles e intreccia diverse trame che coinvolgono personaggi e storie diverse, ma collegate tra loro in vari modi. Il film affronta temi come il destino, la casualità, la solitudine, la redenzione e l’umanità.

    1. Introduzione: Il film inizia con una sequenza che mostra diverse storie brevi di eventi casuali che accadono nella vita di persone sconosciute. Questi eventi apparentemente casuali sottolineano il tema della casualità e del destino che saranno presenti nel resto del film.
    2. Earl Partridge (interpretato da Jason Robards): Earl è un anziano produttore televisivo di successo che è gravemente malato di cancro. La sua giovane moglie Linda (interpretata da Julianne Moore) è sopraffatta dalla colpa e rimorso per aver sposato Earl solo per il suo denaro. Il loro rapporto è complicato e tormentato.
    3. Frank T.J. Mackey (interpretato da Tom Cruise): Frank è un motivatore sessuale di successo, noto per il suo programma di auto-aiuto chiamato “Seduzione e sicurezza”. Nonostante il suo successo professionale, ha un rapporto complicato con suo padre morente, Earl Partridge, e si sforza di affrontare il suo passato turbolento.
    4. Stanley Spector (interpretato da Jeremy Blackman): Stanley è un bambino prodigio della televisione, noto per la sua intelligenza e conoscenza enciclopedica. Il padre di Stanley è ossessionato dal suo successo e lo sfrutta finanziariamente.
    5. Donnie Smith (interpretato da William H. Macy): Donnie è un ex bambino prodigio del quiz televisivo, che ora è un adulto sfortunato e insoddisfatto. Lotta con la sua solitudine e il suo desiderio di trovare amore e successo.
    6. Jim Kurring (interpretato da John C. Reilly): Jim è un onesto poliziotto che sta indagando su una serie di eventi strani e casuali che accadono in città durante la giornata piovosa.
    7. Claudia Wilson Gator (interpretata da Melora Walters): Claudia è una giovane donna tossicodipendente, figlia di un produttore televisivo, Jim Gator (interpretato da Philip Baker Hall). Claudia cerca disperatamente di liberarsi dalla tossicodipendenza e riconciliarsi con suo padre morente.
    8. Intrecci delle storie: Le storie di tutti questi personaggi e di altri ancora si intrecciano e si sovrappongono, spesso in modo inaspettato, durante la giornata. Il film esplora i temi della casualità, del destino e della redenzione, mentre i personaggi affrontano le loro sfide personali e cercano di trovare significato nelle loro vite.

    Il film culmina in un epilogo coinvolgente che lascia spazio all’interpretazione dello spettatore, con eventi misteriosi e straordinari che sconvolgono la vita dei personaggi e offrono una riflessione sulla natura umana e sulla connessione tra gli individui.

    Cast Magnolia

    Il cast di “Magnolia” è composto da un eccezionale insieme di talentuosi attori, molti dei quali hanno ricevuto ampi elogi per le loro interpretazioni nel film. Di seguito è riportato il cast principale:

    1. Jeremy Blackman – Stanley Spector
    2. Tom Cruise – Frank T.J. Mackey
    3. Melinda Dillon – Rose Gator
    4. Philip Baker Hall – Jimmy Gator
    5. Philip Seymour Hoffman – Phil Parma
    6. Ricky Jay – Burt Ramsey
    7. William H. Macy – Donnie Smith
    8. Julianne Moore – Linda Partridge
    9. John C. Reilly – Jim Kurring
    10. Jason Robards – Earl Partridge
    11. Melora Walters – Claudia Wilson Gator
    12. Michael Bowen – Rick Spector
    13. Luis Guzmán – Luis
    14. April Grace – Gwenovier
    15. Orlando Jones – Moderatore TV
    16. Alfred Molina – Solomon Solomon
    17. Pat Healy – Sir Edmund William Godfrey
    18. Michael Murphy – Alan Kligman

    Interpretazione del film

    Nel gioco della vita l’importante non è quello che sperate o che meritate, ma quello che prendete. Sono Frank T.J. Mackey, sovrano assoluto della fica e creatore del programma Seduci e Distruggi, ora disponibile anche in audio e videocassette. Seduci e Distruggi vi insegnerà tutte le tecniche necessarie a conquistare bionde mozzafiato pronte a benedire con i loro caldi umori il vostro letto. La parola chiave è il “linguaggio”: come per incanto il linguaggio ci aprirà le porte della mente femminile e ci permetterà di penetrare nelle loro speranze, desideri, paure, aspettative e nelle loro profumate mutandine. Imparate a trasformare la vostra buona amica in una schiava affamata di sesso. (Frank T.J. Mackey)

    “Magnolia” è un film ricco di simbolismi e temi complessi, che permette a diversi spettatori di trarre interpretazioni e significati personali dalla trama intricata. Va notato che “Magnolia” è un film aperto all’interpretazione e molte delle tematiche presentate sono intenzionalmente ambigue, lasciando spazio per diverse interpretazioni personali. La complessità delle storie e dei personaggi contribuisce a rendere il film un’esperienza cinematografica unica e coinvolgente per molti spettatori. Di seguito sono riportate alcune delle interpretazioni comuni del film:

    1. Casualità e destino: Un tema centrale del film è l’interconnessione degli eventi casuali e il ruolo del destino nella vita dei personaggi. Il film mette in evidenza come le azioni di una persona possono avere impatti inaspettati sulla vita di altre persone, creando una rete di connessioni e coincidenze.
    2. Solitudine e disconnessione: Molti dei personaggi del film sperimentano una profonda solitudine e disconnessione emotiva dagli altri. Nonostante vivano in una grande città come Los Angeles, si sentono isolati e incapaci di connettersi veramente con gli altri. Questo tema viene enfatizzato attraverso la rappresentazione di diverse storie di vita separate che si intrecciano solo occasionalmente.
    3. Redenzione e perdono: Diversi personaggi nel film stanno cercando la redenzione dalle loro azioni passate o stanno cercando di perdonare se stessi o gli altri. Il processo di redenzione è spesso ostacolato dalla complessità delle relazioni familiari e dei conflitti interni.
    4. Relazioni genitoriali: “Magnolia” esplora il tema delle relazioni complicate tra genitori e figli, evidenziando come il passato dei genitori possa influenzare profondamente la vita dei loro figli. Questo tema è rappresentato attraverso vari personaggi, come Frank T.J. Mackey e suo padre Earl Partridge, Claudia Wilson Gator e suo padre Jimmy Gator, e Donnie Smith e la figura paterna di Stanley Spector.
    5. Rinascita e cambiamento: Il film suggerisce che anche nelle situazioni più difficili, esiste la possibilità di una rinascita personale e di un cambiamento positivo. Molti personaggi affrontano momenti di crisi e, attraverso queste esperienze, trovano la forza di cambiare le loro vite.
    6. Il potere delle emozioni: “Magnolia” esplora l’intensità delle emozioni umane e il modo in cui queste possono influenzare le azioni e le decisioni dei personaggi. L’emozione è spesso rappresentata in maniera esplosiva e straordinaria nel film.

    A cosa si riferisce Magnolia del titolo?

    Il titolo “Magnolia” fa riferimento a un simbolo ricorrente nel film, ossia il fiore della magnolia. La magnolia è un albero sempreverde che produce grandi fiori profumati e appariscenti. Nel contesto del film, il fiore della magnolia assume diversi significati simbolici:

    1. Bellezza e fragilità: La magnolia è spesso associata alla bellezza e alla delicatezza dei suoi fiori. Questo simboleggia la bellezza e la fragilità delle vite dei personaggi nel film, che sono complesse e vulnerabili, ma allo stesso tempo affascinanti.
    2. Rinascita e speranza: La magnolia è un albero il cui fogliame e fiori rimangono durante tutto l’anno. Questo simboleggia la possibilità di rinascita e di speranza per i personaggi, anche attraverso momenti difficili e oscuri.
    3. Connessione e interconnessione: Nel film, il tema delle connessioni casuali tra i personaggi è centrale. La magnolia simboleggia la rete di connessioni che collega le loro vite, creando una trama intrecciata.
    4. Dualità: La magnolia è nota per la sua dualità, in quanto i suoi fiori sbocciano sia in primavera che in autunno. Questa dualità si riflette nel film, dove i personaggi possono essere complicati e contraddittori, con sfaccettature nascoste.
    5. Bellezza nascosta: Nei fiori della magnolia, i petali sono spesso coperti da un involucro protettivo che si apre per rivelare la bellezza interna. Questo può essere visto come un simbolo per la scoperta delle verità nascoste e delle emozioni profonde dei personaggi nel film.

    Noi possiamo chiudere col passato, ma il passato non chiude con noi. (Jimmy Gator)

    10 cose che non sapevi su Magnolia

    Ecco dieci curiosità interessanti sul film “Magnolia”:

    1. Origine del titolo: Il titolo “Magnolia” è ispirato a una canzone di Aimee Mann, intitolata “Save Me”, che è anche presente nella colonna sonora del film. Aimee Mann ha contribuito con diverse canzoni per la colonna sonora del film.
    2. Numeri ricorrenti: Nel film, il numero 82 ricorre in varie scene. Ad esempio, compare sulla scatola delle scarpe di Jim Kurring, sulla targhetta dell’ufficiale di polizia, e anche sulla camicia di Stanley Spector.
    3. La pioggia nel film: La pioggia è un elemento ricorrente in molte scene del film. La pioggia è stata generata artificialmente durante le riprese, poiché il film è ambientato a Los Angeles, che non è una città particolarmente piovosa.
    4. Personaggi doppi: Molte delle storie dei personaggi nel film hanno delle parallele tra loro. Ad esempio, i personaggi di Frank T.J. Mackey e Donnie Smith condividono alcuni tratti e hanno entrambi problemi con la figura paterna.
    5. Audizione di Tom Cruise: Tom Cruise, che interpreta Frank T.J. Mackey, ha ottenuto il ruolo dopo un’audizione telefonica con il regista Paul Thomas Anderson. Cruise ha ricevuto elogi per la sua performance, ottenendo anche una nomination all’Oscar come Miglior Attore Non Protagonista per il ruolo.
    6. Riferimenti a altre opere: Il film presenta diversi riferimenti a opere letterarie e cinematografiche. Ad esempio, il film inizia e finisce con una citazione dal libro “Frogs” di Aristofane.
    7. La traccia di Aimee Mann: Come accennato prima, Aimee Mann è una presenza importante nella colonna sonora del film. La sua musica contribuisce a creare un’atmosfera emozionante e si adatta perfettamente alla narrazione del film.
    8. Philip Seymour Hoffman e gli uccelli: Durante il film, il personaggio interpretato da Philip Seymour Hoffman, Phil Parma, mostra un amore per gli uccelli e li tiene come animali domestici. Hoffman era noto anche per il suo amore per gli animali nella vita reale.
    9. Lunghezza del film: “Magnolia” ha una durata piuttosto estesa, con una durata di circa 3 ore e 8 minuti. Questo lo rende uno dei film più lunghi nella filmografia del regista Paul Thomas Anderson.
    10. Finale ambiguo: Il finale del film è aperto all’interpretazione dello spettatore e ha suscitato diverse teorie e discussioni tra i fan e i critici. Il finale straordinario e misterioso ha contribuito a rendere “Magnolia” un film memorabile e discusso.

    Queste curiosità aggiungono ulteriore fascino e profondità a “Magnolia”, rendendolo un’opera cinematografica affascinante e intrigante da esplorare.

    Spiegazione del finale Magnolia

    Il finale di “Magnolia” è un’esperienza intensa e surreale che mette in luce i temi chiave del film, come la casualità, il destino, la redenzione e la connessione umana. È una sequenza carica di emozioni, che offre uno sguardo complesso e profondo sulla natura umana e il modo in cui le nostre vite sono intrecciate.

    Attenzione: Spoiler a seguire per chi non ha visto il film.

    Di seguito una spiegazione dettagliata del finale:

    1. La pioggia: La pioggia nel finale simboleggia un momento di catarsi e purificazione per i personaggi. La pioggia può essere vista come una manifestazione esterna delle intense emozioni e tensioni interiori che i personaggi stanno vivendo.
    2. La pioggia di rane: Durante la sequenza finale, in un evento straordinario e surreale, cominciano a piovere rane dal cielo. Questo evento è un elemento surreale e allegorico che simboleggia l’imprevedibilità e l’incredibile natura della vita. È come se il mondo si stesse ribellando e reagendo in modo straordinario alle emozioni e ai drammi che i personaggi stanno vivendo.
    3. Le scelte dei personaggi: Molti dei personaggi si trovano ad affrontare momenti di svolta nelle loro vite durante la pioggia di rane. Si scontrano con la loro coscienza e cercano di trovare la forza di fare scelte cruciali che cambieranno il corso delle loro storie.
    4. La scena della pistola: Durante la pioggia di rane, il personaggio di Jim Kurring, interpretato da John C. Reilly, affronta una situazione drammatica. Viene chiamato a gestire una situazione in cui un ragazzo sta minacciando di uccidersi con una pistola. Jim riesce a calmare il ragazzo, convincendolo a lasciare la pistola. Questa scena rappresenta il tema della redenzione e della compassione.
    5. Il canto: Durante la pioggia di rane, i personaggi iniziano a cantare insieme la canzone “Wise Up” di Aimee Mann. Il canto è una sorta di catarsi collettiva, un modo per esprimere le emozioni che stanno attraversando. Anche i personaggi che erano stati isolati o chiusi a loro stessi si uniscono nel canto, sottolineando l’importanza della connessione umana.
    6. L’epilogo: Dopo la pioggia di rane, il film presenta un epilogo che mostra il destino dei personaggi principali. L’epilogo offre alcune chiusure alle storie dei personaggi, ma allo stesso tempo lascia spazio per l’interpretazione e la riflessione dello spettatore.
  • Guida perversa al cinema: l’analisi filosofica e psicoanalitica di Zizek

    Guida perversa al cinema: l’analisi filosofica e psicoanalitica di Zizek

    Un documentario in cui Slavoj Zizek esamina molti film celebri, glissando dai titoli di Hitckcock a quelli di David Lynch, dal punto di vista filosofico e psico-analitico.

    In breve. La filosofia di Žižek può ritenersi condivisibile o meno, ma di sicuro è più comprensibile di quella di molti suoi colleghi. Questo documentario può ritenersi, alla peggio, una guida ragionata alla riscoperta di titoli cinematografici (soprattutto horror e thriller) che hanno fatto la storia, e che siano rilevanti dal punto di vista psicoanalitico.

    La Guida perversa al cinema rappresenta probabilmente uno dei documentari più importanti ed incisivi mai usciti su questo argomento; a cominciare dal titolo, che evoca evidentemente uno storico di cinematografia di genere e che coinvolge titoli di ogni ordine e grado, analizzandoli dal punto di vista del filosofo e psicoanalista sloveno Slavoj Žižek (doppiato brillantemente da Tatti Sanguineti).

    Se il punto di vista di Žižek è considerato a volte controverso e, quasi senza dubbio, non sempre pienamente condivisibile, rimane un’analisi molto lucida ed efficace alla riscoperta del significato psico-analitico di molti titoli che abbiamo amato, che fosse da cinefili incalliti o da pubblico affascinato. Ad esempio quelli di Hitchcock, ed ampio spazio viene riservato a La donna che visse due volte e naturalmente Psico. Molti passaggi di quel cinema che spesso passavano sottogamba, di fatto, vengono qui rivalutati e rivitalizzati in un’ottica filosofico-concettuale decisamente affascinante, facendoci capire le probabili reali intenzioni di quei registi.

    https://www.youtube.com/watch?v=Azu1t1I3lDM

    Il rischio, in questi casi, è che la critica finisca per travolgere le effettive intenzioni del regista, associando a vari film intenzioni e sottosignificati che il cineasta di turno non avrebbe neanche mai pensato; alcune digressioni, effettivamente, rischiano di risultare vagamente azzardate, come ad esempio il citato corto della Disney Il giorno del giudizio di Pluto, che secondo il filosofo sloveno sarebbe una rappresentazione allegorica di un processo politico staliniano, in cui la condanna viene unanimamente e grottescamente stabilita ancora prima di iniziare il processo.

    Il problema, secondo me, non è tanto stabilire se Žižek abbia torto o ragione, quanto utilizzare la visione di questo documentario per riscoprire titoli incredibili e sottovalutati negli anni: a partire ad esempio dal cinema di David Lynch, in cui viene quasi sempre prefigurato il desiderio sessuale ed il mistero della femminilità attraverso figure (quasi da teatro dell’assurdo, verrebbe da scrivere) di grotteschi padri-padroni (vengono citati Strade perdute, Mulholland Drive, Cuore selvaggio e Velluto Blu).

    Non solo: molte questioni emblematiche sul concetto di osservare, sulla filosofia annessa al desiderio e come il cinema finisca per essere più realistico della realtà sono tratte sia film celebri (ampio spazio è dedicato anche a Matrix, ad esempio) che da piccole perle del passato come, ad eempio, Possessed (L’amante) di Clarence Brown del 1931.

    L’analisi viene condotta in modo originale ed accattivante, coinvolgendo concetti complessi in modo comprensibile anche perchè – nella maggiorparte dei casi – Žižek si reca personalmente nei luoghi dove i film citati sono stati girati, affiancando brillantemente le riprese originali con quelle della regia Sophia Fiennes. Possiamo vedere, ad esempio, il commentario al pluri-premiato film La conversazione di F. F. Coppola, direttamente dal motel in cui Gene Hackman osserva un omicidio.

    In tutto questo, ovviamente, la regia della Fiennes gioca un ruolo fondamentale, in quanto nelle riprese documetaristiche vengono riprodotte le condizioni ambientali e di illuminazione delle pellicole originali dando così, in molti casi, un senso di continuità tra il protagonista che parla con un altro personaggio e Žižek che sembra “inserirsi” materialmente nella scena. Se alcuni momenti, poi, sono visibilmente grotteschi – in certi casi forse al limite del risibile, vedi ad esempio la digressione su quella che non esiterei a definire “filosofia del cesso”, con Žižek seduto sul water a commentare una specifica scena del film di Coppola in cui il personaggio di Gene Hackman  – detective con l’ossessione per la privacy – ispeziona un bagno e lo scarico del WC si riempie di sangue.

    Un documentario che potete trovare su Amazon Video e che, pertanto, suggerisco caldamente di procurarvi.

  • Dark star: quando John Carpenter propose una parodia di 2001 Odissea nello spazio

    Dark star: quando John Carpenter propose una parodia di 2001 Odissea nello spazio

    Film di satira fantascientifica di John Carpenter: il suo primo lungometraggio prodotto in strettissima collaborazione con Dan O’ Bannon (sceneggiatore di Alien di Ridley Scott nonchè regista del cult “Il ritorno dei morti viventi“).

    In breve: weird, ultra-trash e zeppo di ingenuità (spesso volute), merita di essere visto nonostante la lentezza di fondo anche solo per gli strepitosi 15 minuti conclusivi. Meglio l’alieno pallone che viene sgonfiato da un ago, oppure la bomba che inizia a discutere di filosofia?

    Dark Star è il nome dell’astronave che sta viaggiando nello spazio alla ricerca di pianeti instabili da abbattere: il suo equipaggio è composto da cinque astronauti piuttosto atipici, affetti da paranoie e schizofrenie che – a differenza del clima claustrofobico che si instaura ne “La cosa” – vengono ritratte in maniera piuttosto demenziale. Il sergente Pinback, in particolare, si configura come un burlone che si diverte a stuzzicare i propri compagni e che possiede idee alquanto bislacche. Sua è stata, ad esempio, quella di adottare come mascotte della nave un alieno trovato chissà dove, che ha la forma in tutto e per tutto di un pallone aerostatico con due mani artigliate al posto delle zampe (il ticchettare delle sue dita è, di per sè, già di culto!).

    Carpenter se ne sbatte della eventuale forma poco credibile da Z-movie di “Dark Star”: quello che conta è divertirsi e possibilmente divertire, ad esempio mostrando una sorta di “confessionale” nel quale gli astronauti descrivono i propri disastrosi rapporti sociali con gli altri membri dell’equipaggio, lamentando di amenità come chi ha dimenticato il compleanno di  qualcuno. I problemi degli astronauti sono di natura molto goliardica: è finita la carta igienica a bordo, oppure è stata caricata a borda una piantina di un pianeta sconosciuto che “rutta e scoreggia“.

    Chi se ne importa, alla fine, se si vede benissimo che “l’alieno” altri non è se non un pallone gonfiato che, dopo aver fatto i dispetti a Pinback (rischiando di ammazzarlo, peraltro), viene letteralmente bucato (!) da una siringa contente un anestetico. Successivamente, con la collaborazione del computer di bordo (un’evolutissimo “Hal” parodiato da 2001 Odissea nello spazio) si viene a scoprire che per colpa di un guasto la bomba della nave avrebbe deciso di farsi esplodere: a questo punto il tenente Dolittle ingaggia una discussione con la macchina a suon di filosofia (!), e si fa convincere di non compiere la detonazione fino all’inaspettato (e geniale) finale.

    “Dark star” è un film avanti per la sua epoca anche se, bisogna dire ad onor del vero, possiede alcuni difetti che lo rendono un film piuttosto “grossolano”, se si vuole, e poco adatto ad essere visionato dal pubblico moderno (o dalla sua maggioranza). Da non perdere per nessun motivo la chicca finale del surf, cosa che accomunerà questo film con il successivo “Fuga da Los Angeles“.

  • The Lighthouse: alla ricerca del nostro faro psichico

    The Lighthouse: alla ricerca del nostro faro psichico

    1890: due guardiani del faro vivono su una remota isola del New England, prendendosi cura della struttura. L’equilibrio sembra destinato a saltare per via del maltempo e delle provviste che scarseggiano…

    In breve. Affascinante nella forma quanto vagamente logorroico nella sostanza, The lighthouse restituisce una dimensione horror primordiale, claustrofobica, d’essai, a volte illuminante, altre un po’ persa nel proprio linguaggio. Un film non banale e destinato, più che altro, a chi cerchi qualcosa fuori norma.

    Diretto da Robert Eggers (e scritto dal medesimo assieme al fratello Max), The Lighthouse è una sorta di piece teatrale al cinema, in cui ovviamente giganteggia il ruolo di Willem Dafoe (che nel teatro molto ha lavorato). Imponente, insopportabile, sorprendente nella sua mutevolezza, solo di pochissimo più convincente del proprio antagonista. The Lighthouse è senza dubbio un horror fuori norma, il che dovrebbe “far bene” al genere per sua stessa natura, dato che la narrazione procede in modo anti-causale (e forse addirittura senza un vero e proprio riferimento cronologico), evocando una meta-narrativa al passato – si racconta o si rivive ciò che si è già vissuto – un po’ come avveniva a Jack Torrance in Shining, condannato a rivivere un passato dimenticato o forse, per dirla diversamente, come se la foto finale del party prendesse vita e mostrasse lo scrittore al party del 1921. In The Lighthouse sembra quasi mancare, peraltro, una trama vera e propria, nel senso che nella prima mezz’ora sembra esserci ma poi non c’è, va in scena un tipo psicologico, poi un altro, poi ancora un’altro che mette in crisi gli altri due. Un espediente narrativo che farà storcere il naso ad alcuni ma che, ad esempio, chi segue il teatro moderno non dovrebbe aver difficoltà a seguire.

    Non sfigura Robert Pattinson nel ruolo del custode gentile e senza esperienza (salvo ravvedimenti come da copione), costretto a sottostare alle angherie del proprio capo per motivi, per la verità, alquanto criptici. Tanto da appensantire vagamente la visione (un’ora e mezza abbondante, che sembra almeno il doppio), tenuta vivida – se non altro – dal dettaglio della sirena, il personaggio che si frappone furtivamente nelle visioni (o forse nella realtà) del Thomas giovane. “Il terzo incomodo” appare fugacemente come una mancata liberazione, un sogno soffocato alla nascita, impossibile da realizzare a livello anatomico quanto, di fatto, ideale assoluto di bellezza non raggiungibile. Anche in questo confermiamo l’impressione che l’unico modo di parlare del film, oggettivamente difficile da raccontare, sia quello di descrivere micro-scene legate convulsamente tra loro.

    Sulla figura della sirena (Valeriia Karaman) vale la pena spendere qualche altra riga: personaggio ovviamente mitologico e derivante dall’Odissea di Omero, in cui la seduzione del canto veniva usata come arma per procurarsi carne umana (erano metà donne e metà uccelli, almeno all’inizio). La sirena eggersiana è più canonica, ricalca quella di origine medievale: fuoriesce dal mare metà donna e metà pesce. In una scena delirante – forse la migliore del film – appare sullo schermo a mo’ di twist e, vale la pena di notare, dal sapore cronenberghiano, dato che il personaggio si scopre dotato di vagina, sogno represso della pulsione sessuale del Thomas giovane. Sogno che viene espresso da un simbolo preciso: la statuetta con cui l’uomo si masturba pensando alla sua figura in carne ed ossa. D’altro canto il Thomas anziano, dualmente, sembra alludere ad una dimensione purificatrice, assoluta, forse anche erotica nella sommità del faro, dove viene intravisto senza vestiti e dove, presumibilmente, aleggia qualche misteriosa creatura marina. Vale la pena di sottolineare – attenzione allo spoiler successivo – il mood con cui finalmente il protagonista raggiunge la sommità della torre, estasiato dalla visione di quella luce da vicino con una colonna sonora che ricorda molto da vicino quella minacciosa e psichedelica di 2001 Odissea nello spazio. Il faro diventa il nuovo monolite, il barlume dell’evoluzione tecnologica a venire, con tutto quello che ne consegue (?).

    Se nell’horror c’è di mezzo il mare, del resto, la tradizione filmica insegna che è quasi sempre un delirio citazionistico che rischia di rimanere lettera morta: fu il caso di Dagon, ad esempio, e dei suoi incubi sottomarini che mai hanno davvero funzionato, senza contare le miriadi di monster movie con creature marine e citando doverosamente il film più di ogni altro, probabilmente, con qualche assonanza con The Lighthouse (mi riferisco a The Fog). La spiegazione del Male in Carpenter, tuttavia, aveva una spiegazione precisa (dei pirati-spettri, forse ricorderete); quella di Eggers al contrario non racconta di un villain, ma sembra alludere al trionfo del senso di colpa, all’annullamento dell’uomo all’interno di azioni che lui stesso, per primo, non comprende. Azioni irrazionali (e spesso violente) che è spinto ad eseguire da un Grande Altro mistico quanto non raccontabile, quasi come se Dio fosse il cinico sperimentatore di un qualche test di psicologia sociale. Che i due guardiani faranno degenerare il rapporto, del resto, è talmente scontato che non dovrebbe nemmeno essere scritto; ma serve comunque un’ancora di salvezza per il pubblico, gran parte del quale a mio avviso potrebbe non cogliere ogni sfumatura o adagiarsi sull’atteggiamento radical chic per eccellenza (far finta di aver capito). Una chiave di lettura puramente nichilista, a questo punto, con la rappresentazione di un uomo-fantoccio che agisce crudelmente e senza un vero motivo – autentico leitmotiv lovecraftiano, peraltro – sembra davvero l’unica possibilità per non uscire dalla sala maledicendo la scelta del film, provando ad interpretarlo in una qualche chiave.

    Il soggetto del secondo film di Eggers è vagamente tratto da Il faro di E. A. Poe, il mitologico (anche qui) ultimo racconto, incompiuto, dello scrittore, in cui manca il quarto capitolo (c’è solo il titolo, e qualcuno ha anche suggerito la fan theory che fosse quella la conclusione della storia, dato che il narratore è morto, in tutti i sensi): i fratelli Eggers tuttavia producono qualcosa di differente dalla storia in questione, incentrato su una via di mezzo tra il thriller psicologico ed il grottesco puro.

    E se fosse un unico personaggio sadico o auto-lesionista?

    Il sospetto che si possa trattare di una sorta doppelganger psichico del personaggio potrebbe, di fatto, avere un suo perchè, quantomeno a cavallo tra prima e seconda parte dell’opera. Ciò tuttavia non spiega parte del resto, impossibile o quasi da decifrare e complicato dalla presenza dell’elemento narrativo a sorpresa (il terzo guardiano biondo). Se non altro resta impresso il leitmotiv: Thomas Howard desidera raggiungere la sommità del faro, Thomas Wake fa di tutto per impedirglielo. Il punto più oscuro del film consiste, di fatto, nell’apparente mutevolezza dei ruoli dei due (tre?): i due Thomas sembrano infatti interscambiarsi i ruoli in modo psicotico, senza preavviso, da vittima a carnefice e viceversa, accomunati dall’abuso di alcol, da un atteggiamento antisociale e da una personificazione prima attiva, poi passiva, poi di nuovo attiva. A complicare ulteriormente il profilo psicologico dei protagonisti si aggiunge una vaga allusione omoerotica tra i due, ed il fatto che in vari momenti il Thomas giovane si faccia chiamare, contraddicendosi più volte, Ephraim Winslow (gli echi lynchiani in effetti non sono da poco: viene in mente, ad esempio, Mulholland Drive e i suoi personaggi che cambiano aspetto).

    Non sputare il tuo rospo, qualunque esso sia.

    Girato in un sulfureo bianco e nero per scelta registica, The Lighthouse consta di soli due attori (più altre due comparsate che, peraltro, sembrano tutt’altro che irrilevanti). Resta sicuramente un film complesso, lontano dal mainstream, concettuale e filosofico, con echi psicologici di vario livello e spesso, c’è da ribadire, avulso ad una forma realmente chiara. In questi casi, come dire, de gustibus: probabile che la mia lettura non abbia convinto tutti e, mi verrebbe da dire, meglio così. Il film si presta a più interpretazioni e credo che in questi casi non sia nemmeno questo, esattamente, il punto. Oppure, parafrasando Lacan, il problema nemmeno si pone, dato che il linguaggio è ambiguo per natura e la maggior parte del tempo non sapete assolutamente nulla di ciò che dite.

    Robert Eggers ha diretto, oltre a questo film, The Vvitch e The Northman.

    Finale del film: spiegazione (avviso spoiler)

    Il film è noto per la sua trama enigmatica e surreale, che può essere interpretata in diversi modi. Ecco una spiegazione generale del finale del film.

    Il film segue due guardiani di un faro, interpretati da Willem Dafoe e Robert Pattinson, che lavorano su un’isola remota nel New England alla fine del XIX secolo. Mentre sono bloccati sull’isola a causa di una tempesta, i due uomini iniziano a mostrare segni di paranoia, follia e conflitto.

    Alla fine del film, la situazione diventa sempre più caotica e instabile. Thomas Wake (Dafoe) cerca di convincere Ephraim Winslow (Pattinson) a salire in cima al faro, che è stato la sua ossessione per tutto il tempo. Quando Winslow finalmente raggiunge la cima del faro, scopre un’immagine terribile: una visione di una divinità marina o di un mostro tentacolare.

    La sequenza finale è aperta a interpretazioni. Alcuni vedono l’immagine come una manifestazione della follia di Winslow, mentre altri la interpretano come una sorta di giudizio divino o punizione per i peccati dei personaggi. Il film suggerisce che la follia, l’isolamento e la paranoia possono portare a visioni e percezioni distorte della realtà. Infine, Winslow uccide Wake e si impadronisce della luce del faro, ma viene attaccato e ucciso da un gabbiano. La luce del faro, che rappresenta un potere e una conoscenza inaccessibili, sembra essere la causa principale di tutta la discordia e della follia sull’isola.

    In generale, il finale del film è aperto a interpretazioni e lascia molte domande senza risposta. Può essere interpretato come una discesa nella follia, una metafora sulla lotta per il potere e la conoscenza, o una rappresentazione di forze soprannaturali. Il regista Robert Eggers ha intenzionalmente creato un film che sfida lo spettatore a trovare il proprio significato nella storia.

  • Io, Caligola: un film scabroso a sette facce, rinnegato da chiunque

    Io, Caligola: un film scabroso a sette facce, rinnegato da chiunque

    L’imperatore Tiberio sta per morire, e convoca il successore Caligola, suo nipote, dedito ad una vita più dissoluta della sua.

    In breve. Sesso esplicito e violenza nella Roma decadente dell’epoca: ecco la storia di Gaio Giulio Cesare Augusto Germanico vista dalla regia di Tinto Brass. In verità, questo è vero solo sulla carta. Il film ebbe una produzione travagliatissima, il regista venne licenziato prima della fine dei lavori e ci furono incalcolabili problemi con la censura (e con varie forme di boicottaggio).

    Se la Mirren (che nel film interpretava il personaggio Cesonia) commentò sobriamente dopo la fine delle riprese di “un mix irresistibile di arte e genitali“, Rogert Ebert parlò di “vergognosa spazzatura“, stigmatizzandone la partecipazione di attori di grosso calibro. Il Malcom McDowell di Arancia Meccanica interpreta Caligola, e la scelta sembra essere felicissima – fa anche sorridere che qualche movenza dell’imperatore decadente per eccellenza ricordi quella di Alex, soprattutto quando cerca falsamente di convincere chi teme (autorità o rivali al potere che siano) che la situazione sia sotto controllo. Non valgono a molto, viste oggi, le pesanti critiche che vennero mosse a Caligula, anzi lette oggi sembrano piuttosto fini a se stesse, come spesso accade nel caso di film banditi dal genere umano per scelta di uno o più censori: naturale pensare anche a Morituris.

    Quattro furono gli anni necessari per girare questo film, che in Russia fu vietato fino al 1993, in Australia fino al 1981; bisognerà aspettare il 1984 per la versione uncut vietata ai minori, “lusso” che durò qualche anno, perchè di divieti assoluti ne arrivarono altri due, nel 2005 e nel 2010. In Brasile Io, Caligola venne trasmesso in TV solo parzialmente, per poi sparire per sempre in seguito alle proteste degli spettatori (che non videro mai la seconda metà). In Bielorussia, poi, questo film non circola neanche oggi. Un vero e proprio “bollettino di guerra“, insomma, per uno dei film che – come avvenuto anche per La fortezza di M. Mann, ad esempio. – avrebbero potuto essere qualcosa di memorabile, se solo ci fosse stata unità di intenti e – mi permetto di aggiungere – rispetto delle libertà artistiche.

    Basato su un’idea dello scrittore Gore Vidal, il soggetto è fortemente incentrato su un focus sul mondo dell’omosessualità, che pero’ nella pellicola si nota solo in parte (eufemismo per non scrivere molto poco). Il girato vide un primo cambio di rotta nell’imposizione di Bob Guccione (produttore, oltre che regista, di alcune sequenze aggiunte/manipolate in seguito), il quale temeva, con la scelta di mostrare rapporti gay, di andare contro i gusti del famigerato “grande pubblico”. Per protesta Vidal non volle farsi accreditare tra gli autori, ma venne comunque pagato 225.000 dollari, a quanto risulta.

    Non si può dire che Caligula sia nato sotto una buona stella, e questa prima discrepanza artistica fu solo l’inizio di una storia che vide scandali, licenziamenti, soldi investiti e mai più recuperati, critica schierata militarmente contro il film e via dicendo. Parliamo di quello che, secondo IMDB, fu uno dei film indipendenti (quando fare film indie non era roba da hipster, forse) più costosi della storia, che diede lavoro a più di 1500 persone tra attori, tecnici, addetti ad effetti speciali e via dicendo. Eppure, paradosso dei paradossi, a nessuno sembra importare della sostanza del film, che – sia pur nei suoi eccessi erotici – sembrava addirittura esserci, per quanto un film manipolato ad arte possa consentire. Caligula è significativo ancora oggi per quanto rientri nelle grandi occasioni mancate (e non per colpa di un singolo, beninteso) perchè sarebbe forse potuto essere una delle migliori trasposizioni storico-decadenti sull’Imperatore in questione. Parliamo di pure speculazioni, ovviamente, che mai potremo provare o smentire, ma tant’è.

    Tra gli attori che non vollero farsi coinvolgere nel progetto, per la cronaca, troviamo sia Orson Welles, il quale indicò motivi morali per questi diniego, e Maria Schneider, che aveva iniziato a girare le prime scene – ma che venne sostituita perchè in imbarazzo nel girare le scene di incesto (l’imperatore Caligola aveva infatti una relazione incestuosa con la sorella Drusilia). Del resto le sequenze grevi nel film non mancano: al di là di nudi più o meno artistici o necessari cosparsi in tutto il film, molte sequenze finiscono per evocare una lettura da cinema pasoliniano, dove l’obiettivo è quello di esorcizzare gli abusi del Potere mediante la rappresentazione di sesso e decadenza. Brass (e/o Guccione) non risparmia nulla e mostra scene di sesso di gruppo, omosessuale quanto eterosessuale, inasprendo le stesse in modo imprevedibile (si vede anche una castrazione punitiva, ad esempio, ed una brutale sodomia) e rendendo gli atti stessi quasi indispensabili al mantenimento di un impero che, con Caligola, sembrava avviarsi alla rovina.

    Stai assistendo alla … distruzione dell’Urbe!

    Una delle scene più note, del resto (lo stupro di Proculo e della sua promessa sposa) è una chiara metafora modello A Serbian Film, in cui si condanna e si esemplifica l’arbitrio e la prepotenza del potere (ovviamente personificato da Caligola) nei confronti di chi, come viene detto apertamente, ha come paradossale “colpa” quella di aver servito fedelmente Roma. Se il principio a cui si ispira l’Imperatore è degradato, pertanto, è chiaro che qualsiasi personaggio retto sarà condannato per colpa di un diabolico contrappasso. Ed in quest’ottica la sodomizzazione di Proculo (che McDowell rifiutò di girare, e Brass trasformò in un brutale fisting non inquadrato), probabilmente fu ancora più traumatizzante per lo spettatore. Per inciso, durante la scena in questione, più volte l’Imperatore invita la vittima ad assistere ad occhi aperti, omaggiando implicitamente la cura Ludovico di kubrickiana memoria.

    Io, Caligola meriterebbe, al netto dei dettagli controversi ad ogni latitudine, una riscoperta se non una rivalutazione filologica (ammesso che sia lecito farlo) anche solo per la maestosa interpretazione di Malcom McDowell nella parte dell’imperatore, che arrivò – per dirne una – ad inventarsi una scena di sana pianta, decisamente suggestiva, in cui il personaggio ha una sorta di esaurimento nervoso, giusto mentre invoca Giove sotto la pioggia battente. Per Gore Vidal, pero’, la natura del personaggio sarebbe dovuta essere quella di un uomo buono, corrotto dalla smania del potere; per Brass, più coerentemente con un’antropologia pessimista, Caligola era invece un “mostro nato. Sono noti peraltro dissapori tra Brass e Vidal, in cui il regista italiano lamentava una scarsa filmabilità del soggetto proposto che lo portò a rivedere il senso di molte scene, e rigirarle a modo proprio.

    Salvo poi entrare in contrasto anche con Guccione che, da semplice produttore, pretendeva di avere un (per noi inconcepibile) controllo della regia. Tra l’altro, con una differenza stilistica sostanziale: Guccione sembrava prediligere un film con attori avvenenti e scene pornografiche esplicite per “fare cassa“, Brass – per contestualizzare l’ambientazione decadente – avrebbe preferito filmare brutture, anche nel sesso (pensiamo ad esempio alla donna con tre occhi, decisamente surreale ma efficace in tal senso). L’idea di Brass sarebbe stata, stando a IMDB, addirittura quella di far recitare autentici criminali con la condizionale, per rendere l’idea, mentre il sesso – a differenza di altri suoi film in cui assume una valenza giocosa e liberatoria – sarebbe dovuto essere più shockante che eccitante.

    Come andò a finire è storia: insensibile alla filosofia decadente (e forse a qualsiasi filosofia in generale), Guccione licenziò Brass prima della fine del girato, curando arbitrariamente e senza supervisione l’edit finale, che quindi possiamo considerare un “apocrifo” di Brass (di cui il regista parla, lecitamente, poco volentieri). A quanto pare, inoltre, la fama di “film maledetto” deriva anche dalle scelte del produttore e del tecnico al montaggio Baragli, che decisero di assemblare in modo arbitrario le sequenze e di togliere di mezzo vario girato che, ovviamente, non sappiamo precisamente se il regista avrebbe mantenuto o meno.

    Un film che sembra nato sotto una maledizione, di cui tanti (troppi?) hanno scritto e che nessuno, in effetti, sembra aver davvero visto in una qualche forma final cut. Questo anche per una ragione pratica: la versione italiana è stata mutilata, in alcune edizioni, di tutte le scene erotiche (e di qualcuna porno, presente nell’uncut e forse voluta / girata da Guccione), per cui l’unico modo per vedere una versione simile a quella che si sarebbe voluta è quella di reperirlo in lingua originale su DVD.

    Sulle versioni di Caligula, poi, bisogna fare una breve digressione: sono numerosissime le versioni che circolano di questa pellicola. Wikipedia italiana ne conta sette, di cui quella di 156 min (uncut o integrale, del 1979, di cui pero’ circa 6 minuti sono stati girati da Guccione), ed una da 133 min (versione italiana, del 1984). Esistono almeno due versioni in cui le scene hardcore non sono presenti (che sono ovviamente più brevi), anche se in questo caso è improprio parlare di Director’s cut, visto che fu il produttore ad aver preso il controllo della situazione. Nel Regno Unito, poi, circolerebbe (secondo IMDB) una versione da 2 ore e 39 minuti con le scene hardcore sostituite da altre, che poi sarebbe diventata misteriosamente più corta nell’edizione successiva (1 ora e 42 minuti). Contrariamente a varie voci circolanti sui forum, poi, non esiste alcuna versione da più di tre ore: l’equivoco deriva da una durata indicata erroneamente nel programma del Cannes Trade Festival (da non confondersi con il Festival di Cannes che finisce, ogni anno, sotto i riflettori). Sarebbe quindi il caso (?) di riprendere in mano l’uncut del film, che sono circa due ore e mezza di girato, e vederlo (possibilmente non in presenza di minori ed impressionabili vari) prima di emettere un giudizio.

    Tra le ulteriori curiosità, una sequenza pornografica girata da Guccione dovrebbe coinvolgere Anneka Di Lorenzo (modella di Penthouse ed indimenticabile infermiera in Vestito per uccidere); a quanto pare, la donna fece causa al produttore per molestie sessuali e per avergli rovinato la carriera. La conclusione della storia fu piuttosto beffarda, perchè la donna vinse la causa ma non riuscì mai a recuperare i soldi del risarcimento (se non, racconta IMDB, per la quota simbolica di 4 dollari e 6 centesimi).