Salvatore

  • Grand Guignol: il teatro dell’orrore che prolificò anche in Italia

    Grand Guignol: il teatro dell’orrore che prolificò anche in Italia

    Grand Guignol è usato più che altro come aggettivo, in questi anni, e probabilmente non tutti ricordano le sue oscure origini. Non è un caso che in pochi ricordino questo particolare sottogenere, anche perchè la critica fondamentalmente lo disprezzò sempre, a cominciare da Silvio D’Amico che non perse mai occasione per evidenziarne i limiti. Limiti che, a ben vedere, riguardano sempre le solite questioni per cui l’horror viene snobbato ancora oggi: trame risibili, interpreti sacrificati, minestra riscaldata e così via.

    Nella sua primordiale sublimazione della paura, il palcoscenico apparve come lo scenario claustrofobico ideale per la nascita e la morte di quelle micro-storie, spesso affidate ad effetti speciali artigianali ed ingegnosi che, ovviamente, risentivano dell’effetto “dal vivo”. Uno dei volumi di riferimento sull’argomento, per l’Italia, è senza dubbio Teatro Sinistro di Carla Arduini (Bulzoni Editore), che traccia una storia molto puntuale e precisa del fenomeno, e che abbiamo utilizzato come fonte per la nostra analisi.

    Nascita del Grand Guignol

    Il Grand Guignol venne fondato formalmente a Parigi, nel quartiere Montmatre, nel 1897, dove rimase attivo fino al 1962. Col tempo si diffuse anche fuori dai confini francesi,e  furono moltissime le compagnie che provano, non sempre con troppo successo, ad emularne le gesta. Lungi dall’essere un fenomeno localizzato o di provincia, il Grand Guignol venne emulato un po’ dovunque in Europa, ed affascinò per molto tempo artisti, impresari e pubblico, ponendo una base indiretta del concepimento di moltissimi film horror, sia di vecchia e nuova generazione.

    Tematiche del Grand Guignol

    Gli spettacoli di questo genere, che potremmo agevolmente definire un teatro horror o teatro thriller che dir si voglia, erano quasi sempre atti unici estremamente compressi  e circoscritti, in cui venivano narrate storie di efferati delitti caratterizzati da una forma di realismo molto marcato. Sangue, crudeltà e violenza la facevano da padrone, ed in cui le narrazioni sono ambientate, spesso e volentieri, nei vicoli bui delle città in cui si viveva all’epoca.

    La derivazione del genere horror a livello cinematografico dal Grand Guignol appare, a questo punto, lampante – così come il tasso di exploitatation in qualche modo in nuce, vincolato da effetti speciali da palcoscenico che, per forza di cose, dovevano sfruttare l’ingegnosità (al contrario di un film, se un effetti speciale salta perde credibilità l’intera messa in scena, e non si può certamente tagliare nulla).

    Grand Guignol in Italia

    Nel nostro paese la figura di riferimento nel genere fu senza dubbio la compagnia di Alfredo Sainati, capocomico ed attore della Drammatica Compagnia Italiana, che propose un ricco repertorio di Gran Guignol dal 1908 al 1936). A livello internazionale, per inciso, la drammaturgia di riferimento viene spesso ricondotta ad Andrè De Lorde (1871-1942).

    Pline, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons – L’attuale International Visual Theatre, dove nacque in Grand Guignol – attualmente restaurato e dall’aria diversa rispetto a come si presentava all’epoca.

    Sainati non fu l’unico artefice di una compagnia del genere, ma sicuramente fu tra quelli che durarono di più: si contarono compagnie di Gran Guignol italiane che non durarono neanche un anno, a volte. Sulla figura di Sainati ci sarebbe moltissimo da scrivere: venne considerato l’unico autentico artefice del genere del teatro horror nel nostro paese, nonostante un esordio non proprio incoraggiante: dopo il debutto al Teatro Pavone di Perugia, Sainati lancia il Grand Guignol nelle città di Napoli, Torino, Firenze e Milano, ottenendo una reazione quasi sempre non esaltante dalla critica, che considerò il genere eccessivo e, in qualche modo, diseducativo.

    La cosa che rende interessante il genere, di fatto, è che a mio avviso conferisce al genere una forma di letteratura popolare: della serie, se è vero che le storie di questo tipo sembrano tratte da fatti di cronaca tanto assurdi da sembrare inventati, c’è sempre l’approfondimento psicologico e intimo dei personaggi, con riferimenti espliciti a sesso, morte e violenza. Eppure all’inizio del Novecento un letterato come James Joyce si era interessato al genere, tanto da contattare Sainati per fargli realizzare la Cavalcata del Mare di Synge, progetto mai realizzato per mancata autorizzazione degli eredi dell’autore. Riders to the sea è considerato uno dei capolavori del teatro irlandese, un atto unico in cui si mescola un singolare connubio tra realismo, sovrannaturale e folklore.

    Alcune trame degli spettacoli di Grand Guignol

    Gli intrecci del Grand Guignol erano in genere brevi ed intensi, spesso anche a discapito dell’approfondimento psicologico dei personaggi, e caratterizzati da micro-mondi che si aprivano e si dischiudevano in pochi attimi. Molte di quelle storie si limitavano ad aprire e chiudere un micro-universo, come avviene nel caso della storia di un medico che, scoperto che la propria moglie aveva un amante, li chiude in un cottage, inoculando ad uno dei due il virus della rabbia (senza specificare quale). Quasi un Hostel in nuce, verrebbe da dire, in grado di fornire in modo essenziale uno dei feeling più comuni del teatro horror: il tema, svisceratissimo anche nel cinema, della vendetta.

    Premesso che molti di questi spettacoli assorbivamo più elementi al proprio interno (inclusi alcuni ironici o intrisi di humor nero), il libro più celebre nella nostra lingua che ne parla è senza dubbio Teatro del Grand Guignol di Corrado Augias, un libro non più edito dei primi anni 70 e attualmente (a quanto pare) di complicata reperibilità. Tra le opere citate ve n’è una, Mammina, che suscita più di una curiosità: è l’unica della raccolta di cui non è noto il nome del traduttore (la maggioranza sono state tradotte da Carlo Cignetti e Giuseppe Concabilla), e a dispetto dell’innocenza del titolo è una storia terribile, in qualche modo quasi antesignana del genere rape’n revenge. Una prostituta in vena di trasgressione si concede ad un apache dall’aria selvaggia: chiede all’uomo, durante il rapporto, di raccontargli il suo ultimo crimine. Si rende progressivamente conto che le vittime da lui indicate sono la madre ed il figlio della donna, motivo per cui ucciderà l’uomo pugnalandolo. Sabotaggio di Charles Hellem, W. Valcros e Pol D’Estoc è un altro dramma incidentalmente familiare dai toni simili: un operaio fa saltare la corrente del proprio quartiere come atto di ribellione e sabotaggio, ma nel farlo provoca un problema al figlio malato di crup, proprio mentre sta subendo una tracheotomia che ovviamente fallisce.

    Con l’avvento del cinema, progressivamente, il Gran Guignol perse, anno dopo anno, la propria popolarità, per essere recuperato solo in seguito da alcune compagnie teatrali (in Italia, ad esempio, il Grand Guignol de Milan). Le suggestioni del teatro dell’orrore, ovviamente, non dovrebbero mai essere sottovalutata – nemmeno oggi.

  • Devolution. Una teoria DEVO è carico di amarezza (e realismo)

    Devolution. Una teoria DEVO è carico di amarezza (e realismo)

    Sono tornati i DEVO, e lo hanno fatto con un documentario in free streaming, di quelli da non perdere per nessun motivo. Quello dei DEVO sul sito della RAI viene definito “rock sociologico”, una definizione originale quanto inedita quanto, a mio modo di vedere, azzeccata.

    Il documentario “Devolution. Una teoria DEVO” viene proposto in Italia su Rai 5, ed è attualmente reperibile in streaming gratuito dal sito ufficiale; di fatto, attraversa le origini della celebre band, partendo dagli studi alla Kent State University che accomuna i quattro componenti (ad oggi, dopo alcuni cambi di formazione: Gerald V. Casale, Mark Mothersbaugh, Bob Mothersbaugh, Josh Freese) e snocciolando aneddotica, storie più o meno serie e quant’altro.

    Il senso del documentario è chiaro: dopo molti anni dalle prime uscite discografiche (la prima fu del 1978, per la Warner Bros., dal titolo nerdistico Q: Are We Not Men? A: We Are Devo! il quale venne classificato frettolosamente come new wave) siamo arrivati ad un punto, nella storia dell’umanità, in cui la de-evoluzione è evidente (fake news, post verità, Trump, disastri ambientali e via dicendo) ed ha smesso di essere, di fatto, solo una mera narrazione da musicisti colti.

    I DEVO seppero costruire intrecci musicali mai sentiti prima – dando un senso al rock elettronico che fosse quasi “pop” nella forma, quanto profondissimo nella sostanza: per convincersene, basta leggere il testo di Beautiful World e la celebre inversione di significato contenuta nel testo (il mondo è bellissimo per te – ma non per me).

    Devolution: A Devo Theory (produzioni Escape Media) viene concluso nel 2020, agli albori della pandemia, per poi essere pubblicato l’anno dopo su varie piattaforme di streaming, a cominciare da quelle australiane. Il documentario è incentrato molto sulle interviste ai quattro protagonisti, esplorando così i DEVO delle origini, il contesto sociale in cui si mossero e la cupa filosofia che ne accompagna le esibizioni: l’uomo si sta de-evolvendo, diventando sempre più nichilista, avido e propenso all’autodistruzione della razza umana.

    La critica culturale e sociologica dei DEVO passa ovviamente per i loro studi universitari, per il sentirsi “fuori dal coro” già negli anni ’70 e per episodi politici ben precisi (viene citata e ricordata la repressione, da parte della Guardia Nazionale, contro gli studenti durante la sparatoria della Kent State).

    Come ricordato anche nell’articolo sul video di Jocko Homo, quella dei DEVO fu performance dadaista sia musicale che visuale,  sviluppata in modo intelligente ed arrivata, ad oggi, ad un punto di non ritorno. L’uomo è diventato un imbecille senza speranza, pronto al suicidio collettivo-graduale, ovvero la de-evolution “profetizzata” è reale. Ciò che all’epoca faceva ridere o sorridere in nome del dada, oggi è forse più inquietante di un film post-apocalittico.

    Il futuro è qui: e non è una bella cosa.

    Già più di 40 anni fa i DEVO si accorsero che c’era qualcosa di sbagliato nella storia umana; l’evoluzione sembrava aver terminato il proprio corso, consegnando alla storia una spirale di morte all’insegna della decadenza, dell’approssimazione e di assurde teorie o convinzioni che aleggiano in ognuno di noi. Il riferimento all’oggi è diretto quanto credibile, oltre che azzeccato nella sostanza, e si evince grandemente dalla struttura dei loro testi. Il tutto per quanto, a ben vedere, molti di essi giocassero di (poco ovvi, forse) giochi di parole: nella citata Freedom of choice, ad esempio, si afferma “essere libero di scegliere è ciò che hai, essere libero di non farlo è ciò che vuoi“.

    I fratelli Mark e Bob Mothersbaugh si unirono a Gerald Casale e Alan Myers, sulla falsariga delle delusioni derivanti dall’aver manifestato vanamente contro l’invasione USA in Cambogia. Vollero creare una musica nuova, che suonasse in modo diverso sia dal blues che dal progressive rock all’epoca dilagante.

    “Volevamo essere solo un gruppo art rock un po’ strambo, non volevamo certo avere ragione”

  • Film gratis: guida allo streaming legale a costo zero

    Film gratis: guida allo streaming legale a costo zero

    Se stai cercando un filmstreaming  sei arrivato nel posto giusto, e puoi stare molto tranquillo: questa pagina è volutamente senza pubblicità fastidiose e malware che infettano il tuo PC. Ci interessa davvero farti trovare un po’ di film in streaming, per cui dai un occhio alla nostra lista e non te ne pentirai.

    Cerchi un po’ di film in streaming da vedere a casa sdraiato sul divano, in tutta comodità? Eccoli!

    Film gratis (con pubblicità) su Chili

    Chilli ha avuto un’idea geniale, secondo me: proporre buona parte del proprio catalogo in streaming gratuito con pubblicità inclusa. Un po’ come quando vediamo i film nella TV commerciale: a molti da’ fastidio essere interrotti (ad esempio a me ne dà parecchio), pero’ il catalogo merita una visione perchè c’è davvero di tutto, anche i nostri amatissimi film di genere, un sacco di titoli difficili da trovare altrove e via dicendo. Cliccate qui per vedere i film

    L’uso del sito richiede un login con un account Google oppure con Facebook.

    Open Culture

    La piattaforma di streaming OpenCulture offre circa 700 film in streaming gratuito, quasi tutti in lingua originale. Li potete trovare qui.

    Archivio Prelinger

    L’archivio Prelinger riguarda una collezione di film relativi al patrimonio culturale USA, la sua storia e la sua evoluzione: li potete trovare su Archive.org. Fate attenzione perchè, in generale, non tutti i contenuti di Archive sono free, ma potrebbero esistere licenze intermedie di vario genere.

    Film noir

    Esiste una sezione apposita in archive.org.

    Film horror e fantascienza

    Esiste una sezione apposita, anche qui, in archive.org.

    Cortometraggi

    Esiste una sezione apposita, anche qui, in archive.org.

    Film muti

    Li trovate su archive.org.

    Film commedia

    Ad esempio potete trovare i film di Charlie Chaplin, sempre su archive.org.

    Rai.TV

    La piattaforma di streaming ufficiale della RAI offre un’ampia selezione di film in italiano visionabili gratuitamente, potete trovarli qui. Una vera miniera soprattutto per i film classici e quelli un po’ più d’autore, in molti casi, con una vastissima selezione che include anche titoli teatrali.

    Per i cinefili cultori dei film proposti da Enrico Ghezzi, c’è pure la sezione dedicata a Fuori Orario.

    L’uso del sito richiede, anche in questo caso, un login con un account Google oppure con Facebook.

    Altri film horror e fantascienza di pubblico dominio (in inglese)

    Qui trovate, tra gli altri, film come Carnival of souls, Il fantasma dell’opera e Nosferatu.

    VVVVID

    VVVVID è un canale TV che funziona come aggregatore di contenuti gratuiti, all’interno del quale, sia da desktop che da iOS e Android, è possibile visionare moltissimi film senza dover pagare nulla.

    Tarkovskij

    Proseguiamo dai film del regista sovietico Andrej Arsen’evič Tarkovskij, che sono stati recentemente messi online dalla casa di produzione in HD, con sottotitoli in italiano. Qui trovate i titoli principali che sono direttamente disponibili da Youtube.

    Film & Click

    Questo canale di Youtube offre legalmente moltissimi film in lingua inglese, di ogni genere, ma trovate anche molti titoli in italiano di drammatici e western.

    Altre risorse da consultare

    Di seguito ho raccolti siti web con torrent e streaming gratuiti.

    Fermo restando che per me andare al cinema, oggi, rimane un’esperienza mistica che nessun Netflix potrà mai pareggiare, e considerando che in linea di massima non tutti hanno soldi da spendere per vedere film online, direi che una bella rassegna del miglior cinema disponibile in streaming gratuito non sia affatto male: sia perchè comunque in questo blog parliamo spesso di film, sia perchè immagino che la cosa possa essere gradita a molti – anche perchè non ho trovato liste esaustive in questo ambito, e credo sia doveroso invece omaggiare l’arte del cinema anche in questo modo.

    In genere le leggi sul copyright variano da stato a stato: ad esempio si mantiene il copyright per 70 anni dalla morte dell’autore (in alcuni stati per 50 anni), e questo già di suo tende a cozzare con la natura del web: finchè esisterà la neutralità della rete, quantomeno, sarà sempre possibile accedere gratuitamente a contenuti che sarebbero a pagamento, o viceversa, per cui informatevi bene se ad esempio avete bisogno di film da proiettare durante festival, rassegne e simili.

  • La puntata di South Park sulla pandemia è imperdibile

    La puntata di South Park sulla pandemia è imperdibile

    The Pandemic Special (episodio 1 della stagione 24) è stata trasmessa in Italia qualche mese fa, un’unica volta, sul canale Comedy Central, dopo essere uscita il 30 settembre 2020 negli USA. Ed era anche ovvio che sarebbe uscita fuori, a ben vedere: raccontare come venga gestita l’emergenza sanitaria a South Park, in un clima di assoluto caos, era un’occasione da non lasciarsi sfuggire e che ben si sposa, per quanto sembri scontato riconoscerlo, con il mood generale della serie.

    La puntata è impreziosita da vari riferimenti cinematografici: su tutti, il momento in cui i bambini della scuola vengono messi in quarantena (si sospetta che Butters abbia preso il virus), è accompagnato dalla celebre colonna sonora di Essi vivono. Tutto è grottesco nella gestione della pandemia, a South Park: dall’atteggiamento dei ragazzi che guardano con scetticismo la didattica a distanza (Cartman che finge di avere problemi di connessione), passando per l’atteggiamento della polizia che freme per poter attuare misure repressive, a finire con l’atteggiamento delle famiglie, preoccupate quanto sospettose del distanziamento. Al centro della vicenda c’è Randy Marsh (il padre di Stan), che è entrato nel commercio di mariujana legale e che, dato il periodo, sta proponendo un’offerta speciale per venderla.

    Mentre ascolta le ultime notizie dal TG, si rende conto di essere stato il potenziale veicolo di infezione del coronavirus: quando è andato in Cina a fare bagordi con Mickey Mouse, infatti, ricorda di aver fatto sesso sia con un pipistrello che con un pangolino. A quel punto si convince di essere stato il paziente zero, e resta in bilico tra due scelte: non dire nulla, e lasciare che la pandemia dilaghi, oppure svelare mediante analisi del DNA quello che ha fatto, pur di trovare una cura. La puntata focalizza inoltre le consuete contrapposizioni tra posizioni che sono tipiche (quanto grottesche) anche nel nostro paese, spesso evitando le contrapposizioni scontate (mask contro no mask) e declinandole in maniera da farle sembrare ridicole (chi usa la mascherina contro chi, al contrario, la indossa tenendola abbassata, a mo’ di pannolino).

    Nel farlo, gli autori esprimono un punto di vista ben chiaro, sferrando un attacco molto diretto contro l’ex presidente Trump, che viene accusato (senza troppe allusioni) di sguazzare nel clima repressivo imposto dalla pandemia. Lo vediamo chiaramente in un momento: il Presidente USA (che poi è il signor Garrison nella sua ennesima personificazione di altri personaggi) non si vede per tutta la puntata, se non per un momento in cui parla al telefono con uno dei bambini della serie: il suo ruolo sarà brutale, quando determinante in negativo, solo in seguito.

    Quando il pangolino oggetto delle ricerche, dal quale si potrebbero trarre informazioni utili per il vaccino, viene finalmente ritrovato (e consegnato alle autorità addirittura da Cartman, il personaggio più egoista della serie), Garrison irrompe capovolgendo l’esito della storia in un twist forse tra i più clamorosi, quanto amari, mai visti in South Park. Il messaggio è lì, dirompente ed esplosivo, per quanto implicito: il presidente non ha alcun interesse a trovare un rimedio alla situazione.

    Tra le perle contenute in questa puntata, è impossibile non citare la canzone di Cartman che interpreta a modo proprio la quarantena: niente più obblighi scolastici, niente più imposizioni, restano solo abbuffate e videogame.

    Dove vedere la puntata su internet

    Al momento la puntata in questione non sembra reperibile on demand su nessun canale, ma è disponibile gratuitamente, con audio e sottotitoli in inglese, sul sito ufficiale della serie:

    https://www.southparkstudios.com/episodes/yy0vjs/south-park-the-pandemic-special-season-24-ep-1

  • Disicanto: Groening colpisce ancora

    Disicanto: Groening colpisce ancora

    Disincanto è la nuova sitcom di Groening che sta spopolando su Netflix, e che propone una ennesima collezione di personaggi grotteschi e surreali. Un lavoro che arriva alla sua terza stagione (da circa un mese anche in Italia su Netflix), nasce nell’estate del 2018 ed arriva da noi solo in seguito, e sul quale vale la pena di spendere qualche parola.

    L’ispirazione visiva di Disincanto parte dai Simpson ma anche da Futurama, dal quale si eredita un fortissimo mood satirico, spesso collegato con la realtà recente (Make DreamLand Great Again, ad esempio). Ad un’analisi più approfondita, più dai paradossi e dal gusto per l’assurdo tipico del secondo, con la differenza fondamentale che l’ambientazione è quasi del tutto fantasy. Ed è già questo abbastanza insolito, dato che difficilmente si vedono in giro versioni parodistiche di questo genere (che di solito omaggia – e deve molto – all’horror e alla fantascienza, al limite). Groening sembra quindi aver deciso di mollare il modello Simpson, e di declinare Futurama in maniera leggermente diversa: il mondo di DreamLand è dominato da elfi, principesse e animali parlanti, ma l’universo di Disincanto é puramente immaginario e decisamente compatto, come lo sarebbe quello de Il signore degli anelli.

    La storia è interamente svolta in un universo magico, epico quanto demenziale e con alcuni valori portanti invertiti (esempio: gli scienziati sono una specie di stregoni, gli esorcisti sono invece materialisti) altri, invece, intatti (società patriarcale, razzismo, sessismo, discriminazione delle minoranze), popolato di creature fantastiche (elfi, maghi, sovrani, giullari, orchi e così via). Un mondo tutt’altro che perfetto o ideale: esso è vittima, suo malgrado, delle psicosi e dei drammi esistenziali moderni, con figure di sovrani autoritarie quanto goffe, figlie ribelli, elfi bonaccioni e beoti ed un singolare demone-ombra (Luci) che caratterizza il lato ribella della protagonista (una principessa che beve, rutta e fa razzìe di ogni genere).

    Un mondo incantato (o disincantato, per meglio dire) oggetto di parallelismo con quello che conosciamo, e che avrebbe potuto far parte (senza l’apporto anticonformista di Groening) dell’universo classico della Disney. Esso viene declinato in senso cinico e materialista, per quanto mai sgradevole né eccessivo e, in breve, all’insegna di un sostanziale equilibrio narrativo. Questo va a vantaggio della fruibilità della storia, al netto di qualche momento di fiacchezza che poi, più o meno dagli ultimi episodi della seconda serie (Elfo, Luci e Bean che vanno all’inferno) riprende più vigorosamente quota.

    In Disincanto (ovviamente nomen omen significativo) si narra della storia della principessa Bean, avulsa ad un matrimonio di convenienza che il padre vorrebbe imporle, e dedita al vizio del gioco d’azzardo, dell’alcol e delle risse nei locali. La sua storia si intreccia con quella dell’elfo di nome Elfo, alienato e sensibile personaggio: lavora come addetto alla catena di montaggio, e si trova intrappolato in un mondo in cui le persone pensano a incartare regali (e, da buoni elfi, a gioire senza motivo).

    In questo, la frase da lui pronunciata nel primo episodio “Cantare mentre si lavora non è la felicità, è malattia mentale” sarebbe stata perfetta nelle digressioni distopiche di Terry Gilliam (Brazil), ma tra le principali influenze del lavoro è impossibile non citare Fritz The Cat: un film di animazione per adulti realmente di culto, ancora oggi inarrivabile – e dal quale si derivano, seppur in modo molto più frenato, varie allusioni sessuali e satiriche di cui la serie è cosparsa. Nella terza serie, ad esempio, si ironizza a più riprese sull’essere MILF della madre di Bean (la Regina Dagmar), rappresentata come una versione più fitness e molto più cinica della figlia.

    In tal senso Disincanto  ricostruisce un modo nuovo di comunicare, sempre sulla base dei classici stilemi di Groening, che sono sempre equilibrati e sostanzialmente godibili, al netto di qualche lungaggine narrativa. È impossibile non notare, peraltro, come Turanga Leela potrebbe essere il personaggio che ha ispirato la figura della principessa anticonformista, mentre l’Elfo sembra ripreso direttamente (sia nelle fattezze che nei maltrattamenti che subisce) da Bart Simpson.

    Di contro, Disenchantment non sembra avere dalla sua il dono della sintesi, con episodi singoli più lunghi della media di questi casi: questo sia rispetto alle produzioni classiche di Groening sia, ad esempio, rispetto alle sintesi cristalline di South Park, mentre rimane superiore narrativamente a qualsiasi episodio dei Griffin. Probabilmente, in altri termini, come potenziale lungometraggio avrebbe reso ancora meglio.

    Quel formato invece, alla lunga, rischia di stancare (nelle prime due stagioni), per quanto si tratti di una serie pensata per i fan dell’autore e caratterizzata dallo stile che ci saremmo sempre aspettati, quindi abbastanza da prendere per quello che è. Che la serialità sia un pregio o un difetto rimane, pertanto, un po’ dubbio: la critica è stata discorde a riguardo, ma devo riconoscere che sono più le cose che non convincono (eccessiva lunghezza della narrazione, un finale di stagione che mira all’incompiutezza “artistica” ma che, alla fine, non si capisce troppo se si tratta di un finale) che quelle che funzionano (tutti i siparietti in chiave satirica / anti-Potere sono eccellenti). Ad ogni modo è una serie da scoprire, e dalla quale provare a farsi coinvolgere, fermo restando la mia sostanziale avversione alla serialità che, ormai, domina nel mondo della produzione americana – come fosse un requisito senza il quale sia impossibile proporre la realizzazione di qualsiasi cosa.

    E se il cinema indipendente continua a regalarci orgogliosamente perle (ed altrettante porcate autoreferenziali) delle Settima Arte di massimo due ore alla volta, siamo costretti nostro malgrado (e senza nulla togliere) a visionare le ennesime operazioni del genere che, alla lunga, rischiano di saturare il mercato e appiattire la produzione. L’originalità dell’intreccio, ad ogni modo, costituisce un forte punto a favore dell’operazione, soprattutto a confronto della saga dei Simpson che, ormai da anni, sembrano aver perso qualsiasi mordente.