Salvatore

  • Guida pratica agli alternate ending (finali alternativi) nel cinema

    Guida pratica agli alternate ending (finali alternativi) nel cinema

    I finali alternativi (alternate ending in inglese) si trovano un gradino sopra le fan theory e probabilmente molti livelli al di sotto dei film così come li conosciamo: sono alternate, per cui il regista non sarà mai troppo felice del fatto che noi li vediamo. Scarti, alla fine idee bocciate per i motivi più diversi, che a volte rendono giustizia della trama altre rischierebbero di accappottarla, di far saltare addirittura saghe di successo con oltre venti o trenta anni di storia. Di fatto, i finali alternativi spalancano un mondo cinematografico nascosto, un po’ come nelle migliori teorie complottistiche, creando nuove linee narrative, what if imprevedibili e (spesso e volentieri) contrappunti di comicità involontaria.

    Uno dei finali alternativi più discussi degli ultimi tempi è ovviamente quello di Fight Club, il cult di David Fincher che è tornato di moda direttamente dagli anni 90, dopo che (a quanto pare) in Cina è circolato in una versione del film col finale mutilato, in cui al posto delle pluricitate esplosioni finali la polizia (fino ad allora visibile a malapena) vince, e ricostituisce l’ordine. E non si tratta, ovviamente, dell’unico caso: gli alternate ending sono un autentico culto da cinefili, e a ragion veduta – per quanto siano spesso annacquati da montaggi grossolani e in alcuni casi, forse, addirittura potrebbero essere realizzati dai fan. In altri casi sono quasi “appunti” audiovisivi, idee registiche mai realizzate o caratterizzate da un fascino quasi occulto. Il mistero, la scoperta di video mai ufficialmente pubblicati che è un po’ alla base del successo di serie come Archive 81, in effetti. In non pochi casi, i finali alternativi sono impietosamente meglio di quelli originali.

    Affascinano, e anche tanto, a livello irrazionale o inconscio quasi ogni spettatore. Forse ciò avviene perchè si tratta di un modo per immaginare cosa sarebbe successo se quel protagonista si fosse salvato, avesse fatto altre scelte o avesse avuto un’altra possibilità. A tutti piacerebbe un alternate ending di tante vicende finite non benissimo nella propria vita, si sa: ma questo non sempre è possibile, per cui ci accontentiamo di farlo in una sala o davanti allo schermo di un servizio di streaming. Un invito a sognare, a vedere un sogno e rivederlo fino allo sfinimento, magari. È anche raro che il pubblico dello streaming classico possa trovare materiale del genere: molto più probabile che uno se lo vada a spulciare su Youtube e naturalmente nelle varie versioni DVD restaurate.

    Vediamo a questo punto, senza altri indugi, quattro tra gli alternate ending più celebri mai girati, con annessa storia: con l’idea che oggi, nell’incresciosa e immarcescibile IncertezzaTM in cui viviamo, possano avere un valore terapeutico, o almeno aprirci alla possibilità di un mondo diverso da quello in cui viviamo, abbandonando le nostre convinzioni sedimentate e dando spazio a nuove, imprevedibili e addirittura migliori possibilità per l’umanità.

    Nightmare: dal profondo della notte

    I finali alternativi di Nightmare di Wes Craven sono, per quanto ne sappiamo, almeno tre: due sono per così dire pessimisti, con Freddy che risbuca fuori nel mondo reale per uccidere, a sottolineare come l’incubo non sia finito (e giustificando una saga che è durata fino ad oggi). E ne abbiam almeno un’altro meno cupo, probabilmente voluto dalla produzione, in cui questo, semplicemente, non avviene: happy end. Ad oggi, è possibile visionare i finali alternativi di Nightmare nella versione DVD e naturalmente su Youtube. Recensione

     

    L’armata delle tenebre

    Il finale alternativo di Army of darkness di Raimi è forse tra i più geniali che abbiamo reperito: Ash beve la pozione magica ma, per errore, si risveglia troppo avanti nel tempo. Il futuro che scopre è paradossale, inumano e disordinato: una specie di mondo surreale, dai tratti onirici e leteralmente fatto a pezzi in cui, ad esempio, sono visibili palazzi demoliti e il Big Ben. Ash alla fine urla, rassegnato, “ho dormito troppo a lungo“. Sono piuttosto sicuro che la versione in VHS da videoteca che vidi ai tempi (un po’ di anni fa, diciamo) fosse proprio questa: director’s cut.

    Il finale più popolare de L’armata delle tenebre, ovviamente, rimane quello che termina con Ash che colpisce una posseduta a fucilate, salvando una collega e pronunciando – in un delirio di americanismo autoreferenziale quanto autoironico – la famosa battuta Dammi un po’ di zucchero, baby.

    Terminator 2

    Tra i finali alternativi più clamorosi, poi, ne troviamo uno che, se fosse stato adottato, avrebbe invalidato completamente i sequel del film, terminando la saga dopo “solo” due episodi. L’alternate ending in questione mostra Sarah Connor sopravvissuta, invecchiata e ancora viva nel 2029, diventata nonna mentre si gode un parco pieno di bambini, in una realtà pacifica in cui Skynet, evidentemente, non ha potuto prendere il sopravvento. Recensione

    1408

    1408 è diretto da Håfström, racconta una storia sulla falsariga di Shining incentrata sull’autore di libri sul sovrannaturale, e presenta quattro finali possibili: quello cartaceo del racconto di King, in cui il protagonista cambia mestiere, tra le proteste del suo agente letterario, per andare a vivere vicino al mare. C’è poi la fine del film, in cui Enslin sopravvive ad un incendio e ritrova un vecchio nastro, che gli prova l’esistenza della vita dopo la morte. In una terza versione Enslin diventa egli stesso un fantasma dopo essere morto in un incendio. In una quarta e ultima versione, sarà l’agente a percepire lo spirito del protagonista mediante una porta che sbatte.

    Questa è la seconda versione:

    mentre la successiva è la quarta:

  • 12 cose che forse non sapevi sulla vita di Frank Zappa

    12 cose che forse non sapevi sulla vita di Frank Zappa

    Non mi va di scrivere un libro, ma sto per farlo comunque, visto che Peter Occhiogrosso mi darà una mano. L’incipit dell’unica biografia ufficiale di Frank Zappa inizia esattamente con queste lapidarie parole, a testimonianza di uno dei geni della musica più contradditori, innovativi e difficili da classificare mai comparsi sulla faccia della terra. Personaggio umile quanto dal curriculum di tutto rispetto, Occhiogrosso è un autore su commissione che vanta l’unica autentica biografia del musicista tra le proprie opere, tanto da fregiarsi del titolo in inglese “The real Frank Zappa book“.

    Premesso questo, procediamo alla scoperta dei 15 fatti più curiosi che è possibile scovare nel libro Frank Zappa – L’autobiografia, edito in Italia dalla Arcana e tradotto da Davide Sapienza.

    Se trovate il vostro nome nel corso della lettura e non volevate vederlo stampato (o non gradite i miei commenti), mi dispiace. (F. Zappa, Frank Zappa – L’autobiografia)

    Fu di origine italiana, greca, francese e araba

    Frank Vincent Zappa nasce il 21 dicembre del 1940 a Baltimora, Maryland, a suo dire “saltai fuori che ero tutto nero, tanto che credevano che fossi morto. Adesso sto bene“. Di origini siciliane, precisamente di Partinico, ma anche greche, arabe e francesi: sua nonna era francese e siciliana mentre suo padre era italiano, emigrato negli Stati Uniti ed impiegato come barbiere, per un primissimo periodo.

    Lottò aspramente contro la censura

    Zappa assistette alla nascita del Parents Music Resource Center (PMRC) nella metà degli anni 80, nato da una congrega di mogli quasi tutte di membri del Senato statunitense dell’epoca. Spicca tra di esse la figura di Tipper Gore, la quale (da quello che sappiamo nella sintesi raccontata da Occhiogrosso) acquista per la figlia di otto anni il disco Purple Rain, colonna sonora dell’omonimo film, già di suo al centro di qualche polemica per via dei contenuti per adulti al proprio intenro. Basta il testo di Darling Nikki ed i riferimenti alla masturbazione al suo interno (she was a sex fiend / I met her in a hotel lobby / Masturbating with a magazine) scatenano una reazione immediata. Le donne iniziano a riunirsi tra loro discutendo del tema, fino a spedire una lettera minacciosa alla RIAA (Associazione Discografici USA), invitandoli caldamente a classificare i dischi in base ai loro contenuti. Stiamo assistendo alla nascita delle etichette su gran parte dei CD metal e rock “Parental Advisory, Explicit Lyrics“: la RIAA si appiattisce completamente sulla posizione del PMRC, invitando le radio a non trasmettere più contenuti espliciti pena la revoca della licenza.

    Zappa scrisse una lettera aperta alla rivista musicale Cashbox, in cui riassume brevemente la vicenda:

    LA RIAA DEVE BALLARE A COMANDO PER LE CASALINGHE DI WASHINGTON OPPURE L’INDUSTRIA FARÀ I CONTI CON IL PESO DEI LORO FAMOSI MARITI.

    Il punto di vista zappiano è lampante: l’industria è completamente conformata alle volontà politiche dell’epoca (in fondo a loro interessa solo vendere dischi), mentre gli artisti stanno sottovalutando la possibilità di essere etichettati a vita oppure, peggio ancora, di sentirsi in dovere ammorbidire i propri contenuti per evitare lo stigma in questione. Una battaglia anti-censura che Zappa porterà anche in sede processuale, mediante video passati alla storia e nella relativa indifferenza degli stessi artisti coinvolti, da lui strenuamente difesi.

    I suoi primi giocattoli furono beccucci, matracci, piattini di mercurio solidificato e maschere antigas

    Il padre di Frank Zappa fu metereologo alla Edgewood, azienda nota perchè produsse gas velenosi in uso nella Seconda Guerra Mondiale. Molto del materiale in uso venne maneggiato dal giovane musicista da ragazzino, tra cui il mercurio, il DDT (all’epoca forse ritenuti non tossici per l’uomo, cosa riveletasi ovviamente errata) e numerose maschere antigas, in uso dagli abitanti della zona nel timore di fuoriuscite accidentali di gas nervino. La produzione di armi e di metodi per uccidere il prossimo colpì profondamente la sensibilità del giovane artista, che ne evidenzia più volte i paradossi e le assurdità di fondo.

    Zappa racconta (tutto sommato, in modo divertito) come le conoscenze mediche dell’epoca fossero limitate, e come venisse curato in modo curioso (ad esempio mediante olio d’oliva per il mal d’orecchi) e senza l’opportunità di potersi opporre a certe assurdità (nè a livello familiare, nè tantomeno generale). Cosa che gli provocò una certa insofferenza verso autorità e convenzioni, la quale successivamente riversò nella propria sterminata produzione musicae

    …il noli contendere, una rinuncia, come a dire “Sono così al verde che non posso permettermi la giustizia di Cucamonga, perciò darò mille verdoni a questo avvocato e poi terrò la bocca chiusa, sperando che non mi diano la pena di morte.” – Frank Zappa – L’autobiografia

    Non è mai stato coprofago

    Una diffusa leggenda urbana, smentita nel capitolo iniziale della biografia ufficiale, racconta che Zappa avrebbe mangiato sul palco gli escrementi di Captain Beefheart, musicista eclettico e suo sodale nonchè amico dell’epoca. In realtà è un falso, non è mai successo nulla del genere: secondo Zappa, che ribatte ironicamente alla fake news, “non ho mai mangiato merda sul palco, ed il posto in cui andai più vicino a farlo fu nel 1973, ad un buffet in North Carolina“.

    Venne incarcerato per pornografia per 1 settimana

    La storia secondo cui finì in carcere per pornografia va dettagliata per coglierne le contraddizioni grottesche: l’accusa fu quella di cospirazione per produrre pornografia. Nella cultura giudiziaria dell’epoca, infatti, era sufficiente che due persone discutessero della preparazione di un crimine per poter essere incriminabili in tal senso. Molte battaglie libertarie e contro la censura di Zappa, raccontate mirabilmente in vari documentari e nel recentissimo Zappa, sono probabilmente nate in questa sede.

    Nel 1963 Zappa produceva attivamente musica nello Studio Z, luogo in cui venne registrato, ad esempio, Safe as Milk di Captain Beefheart. La stampa dell’epoca lo definì, probabilmente per un equivoco, “the Movie King of Cucamonga“, tanto da insospettire le autorità locali che gli attribuirono assurdamente la creazione di film pornografici (all’epoca più che uno stigma, un vero e proprio reato, come raccontato in film di culto come Hardcore di Schrader). A marzo del 1965 un poliziotto sotto copertura offrì al musicista 100 dollari per produrre una audiocassetta hot da destinare ad un addio al celibato. Detto fatto: Zappa si accorda con un’amica e registrò un finto episodio erotico, pieno di allusioni e gemiti sessuali. Nastro che venne usato come prova processuale, provocando una settimana di carcere all’artista per “cospirazione al fine di commettere pornografia“, il sequestro di gran parte del materiale dello studio (molto del quale venne smarrito per sempre) e la successiva riduzione della pena ad una sola settimana. Lo studio venne chiuso mesi dopo la sua uscita, e solo una parte di quel materiale sopravvisse.

    La sua prima influenza musicale furono i dischi di Edgar Varèse

    Non è un mistero che la carriera di Zappa racconti di un poli-strumentista, ma anche un compositore ed un direttore d’orchestra nell’ultima fase della sua carriera. Avvistando un disco di Edgar Varèse in un negozio dell’epoca, pensò subito che fosse una specie di “scienziato pazzo” che aveva prodotto un disco. Inutile sottolineare quanto il disco fosse considerato inaccessibile per l’epoca, tanto che molti ascoltavano il brano Ionisation (più volte citato nella biografia) e nessuno mai lo acquistava. Frank lo ottenne per i pochi dollari che aveva in tasca, 3.75$, e lo ascoltò ripetutamente per molto tempo.

    Ecco la vera storia del brano “Tengo una minchia tanta

    Estate 1982, siamo precisamente al 14 luglio e ci troviamo nello stadio oggi noto come Renzo Barbera, all’epoca “La Favorita“. Zappa si trova in tour in Italia, per suonare di fronte ad una folla che lo attende febbrilmente da mesi: colpito dalla ripetizione della parola “minchia” nei discorsi della gente del posto, chiede all’amico Massimo Bassoli di scrivere un testo per una canzone che contenesse la stessa in ogni strofa. Siamo nella fase del soundcheck e nasce, quasi per caso, il testo dadaista (e quasi sulla falsariga degli Squallor) che tutti ricordano. Il concerto, per inciso, fu interrotto per disordini e viene ricordato nel documentario Summer ’82: when zappa came to Sicily di Salvo Cuccia.

    Ah, tengo na minchia tanta
    Tengo na minchia accussi’

    Devi usare un pollo
    Se me la vuoi misurar
    Devi usare un pollo
    Se me la vuoi tastar

    Guarda che se la mangia
    E mentre se la sta a pappa’
    Chiedimi che cosa fa
    Se la sta a succhia’

    Frank Zappa non era il figlio di Lumpy Brannum

    Secondo una diffusa dicerìa dell’epoca, secondo la quale il brano del disco Hot Rats (1969) dal titolo “Son of Mr. Green Genes” fosse un riferimento al personaggio di Captain Kangaroo (Brannum), un personaggio di una serie TV dell’epoca destinata ai bambini, di cui Zappa sarebbe stato – secondo la leggenda urbana in questione – il figlio.

    Non era, ovviamente, così.

    Non iniziò suonando la chitarra, bensì la batteria

    In un’epoca in cui il rock’n roll doveva ancora essere inventato, Frank si appassiona alle percussioni e frequenta anche un corso estivo con Keith McKillop. Per un certo periodo provò a far suonare i pezzi dell’appartamento in cui viveva, non potendo permettersi nemmeno un rullante. Esordisce come batterista con una band scolastica di R&B (una delle sue più grandi influenze musicali, peraltro) nel 1956, i Ramblers.

    “Sono un sessista o cosa?”

    La risposta di Zappa alle accuse di maschilismo in molti suoi testi, viene riportata nella biografia, con un atteggiamento a viso aperto:

    se doveste prendere i testi che ho scritto e analizzarli“, scrive il musicista, “molte canzoni sarebbero definite di argomento donne in posizioni degradanti, inteso in modo diametralmente opposto a uomini in posizioni umilianti. Inoltre vi accorgereste che la maggiorparte delle canzoni parla di UOMINI STUPIDI. Le canzoni che scrivo non sono attacchi gratuiti, ma dichiarazioni di fatti“, rifiutando di scusarsi in seguito a varie pressioni “perchè diversamente dall’UNICORNO quelle creature ESISTONO DAVVERO e meritano di essere commemorate in una loro opera speciale“.

    La posizione di Zappa contro il sentimentalismo nelle canzoni

    IO DETESTO LE PAROLE DELLE CANZONI D’AMORE”. Credo che una delle ragioni della cattiva salute mentale degli americani dipenda dal fatto che la gente è cresciuta con QUEI TESTI. Da ragazzino senti tutte quelle PAROLE ROMANTICHE, giusto? I tuoi genitori non ti raccontano la verità sull’amore, e a scuola non la impari di certo. […]

    È un condizionamento inconscio che crea il desiderio di situazioni immaginarie che per te non esisteranno mai. […] La gente passa la propria vita sentendosi defraudata di qualcosa. […] MOLTO CINICO di alcune canzoni rock è il modo in cui dicono FACCIAMO L’AMORE, ma quale cazzo di imbranato dice merdate del genere nella realtà? Bisognerebbe poter dire andiamo a scopare o almeno andiamo a riempire i moduli“.

    Propose uno spettacolo in occasione di italia ’90 – mai preso in considerazione

    Uno degli episodi più divertenti della biografia zappiana è senza dubbio quello che riguarda il suo contatto con l’allora sindaco Pillitteri, al vicesindaco e assessore alla cultura Corbani e all’assessore ai problemi giovanili Treves, definiti rispettivamente nel libro “un socialista, un comunista e un anarchico“.

    Il progetto di Zappa è pregno di poesia dadaista, irriverenza religiosa e assurdità assortite:

    Proposta di un’opera dedicata al campionato mondiale di calcio – Dio fa – Frank Zappa propone di scrivere, produrre e dirigere uno spettacolo straordinario in coincidenza con le finali della Coppa del Mondo di calcio nell’estate 1990, finanziato dalla Città di Milano e dalla Lega Calcio Italiana.

    La prima dell’opera avverrà alla scala e sarà trasmessa via satellite in tutto il mondo. Il testo sarà in inglese, tedesco, italiano, francese, spagnolo, portoghese e russo; lo spettacolo prevede parti di danza in vari stili, effetti speciali e una sfilata di moda. […]

    Tutto il materiale – conclude Zappa – è soggetto a modifiche irrazionali. Il tema dell’opera è: MILIONI DI PERSONE CREDONO CHE IL CALCIO SIA DIO, MA SI DICE (ALMENO A TORINO) “DIO È UN BUGIARDO. DIO FA

    Dio Fa diventa addirittura una canzone dell’album Civilization Phase III, raccolta del 1994.

  • H.P. Lovecraft: Autobiografia di uno scrittore da quattro soldi, edito da Mattioli1885

    H.P. Lovecraft: Autobiografia di uno scrittore da quattro soldi, edito da Mattioli1885

    Il libro Biografia di uno scrittore da quattro soldi ripercorre la vita dello scrittore di Providence, evidenziandone aspetti meno noti ricavati da alcuni scritti inediti di suo pugno. Il primo aspetto che emerge dalla lettura è l’enorme umiltà dell’uomo come scrittore, a cui piace addentrarsi nella propria storia editoriale partendo dai primissimi scritti, concepiti quando aveva pochissimi anni d’età e in gran parte perduti o distrutti (tra i quali vengono salvati La bestia nella caverna e L’alchimista).

    L’amore primordiale per i libri, a partire dall’adorato Le mille e una notte, da’ il via alla produzione letteraria dell’autore, non prima di rimanere affascinato dallo studio della scienza e dell’astronomia. C’è tempo per raccontare della genesi dei suoi racconti più belli, tra cui una menzione particolare meritano, secondo H. P. Lovecraft stesso, Il colore venuto dallo spazio e La musica di Erich Zann. Molte note biografiche riguardano il suo stato cagionevole di salute, che ne condizionò la socialità per tutta la vita, ed il trasferimento per un breve periodo a New York, da lui vissuto come un autentico incubo.

    C’è ampio spazio per vivisezionare la filosofia che guidò lo scrittore di Providence, dettata dalla necessità di superare quelli che vengono definiti, nel testo, gli irritanti limiti di tempo, di spazio e delle leggi naturali. Sono gli stessi che aveva studiato fin da ragazzo, in effetti, e la sua letteratura potrebbe pertanto definirsi una continua tensione verso l’assoluto e la riconquista di nuove frontiere. L’uomo lotta soprattutto contro il tempo, considerata la dimensione più spaventosa in assoluto dell’esistenza umana.Questo spiega almeno in parte la genesi irrazionale delle creature che popolano i suoi mondi, le stesse sembrano violare le leggi della natura nelle modalità più indescrivibili. A riguardo, del resto, basterebbe citare quella descrizione vertiginosa e autoconclusiva presente ne Il richiamo di Cthulhu:

    fu inghiottito da un angolo in muratura che non avrebbe dovuto esserci: un angolo acuto, che si comportava come se fosse ottuso.

    Come scrivere una storia, secondo H. P. Lovecraft

    Lovecraft in alcune delle sue lettere, peraltro, dispensa suggerimenti per la scrittura e racconta la genesi delle sue opere: che partono da un’idea che si traduce in azione drammatica, in cui inizialmente il tempo assume la dimensione dominante (stilare una scaletta in ordine cronologico), poi scriverne una seconda in ordine narrativo (dove il tempo, a questo punto, potrebbe diventare relativo, anti-causale, ucronico e via dicendo), infine scrivere la storia con una certa autoindulgenza, almeno in questa fase.

    Lovecraft sottolinea inoltre come possa essere necessario non rimanere ancorati all’idea originale, bensì farla evolvere in modo naturale, e poi rileggere quanto scritto badando soprattutto a sintassi e corretta sequenzialità degli eventi. Soprattutto, Lovecraft sostiene che Non bisogna mai dare il prodigioso per scontato, suggerimento che certi registi horror del passato avrebbero probabilmente dovuto cogliere meglio.

    Il libro contiene inoltre i preziosi e suggestivi taccuini lovecraftiani, in parte già presenti in altre edizioni di difficile reperibilità (ad esempio l’ormai raro, probabilmente fuori catalogo, Diario di un incubo, edito da Oscar Mondadori), che annotano sensazioni, idee, a volte utilizzare per sviluppare storie altre rimaste sospese. Ci sono gli appunti da cui nasceranno Il miraggio dello sconosciuto di Kadath, ad esempio, ma anche l’idea stessa del Necronomicon, il libro innominabile che venne partorito, a quanto risulta, dalle storie di fantasia che ascoltava da suo nonno da ragazzino.

    Citiamo a mo’ di esempio veri e propri microracconti quasi auto-conclusivi, come Un uomo non vuole dormire, non osa dormire, e prende delle droghe per rimanere sveglio. Alla fine si addormenta e succede qualcosa. che si potrebbe accoppiare con Un uomo sogna di cadere, è trovato spappolato al suolo come se fosse caduto da un’altezza abissale (viene quasi in mente Freddy Krueger), Una mano scolpita o artificiale strangola il suo creatore, Un uomo fissa un appuntamento con un vecchio nemico, muore, ma il cadavere si reca lo stesso all’appuntamento. Le note sono numerose, ne sono riportate esattamente 221, e meritano una citazione almeno altre due, di quasi derivazione horror ottantiana: i sogni di un uomo creano in un’alta dimensione un vero e proprio mondo semi-folle di sostanza quasi materiale e soprattutto quello dedicato all’entomofobia: Degli insetti o altre entità aliene assaltano un uomo e penetrano nella sua mente: questi comincia ad avere ricordi strani o esotici.

    L’ultimo capitolo del libro è dedicato, infine, al testamento dettato da Lovecraft, redatto tra la fine del 1936 e l’inizio del 1937, dal titolo Istruzioni in caso di decesso. Foto di copertina: Dominique Signoret, CC BY-SA 3.0 <http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/>, via Wikimedia Commons

  • Zappa: biografia di un genio della musica, con oltre un centinaio di album all’attivo

    Zappa: biografia di un genio della musica, con oltre un centinaio di album all’attivo

    Istrionico, iperproduttivo e imprevedibile: sono tre aggettivi che potremmo associare a diversi artisti, con gradazioni più o meno accentuate, e che a Frank Vincent Zappa potrebbero associarsi con sicurezza. Rischiando addirittura di dimenticare qualcosa, dato che su questo iconico musicista si sono scritti tomi infiniti, ricchi di dettagli biografici in bilico tra realtà e urban legend. Senza dimenticare, peraltro, la caratura del personaggio e la quantità immane di materiale (non solo musicale, ma anche video) che ha lasciato ai posteri: ben 62 album ufficiali, e altri 50 e passa pubblicati dopo la sua morte. Del resto un docufilm su di lui si attendeva da molto tempo, ed era anche singolare – se vogliamo – che non ne fosse ancora stato prodotto uno, nell’era dei biopic musicali dirompenti (modello Bohemian Rapsody). L’occasione è ancora più ghiotta, considerando che oggi, 15 novembre, è anche l’anniversario di uscita di Jazz from hell (uscito il 15 novembre 1986), forse uno dei dischi più epocali dell’artista – scomparso per un male incurabile a soli 52 anni.

    Un punto di partenza fondamentale per scrivere è stata, per me, la lettura della sua unica autobiografia ufficiale, quella firmata da Peter Occhiogrosso e tradotta in italiano da Davide Pazienza. La stessa in cui è l’artista a parlare, in prima persona, raccontando le storie della propria complicata vita fin dagli esordi, arricchendo le sue pagine di illustrazioni originali e focalizzandosi sulla sua battaglia contro la censura.

    Per molti versi la vita di Frank Zappa è stato un enorme flusso di coscienza, in cui l’artista sembra aver seguito senza sconti e moralismi il proprio istinto musicale: innamorato visceralmente della composizione, applicata alla musica classica come al rock, e personaggio controverso e contraddittorio come gli innumerevoli che ebbero a che fare con lui negli possono ricordare fino ad oggi. Una quantità industriale di musica originale da lasciare ai posteri, soprattutto, tanto da rendere vano qualsiasi tentativo di riassumerla e definirla senza rischiare di scrivere svarioni e imprecisioni. Ai posteri l’ardua sentenza, che poi tanto ardua non è: Zappa è stato uno dei principali musicisti del Novecento, ci sono pochissimi dubbi a riguardo, e i posteri che lo osannano – viene suggerito anche nel film – probabilmente non hanno ancora contezza di quanto e cosa sia stato prodotto, e forse lo hanno capito solo fino ad un certo punto.

    La musica di Zappa, infatti, ha spaziato dall’art rock all’elettronica, passando per il blues, la psichedelia, la musica classica, l’heavy supercazzol e chissà che altro.

    Frank Zappa  ha attraversato varie fasi musicali e compositive, che il film Zappa mostra suddivise idealmente in quattro parti: il periodo anni ’60, in cui si avvicina al mondo dei freak e della  psichedelica rock in voga all’epoca, rigettando al tempo stesso il mondo hippie e le loro simpatie (non era musica per loro, viene detto chiaramente).

    Abbiamo poi il periodo anni 70, quello degli eccessi e delle trasgressioni, ricondotte in realtà ad una condotta sessuale non troppo fedele alla consorte, e al tempo stesso andando in controtendenza e negandosi per tutta la vita l’uso di qualsiasi droga (sconsigliandone l’uso ai musicisti con cui collaborava, da Vinnie Colaiuta a Steve Vai).

    Arrivano gli anni ’80 dai capelli cotonati, dai look che oggi sembrano pacchiani, in cui Frank inizia a costruirsi un’immagine elegante e rispettabile, dedicandosi alle relazioni internazionali (con la Cecoslovacchia, subito dopo la rivoluzione di velluto), arrivando a presenziare ad un processo contro la censura nella musica, da parte di un’associazione filo-governativa indispettita dall’atteggiamento oltraggioso di molte rockstar, che Frank difese sempre a spada tratta.

    Troviamo infine il periodo anni ’90, in cui l’artista inizia ad affiancare alle proprie attività quelle di direttore d’orchestra, che accetta con entusiasmo – e una punta di scetticismo – per via dei pochi fondi investiti nel settore, sottolineando come sia impossibile essere un musicista di professione negli Stati Uniti, e arrivando ad un concerto finale (quando già stava male, purtroppo) epico quanto commovente, conclusosi con ben 20 minuti di standing ovation. La stessa standing ovation che continuiamo a tributargli virtualmente ancora oggi, del resto.

    Zappa rielabora lo stereotipo del rocker ignorante, rendendolo quantomeno poco prevedibile, e non solo: propone l’opportunità di allegare i testi ai booklet dei dischi, oltre a lottare aspramente contro la censura perbenista USA in un periodo in cui – se non fosse stato per lui, probabilmente –  l’intera industria rock sarebbe collassata in un conformismo soffocante quanto sterile. E dire che non era neanche coinvolto direttamente lui in quella polemica, in cui personalità vicine al governo USA vomitavamo improperi contro il rock di ogni ordine e grado, per via della scabrosità dei tuoi testi: era coinvolto Prince, di riflesso alcune band heavy-metal come Judas Priest ed Alice Cooper (che compare più volte nel docufilm, e riconosce all’etichetta discografica di Zappa, uscita prima di chiunque altro come etichetta indie, di aver salvato la sua carriera). Interessante, poi, come nel film venga anche riferito Lenny Bruce come riferimento zappiano di massimo grado, in un periodo in cui venne arrestato più volte per motivi spesso grotteschi (solo di straforo vengono mostrati concerti di Zappa che vengono, tra balli deliranti e musicisti-teatranti impegnati in danze convulse e avanguardistiche, interrotti saltuariamente da agenti di polizia sul palco).

    Zappa è stato diretto da Alex Winter, esce nel 2020 e viene distribuito l’anno dopo in pochi cinema selezionati del nostro paese. Winter è anche un regista di culto, peraltro, che dovremmo ricordare per via del suo primo film da regista, l’horror grottesco Freaked (presentato in Italia al Fantafestival, nel lontano 1994). Il docufilm in questione si caratterizza soprattutto per avuto accesso ai footage inediti dall’archivio personale dell’artista, a cui Winter ha avuto accesso (cosa tutt’altro che semplice da ottenere, da quello che sappiamo) grazie alla collaborazione della Zappa Family Trust. Un’occasione più unica che rara per visionare live inediti così come filmini amatoriali che Frank registrava in famiglia, alla ricerca del lato divertente della vita, nonostante le umili origini (il padre lavorava nell’industria militare, e nella sua infanzia era normale avere delle maschere antigas in casa per paura di fuoriscite accidentali di gas nervino).

    Contrariamente alla voce diffusa sul web da alcuni mesi, peraltro, il film non è stato propriamente finanziato in crowdfunding, ma la campagna avviata su Kickstarter era mirata a preservare i contenuti del deposito (citato più volte nel film) che costituisce l’archivio di famiglia. Un archivio in cui esistono ancora oggi registrazioni di jam session tra Zappa ed Eric Clapton, tanto per fare un esempio. Il film che è risultato da tale conservazione è stato, in realtà, a sua volta finanziato da vari investitori.

    E nel frattempo vari musicisti che hanno collaborato con lui – da John Lennon a Yoko Ono, passando per Steve Vai, Ian Underwood, George Duke, Ruth Underwood e Alice Cooper – sentitamente ringraziano, commossi e devastati da una dipartita troppo precoce, che ha sfondato la “quarta parete” della musica colta miscelata col rock, e che (detto francamente) non ce la meritavamo. Non così in fretta, Frank: soprattutto oggi, nell’era delle boy band usa e getta, della musica visuale in cui conta più essere fighi che preparati musicalmente, delle hit elette a furor di popolo sui social. Ti avremmo voluto con noi ancora per un po’, in effetti. D’accordo qualsiasi cosa e qualsiasi genere, amici generalisti, ma lasciate vivere per sempre Frank Vincent Zappa.

    Considerato ad oggi uno dei migliori chitarristi di ogni tempo, influenzato in parte dal rhythm and blues e dalla musica classica, divenne sostanzialmente un polistrumentista sperimentatore. Zappa inventò non solo un genere rock del tutto inedito (leggasi: colto, senza essere didascalico ma anzi, che virava spesso sull’autoironico), si considerava prima compositore e solo dopo, molto alla lontana, rockstar. L’equilibrio tra compositore fuori dalle righe e VIP convenzionale, del resto, è alla base della costituzione di ciò che si vede nel film, che documenta in modo maniacale ogni dettaglio  della sua vita, ripescando vari filmati inediti e di archivio. Ne emerge un Frank Zappa sostanzialmente coerente con la biografia ufficiale raccontata nel libro succitato, e ciò dimostra la grande scrupolosità filologica della regia, apertamente fan dell’artista.

    Il contributo più importante che emerge dall’opera, del resto, è forse proprio quello di aver proposto in ottica libertaria e anarcoide un genere musicale che si erse, grazie alla sua inventiva, in modo mai visto prima, in bilico tra mille sottogeneri del periodo, liberando il musicista medio dagli stereotipati sesso, droga e rock’n roll. Del resto, oggi, se molte persone in Italia si sono interessate alla sua musica lo dobbiamo anche, in misura più grande di quanto non si voglia ammettere, ad Elio e le storie tese, i primi musicisti “zappiani” che l’Italia ricordi (quantomeno i più famosi).

    Argomento trattato in lungo e in largo anche questo, più sterminato della sua stessa discografia e riassunto da un frammento televisivo, sopravvissuto fino ad oggi, in cui (evocando grottescamente la scena dei tre uomini col papillon che parlano di aborto, vedi Bojack Horseman) tre conduttori si pongono verso di lui con modi tutt’altro che empatici, sottolineando la necessità di un intervento repressivo verso le forme di arte sataniche e/o sessualmente esplicite.

    Il quadro è straordinario da un punto di vista storico, soprattutto per l’atteggiamento di Zappa che rimane quasi del tutto imperturbabile, arrivando a chiedere all’interlocutore più aggressivo se gli piacerebbe sculacciarlo (e mandandolo apertamente a quel paese, ad un certo punto). È incredibile come si tratti, peraltro, di una scena già vista centinaia di volte in altre sedi, che abbiamo finito quasi per interiorizzare (purtroppo) fino ad oggi.

    Il suo intervento in tribunale contro il PMRC (l’associazione nata nel 1985 per imporre la nota etichetta sui dischi considerati esecrabili, Parental Advisory Explicit Content, la stessa che Elio fece parodisticamente apparire su alcune sue cassette, in forma maccheronica come “Avviso ai parenti”). “Le mogli del Grande Fratello” a cui si fa ironico riferimento nella deposizione zappiana sono, per inciso, le fondatrici del PMRC, tra cui Mary Elizabeth Tipper Gore (riferita peraltro dal titolo di un disco dei Death, Scream Bloody Gore del 1987), Susan Baker, Sally Nevius e Pam Howar. Si pone l’accento anzitutto sulla libertà in cui hanno bisogno di muoversi gli addetti ai lavori, sottolineando come l’intervento censorio fosse limitante in misura economica, oltre che artistica.

    I ragazzini hanno il diritto, dice Zappa, di sapere che esiste qualcosa di diverso dal pop, data la loro naturale propensione all’ascolto, e forse negarglielo rientra in una violazione di un diritto umano. Battersi contro lo stigma sociale per cui un musicista censurato impiegherebbe anni a rifarsi una reputazione, salvo perderla per sempre, Zappa esprime splendidamente il proprio punto di vista, tanto da essere attuale ancora oggi.

    Il risultato fu che, probabilmente in tutta risposta, proprio il suo successivo album Jazz from hell venne etichettato come explicit, nonostante fosse un disco strumentale e – quasi certamente – per via del titolo G-Spot Tornado (parlare del punto G è da maleducati, sembrerebbe). E adesso siamo tutti un po’ la melma, verrebbe da dire citando un suo vecchio brano, ora che tutto è cambiato e chissà quanto, ancora, dovrà cambiare, Frank è morto da tempo: lunga vita a Frank.

  • I 10 autentici comandamenti del cinefilo: punto primo, puoi rivedere un film più volte

    I 10 autentici comandamenti del cinefilo: punto primo, puoi rivedere un film più volte

    Lo hanno fatto anche blog molto peggiori del mio, per cui non vedo perchè non proporre un sano decalogo dei 10 comandamenti del cinefilo D.O.C.!

    Puoi rivedere un film più volte

    Anche se molti blasfemi e miscredenti cercheranno di convincerti del contrario, è possibile, ragionevole e molto gradevole vedere lo stesso film più volte. Non è affatto una cosa monotona da studiosi o professoroni del cinema: questa concezione usa e getta, del resto, non viene certo applicata nella musica, ad esempio. Per cui non si capisce per quale ragione debba essere applicata al cinema.

    Se posso ascoltare Beethoven ancora oggi – pur conoscendolo a memoria, non c’è motivo per cui non debba o possa fare lo stesso con 2001 Odissea nello spazio.

    Torna al cinema (finchè puoi)

    Oggi vediamo tutto in streaming, su schermi di qualità spesso infima, o da siti illegali che ci inondano di pubblicità porno fetish (no mamma, sono i miei amici che mi fanno gli scherzi!). In realtà tornare al cinema (dove purtroppo non si può fumare: se si potesse, come negli anni ’70, sarebbe ancora più suggestivo, al netto dei danni alla salute) è un’esperienza fantastica che dovremmo gustarci al massimo, almeno fino a quando l’ultima delle sale delle nostre città rimarrà aperta.

    Ricordati che il “cinema intellettuale” non esiste

    Probabilmente perchè tutto il cinema è una roba da intellettuali. Anche i film tipo Vacanze di Natale, secondo me – in fondo alcuni requisiti ci sono: nessuno li guarda, tutti ne parlano, molti ci scrivono. E l’unico modo per impattare con l’inconsistenza del cinema da intellettuali è quello di andare ad un festival del cinema, uno qualsiasi (ad Udine ad esempio c’è il Far East). Luoghi fuori dal tempo in cui si incontrano appassionati di cinema di ogni ordine e grado, a creare un miscuglio difficilmente omologabile ad uno standard. Meraviglia! C’è anche da dire che tendenzialmente i festival del cinema sono frequentati da sapiosessuali, cioè da quelli che se non conosci i loro stessi film non scoperanno con te (ovviamente sto ironizzando). In realtà, a parte gli scherzi, assistere ad un film è un prodigio di religiosità laica – questa era pesante – come pochissimi ne sono rimasti, e va gustato dal primo all’ultimo minuto. Un po’ come una partita di calcio, insomma, in cui ogni film è una finale da dentro-fuori con la tua squadra (o regista) del cuore.

    Toglietevi dalla testa che certi titoli “impegnati” non siano alla vostra portata o non siano pensati per voi (sì, proprio per te!) perchè non è affatto così: è solo questione di atteggiamento mentale, oltre che di attitudine.

    Non fermarti ad un genere

    Anche se il tuo genere preferito fosse il thriller sperimentale o l’horror più fuori dalle righe, non fermarti mai a considerare un singolo genere: il cinema è ricco di commistioni, mix apparentemente improbabili quanto efficaci ed interpretazioni magistrali anche in film che mai ti aspetteresti. Motivo per cui: guarda sempre di tutto, da Nekromatik al film romantico che fingi di apprezzare per compiacere la tizia che corteggi dal 2009.

    In Italia ci è voluto Tarantino per accorgerci che avevamo anche noi ottimi registi horror, thriller e via dicendo: prova che dimostra la necessità di rimarcare questo punto.

    Non avere pregiudizi

    Cerca sempre di vedere almeno un paio di film dello stesso regista, prima di emettere un giudizio assoluto. E, ancora più importante: ricordati che il tuo metro di giudizio può cambiare ed evolvere. Un film cheoggi reputi nammerda può diventare il tuo preferito domani (difficilmente avverrà il viceversa): non è questione di coerenza, è questione di buonsenso perchè, semplicemente, non funziona così solo nel cinema.

    Scopri sempre nuovi film

    Discorso molto collegato al precedente: non guardare film solo di un genere o solo di un periodo, perchè rischi di farti un’idea limitativa di quanto quest’Arte oggi sia diventata varia, espressiva e universale. Ormai nulla è di nicchia: chiunque può vedere qualsiasi film, anche grazie ad internet.

    Per cui, cosa stai aspettando? Ci sono film appena usciti, così come perle espressioniste del primo Novecento, che aspettano solo te (si fa per dire, ovviamente).

    Non leggere nulla, prima di guardare

    Leggere di cinema è cosa buona e giusta, ed il fatto che tu sia qui oggi testimonia che probabilmente te ne frega qualcosa, di ‘sto benedetto cinema.  Eppure un errore che molti fanno è quello di leggere prima le recensioni e poi vedere i film, cosa che porta a farsi un’idea coincidente con quella del recensore del momento. Recensore che, in molti casi, è spesso un ciarlatano generalista che scrive modello ghostwriter su qualsiasi cosa gli dicano (ho letto recensioni su Lords of Chaos e su Suspiria di Guadagnino che univano incompetenza e cattivo gusto espressivo ai livelli: tronista di Uomini & Donne).

    Meglio farsi un’idea propria vedendo un film e poi confrontarsi, no?

    Lascia perdere le recensioni sul web

    Su questo blog ne trovi circa 600, almeno al momento in cui butto giù queste righe con le quali, in sostanza, ti sto invitando a goderti le mie parole ma poi ad andare via, a chiudere brutalmente la pagina e a dimenticarti di me.

    Tipico tratto da sapiosessuali (ah ah ah, l’avete capita).

    A parte gli scherzi, diffidate da quello che trovate scritto sul web sui film: abbondano le ricostruzioni arbitrarie delle trame, le interpretazioni ad cazzum delle scene, la critica gentista che sembra essere diventata improvvisamente cazzuta quando era, anni fa, poco più che semplice folklore.

    Insomma: meno chiacchiere e, se proprio volete, leggete qualche libro sul cinema e soprattutto guardate tanti, tantissimi film prima di sparare sentenze.

    Lascia perdere i social

    Parlare di cinema sui social è una cattiva idea come fare il bagnetto al figlio piccolo in una vasca piena di piranha: rischi che ti passi la voglia in pochi istanti, a meno che tu non abbia solo contatti radical chic. Del resto sui social si è in grado di brutalizzare qualsiasi discussione, vogliamo tutti sembrare più ricchi e più belli di quanto davvero siamo, ma c’è già il cinema che – ogni giorno, da quando è nato – si impegna a fare esattamente le stesse cose. Unica differenza, si inventa classe, ricchezza e bellezza dove non ci sono giusto con un po’ di Arte.

    E vale anche per i film di Pozzetto e Lino Banfi, pensa un po’.

    Guarda i film in lingua originale

    Non è un vezzo da esterofili o da radical chic: guardare un film in lingua originale restituisce spesso il vero significato del film stesso. Se ti è possibile farlo, ovviamente (per chi abita nei piccoli centri è un’impresa quasi disperata), guarda sempre i film in lingua originale: ad esempio La casa di Jack è stato tranciato arbitrariamente di due minuti dalla produzione nella versione italiana, e questo soltanto perchè i produttori erano blindati nella convinzione che andasse presentato in questa veste “alleggerita”. Io l’ho visto in inglese sottotitolato, e buonanotte (e sono stato fortunato).

    Per non parlare del doppiaggio, che in questo paese viene considerato un’Arte ma che poi, a bene vedere, viene ormai esercitato dalla qualunque, attori più o meno tali – tanti quanti Youtuber più o meno insulsi, con il rischio che il senso del film venga stravolto del tutto. Ma dico, ve lo immaginate Bohemian Rapsody doppiato in italiano? Io francamente ho trovato irresistibile l’accento di Rami Malek in lingua originale.