Sono Adam. Ho 45 anni, vivo a Roma, mi occupo di libera professione e sono un criceto. Ogni volta mi tuffo nel baratro dell’amore non ricambiato. Non vi suggerisco di farlo: è una tendenza insana che procura una strana sensazione.
Ho un sacco di interessi: la musica rock, i libri, i fumetti, il cinema. Questo tecnicamente mi permette di conoscere tanti altri criceti con interessi simili ai miei. Sono molto attratto dai criceti simili a me. Più che altro dalle cricetine.
Con alcuni e alcune di loro divento amico. Con altre… Vorrei qualcosa in più.
Sono single. Non ho ancora trovato l’anima gemella. La cricetina gemella. La cricemella.
A volte mi succede di incontrare cricetine che mi piacciono. Capita a tutti prima o poi, giusto? Amo l’espansività, la solidarietà, la sincerità. Questo non è un annuncio “cercasi fidanzata”. Il senso dell’umorismo, poi… quello sì che mi manda totalmente in bambola. Mi sono spesso innamorato di cricetine dotate di un pronunciato senso dell’umorismo. Per me è essenziale che tu rida di me, e che io possa ridere di te, che io possa ridere con te, in qualsiasi momento. Anche nei momenti più hot, ovviamente. Visto? Fa ridere anche solo pensarci, quindi immagino funzioni.
Il problema è che le cricetine vedono più i miei interessi che il mio modo di essere. Mi piacerebbe apprezzassero il mio pelo, il colore vivido, i segnali che emano biologicamente quando sono in calore. E invece nulla. Amano i miei interessi più di me. A volte mi odio per questo, e vorrei quasi commettere un suicidio criceto, un suicriceticidio. Poi ci penso e mi rendo conto che la vita è troppo varia, imprevedibile e irrazionale (e non ho detto bella) per potervi rinunciare così. E allora mi pongo mille domande e mi chiedo: cosa posso fare per non essere più single? Come posso mettermi nelle migliori condizioni possibili per arrivare preparato alla prossima volta? Calcoli inutili, perchè ogni volta mi tuffo nel baratro dell’amore non ricambiato e parlo, esterno, mi entusiasmo, mentre la cricetina mi guarda e mi dice solo “eh?”.
Così sono andato in un’agenzia matrimoniale in cui poter incontrare l’anima gemella. Per farlo sono uscito dalla mia gabbia di Faraday, quella che in fisica è in grado di schermare qualsiasi segnale dall’esterno. Se ci stai dentro, non provi nulla. A volte mi fa comodo starci dentro, perchè mi aiuta a non sentire stimoli, a farmi lasciare in pace. Poi ad un certo punto esco dalla gabbia e inizio a ricevere whatsapp, SMS, messaggi in chat, facciamo questo, vediamoci qui, andiamo a questo spettacolo, ceniamo qui.
Salve, è interessato ai nostri pacchetti?
Sì, certo, sono qui per questo.
Intanto prenda il nostro coupon di benvenuto e questo dolce alle mandorle.
Sono un criceto, mi ucciderebbe. Pero’ quasi quasi…
A lei interessa il pacchetto base?
Sì.
Bene: col pacchetto base conosce una cricetina, scelta sulla base delle sue preferenze ovviamente. Cena romantica inclusa e taxi già pagato.
E poi?
Poi in che senso?
Tutto qui?
Eh, da cosa nasce cosa! Ma se volesse la garanzia di uno step successivo, pacchetto medium: due cricetine, per avere il doppio delle possibilità.
Ma scusi, e se sono gelose?
Istinto, caro lei, i criceti non sono gelosi.
Non ho mai avuto buone esperienza con due cricetine, quella volta è finita maluccio. Io sono un criceto e sono un po’ gelos…
Atipico. In caso può valutare pacchetto Gold, nel quale trova sostanzialmente tutto un mondo di opportunità, che includono uscita, cena, passeggiata al chiar di luna, taxi già pagato, sali da me a bere qualcosa.
Non basta. L’ultima volta mi hanno lasciato alla porta e ho dovuto bere al bar lì vicino.
Succede. Deve accettare l’insuccesso.
Sì ma io pago, mi scusi.
D’accordo: pacchetto Premium, allora. Uscita, cena, passeggiata al chiar di luna, taxi già pagato, sali da me a bere qualcosa, arma da taglio per essere più convincenti.
Non mi pare il caso.
Kit per il lavaggio del cervello? Lo possiamo miscelare al piatto della cena.
Mi sembra ancora peggio. Vorrei che la persona che conosco possa stare con me, una buona volta.
Dieci insuccessi di fila, giusto?
Undici. Uno non l’ho certificato per mancanza di tempo. Stavo talmente giù che non ci ho pensato.
Peccato.
Prego?
No dico, peccato. Con undici insuccessi fino al 7 gennaio avrebbe avuto un coupon omaggio con scopata garantita.
In che senso, scusi? Oggi è 8 gennaio.
Inutile parlarne, l’offerta scadeva ieri.
Non c’è modo di…
No.
No?
No.
Capisco.
Premium?
No, grazie. Mi manca la mia gabbia di Faraday. Ho bisogno di stare da solo per un po’.
Poi pero’ non dica mi sento solo.
Ma no, si figuri. Grazie.
A lei.
Sono Adam. Ho 45 anni, vivo a Roma, mi occupo di libera professione e sono un criceto. Sono single. Non ho ancora trovato l’anima gemella. La cricemella. Mi piace passare del tempo a fare calcoli inutili chiuso nella sicurezza della comfort zone, la mia gabbia di Faraday. Dovrei stare attento a non rimanere fulminato, con quello che si sente in giro. Il colpo di fulmine per me rischia di avere tutt’altro significato.
Che cos’è l’opinione pubblica? Secondo il sociologo Ferdinand Tönnies è un qualcosa che “pretende di essere autorevole”, e che al tempo stesso presenta un potenziale autoritario: “esige il consenso, costringe al silenzio, all’astensione dalla contraddizione“. Questo produce l’effetto che la maggioranza sia “costretta” al silenzio, persa nella propria impotenza e nella paura di esprimere un parere che non percepisce come abbastanza popolare o socialmente accettabile.
Nel 1974 Elisabeth Noelle-Neumann (una sociologa tedesca), nell’idea ciò che è diventato noto nella letteratura scientifica come spirale del silenzio, ha descritto le euristiche (algoritmi approssimati) che gli umani utilizzano per dedurre quali siano le opinioni più popolari, per poi comportarsi di conseguenza. Arrivando a sostenere che la probabilità con cui una persona esprime un’opinione, soprattutto su argomenti controversi o molto dibattuti, sia condizionata dalla stima della forma dell’opinione pubblica.
12.4.1991 Tagung der Ludwig-Erhard-Stiftung im Hotel Königshof – Verabschiedung des alten Vorsitzenden der Ludwig-Erhard-Stiftung MD a.D. Dr. Karl Hohmann, Begrüßung des neuen Vorsitzenden Staatssekretär Dr. Otto Schlecht (Amtswechsel am 1.3.1991)
La spirale del silenzio appare come teoria di formazione dell’opinione pubblica e si basa sul presupposto che per alcuni individui, o per la maggioranza di essi, sia più importante non isolarsi che possedere un parere personale su un tema sensibile. Questo naturalmente induce una discreta quantità di conformismo nel computo del mondo in cui viviamo, per quanto la teoria in questione non sia universalmente accettata e – come molti altri studi sociologici – sia profondamente dibattuta ancora oggi.
Considerazione finale di un Mago Merlino accelerazionista
La tristezza si spegne imparando. Il tuo corpo cede, le tue vene gridano, l’amore svanisce; il mondo esplode sotto la follia, il tuo onore affoga nel fango. Non importa: impara. Scopri perché il mondo si muove, cosa lo guida, quali ingranaggi lo alimentano. La conoscenza non si consuma, non tradisce, non ferisce, non si teme, non si rimpiange. È l’unica arma, l’unica rivoluzione. Impara, perché tutto il resto andrà in rovina.
Il Gattopardo: storia, sinossi, sintesi, significato
“Il Gattopardo” è un romanzo scritto da Giuseppe Tomasi di Lampedusa e pubblicato postum. È una delle opere più importanti della letteratura italiana del XX secolo ed è considerato un classico della narrativa storica.
Anno di pubblicazione: 1958.
Sinossi: Il romanzo è ambientato in Sicilia durante il periodo delle Guerre Risorgimentali, nel 1860. Narra la storia della decadenza della famiglia nobiliare dei Salina, guidata dal principe Don Fabrizio. La trama segue i cambiamenti sociali e politici che si verificano in Italia durante quel periodo, inclusa l’unificazione italiana. Il protagonista, il principe Don Fabrizio, è costretto a confrontarsi con il declino del suo ceto sociale, la perdita del potere e dell’influenza, e la trasformazione del paesaggio politico e sociale.
Gattopardo e gattopardismo: significato metaforico
Significato metaforico: “Il Gattopardo” è spesso interpretato come una metafora della trasformazione e dell’evoluzione sociale in Italia durante l’unificazione. Il titolo stesso del romanzo si riferisce al “gattopardo”, ovvero il leopardo, che rappresenta la famiglia nobiliare dei Salina. L’immagine del gattopardo riflette l’idea che, per sopravvivere in un mondo in cambiamento, è necessario adattarsi e trasformarsi, proprio come un gattopardo cambia il suo mantello per sopravvivere nel suo ambiente.
Il personaggio del principe Don Fabrizio rappresenta la vecchia nobiltà, la quale deve affrontare la realtà del suo declino sociale e politico. La famosa citazione “Tutto deve cambiare affinché tutto possa rimanere come prima” sintetizza l’idea che, nonostante le apparenze di cambiamento, alcune cose fondamentali rimangono immutate. Questa frase riflette anche il tentativo di adattamento della nobiltà all’evoluzione politica senza perdere completamente la propria identità e privilegi. Inoltre,il romanzo affronta temi come il passaggio del tempo, la nostalgia, la perdita e la transitorietà della vita. La vicenda dei Salina diventa una metafora di un’intera epoca che sta lentamente scomparendo, e il romanzo cattura in modo suggestivo l’atmosfera di cambiamento e incertezza che accompagnò l’unificazione italiana.
“Il Gattopardo” può pertanto essere interpretato come un’affermazione sulla natura ciclica della storia e sulla necessità di accettare il cambiamento inevitabile, pur preservando l’essenza della propria identità.
Il film di Luchino Visconti
“Il Gattopardo” è la trasposizione cinematografica del 1963 del romanzo: un film diretto da Luchino Visconti basato sull’omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. La pellicola è ambientata in Sicilia durante il Risorgimento italiano e narra la storia della caduta della nobiltà feudale e dell’ascesa della borghesia.
Regia: Luchino Visconti
Interpreti principali:
Burt Lancaster nel ruolo del Principe Don Fabrizio Salina
Claudia Cardinale nel ruolo di Angelica Sedara
Alain Delon nel ruolo di Tancredi Falconeri
Recensione: Il film è stato ampiamente lodato per la sua bellezza visiva, la profondità dei personaggi e la rappresentazione accurata dell’epoca. La regia di Visconti è considerata magistrale, così come le interpretazioni degli attori principali. È spesso celebrato per la sua cinematografia sontuosa e per il modo in cui cattura l’atmosfera e i dettagli storici dell’epoca.
Trama: Il film segue il Principe Don Fabrizio Salina, capo di una famiglia aristocratica in declino, mentre naviga attraverso i cambiamenti politici e sociali del Risorgimento italiano. Il nipote del principe, Tancredi, si unisce ai rivoluzionari, mentre Don Fabrizio cerca di preservare il suo status e le tradizioni familiari durante un periodo di trasformazione tumultuosa.
Note di produzione e curiosità:
Il film ha vinto la Palma d’oro al Festival di Cannes nel 1963.
È stato girato in varie location in Sicilia, tra cui il Castello di Donnafugata.
La colonna sonora è stata composta da Nino Rota, noto per le sue collaborazioni con registi come Visconti e Fellini.
Significato del film: “Il Gattopardo” affronta temi universali come il cambiamento sociale, la decadenza della nobiltà, la politica e l’amore. Il personaggio del Principe Salina rappresenta la vecchia classe aristocratica che sta perdendo potere mentre il mondo intorno a lui cambia. Il film esplora la natura effimera del potere e la necessità di adattarsi ai cambiamenti per sopravvivere. Il titolo stesso, traducibile in “Il Leopardo”, fa riferimento alla natura camaleontica del protagonista, che deve adattarsi al cambiamento pur rimanendo fedele a se stesso.
L’oblio è un termine che indica la perdita o l’incapacità di ricordare qualcosa, sia temporaneamente che permanentemente. Si riferisce alla mancanza di memoria o al fatto di dimenticare informazioni, eventi, dettagli o esperienze passate. Questo fenomeno può manifestarsi in modi diversi e può essere causato da varie ragioni, come lo stress, l’invecchiamento, disturbi neurologici, traumi cranici, disturbi psicologici, condizioni mediche, o semplicemente come una caratteristica normale della memoria umana.
Secondo Freud, il concetto di “rimosso” si riferisce a ricordi, desideri o esperienze traumatiche che sono stati inconsciamente soppressi o dimenticati. L’oblio, in questo contesto, può essere considerato come una forma di difesa psicologica che nasce dalla repressione di contenuti emotivamente dolorosi o disturbanti. Freud credeva che certi ricordi o desideri potessero essere così disturbanti da essere spinti nell’inconscio, rendendoli inaccessibili alla consapevolezza. Questi ricordi repressi o rimosso possono influenzare il comportamento e la psiche di una persona senza che essa ne sia consapevole. Ad esempio, una persona potrebbe mostrare determinati schemi comportamentali o reagire in modo specifico a certe situazioni a causa di ricordi o desideri repressi di cui non è consapevole.
L’oblio può anche riguardare la dimenticanza di dettagli quotidiani, come dove si sono lasciate le chiavi, ma può anche estendersi a eventi importanti della vita o a informazioni significative. Può essere temporaneo, come dimenticare qualcosa per un breve periodo di tempo, o può essere permanente in casi più gravi, come nelle malattie neurodegenerative.
L’oblio in questo contesto potrebbe rappresentare una manifestazione di questo processo di repressione, dove certi ricordi o esperienze dolorose vengono dimenticati o nascosti dalla coscienza a causa del loro impatto emotivo o delle loro implicazioni psicologiche. Tuttavia, è importante notare che il concetto di rimosso freudiano è ampiamente dibattuto e non è universalmente accettato da tutti gli psicologi e ricercatori nel campo della psicologia contemporanea.
Il cinema presenta un’ampia filmografia dedicata al tema centrale dell’oblio.
Spider
“Spider” è un film del 2002 diretto da David Cronenberg, in cui il protagonista, interpretato da Ralph Fiennes, è un uomo di nome Dennis Cleg che soffre di gravi disturbi mentali e di amnesia.
Il film segue la vita di Dennis Cleg, chiamato anche Spider, mentre viene trasferito in una casa di cura dopo essere stato rilasciato da un istituto psichiatrico. Spider lotta con la sua memoria frammentata e con i ricordi confusi del suo passato, cercando di ricostruire eventi traumatici della sua infanzia e le complesse relazioni familiari.
La narrazione del film si intreccia tra la realtà e la percezione distorta di Spider, mostrando i suoi sforzi nel tentativo di capire ciò che è accaduto nella sua vita e nel suo passato, mentre la sua mente è intrappolata in un labirinto di ricordi distorti e ambigui.
Il tema dell’oblio è centrale nella trama di “Spider”, poiché il protagonista cerca di recuperare e dare un senso ai frammenti del suo passato, cercando di affrontare eventi traumatici e di riavvicinarsi ai ricordi sepolti della sua infanzia. Il film esplora la natura della memoria, dell’identità e della percezione, portando lo spettatore a entrare nella mente fratturata del protagonista e nelle sue struggenti lacerazioni psicologiche.
Di B3t – catturato personalmente, Copyrighted, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=2976057
Oblivion
Di Supernino – Screenshot autoprodotto, Copyrighted, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=4629489
Oblivion è un film di fantascienza del 2013 diretto da Joseph Kosinski. Il film è ambientato in un futuro post-apocalittico e vede Tom Cruise nel ruolo del protagonista.
La trama ruota attorno a Jack Harper (interpretato da Tom Cruise), un tecnico di manutenzione incaricato di monitorare e riparare droni difensivi su una Terra desolata, abbandonata e devastata da una guerra contro una razza aliena chiamata “Scavs”. Gli umani hanno vinto la guerra, ma la Terra è diventata inabitabile e gran parte della popolazione si è trasferita su un’altra luna di Saturno, chiamata Tet.
Mentre Jack compie le sue missioni di manutenzione, inizia a mettere in discussione la verità sulla guerra e sul suo ruolo nell’intera situazione. Una serie di eventi lo portano a scoprire informazioni che mettono in discussione la sua comprensione della realtà e delle sue stesse origini.
Il film è apprezzato per la sua estetica visiva, gli effetti speciali e la colonna sonora coinvolgente. La storia affronta temi di identità, memoria, tradimento e riscatto, mentre il protagonista cerca di scoprire la verità dietro la sua esistenza e il suo ruolo in un mondo devastato.
“Oblivion” è stato apprezzato per la sua ambientazione visivamente accattivante e per la sua trama che mescola elementi di fantascienza con elementi più intimi e personali.
“Memento” (2000)
“Memento” è un film del 2000 diretto da Christopher Nolan e racconta la storia di Leonard Shelby, interpretato da Guy Pearce, un uomo che soffre di amnesia anterograda, una condizione che gli impedisce di creare nuovi ricordi a lungo termine dopo un trauma. La trama del film è narrata in modo non lineare, seguendo due trame temporali che si intrecciano:
Leonard cerca disperatamente di trovare l’uomo che ha violentato e ucciso sua moglie, e di vendicarsi.
La sua ricerca è complicata dalla sua condizione di amnesia, quindi si affida a polaroid, tatuaggi e appunti scritti su sé stesso e oggetti per ricordare chi è, cosa sta facendo e chi è la persona che deve trovare.
Il film si apre sul finale, portando lo spettatore all’inizio della storia. La narrazione procede poi all’indietro attraverso una serie di eventi, rivelando nuovi dettagli e retroscena.
“Shutter Island” (2010)
Credits: imdb.com
Diretto da Martin Scorsese, questo thriller psicologico racconta la storia di due detective che indagano sulla scomparsa di una paziente da un’ospedale psichiatrico sull’isola di Shutter. Il film esplora la memoria e la percezione in modo disturbante.
“Before I Go to Sleep” (2014)
Basato sul romanzo di S.J. Watson, segue la storia di una donna che ogni giorno al risveglio scopre di aver perso la memoria degli ultimi 20 anni a causa di un incidente. Lei inizia a scoprire verità inquietanti sulla sua vita.
“Unknown” (2011)
Un uomo si risveglia in un ospedale scoprendo che qualcun altro ha preso la sua identità, ma l’intera sua vita sembra essere stata dimenticata o sostituita da qualcun altro.
Sento spesso dire che le intelligenze artificiali generative ruberanno il lavoro a chi ce l’ha, tipo scrittori e giornalisti.
Capisco il timore, ma non lo condivido.Per quanto istintivamente simpatizzi per hacker e boicottatori seriali per giusta causa, non riesco davvero a diventare luddista o almeno, se non proprio luddista, ostile all’uso delle nuove tecnologie che in realtà non rubano proprio nulla a nessuno.
Cosa sono le intelligenze artificiali generative
Le intelligenze artificiali generative sono sistemi informatici che utilizzano algoritmi complessi per generare autonomamente nuovi dati, testi, immagini o altri tipi di contenuti. Questi sistemi sono in grado di apprendere dai dati di input e creare nuovi materiali in modo autonomo, simulando in parte il processo creativo umano. Sono utilizzate in diversi campi, come la scrittura automatica di testi, la creazione di immagini, la produzione musicale e molto altro ancora. Esse hanno il potenziale di automatizzare alcuni compiti che tradizionalmente venivano fatti da esseri umani, come la scrittura di articoli o la generazione di contenuti.
Le intelligenze artificiali generative sono spesso basate su modelli statistici complessi, il cui esempio più popolare sono le reti neurali e tutto l’insieme di tecnologie analoghe utili per fare apprendimento macchina (machine learning). Il premio nobel per l’economia Daniel Kahneman (che citavo, abbastanza curiosamente, riguardo ai bias legati ai corsi di seduzione online) si è spinto a sostenere che l’uso intensivo di algoritmi per fare scelte importanti, alla lunga, potrebbe portare a scelte migliori i medici più preparati e tecnologicamente non ostili. Questo per un motivo semplice, in effetti: un algoritmo esegue il proprio compito freddamente, e per quanto soggetto a bug informatici non è soggetto ai bias / distorsioni cognitive a cui è soggetto l’uomo. Per quanto spaventoso o irreale possa sembrare, di conseguenza, una diagnosi fatta da un algoritmo (ammesso che sia stato correttamente tarato) potrebbe finire per salvare più vite di un medico, sempre nell’ipotesi che sia usato in modo corretto.
Ci pensano quelli bravi col computer (ma anche no)
Non si tratta ovviamente di cedere all’automatismo passivamente (il che sarebbe, non sia mai, bias di automazione); non si tratta neanche di immaginarsi su un tavolo operatorio con un Terminator che sogghigna alle nostre spalle: si tratta di riflettere su ciò che Domenico Conforti (mio docente universitario di Modelli di sistemi di servizio, una delle materie che ho amato di più) chiamava “metodi di supporto alle decisioni”. Che era un modo accademico e italianizzato per chiamare, già agli inizi degli anni Duemila, ciò che oggi è nota come intelligenza artificiale supervised o supervisionata. Per quanto il discorso sia leggermente più complesso per le tecnologie che rientrano nell’ambito non supervisionato (ovvero algoritmi che nascono, producono e muoiono da soli), direi che gran parte delle fobie tecnologiche legate al mondo delle IA supervisionate sono infondate. Lo sono perchè un medico che ha fatto il giuramento di Ippocrate e che quotidianamente cerca di dare del proprio meglio (presupposti non ovvi quanto necessari da specificare) non si potrà mai fidare di un algoritmo in modo blando o cieco, ma potrà tenere conto delle elaborazioni che fa in una grande varietà di modi. Il problema, semmai, è che sarà improbabile leggere risultati incoraggianti nel breve periodo, e sarà sperabilmente più agevole farlo nel medio-lungo.
Come funzionano le intelligenze artificiali generative
Restando su un ambito più blando, i modelli come ChatGPT che scrivono frasi come quella che ho appena riportato, “apprendono” dai dati forniti loro durante il processo di addestramento, per poi inferire nuova conoscenza: il che vuol dire che danno una forma ai dati che vengono passati e cercano di stabilire una funzione matematica, per intenderci, per rappresentarli con un certo grado di fedeltà. L’idea è che se capiscono come funziona il reticolo di informazioni in modo corretto nulla vieti, fino a prova contraria, che possano risolvere problemi mai visti prima. Ad esempio, nel caso del linguaggio naturale, una rete neurale può essere addestrata su un vasto corpus di testi per comprendere modelli, regolarità grammaticali e semantiche del linguaggio. Questa rete neurale, una volta addestrata, può essere utilizzata per generare nuovi testi coerenti e sintatticamente validi.
By Anonymous – https://i0.wp.com/universityarchives.princeton.edu/wp-content/uploads/sites/41/2014/11/Turing_Card_1.jpg?ssl=1, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=137325684
Tralasciando questioni etiche in ambito clinico (solo per amor di brevità), per una intelligenza artificiale che apprende un linguaggio naturale nulla dovrebbe essere più facile che “parlare da sola”, parlare in autonomia, scrivere in altrettanta autonomia. Come farebbe un bambino che ascolta gli adulti e prova a riprodurne le parole passo passo, ammesso che a qualche adulto non venga in mente di impedirne la crescita limitandolo o umiliandolo. Alan Turin nel suo epocale articolo su Mind si interrogò se le macchine possano davvero pensare, immaginando in un puro esercizio speculativo che fosse possibile addestrare un automa o un computer mediante una logica premio-punizione. La pratica ci suggerisce che insultare il navigatore quando ci porta fuori strada non aiuta a trovare la strada giusta, anche senza aver studiato comportamentismo: motivo per cui sarebbe anche plausibile e auspicabile convincerci che ChatGPT non ruberà il lavoro a nessuno. A meno che, ovviamente, non sia l’uomo a decidere di farne uso in questa veste.
Il problema del plagio
Ovviamente non va dimenticato – e non si può far finta di ignorare – che sistemi come ChatGPT possano effettivamente diventare dei plagiatori seriali, dei copiatori automatici che riempiano il mondo di testi scopiazzati e citino anche malamente autori precedenti. Possono copiare esattamente come farebbe uno scopiazzatore umano, e non va dimenticato che è proprio quest’ultimo, idealmente, a dargli l’esempio. Se dimentichiamo questo aspetto rischiamo di mostruosizzare le nuove tecnologie e, a quel punto, rigettare anche solo l’idea di uno smartphone, entrando in un vortice di preoccupazione paranoica che non aiuta a stare al mondo.
Il problema del diritto d’autore, in ogni caso, non sembra connaturato alle nuove tecnologie in sè: rientra semmai in un problema più generale, di coerenza e correttezza umana, per il quale peraltro ci si sta sensibilizzando anno dopo anno, anche se spesso in maniera scomposta o, alla meglio, sulla falsariga delle problematiche di privacy digitali (che erano ignorate con arroganza implicita fino a qualche anno fa, mentre adesso sono molto più discusse e pop). Un sistema di intelligenza artificiale (come andrebbe correttamente chiamato per evitare di “personalizzarlo” troppo o farlo sembrare grottescamente un robot umanoide che copia dal compagno di banco) sarà sempre soggetto a potenziali abusi, esattamente come un telefono può essere usato per inviare minacce, Photoshop può essere usato per creare fotomontaggi osceni, Word può essere usato per scrivere tutorial su come fabbricare armi artigianali. Si poteva copiare anche prima, si potrà copiare anche in futuro, la tecnologia è solo un catalizzatore e, come suggerivano autori accelerazionisti come Nick Land e Mark Fisher, non è da escludere che accelerare il progresso possa essere addirittura consigliabile per una società differente (anche se non necessariamente migliore della attuale). Se l’uomo non si responsabilizza e non la smette di dare la colpa agli altri, specie se gli altri sono letteralmente “cose” digitali, sarà difficile trovare una vera svolta.
Del resto app popolari come Midjourney o FakeYou hanno evidenziato ancora più chiaramente questa ambivalenza tecnologica, che non sembra eliminabile: un software può essere sfruttato per creare fake news o per costruire prodotti artistici di livello con la stessa probabilità. È un’ambiguità di fondo che dipende da come guardiamo la tecnologia in ballo, sulla falsariga di ciò che Slavoj Zizek chiama “parallasse“, una scissione dell’Uno in due prospettive diverse che non vanno viste come in contraddizione tra loro bensì, se si può, in cooperazione. Perchè da che mondo e mondo gli hacker sono sempre esistiti, i troll non ne parliamo, per cui tanto varrebbe non dimenticare l’importanza del contesto e non radicalizzare la nostra visione, che rischia di farci oscillare tra il radicalismo di 4chan (dove tutti sono anonimi e quasi nessuno viene beccato a commettere abusi) e l’ipocrisia rassicurante delle proposte di certi politici, che vorrebbero risolvere il problema obbligando gli utenti social a identificarsi come avverrebbe ad un posto di blocco, dimenticando (spesso maliziosamente) che anche il problema delle identità digitali clonate è ben precedente a quello dell’avvento delle intelligenze artificiali, e non si risolve in questa veste perchè potrei sempre connettermi a nome di altre persone, il che è anche il motivo per cui difficilmente ci ritroveremo a votare in forma digital.
Perchè non bisogna temere passivamente le IA
Non per altro, ma al di là della facciata terrorizzante e oscura, le IA possono aiutare a ottimizzare e accelerare alcuni processi, funzionando come strumenti di scrittura assistita e coadiuvando il compito di tanti redattori web, spesso costretti loro malgrado a produrre grandi quantità di articoli in poco tempo. Nella scrittura, ad esempio, le IA possono essere uno strumento per assistere gli scrittori, suggerendo idee o ottimizzando il flusso di lavoro, ma l’originalità, la creatività e la sensibilità umana rimangono irrinunciabili in molti campi. Nella speranza che i caporedattori non si mettano di traverso, in quei casi le IA generative possono essere molto utili, anche se non potranno mai sostituire del tutto il talento umano.
Lo aveva capito Alan Turing in quell’articolo seminale di metà anni Cinquanta, concependo la macchina che porta il suo nome come è un modello di calcolo di massimo livello ispirato ad un uomo che calcola e computa con carta e penna; lo aveva intuito Ada Lovelace quando scriveva sulla prodigiosa macchina analitica e sui suoi limiti: un modello di calcolo che era in grado di farsi programmare ma che non poteva, da sola decidere un bel nulla, mutuato da Charles Babbage. L’informatica teorica, del resto, da anni si interroga sul problema delle classi P ed NP, che significa: esistono o no problemi che sia più difficile risolvere che calcolare una soluzione? In modo formale (e a prescindere da quanto potenti e veloci siano i computer in gioco) si richiede in altri termini se ogni problema per il quale un computer possa verificare la correttezza in tempo finito sia anche risolvibile, ovvero se il computer sia (o no) in grado di individuare autonomamente una soluzione entro un tempo ritenuto accettabile.
I limiti già ci sono
Le preoccupazioni sui confini tecnologici, sull’etica, sui 9.999 “manifesti” (prodotti in certi casi giusto dagli imprenditori che ipocritamente le finanziano) sono, in gran parte, speculazioni vacue tra il pop ed il sociologico che dicono più sull’egocentrismo di chi le pubblica che su chi potrebbe metterle in pratica.
I limiti delle applicazioni di informatica sono ben definiti, salvo clamorose sorprese, dall’informatica teorica e dalle sue (poco note fuori dall’ambito specialistico, in effetti) speculazioni, teoremi e assiomi. Perchè preoccuparsene se il limite di fatto c’è già, e se l’unico limite da porre è quello imposto dall’etica umana o – se preferite – dall’uso che si decide di fare delle nuove tecnologie? In informatica tutto è numero, nel senso che ogni problema pratico è riconducibile ad uno matematico e un esempio può far capire cosa intendiamo: poniamo di voler trovare tutti i divisori di un numero intero N, problema facile da verificare puntualmente anche per numeri molto grandi.
Bisogna vedere la questione in termini generali, perchè un “problema” rientra nel “qualsiasi cosa un computer possa fare in modo esatto. Quello appena citato, nello specifico, è un esempio di problema polinomiale (P), mentre il suo suo duale non deterministicamente polinomiale (NP) richiederebbe: trovare tutti i numeri che siano divisori di n, cosa che diventa difficile e non accettabile come tempistiche per molti dei metodi di fattorizzazione che conosciamo ad oggi. Ho sempre pensato che mi piacerebbe vivere abbastanza da sapere se P coincida con NP o no, perchè spero davvero che la soluzione sia trovata nei prossimi anni. Il problema della fattorizzazione è alla base dell’efficenza della crittografia che usiamo ogni giorno su WhatsApp, in banca, sul web e anche leggendo le pagine di questo blog.
Certo, sappiamo che ci sono problemi come “trovare un/una fidanzato/fidanzata” che applicazioni come Tinder provano a risolvere – funzionalismo puro!, ma lo fanno in modo approssimato, sono euristiche buttate lì per fare qualche soldo, come ben sappiamo, e non possiamo occuparcene in questa sede.
In definitiva: piuttosto che cedere a dialettiche populiste (che danno soddisfazione, mi rendo conto, ma ci rendono ciechi al cambiamento e ostili all’innovazione senza un vero motivo) e parlare di “rubare lavoro”, va considerato che le IA potrebbero offrire opportunità sempre più innovative, realizzando l’utopia accelerazionista-progressista: permettere agli scrittori e ai giornalisti di concentrarsi su compiti più creativi e che diano vero valore aggiunto (quelle che ci rendono migliori), lasciando che le IA si occupino delle attività più ripetitive, puramente analitiche o didascaliche (anche queste, in effetti, necessarie).
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