POLITICA_ (39 articoli)

  • Nonostante le apparenze e purché la nazione non lo sappia… All’onorevole piacciono le donne: il Fulci satirico anni 70

    Nonostante le apparenze e purché la nazione non lo sappia… All’onorevole piacciono le donne: il Fulci satirico anni 70

    Feroce commedia satirica del regista romano, che narra la storia di un politico italiano piuttosto famoso, vicinissimo alla presidenza della repubblica, follemente erotomane ma apparentemente irreprensibile. Chi vi ricorda? Sia chiaro che ogni riferimento è puramente casuale, come viene specificato poco dopo la comparsa del titolo chilometrico. Al di là di alcuni dettagli, qualcuno parlerebbe seriamente di un’incredibile coincidenza, o di una pazzesca profezia, su un certo andazzo della politica italiana odierna.

    In breve. Uno spaccato sarcastico del Parlamento all’italiana, visto dall’occhio del regista forse più anarchico del cinema di genere nostrano. Con le dovute proporzioni e precisazioni, è una versione grottesca e scollacciata  del celebre “Indagine su di un cittadino al di sopra di ogni sospetto“, priva ovviamente di attori del calibro di Volontè. Il messaggio sociale è fin troppo chiaro, bisogna fare tabula rasa e rifondare la politica: non c’è la poetica sottile di Petri, ma colpisce nel modo giusto ugualmente, tanto che venne sequestrato per oscenità e censurato.

    Il Fulci più (anti)politico di sempre inserisce Lando Buzzanca come protagonista, e secondo alcuni vorrebbe riferirsi all’allora presidente Emilio Colombo, esponente della DC. Sceneggiato da Ottavio Jemma assieme al regista, narra la storia di tale Giacinto Puppis, un economista cresciuto con educazione rigidamente cattolica, apparentemente casto e religioso, erotomane incallito. Girando per le strade di Roma è attratto morbosamente dai fondoschiena femminili, vede donne nude in ogni dove, ha continui sogni di natura sessuale,  ed arriva a far fare una figuraccia alla nazione per via di un video in cui sono stati ripresi i suoi palpeggiamenti ai danni della presidente di uno stato estero.

    Puppis presto viene ricattato, e si scoprirà che è solamente un burattino: mentre il buon amico padre Luciòn cerca in ogni modo di farlo guarire dai suoi raptus erotici, il cardinale Maravidi spinge perchè diventi Presidente della Repubblica, e la chiesa possa così influenzarne l’operato. Per ritrovare se stesso il frate lo porta in convento, sotto le cure di un monaco tedesco e di alcune giovani suore, ma l’unico risultato sarà che, in una notte di passione, finirà a letto con quasi ognuna di loro. Imperdibili i siparietti del candidato rivale Torsello, le battute miratissime e fieramente anti-politiche, le spassose allucinazioni erotiche di Puppis (girate con stile quasi felliniano) e la chicca finale: il cardinale che parla in siciliano come se fosse “Il Padrino“, mentre i boss si rivolgono a lui come dei semplici picciotti.

    Forse il film calca troppo la mano sull’aspetto da puro b-movie, con tutte le esagerazioni del caso, ma complessivamente il messaggio sovversivo resta intatto. Un Fulci anarcoide, che si fida poco della politica e ancor meno del Vaticano, rappresentato come una forza collusa e tendente all’eversione per sua stessa natura. A fare scandalo non furono, in effetti, le scene erotiche accennate o le grazie della Antonelli in vista parziale, quanto l’idea che alcune rappresentazioni fossero destabilizzanti per l’immagine della DC dell’epoca (e, a quanto pare, vennero rimosse del tutto pur rimanendo nella sceneggiatura).

    Da vedere, anche solo per ridere di gusto e cogliere alcuni inquientanti parallelismi con la storia recente.

  • Essi vivono: tra materialismo, fanta-politica e complottismo

    Essi vivono: tra materialismo, fanta-politica e complottismo

    L’operaio John Nada trova casualmente degli strani occhiali da sole, che gli fanno vedere le cose come non le aveva mai viste prima.

    In breve. Un cult di fantascienza del sottogenere fanta-politico, ad oggi più discusso che visto. Imperdibile.

    Durante una delle primissime proiezioni di Essi vivono, Carpenter fu colpito dalla reazione di un ragazzino americano che ero uscito dalla sala deluso e disorientato. Come se il film non fosse ciò che si aspettava, come se l’avesse colpito e irritato. Cresciuto probabilmente con film tipo Rambo, non è difficile immaginare questo giovane anni 80 pienodi  aspettative autoreferenziali ed entusiastiche (IMDB riporta aspettative jingoistic e rah-rah, a riguardo: ovvero con la convinzione che il tuo paese sia sempre il migliore, e con atteggiamento entusiastico a prescindere). Convinzioni che sbattono brutalmente sull’impianto rivoluzionario, disilluso e nichilistico del film, erede sostanziale della fantascienza modello L’invasione degli ultracorpi. Un film che costò 4 milioni di dollari dell’epoca, e che esordì al primo posto al botteghino.

    Essi vivono è un cult di fantascienza più di concetto che di narrazione, basato su un dualismo tipico del genere: la realtà è ciò che è, oppure ciò che sembra? Viviamo all’interno di un mondo in cui è possibile intervenire e migliorare gli aspetti delle cose, oppure si tratta di un gigantesco videogame in cui stiamo facendo divertire un Grande Altro, che gode nel darci imposizioni assurde? Esiste o no, alla fine, una possibilità di riscatto?

    Un tema certamente non nuovo per il genere, che il nostro Carpenter dirige in modo rivoluzionario, mostrando l’America delle apparenze, della ricchezza, dell’eterna giovinezza, contrapponendola a quella povera e sfruttata del popolo degli emarginati, realizzando così dei capolavori di culto della sua cinematografia. Un film che si ispira al misconosciuto racconto breve “Eight O’Clock in the Morning“, di Ray Nelson, classe 1931 e scomparso nel 2022. La trama del racconto originale rimane ambigua: da un lato sembra che il protagonista abbia realmente scoperto un segreto raggelante, e che il mondo si sia disvelato come puro inganno, dall’altro (come di consueto) il lettore è lasciato al dubbio: il protagonista forse si sentiva circondato da alieni per via di uno stato paranoico prolungato o esasperante. Carpenter del resto dirige in modo autenticamente socialista, dato che prende dalla strada numerosi senza tetto e gli assegna parti minori, fornendo loro cibo e stipendio per il periodo della produzione. La tagline comparsa sulla locandine era esplicita: Li vedi per strada. Li vedi in TV. Potresti anche votarne uno, questo autunno. Pensi che siano persone come te. Ti sbagli. Mortalmente. La chiave di lettura più diffusa è ovviamente in chiave marxista, per quanto il film si sia prestato a vari tipi di cooptazioni che risulterebbero, alla lunga, più forzature che altro.

    La chiave di lettura attuale di Essi vivono potrebbe anche essere diversa da quella del 1988, anno in cui uscì: le scelte di Carpenter furono politiche, facevano parte di un contesto con pretese sociologiche, per cui la regia voleva criticare il capitalismo americano usando personaggi allegorici. Gli alieni sono tra noi, il capitale ci controlla, il capitale decide come vivere, impone lo status quo, instaura alleanze e relazioni sociali, fa guadagnare e perdere posti di lavoro. Oltre all’attacco in chiave anti-capitalistica che lo rende un film sostanzialmente impegnato (e ciò ha delle conseguenze notevoli, perchè tutti, da destra a sinistra, hanno usato questo film per fargli dire cose che non sempre aveva detto), non manca il riferimento all’ennesima apocalittica epidemia di violenza urbana, ed alla pessimistica sociologia che sarà poi ampliata nel capolavoro “Il seme della follia“, di cui l’opera potrebbe considerarsi in parte anticipatrice.

    Ma c’è di più: una volta liberato il film delle sue pretese di stampo anarchico e/o marxista, probabilmente con il pretesto del superamento delle stesse, della loro presunta vetustità o magari in nomen dell’attività preferita dal liberismo (fagocitare tutto ciò che gli è estraneo, operando la presunta e grottesca cancel culture che lo stesso usa come argomento dell’uomo di paglia), Essi vivono diventa Il film complottista per eccellenza. Complottista e conservatore, precisamente, in opposizione allo stesso regista che è sempre stato di tutt’altra idea politica. Piaccia o meno, oggi sembra essere così. Basterebbe leggere i commenti Youtube ai suoi vari spezzoni per capacitarsene, tra le ostentate convinzioni di chi li ha scritti e si da’ ragione a vicenda, con la stessa sicumera di un prete che accusa gli uomini di aver trovato un nuovo Dio negli alieni. Non saremmo così sicuri della correttezza della cosa.

    Non per altro, ma sarebbe come pensare che Zombi sia un mero horror voodoo (e non come si dovrebbe, ovvero un horror sociale drammatico, nichilista e struggente). Il puro riduzionismo fa danni, e prima ce ne capacitiamo, meglio è. Il riduzionismo all’osso è tipico del web, del resto, e non potrebbe mai cogliere certe sfumature di Essi vivono, per quanto faccia ancora sorridere i cinefili dell’era internet e produca le convulsioni a complottisti di  ogni ordine e grado, convinti o meno, adepti o occasionali, da tastiera o da divano, di destra e di sinistra – nella pura essenza trasversale o diagonalista che attraversa queste tematiche.

    Sì, perchè se il film Essi vivono voleva essere una critica di sinistra ad un mondo che stava già iniziando ad impazzire a fine anni 80, sarebbe il caso di provare a non perdere di vista questa, come essenza. Altrimenti rischiamo di precipitare in un baratro di inerzia culturale e di paranoia fuori contesto, che serve a pochissimo e che paradossalmente potrebbe produrre sulla realtà lo stesso risultato prefigurato (e temuto) da Carpenter.

    John Nada (interpretato dal wrestler “Roddy Piper” / Roderick Toombs, che realizza un’interpretazione monocorde che risulta efficace, nel contesto) è un uomo della classe operaia: solo e disorientato, si aggira in una metropoli sul finire degli anni 80. Un ruolo che Roddy Piper non faticò ad interpretare, essendo parte del proprio vissuto e che fu in parte esperienza dolorosa quanto rievocativa. John ha appena perso il lavoro a causa delle speculazioni dei broker: durante il suo girovagare senza meta (la città è Los Angeles, la stessa in cui – stando a Friedkin – si può vivere e si può morire) incontra l’ex collega Frank (interpretato da Keith David), il quale ha vissuto una situazione simile alla sua. L’uomo solidarizza e gli propone di farsi ospitare nella sua piccola comunità di periferia, in attesa di tempi migliori. Assunto in seguito come operaio in un cantiere, viene accolto benevolmente, quanto invitato a farsi gli affari propri riguardo ad un misterioso “giro” nonchè alla trasmissione pirata di alcuni comunicati, di natura anti-consumistica, da parte del prete di una chiesa locale.

    Dopo lo sgombero della comunità da parte della polizia, John trova una scatola piena di occhiali da sole (realizzati proprio da quella comunità), e si accorge che gli fanno vedere la realtà per quella che è: al netto delle apparenze festose e rassicuranti, è piena di messaggi subliminali che incitano all’omologazione. Al tempo stesso, la gran parte delle persone più in vista e rispettabili appaiono, attraverso gli occhiali, come una sorta di mostruosi alieni. Gli esseri sembrano essere in combutta per controllare l’umanità, e solo grazie alla presa di coscienza dei due operai si riuscirà a rivelare universalmente la verità in un finale grottesco. Senza dimenticare una ulteriore perla meta-filmica: durante le conformistiche trasmissioni TV finali dei commentatori alieni, un lungo sermone contro sesso e violenza nei media finisce con la frase: “Cineasti come George A. Romero e John Carpenter dovrebbero mostrare un po’ di moderazione“.

    Qualcuno non ha saputo leggere l’ironia finale un po’ demodè, fin troppi ne hanno criticato l’inconsistenza senza scomodarsi neanche di guardarlo con attenzione, molti altri (specialmente il vituperato popolo del web) hanno interpretato letteralmente lo spirito del film, al fine di auto-alimentare fantasie dietrologiche (in quest’ottica questo film proporrebbe una possibilità che poi si ricondurrebbe alle teorie del complotto promosse da David Icke sui rettiliani, ma che in realtà potrebbero anche fare capo all’idea fondante del racconto da cui è tratto, Eight O’Clock in the Morning), qualcun altro ancora nel vederlo ha sbadigliato: “Essi vivono” sarebbe per loro un film trash, scialbo, noioso, vagamente originale quanto irritante nella sua supponenza di voler dire tutto, di voler spiegare il mondo. Del resto solo i film post-apocalittici riescono a spiegare in modo chiaro dove andremo a finire, signora mia.

    “Obbedite. Sposatevi e prolificate. Non pensate in modo indipendente. Spendete. Lasciatevi cullare dal benessere. Guardate la TV. Sottomettetevi. Non fate domande all’autorità. Uccidete la fantasia. “

    Nessuna di queste ipotesi è a nostro avviso totalmente plausibile, nè rigorosa: per capire davvero Essi vivono serve un ritorno alle origini. Si tratta di un horror fantascientifico che si muove sulla falsariga di tutti gli horror di Romero con gli zombi, dove conta più evidenziare il messaggio socio-politico che la sostanza in sè della trama. Fatichiamo a pensare che lo sgombero della comunità non possa avere la stessa valenza del vedere la repressione anarchica della polizia americana all’inizio di Sacco e Vanzetti, ad esempio. Al tempo stesso non possiamo limitarci a ridurre all’uso degli occhiali rivelatori una dualità del tipo simulazione / realtà: il primo messaggio che Carpenter recapita allo spettatore è che per vedere le cose come stanno bisogna dotarsi della volontà di farlo.

    Là fuori, come vediamo nel film (in modo mutuato da L’invasione degli ultracorpi di Don Siegel, a pensarci bene) la maggioranza delle persone non si pone nemmeno il problema di cosa sia reale e cosa no: tutto è reale, semplicemente, si crede a quello che si vede, veggenti e imbonitori televisivi inclusi. Ma vale la pena provare ad estendere il discorso: gran parte del dibattito su Essi vivono parte da mezze verità ed isola alcuni aspetti della trama rispetto ad altri. Va tenuto in conto che si tratta anche di un film che si legge diversamente in base al periodo in cui si vive, che non è la fine degli anni 80 ma è il mondo digitalizzato in cui ci troviamo.

    Essi vivono è assurdamente diventato un meme, vittima di una reinterpretazione digital che lo ha reso un fenomeno complottista quasi alla pari con Operazione Luna. Non sapremo probabilmente mai quanto Carpenter possa essere d’accordo in merito (pensiamo molto poco), e c’è pure un’intervista recente all’Independent a confermarlo, in cui il regista racconta del suo incontro su Twitter con alcuni complottisti americani:

    L’anno scorso – dice Carpenter – ho avuto a che fare con persone che su Twitter dicevano che Essi vivono parlava di come gli ebrei controllano il mondo. Allora sono intervenuto e ho detto ‘no, no, no’, ma non l’hanno accettato. È stato incredibile. È stato come dire: andiamo ragazzi, non esistono i rettiliani. Queste ipotesi di complotto non sono neanche creative. Sono soltanto sciocchezze. Come potete credere a queste stronzate? È questo che non capisco. L’eredità di Trump, forse? Sì, conclude il regista.

    Le intenzioni di Carpenter non potevano neanche essere quelle di diventare un meme postumo, a ragionarci su, ma serve addirittura citarlo per capacitarci di quanto sia impossibile convincere certi adepti del contrario. Comunque (non) si vogliano fornire chiavi di lettura ci resta un film epico: i dialoghi tra “colletti bianchi” con sembianze di alieni, carichi di pathos grottesco e di considerazioni a volte semplicistiche quanto efficaci, o anche solo l’epica scazzottata tra i due protagonisti (ogni autentico cinefilo dell’era internet passerà almeno una giornata a chiedersi perchè sia stata concepita in quel modo). Vale la pena ricordarne i motivi: la sequenza dura esattamente 5 minuti e 20 secondi, e Carpenter la lasciò intatta perchè rimase colpito dal suo realismo, frutto di una preparazione attoriale di circa tre settimane. Ideata, provata e coordinata nel cortile dell’ufficio di produzione del regista, fu la lotta destinata a passare nella storia del cinema:Nada (Roddy Piper) e Frank (Keith David) battagliano perchè il secondo non vuole guardare in faccia la realtà, e i colpi furono tutti autentici (ad esclusione di quelli all’inguine e al viso).

    Essi vivono resta un cult da contestualizzare nell’epoca in cui uscì, guai – a nostro avviso – a mettere in dubbio questo assunto, o peggio ancora piegarlo ad esigenze di fargli dire cose che non ha mai detto. Un film suggestivo e politicamente schierato, tanto da essere citato tutt’oggi (nel bene o nel male) come come uno dei più famosi Carpenter di ogni tempo e luogo: in effetti suona attualissimo nello scenario attuale, in cui vedere un “Qualcuno” dall’alto che ci impone come vivere, cosa comprare, come vestirci e come comportarci suona addirittura scontato.

    “L’unica cosa che conta è diventare famosa… la gente mi guarda e mi adora. Io non invecchio mai, sono diventata immortale…”

  • Milano calibro 9: il poliziesco firmato Di Leo che appassionò Tarantino

    Milano calibro 9: il poliziesco firmato Di Leo che appassionò Tarantino

    Durante una serie di traffici illeciti nella Milano anni 70 una valigia piena di soldi scompare nel nulla. “L’americano”, un potentissimo boss locale (riferito con “amici influenti in alto, gente senza scrupoli in basso“), vuole vederci chiaro e inizia una ricerca del denaro, che si concluderà con conseguenze inaspettate.

    In breve. Poliziottesco cult, imperdibile. Per Tarantino è uno dei noir più epici del cinema italiano.

    Il film

    Fernando Di Leo firma uno splendido poliziesco a tinte noir che vede protagonisti attori del calibro (neanche a dirlo) di Barbara Bouchet, Mario Adorf ed un ambiguo Gastore Moschin, uno dei beffardi Amici miei di Monicelli.  L’azione si sviluppa in una Milano diremmo romanzesca, che vuole sembrare culla esclusiva del crimine organizzato e dove la polizia sta a guardare il proliferare di delinquenza e pacchi bomba in pieno giorno. Nel frattempo, con toni un po’ moralistici, un po’ di maniera, il nuovo vice-commissario (che sarà presto trasferito) non perde occasione per mettere l’accento sul sistema repressivo dello stato, sulla ricerca di capri espiatori facili e sulla giustizia sommaria che sembra accomunare polizia e criminalità.

    Moschin (alias Ugo Piazza) interpreta un personaggio indimenticabile: se da un lato favorisce l’identificazione con il “buono” della storia da parte del pubblico, dall’altro si mostrerà cupo e privo di scrupoli alla fine. E questo finisce per renderlo un personaggio cult, in definitiva. Meravigliosamente sexy nella parte della “femme-fatale“, dal canto suo, la Bouchet si mostra nella famosa scena della lap-dance vestita di sole perle, e Di Leo indugia su questo molto più del necessario, con sommo gaudio della parte più voyeouristica del pubblico.

    Da ricordare inoltre che una delle scene più crude (l’aggressione con il rasoio all’uomo dal barbiere) è rimasta nell’immaginario dei cineasti a tal punto da avere ispirato Tarantino, a quanto pare, nell’omologo taglio delle orecchie nel suo Le iene.

    E’ il secondo film del genere che ho storicamente avuto occasione di vedere, dopo Milano odia: in entrambi, probabilmente, la componente spietata dell’essere umano si sublima in un turbine di colpi di scena, mostrando inevitabilmente l’aspetto più animalesco dell’essere umano. Il pubblico riesce davvero a palpare la paura in varie situazioni, come nel momento in cui il figlio del barista esita prima di colpire a tradimento, come chi ha visto il film dovrebbe ricordare molto bene.

    Accerchiamento di Ugo Piazza

    Narrativamente parlando, Milano Calibro 9 è incentrato sull’accerchiamento paranoico di Piazza (Gastone Moschin) da parte sia della polizia – che lo fa pedinare – che del personaggio di Rocco, capofila del crimine organizzato convinto che i soldi scomparsi li abbia presi lui.

    La continua negazione da parte del suo personaggio riesce a convincere, di riflesso, anche il più navigato spettatore della sua innocenza, innescando un meccanismo molto simile a quello presente per il personaggio di Ugo Cucciolla in Cani arrabbiati: il twist finale è quasi analogo, per quanto nel film di Di Leo (soggetto tratto da un romanzo cult di Scerbanenco, per inciso) sia addirittura portato all’ennesima potenza.

    Milano calibro 9 e la sua valenza politica

    Mercuri… ma tu forse forse ce l’hai coi ricchi.

    Nonostante le apparenze di film puramente reazionario e “muscolare”, Milano calibro 9 è intriso di critica sociale: sull’amnistia, ad esempio, che è il punto di partenza della narrazione (Ugo Piazza esce dal carcere per questo motivo). Ma anche sulla condizione delle carceri italiane, in cui esiste una situazione problematica e si mette sociologicamente in dubbio – per bocca del “poliziotto buono” Mercuri, interpretato da Luigi Pistilli – la sua efficacia. Fernando Di Leo ha in seguito ammesso che, con occhio critico, le scene in Questura tra il Commissario “fascista” e il “comunista” Mercuri finivano per togliere forza alla storia principale. Ma il lavoro attoriale era così buono che optò per non farlo, alla fine.

    Resta anche da considerare che l’aspetto narrativo della trama, incentrato sulla figura sinistra de L’americano, è anch’esso fortemente politico: è un boss invischiato con i piani alti della politica, per quanto la cosa venga solo citata continuamente e non esplicitata, costringendo il pubblico a riflettere sulla sua natura e sull’ambiguità dei “buoni” e dei “cattivi” della storia.

    La morte di Frank Wolff

    L’attore Frank Wolff – già visto ne Il grande silenzio, ad esempio – muore tragicamente nel 1971, poco dopo aver completato le sue scene, suicidandosi a causa di una probabile depressione di cui soffriva da tempo. Il suo doppiaggio in inglese venne completato da Michael Forest.

    In definitiva, uno dei migliori polizieschi noir mai prodotti, assieme a Tony Arzenta ed alla maggiorparte dei film di Umberto Lenzi.

  • Pro-Life: l’horror etico sull’aborto di J. Carpenter, anno 2006

    Pro-Life: l’horror etico sull’aborto di J. Carpenter, anno 2006

    Una ragazza fugge nel bosco, e viene accolta da due medici che lavorano in una clinica. La ragazza è incinta, e la sua pancia continua a crescere. Determinato a “salvare” la figlia incinta da una clinica per aborti, un fanatico religioso ei suoi figli pianificano un violento assalto. I medici sospettano che la sua gravidanza potrebbe non essere qualcosa di questo mondo.

    Diretto da John Carpenter e scritto da Mick Garris, Drew McWeeny, Rebecca Swan, Pro-Life è un mediometraggio horror del 2006 della serie Masters of horror, e si pregia delle musiche del figlio del regista (Cody Carpenter). Pro-Life associa l’immaginario horror tipicamente ottanta-novantiano ad una tematica etica considerevole, quella dell’aborto e delle sue implicazioni. Ciò basterebbe a rendere Pro-Life un film attuale, attualissimo, come va di moda nel revival moderno ed in considerazione della recente, molto controversa, cancellazione del diritto da parte della Corte Suprema giusto negli USA.

    Il film è di quasi venti anni fa, e potrebbe far pensare ad un gioiello premonitore di tendenze inquietanti o di eventi globali spaventosi, un po’ come potrebbe esserlo l’epidemia che apre Todo Modo (Elio Petri, 1976) o le tendenze voyeuristiche di Videodrome, oggi normalizzate dal cybersex e dalle videoconferenze dilaganti. Certo Pro-Life è un film politico a tutti gli effetti, e su questo va considerato come l’etichetta sia del tutto legittima e anzi, per certi versi, doverosa.

    Al tempo stesso vanno riconosciuti i limiti della pellicola nonostante la regia sia pregevole: lo script sembra un po’ fallace, il demone sovrannaturale che esce fuori dal pavimento dell’ospedale durante l’assalto degli integralisti armati fino ai denti fa più sorridere che altro, mentre il film si presta più a battutine irritanti che a riflessioni sostanziali. Sia chiaro, se non altro, che le posizioni del regista sono tutt’altro che pro-aborto, proprio perchè la mostruosità che fuoriesce ha un valore nichilistico, è la raffigurazione del Moralista supremo e, nel suo modesto voler fare paura, se non altro manda il messaggio in modo chiaro.

    C’è anche da dire che gli horror sull’aborto sono estremamente popolari, per quanto non tutti ce l’abbiano come tema portante ma solo come riferimento etico-sostanziale, ed in genere incentrare l’intero film sul tema sembra un po’ eccessivo. Almeno, lo sembrava fino a prima del 2022, dato che l’attualità racconta della cancellazione di quel diritto e ciò, ovviamente, fa assumere al film quantomeno una collocazione differente.

    C’è la critica anti-anti-abortista. C’è anche, ovviamente, la polemica anti-religiosa. C’è il “mostro”, che a me è piaciuto  per come realizzato, per quanto lo stile fumettistico travalichi – e a volte quasi banalizzi – la sostanza di ciò che si trasmette. Per il resto transeat su una recitazione un po’ piatta, forse ulteriormente penalizzata da un doppiaggio italiano non eccelso. Passi che certi personaggi che era meglio lasciarli a casa. Passi una (scialba) citazione di “Distretto 13”. Quasi verrebbe da dire che si debba accettare tutto questo anche solo per la scena finale, in cui si porta alle estreme conseguenze la volontà divina, che viene trasfigurata in senso orrorifico (si perdoni la circonlocuzione, ma era davvero impossibile dirla diversamente senza fare spoiler).

    Sia fatta la tua Volontà, John; ma i film che meritano la visione – in senso politico o artistico  che dir si voglia – rimangono, sinceramente, ben altri. Amen.

  • L’Anti-Edipo di Deleuze-Guattari illustrato da un’intelligenza artificiale

    L’Anti-Edipo di Deleuze-Guattari illustrato da un’intelligenza artificiale

    Vedere l’Anti-Edipo: vedere un corpo senza organi. Guardalo sul serio, crearne uno. Meglio: chiedere ad una macchina digitale di creare una macchina desiderante. Sembra quella di Matrix. Ci abbiamo provato con Midjourney e questo è il (notevole) risultato. Illustrare Deleuze e Guattari mediante l’interpretazione di una macchina, letteralmente.

    L’Anti-Edipo è un’opera filosofica scritta da Gilles Deleuze e Félix Guattari che esplora le dinamiche del desiderio, del potere e dell’inconscio. È un testo complesso che critica le teorie psicoanalitiche di Freud e cerca di ridefinire la relazione tra individuo e società. Un’intelligenza artificiale può offrire una prospettiva interessante sull’Anti-Edipo, analizzando e sintetizzando i concetti chiave.

    Questo testo affronta la natura della soggettività, il funzionamento del desiderio e la struttura del potere. Un’intelligenza artificiale potrebbe esaminare come Deleuze e Guattari sfidano la psicoanalisi tradizionale, proponendo una visione del desiderio come forza sociale e individuale che va oltre le costrizioni culturali. Di suo, un’IA potrebbe utilizzare esempi e analogie per rendere più accessibili concetti complessi come la “macchina desiderante” o il concetto di “Corpo senza Organi” (CsO), facilitando così la comprensione per chiunque si avvicini per la prima volta a queste idee. La tecnologia può pertanto aiutare a scomporre concetti complessi e a offrire una panoramica degli argomenti trattati in Anti-Edipo.