In termini lacaniani, il concetto di “godere” è collegato al concetto di “jouissance“. Quest’ultimo non si riferisce semplicemente al piacere fisico o al godimento sensoriale, ma piuttosto ad un concetto complesso e psicoanalitico legato alla sfera psichica e sessuale.
Secondo Jacques Lacan, la jouissance va oltre il semplice piacere e può comportare una sorta di sofferenza o di eccesso che supera i limiti del desiderio. È legata alla tensione tra il desiderio e la sua realizzazione, e spesso implica una sorta di mancanza o di impossibilità di raggiungere pienamente ciò che si desidera.
Nella teoria lacaniana, la jouissance può essere divisa in due forme: la jouissance phallique, che è più associata al piacere fisico e all’appagamento delle pulsioni, e la jouissance dell’Altro, che è più complessa e implica un’esperienza più profonda e problematica, legata alla relazione con l’Altro, con il desiderio e con la struttura stessa del linguaggio e dell’inconscio.
In sostanza, il concetto di godere in senso lacaniano è collegato a una forma di piacere che supera i confini della soddisfazione diretta e coinvolge una complessa dinamica psichica e relazionale.
Bonding è una serie TV uscita nel 2018 (e terminata quest’anno) da riscoprire, per chi non l’avesse vista, per una varietà di motivi: tanto per cominciare, la durata degli episodi, di circa venti minuti ciascuno, a comporre due sole stagioni (la terza, inizialmente annunciata, non sembra che uscirà mai). In secondo luogo, gioca a suo vantaggio la fresca leggerezza della narrazione, in grado di disseminare gli episodi di spunti auto-ironici e di personaggi gradevoli.
In ultimo ma tutt’altro che ultimo come importanza, BONDiNG tende mediamente a normalizzare gli aspetti sessuali della vita di chiunque, affrontando con disinvoltura tabù medi e grandi della società in cui ci pregiamo di vivere. Gli stessi tabù a cui siamo soggetti senza volerlo davvero, a volte, abbagliati da false conquiste e da aperture solo di facciata così come, altrettanto spesso non perfettamente a nostro agio nel rendere pubbliche le nostre perversioni. BONDiNG ha il merito di normalizzare il mondo del feticismo sessuale osando rappresentare l’eccitazione sessuale in modo fortemente soggettivizzato, non soltanto esternando o alludendo (senza stereotipi) a relazioni omosessuali, tra docente e studente e via dicendo.
Ed è proprio la leggerezza di fondo ad essere il suo punto di forza; con un tono non certo da trattato filosofico sul genere (modello Cronenberg o Von Trier), bensì dando spazio alle fantasie sessuali umane e, per l’appunto, rendendole accettabili. Un pregio considerevole, a conti fatti, considerando l’arretratezza culturale in cui si vive in molte parti del mondo, ma anche allargando l’osservazione al mondo delle serie e dei film Netflix incentrati sul tema del sesso, che su altri frangenti è quasi sempre costituito da banalità malassortite e sedicenti role play, triti e ritriti.
La questione è complessa, più di quanto possa sembrare: certi cambiamenti come l’effettiva parità tra i generi alla fine si raggiungeranno, sperabilmente, ma credo anche sia necessario introdurre un concetto di gradualità nell’introduzione. L’assalto frontale alla società benpensante, da sempre teorizzato e praticato da tanti, rimane ovviamente lecito, ma c’è anche il dubbio che si possa arrivare ad una maggiore accettazione anche in modo più indiretto. Non che l’opera di Rightor Doyle (con Zoe Levin e Brendan Scannell, tra gli altri) ambisca a farlo a livello di “manifesto”, ovviamente, ma di sicuro è lecito leggera la popolarità della serie almeno in termini di piccolo segnale positivo.
Cosa non da poco, dicevamo poco fa visto che si parla di pratiche bondage, BDSM in genere, female domination, fetish, pissing e via dicendo, pratiche sessuali effettivamente esistenti e parte, piaccia o meno, del dark side sessuale di ognuno di noi. In questo frangente sorprende come, fin dal primo episodio, lo stereotipo sia smentito: a partire da quel Pete il timido che sembra lasciare spazio alla più becera stereotipizzazione da commedia americana, tra studentesse attratte dal docente di psicologia (eccallà), una protagonista dalla doppia vita da matricola e sex worker e naturalmente l’immancabile, l’immarcescibile, l’indomabile “amico gay” di lei, per cui non serve essere esperti di studi di genere per intuirne la portata banalizzante (l’unica vera pecca, forse, a livello di caratterizzazione dei personaggi).
Stereotipare e banalizzare, parlandone più in generale: tutto questo BONDiNG non lo ha fatto, e gliene va dato atto. Le critiche che vennero espresse all’epoca dalla community delle dominatrici di professione, in effetti, che lo accusarono di eccessiva superficialità, nonchè di non insistere abbastanza sull’aspetto consensuale di questo genere di attività, rischiano quasi di lasciare il tempo che trovano. Per lo stesso motivo per cui un film, non andrebbe dimenticato, esprime un punto di vista ed una panoramica del mondo per come regista, produzione ed attori lo vedono in quell’istante. Istante che, mentre leggete, potrebbe essere già superato da nuove conquiste.
Se associate automaticamente il BDSM alle frustate e ai completini in pelle, siete abbastanza fuori strada – o meglio, non è che le frustate ed il piacere procurato dal dolore non ci siano, ma il BDSM significa molte cose, è di fatto uno strano acronimo o sigla che sta per, rispettivamente, Bondage & Disciplina, Dominazione & Sottomissione oppure, ancora, Sadismo & Masochismo.
Quanto piacciono i film BDSM
Stando alle statistiche di Pornhub, tanto per citare un dato relativamente attendibile, all’epoca dell’uscita del trailer del film “50 sfumature di grigio” ci fu un’impennata di ricerche relative a questo mondo nel sito, e (per quello che ne sappiamo) per una piccola maggioranza erano persone di sesso femminile a volerne sapere di più. Il senso di dominazione sul partner (o sulla partner, a seconda dei casi) è, in alcuni casi, benzina per riaccendere e fare fuori la monotonia dei rapporti, e naturalmente l’immaginario del cinema non poteva esimersi dal prendere in considerazione questi aspetti.
Koirat eivät käytä housuja
50 sfumature di grigio
Il cinema BDSM, in sostanza, va molto al di là del film che tutti hanno visto senza ammetterlo, ovvero 50 sfumature di grigio: formalmente un vero e proprio inno ai piaceri della sottomissione e dei rapporti squilibrati, uscito nell’anno 2015. Non proprio un film pregevole, a dirla tutta, ma ebbe se non altro il merito di riportare quelle atmosfere ad una dimensione “pop”.
Histoire d’O
Ovviamente non finisce qui e, a dirla tutta, non sarebbe nemmeno il caso di fermarsi qui: i migliori film del genere, come sempre, ci aspettano dietro l’angolo. Un esempio classicone potrebbe essere ad esempio Histoire d’O: anche se il trailer su Youtube non rende esattamente l’idea, è un film per iniziarsi alla pratica BDSM e fa capire una cosa fondamentale – nel BDSM, e perché si possa chiamarlo tale, non c’è alcuna costrizione, coercizione o plagio, come potrebbe sembrare agli utenti terrorizzati lì fuori. Semplicemente, la figura sottomessa dello schiavo (slave) è felice del proprio ruolo, e definisce apertamente la relazione in questi termini con una figura di padrone (master) che definisce il tutto a sua volta, e completa il cerchio.
La storia del film racconta esattamente questo: la giovane fotografa “O” viene iniziata, di comune accordo con l’amante, all’interno di un castello a Roissy, dove subisce varie pratiche sessuali sado-masochiste, al termine delle quali sarà identificata come schiava per sempre. L’interpretazione del film fu proposta a vari attori e registi famosi (Alejandro Jodorowsky, Anulka Dziubinska, Brigitte Fossey, Christopher Lee), che non accettarono per motivi diversi – tra cui il fatto che la parte doveva essere considerata “sconveniente”, per l’epoca – e alla fine furono Corinne Cléry e udo Kier ad essere i protagonisti, per la regia di Just Jaeckin.
Altro film che divenne un cult a fine anni 90, e che racconta di un poliziotto che indaga su un potenziale snuff movie (i film in cui la violenza ripresa è autentica e non simulata; in questo, e per i suoi accenni al sado-masochismo, Videodrome rimane uno dei saggi più completi sul tema, assieme probabilmente a Snuff 102).
Schramm
Un horror thrille girato con il realismo dello snuff, molto più spaventoso di qualsiasi horror abbiate mai visto; contiene anche un accenno alla dimensione masochista – molto esplicita e difficilmente filmabile, se vogliamo – che vive il protagonista, un tassista frustato ai suoi ultimi giorni di vita. Recensione qui su questo blog.
La frusta e il corpo
La frusta e il corpo prese in considerazione il sadomachismo già a inizio anni ’60, quando il tema era sicuramente molto più tabù di quanto non fosse oggi. Sicuramente è uno dei film più importanti di Mario Bava, forse il capolavoro assoluto del regista che qui affronta, in chiave gotica, del morboso rapporto tra il barone sadico Menliff e la cognata Nevenka.
Le dinamiche del dating sono sempre più presenti nelle nostre vite, e vari film – come abbiamo discusso anche qualche giorno fa – hanno tenuto conto di questo aspetto a livello narrativo; la logica del flirt casuale, del resto, segue in larga parte film come Appuntamento al buio (1987, Blake Edwards), ma anche un classicone come Harry ti presento Sally, una commedia sentimentale che possiede tuttavia un discreto valore per come presenta le cose, ed anticipa la manìa della friendzone tanto in voga oggi. Se due persone sono empatiche e fanno amicizia, potranno mai finire a letto assieme?
Nemmeno un regista completo come Kubrick o Lynch, probabilmente, saprebbe rispondere a questa domanda in modo certo; ma i film, in generale, potrebbero considerarsi delle ottime consolazioni per i single depressi al fine di aiutarli ad uscire da un tunnel, oppure guidarci nella scelta del partner più affine a noi. Non c’è dubbio, del resto, sulla grandissima popolarità dei siti di questo tipo, a volte un po’ troppo spinti (secondo alcuni): del resto navigare nei siti di incontri per adulti lo fanno un po’ tutti, uomini e donne, per quanto non sia forse troppo comune da riconoscere in pubblico. Ciò crea dei presupposti interessanti da cui far partire le nostre riflessioni.
Prima di rivolgerci ad uno di questi servizi di dating online (e ci abbiamo pensato più o meno tutti, in tempi di magra, giusto?), abbiamo paura: e la paura più grande è quella dell’ignoto, suggeriva il buon Lovecraft. Il cinema thriller ed horror ha saputo esorcizzare queste paure virtuali mediante pellicole come il controverso Hard Candy, ad esempio, che racconta la storia di un rapporto tra un uomo ed una ragazzina che nasce proprio in un chat, in cui pero’ le cose non sono assolutamente come potrebbero sembrare. Cosa possiamo imparare da quel film? Che le cose non sono quasi mai quello che sembrano, e che bisogna sempre stare attenti alle persone che incontriamo: potrebbero non volerci uccidere per forza, ovviamente, ma è bene comunque approfondire un minimo’ la conoscenza anche solo prima di arrivare alla classica “botta e via“.
Del resto è impossibile non pensare ad un altro film come Cam, in cui le camgirl (le ragazze che hanno un rapporto esclusivamente virtuale con i propri partner) perdono la propria identità: per cui ricordiamoci che dall’altra parte c’è sempre una persona reale, e non dobbiamo nè fare gli stalker nè i leoni da tastiera. Una dinamica molto simile, del resto, è stata descritta in un film come The Den, nel quale l’erotismo si esplica mediante chat su Skype, ma poi degenera in una realtà che diventa terrificante dato che sembra esserci di mezzo un serial killer che agisce nel dark web. Morale della favola: ok le chat come mezzo di comunicazione pratico e veloce, ma vedersi per bere qualcosa assieme rimane da sempre, anche nell’era del dating online, il modo migliore per confrontarsi e conoscersi sul serio.
Secondo alcune statistiche ufficiali, ci sono oltre 23 milioni di utenti registrati su piattaforme di dating in tutto il mondo: e la stima è quasi certamente al ribasso, data la grandissima varietà di piattaforme che offrono questa possibilità. Non tutti i frequentatori di questi servizi sono degli squilibrati, ovviamente, e con un po’ di fortuna potremo trovare un compagno o una compagna anche noi: del resto, per citare il buon cinema di Herbert Ross , “Provaci ancora, Sam!” – e tanto per ribadirla col cuore in mano, Sam sei Tu – che mi stai leggendo.
Le dinamiche relazionali di coppia sono da tempo oggetto di analisi e rielaborazioni – più o meno credibili o fantasiose – all’interno del cinema: non c’è dubbio, ad esempio, che l’horror – uno dei generi che bazzichiamo di più su questo blog – abbia dato un suo contributo in tal senso grazie a pellicole come Smiley in cui il reale ed il virtuale arrivavano a confondersi, sdoppiarsi e risultare inquietanti per lo spettatore. Anche vari siti di incontri, insomma, del tipo Incontri.es o Superincontri, sono apparsi sullo schermo come veri e propri protagonisti della storia: l’ambiente a quel punto diventa un vero e proprio personaggio della storia, un deus ex machina dal quale i protagonisti non riescono a prescindere, e da cui rimangono affascinati o catturati per sempre.
In tanti suggeriscono, del resto, che questo tipo di film – gli horror ambientati in una chat in tutto o in parte, senza dimenticare ad esempio l’ottimo Cam – non siano credibili, sulla falsariga della considerazione che l’ennesima bella ragazza che ti contatta su internet, in molti casi, non sia altro che un bot virtuale pronto a ricattarti, truffarti e chi più ne ha, ne metta. Ma non bisognerebbe mai dimenticare che il virtuale che tanto disprezziamo e sottovalutiamo, in effetti, in molti casi è fatto da gente sola come noi, persone fatte di carne e ossa che provano dei sentimenti, e che potrebbero trovarsi in situazioni difficili per quanto possa sembrare tutto virtuale.
Newness in inglese significa “novità”, ed è il titolo di un film del 2017 distribuito su Netflix, diretto dal Drake Doremus noto per altri lavori come Zoe o il fantascientifico Equals; in esso si narra della storia di due millenials di Los Angeles, della loro relazione e di come i social network e le chat finiscano per intromettersi in negativo nel loro rapporto. Una storia che le coppie di oggi conoscono bene, dato che spessissimo usano i siti di incontri per conoscersi, oppure le app come Tinder, e difficilmente faranno a meno dei social network per comunicare in modo pratico e veloce. Nel farlo, il regista omaggia – guarda caso – durante una sequenza uno degli horror più popolari degli ultimi anni, ovvero Warm Bodies (che racconta di una storia d’amore tra uno zombi ed una ragazza).
Newness è interessante anche per la presenza di alcuni attori molto noti ai fanatici del cinemics e dei film della Marvel: Pom Klementief (Mantis ne I Guardiani della Galassia vol.2), Danny Houston (Col. Stryker nei film Wolverine), Jessica Henwick (vista anche in Iron Fist e Defenders), NicholasHoult (visto anche nel reboot di X-Men).
Che vuol dire “reale”? Dammi una definizione di “reale”. Se ti riferisci a quello che percepiamo, a quello che possiamo odorare, toccare e vedere, quel reale sono semplici segnali elettrici interpretati dal cervello. Questo è il mondo che tu conosci. (tratta dal film Matrix)
Del resto non c’è dubbio che la realtà di ogni giorno possa essere un’ottima fonte di ispirazione per qualsiasi forma di arte; ed è giusto, a nostro avviso, che questa tecnologia occupi il giusto spazio all’interno del cinema di ogni ordine e grado. Con un’avviso per tutti gli spettatori: il virtuale ed il reale, a volte, si possono mescolare sul serio, ed è importante riuscire a concepire internet come mezzo, e non come fine o strumenti per specchiarsi in modo egoista o narcisista.
Esiste una formula matematica per trovare o ritrovare l’amore? Non lo sappiamo sul serio, ma sappiamo quello che secondo noi non funziona affatto. No davvero, anche se il post è scientifico nella misura in cui possiamo considerare scientifica la psicoanalisi, per questa volta non parleremo della formula dell’amore, quella che alcuni di noi hanno avuto la pretesa di tatuarsi. Einstein non ha mai scritto, da quel che ne sappiamo, una formula dell’amore (E=mc2 adattato all’Amore è una forzatura considerevole, per quanto poetica possa sembrare), e non esiste una formula dell’amore eterno mutuata dalla fisica quantistica, o almeno: se esiste, noi tendenzialmente ci crediamo poco. L’amore è anche credenza, non solo di amare ma anche di essere amata, e purchè non diventi pretesa può andar bene… quale che sia il modello a cui decidiamo di aderire.
Lasciate perdere i numeri dell’amore, per quanto suggestivi siano, non saranno quelli a portarvi fortuna in amore. Non parleremo nemmeno dell’equazione di Dirac come “formula dell’amore“, no davvero, anche perchè quella può spiegare al massimo l’antimateria. Finiamola una volta per sempre, se possiamo, di considerare o banalizzare le persone come fossero particelle, ricordando una delle massime de “L’uomo a una dimensione” di Marcuse: rischiamo grosso, rischiamo di dimenticare di noi stessi, persi in un’apatia senza utopia, smarriti in quella che Marcuse chiama “l’atrofia degli organi mentali necessari per afferrare contraddizioni ed alternative“, confinati nella “sola dimensione che rimane, quella della razionalità tecnologica“, dei motori di ricerca ai quali chiediamo come trovare la fidanzata o come affrontare un divorzio. Neanche fosse una questione di affidarsi a maghi e profeti: impariamo, semmai, a farlo da soli.
Per una volta, peraltro, eviteremo di citare le formule dell’amore proposte da scienziati come Hannah Fry o Donn Byrne, sempre con tutto il rispetto dovuto, che a nostro avviso (se vogliamo) rischiano di illudere o essere più fraintendibili che altro. Tantomeno ci azzarderemo a fornire la spiegazione new age dell’amore legata all’entanglement quantistico, secondo cui se due particelle interagiscono per un certo periodo di tempo con una certa modalità, e poi vengono separate, non si potranno più descrivere come distinte, ma in qualche modo continueranno a condividere alcune proprietà. Particelle, per l’appunto, non certamente esseri umani e relazioni. È molto più utile ritornare, a questo punto, se proprio si desidera scomodare la matematica per l’amore tornare agli scritti di Lacan, ai suoi seminari aperti al pubblico che tanti spunti hanno fornito per discipline di vari ordini e gradi.
Le considerazioni di questo articolo si basano sul seminario di Jacques Lacan, Libro V, le formazioni dell’inconscio, edizioni biblioteca Einaudi, risalente al 1957/1958. Le considerazioni di partenza del medico psicoanalista francese si basano sugli scritti di Freud sul motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio, che vengono da lui rivalutati in ottica sperimentale (le “formazioni” dell’inconscio): la prima affermazione che colpisce nei suoi scritti, e da cui partiremo, e che non esiste in natura alcun oggetto che non sia metonimico.
Tra i film che hanno parlato delle delusioni d’amore, impossibile non ricordare l’horror Audition.
Cosa vuol dire metonimìa?
La metonimia è una figura retorica ricorrente nella psicoanalisi lacaniana, la quale si esplica comunemente in espressioni come bere una bottiglia di vino (quando dobbiamo smaltire una delusione amorosa) o vivere del proprio lavoro. Un tutto per indicare una parte, ma non solo: Lacan riprende i termini freudiani per rimetterli in sesto, per formalizzarli, addirittura facendo uso della matematica dei link per mostrare le catene dei significanti cari alla linguistica delle origini. Si parla così della metonimia del desiderio, cioè di un desiderio (amoroso, ma non solo) che insegue un oggetto che sempre si sottrae (un classico delle friendzone), dove il solo punto di arresto di questa snervante fuga metonimica infinita diventa la metafora, in cui il senso del desiderio si rivela attraverso una sostituzione. Se in questo modo da una parte il desiderio è sempre lanciato verso la fuga metonimica, la piena realizzazione della metafora è quella che Lacan svilupperà come autentica metafora dell’amore. Tutte le passioni, incluso l’amore (e non solo) sono essenzialmente metonimiche.
Il punto di partenza dell’analisi dell’amore per Jacques Lacan è lo studio delle principali tecniche del motto di spirito, attraverso esempi riletti sapientemente e ben noti (che qui non riporteremo per amor di sintesi): il familionario (via di mezzo tra modi familiari e persona milionaria), il minchionario, il miglionario e così via.
L’inconscio si illumina e si svela solo quando si guarda un po’ di lato (J. Lacan)
Nodi, reale, immaginario e simbolico
L’oggetto del desiderio, suggerisca Lacan, è sempre e comunque l’oggetto del desiderio dell’Altro: il desiderio è sempre desiderio di altre cose, soprattutto di ciò che manca, quello che Lacan definisce a (piccolo), lo stesso che – secondo Sigmund Freud – ci portiamo dietro dall’infanzia e non abbiamo mai ritrovato.
(in matematica) un nodo è definito come una curva chiusa e non autointersecante incorporata in tre dimensioni, il quale non può essere districato per produrre un semplice anello. Per un matematico, un oggetto è un nodo solo se le sue estremità libere sono attaccate in qualche modo in modo che la struttura risultante sia costituita da un unico filo ad anello. Klein ha dimostrato che i nodi non possono esistere negli spazi con più di quattro dimensioni.
La ricerca del senso passa per l’attraversamento nella catena simbolica della catena dei significanti, tanto per sostituzione fino alla determinazione della metafora risolutiva. Per inciso vale la pena di ricordare come la matematica rientri nella catena dei significanti, come viene ricordato nel testo, per il fatto che tende a formare dei raggruppamenti chiusi, degli anelli (proprio in senso matematico) che si esplicano in una serie di possibili configurazioni ed intrecciamenti, tra livello reale, immaginario e simbolico (la più citata delle quali è il nodo borromeo). Il fatto che i livelli siano intrecciati o intrecciabili in vari modi denota la loro complicazione innata, senza contare che se uno dei tre decade o non viene legato a dovere, intacca l’integrità degli altri due (e provoca le psicosi).
Un link concepito da DALL E, l’intelligenza artificiale in grado di disegnare
Fammi finire la frase!
Se la psicoanalisi si lega secondo Lacan alla linguistica di Jackobson, parlare è fondamentale per amare, in qualche modo, per cui la tecnica verbale diventa anche tecnica del significante; se è così è altrettanto scontato che ogni discorso non sia un “evento puntiforme”, ad esempio come concepito da Russell: un discorso non ha soltanto una materia, una tessitura – scrive Lacan – ma richiede del tempo, una dimensione temporale, uno spessore.
L’esempio semplice e alla portata di tutti a riprova di ciò, di fatto, è che è necessario che io abbia pronunciato l’ultima parola per comprendere dove si trova la prima: in altri termini se inizio una frase ne capirete il senso solo quando l’avrò finita. Prendere l’anima si tratta di comprendere le parole, e una volta entrati nella ruota della macina di parole, il vostro discorso ne dice sempre di più di quanto voi non diciate (viene in mente il celebre aforisma lacaniano secondo il quale “il linguaggio opera interamente nell’ambiguità“).
Possession è uno degli horror visionari tra i più belli mai girati, ed ha come tema amore, gelosia e possessività dell’Altro.
Di Ylebru – Questo file deriva da: Knot table.svg, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=5405967
L’amore è un sentimento comico
Per arrivare a questa considerazione che può sembrare amara, ma che in realtà è realistica e prende ispirazione dalle commedie (da tutte le commedie, da Aristofane fino a Molière) Lacan si ispira al caso clinico di un paziente colpito da una comunissima nevrosi: vive da solo, cerca l’amore, si dedica a peregrinazioni per le vie della città in cerca di donna, che riesce ad abbordare e che gli danno regolarmente buca (posè un lapin, in francese).
L’amara conclusione dell’uomo fa sorridere da un lato (ma anche riflettere l’analista dall’altro – o dall’Altro?), dato che si compiace della propria sofferenza e la trova in qualche modo ironica: le donne sono, per lo sconosciuto e malinconico single francese di metà anni 50, femme de non-recevoir (donna che non riceve), frase quasi omofona di una fin del non-recevoir (che significa un rifiuto categorico).Un familionario consensato in due metonimie che indicherebbero donne rigorosamente non riceventi, rifiutanti, che continua ad incontrare nonostante mille tentativi in una possibile profezia auto-avverante (secondo la psicologia sociale, una profezia che si auto-avvera è un meccanismo subdolo per cui il soggetto ricrea inconsapevolmente le condizioni perchè “le cose vadano male”: un politico che sfiducia gli elettori causando la sconfitta che teme, gli investitori di un titolo in borsa possono convincersi del fallimento dell’azienda finendo per esserne causa, il Macbeth che fa uccidere tutti i Macduff a causa di una profezia male interpretata, il che sarà causa della sua caduta per via della nemesìs degli stessi).
Femme de non-recevoir è lapalissianamente emblematico, in quanto rileva il carattere per sua natura deludente di qualsiasi approccio al desiderio, prima ancora che all’amore, e diverte (scrive Lacan) la soddisfazione che il soggetto stesso trova nella propia delusione. Per approcciare meglio all’amore dovremmo forse liberarci da questi circoli viziosi, e iniziare a non auto-gufarci o costruirci la nostra femme de non-recevoir (il che vale a ogni latitutudine, senza presupporre un rapporto etero ad ogni costo, a mio avviso). Quella spiegazione affidata ad un motto di spirito Lacan suggerisce essere un coniglio di stoffa (lapin significa anche coniglio, in lingua francese), un prestanome della realtà delle cose, un uomo di paglia, qualcosa che viene scambiato deliberatamente per coniglio in carne ed ossa al sol fine di essere relegato a spiegazione e/o giustificazione immaginaria delle sue sventure amorose.
È chiaro che così non se ne esce, almeno fin quando certi “cerchi magici” non vengono spezzati o stravolti, adottando comportamenti che siano differenti, partendo da nuovi presupposti (anche ricorrendo all’analisi da un terapeuta, cosa che a mio avviso in molti di noi dovrebbero fare, senza tabù). Nel motto di spirito, del resto, si rileva la struttura fondamentale della domanda, che è sempre uan domanda intersoggettiva e dipendente dall’Altro, la cui non soddisfazione è quasi ovvia (o comunque estremanente comune) se posta in questi termini. E poichè tutto dipende dall’Altro, la vera soluzione rimane quella di un Altro tutto per sè: il che, secondo Lacan, è ciò che si chiama amore. Andarselo a cercare come si farebbe per un prodotto al supermercato potrebbe, di sicuro, non essere una buona idea…
Foto di copertina: un autoritratto cyberpunk di Jacques Lacan, con stile fotorealistico (credits: DALL E, openAI)
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