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  • Speciale Ciprì e Maresco: cinema e dadaismo musicale

    Speciale Ciprì e Maresco: cinema e dadaismo musicale

    Lo zio di Brooklyn del titolo è un personaggio che non dice una parola nell’intero svolgimento della trama, e che l’unica che dirà (quando vorrebbe rivelare il proprio nome) sarà coperta da un sonoro peto. Giocando sui toni del grottesco all’italiana brutalizzati ed essenzializzati dentro una Palermo che sembra post-apocalittica, Ciprì e Maresco realizzano questa opera prima nel 1995, dovendo buona parte della propria fama all’attenzione che gli volle dedicare Enrico Ghezzi su Rai Tre.

    Girato nel bianco e nero più ruvido che si possa immaginare, fu caratterizzato da personaggi grotteschi, isterici e rivoltanti. All’epoca fu in grado di innescare polemiche a non finire sul contenuto del film, senza che nessuno capisse che i due registi stavano inventando qualcosa di nuovo, qualcosa che sarebbe stato (spesso malamente o confusamente) imitato da molti altri: un cinema d’essai che sbeffeggia e parodizza prima di tutto se stesso, poi la critica snob (c’è il personaggio del critico musicale, che spesso sbaglia e non trova le parole giuste per esprimere concetti che, nelle intenzioni, vorrebbero essere parecchio elaborati), e poi attacca almeno una parte del pubblico delle sale.

    Viene quasi in mente, a riguardo, il mai abbastanza compreso “Largo all’avanguardia, pubblico di merda” di Roberto “Freak” Antoni e dei suoi Skiantos. Il codice comunicativo dei personaggi è stravolto rispetto a qualsiasi canone cinematografico, o addirittura di buon gusto: molte scene sono cinicamente inquadrate da lontano, e i due nani protagonisti, ad esempio, comunicano mediante rutti.

    [il dadaismo] rifiuta gli standard artistici, come dimostra il nome dada che non ha un vero e proprio significato, tramite opere culturali che erano contro l’arte stessa.

    Soprattutto le canzoni interpretate nel film sembrano voler rivestire un’importanza fondamentale – e con dei tratti dadaisti, nell’uso delle parole, in alcuni passaggi.

    (rivolto alla camera) 1,2,3,4…

    Ma cosa fa?

    Conto gli spettatori! … 5,6,7, …

    Il fimm da schifo! Il fimm fa schifo! Dove vai, lurido cane rognoso! Uno spettatore se n’è andato via.

    Lo Zio di Brooklyn: il degrado penetra nei classici della musica italiana

    Il contesto del film è interamente popolare, e dai tratti rozzi e semplicistici, tanto da suscitare una sensazione straniante fin dall’inizio. Già dal trailer, del resto, si intuiva che molto del film sarà determinato dall’accostamento tra i temi sobri ed eleganti della musica italiana vs. volgarità e peti vari.

    Il riferimento, qui, sembra essere la celebre esibizione di Wanda Osiris di uno dei suoi brani più famosi, Sentimental, in cui la diva scendeva le scale durante il canto – in modo malamente imitato dal buon Paviglianiti (attore palermitano scomparso nel 2000).

    Parte del feeling generale de Lo zio di Brooklyn è incentrato sul tema della desolazione, della solitudine e dell’amor perduto, almeno a sentire le parole delle canzoni proposte: il film non ha una colonna sonora vera e propria, per cui è lecito andare a riascoltare le canzoni che sono state reinterpretate per l’occasione dagli improbabili, trash e grotteschi personaggi.

    Cammela (Chianese, Palombo)

    In questa sequenza il personaggio di Anciluzzu canta “Carmela” (di Gugliermo Chianese and Salvatore Palombo) mentre aspetta le patate che ha chiesto al vicino. La scena ha una valenza teatrale e fortemente straniante, avviene senza un esplicito motivo e si avverte una costante dell’intera pellicola: i personaggi cantano e, nel contempo, danno l’idea di voler fuggire dallo schermo, trovando rifugio tra quegli stessi spettatori che, paradossalmente, finiranno per rigettarli.

    Mamma di Cesare A. Bixio e Bruno Cherubini

    La sequenza vede un personaggio cantare (fuori campo) il celebre ritornello di Mamma di Bixio, Cherubini con forte inflessione siciliana, stonando spesso e volentieri, degenerando in un improbabile falsetto, mentre due personaggi (il mago Zoras e Lo Giudice, protagonista di uno dei medley più importanti del film) si fissano ad un tavolo.

    Poco dopo, gli gli verrà consegnato una collana, che non dovrà togliere per nessun motivo perchè dagli improbabili effetti magici.

    Ancòra di G. R. Testoni

    Uno dei brani più indimenticabili del film, a questo punto, è Ancora di G. R. Testoni. Il testo del brano è intatto, e mantiene la sua carica grottesca: sembra che il personaggio sia un improbabile musicista di strada, che cerca l’approvazione di quel pubblico tanto “temuto” di cui sopra.

    https://www.youtube.com/watch?v=7d355UPxTKk

    Chella llà (U. Bertini)

    Al minuto 13:00 circa, per citare un ulteriore esempio, si può gustare una versione parodizzata ed ultra-ermetica di “Chella lla” (originale scritto da Umberto Bertini e musicata da Di Paola/Taccani), intervallata da pernacchie ed insulti (“Suca!”), oltre che da un testo leggermente cambiato.

    Uuuula! Vàsami, vàsami, vàsami, prrr!

    Chilla lla chilla lla

    te pare ca mpazzisc e poi me sparo

    polli… tutti polli sono!

    Playboy di G. Lo Giudice

    Playboy di Giovanni Lo Giudice, tanto per fare un esempio ancora più dada, ripete ossessivamente la parola del titolo con un testo delirante, probabilmente improvvisato sul momento dall’attore.

    Il testo recita pressappoco questo:

    playboy, playboy, playboy,

    playboy, playboy, playboy

    no, non sono un playboy,

    sono un ragazzo romantico,

    che crede ancora nell’amor,

    perciò ti dico no,

    il playboy oggi è quello che ha i soddi,

    anche se è basso, pelato o grasso

    Il senso del brano, sconnesso e volutamente fuori tempo in molti passaggi, assume una valenza grottesca se inquadrato nel giusto ambito: bisogna pensare che non ci sono personaggi femminili nel film, e che – soprattutto – poco prima abbiamo assistito alla famosa (ed oggetto di infinite polemiche) scena di zoofilia con una mula.

    Lo stesso tema ricorre in seguito all’interno dello stesso film, dove assume una parvenza dai toni più tragici, rassegnati e desolanti. Che senso ha, a quel punto, essere un playboy – se comunque vivi in una città abbandonata, dai tratti post-apocalittici, in cui basta avere i soldi per vivere bene, e potresti diventare un Casanova anche se sei basso pelato o grasso?

    Curtiello cu curtiello (Fiorini, Di Domenico)

    Questo pezzo viene proposto durante il minaccioso interrogatorio di Tommasino nei confronti di due diseredati, che ne elogiano (nonostante tutto) le doti canore.

    L’originale è stata interpretata tra gli altri da Mario Merola, ed è nota per la sua versione cinematografica.

  • Perchè i pirati fanno “aaaaar”?

    Perchè i pirati fanno “aaaaar”?

    Da che mondo è mondo, i pirati fanno AAARRR mentre parlano. Vi siete mai chiesti il perchè? In questo articolo proverò a svelarvi l’arcano, in modo che possiate dare finalmente un senso a questa giornata (piovosa, almeno qui).

    Nell’immaginario televisivo nostrano a fare il verso “AAARRRR” è il Capitano Horatio McCallister dei Simpson: non un pirata, ma comunque un “vecchio lupo di mare” stereotipato. Nell’immaginario popolare dei marinai sono in effetti molto comuni versi quali: “arrr”, o “harr”, “ahoy” oppure “aye”, o ancora Rrrr!”, Yarrr!, Arrr, Argh, Ahaaaarr e Yargh. Ma per quale motivo?

    La questione assume una certa importanza – tanto che l’Urban Dictionary ha dedicato ad arrr una voce specifica.

    Secondo un post di Reddit dedicato a questo importantissimo argomento, un verso del genere farebbe parte del modo di parlare degli inglese del West Country, tanto da farlo sembrare un paese frequentato da pirati per antonomasia (can confirm, I live here and everyone sounds like pirates), con particolare riferimento alla lingua cornica (Cornish) ed alla sua presunta cadenza.

    A quanto pare il grugno tipo “Arrr” – con tutte le varianti viste in precedenza – fa la propria comparsa nel cinema nel 1934, con il film L’isola del tesoro (Treasure Island), tratto dall’omonimo romanzo di Robert Louis Stevenson, per poi rifare la propria comparsa nel racconto del 1940 “Adam Penfeather, Buccaneer” di Jeffrey Farnol. Ha consolidato poi la propria fama mediante il classico del 1950 L’isola del tesoro della Disney, un film che dovrebbe essere rimasto inedito ad oggi (è molto più noto il cartone animato uscito in seguito) e di cui è disponibile il seguente frammento su Youtube – purtroppo senza alcun “aarrr” al suo interno.

    L’opera comica The Pirates of Penzance,  non presenta riferimenti ad arrrr nello specifico, per quanto molti personaggi tendano a marcare la presenza delle “r” nelle parole che pronunciano i vari pirati, come ad esempio “hurrah!” e “pour the pirate sherry“.

    Andando a guardare qualche altra informazione a livello storico, si scopre dell’esistenza della giornata internazionale “Parla come un pirata” (19 settembre), ovvero la International Talk Like a Pirate Day (ITLAPD) inventata nel 1995 da John Baur (nome piratesco: Ol’ Chumbucket) e Mark Summers (o Cap’n Slappy), due americani dell’Oregon.

  • Guida pratica al cinema sado-masochista

    Guida pratica al cinema sado-masochista

    Se associate automaticamente il BDSM alle frustate e ai completini in pelle, siete abbastanza fuori strada – o meglio, non è che le frustate ed il piacere procurato dal dolore non ci siano, ma il BDSM significa molte cose, è di fatto uno strano acronimo o sigla che sta per, rispettivamente, Bondage & Disciplina, Dominazione & Sottomissione oppure, ancora, Sadismo & Masochismo.

    Quanto piacciono i film BDSM

    Stando alle statistiche di Pornhub, tanto per citare un dato relativamente attendibile, all’epoca dell’uscita del trailer del film “50 sfumature di grigio” ci fu un’impennata di ricerche relative a questo mondo nel sito, e (per quello che ne sappiamo) per una piccola maggioranza erano persone di sesso femminile a volerne sapere di più. Il senso di dominazione sul partner (o sulla partner, a seconda dei casi) è, in alcuni casi, benzina per riaccendere e fare fuori la monotonia dei rapporti, e naturalmente l’immaginario del cinema non poteva esimersi dal prendere in considerazione questi aspetti.

    Koirat eivät käytä housuja

    50 sfumature di grigio

    Il cinema BDSM, in sostanza, va molto al di là del film che tutti hanno visto senza ammetterlo, ovvero 50 sfumature di grigio: formalmente un vero e proprio inno ai piaceri della sottomissione e dei rapporti squilibrati, uscito nell’anno 2015. Non proprio un film pregevole, a dirla tutta, ma ebbe se non altro il merito di riportare quelle atmosfere ad una dimensione “pop”.

    Histoire d’O

    Ovviamente non finisce qui e, a dirla tutta, non sarebbe nemmeno il caso di fermarsi qui: i migliori film del genere, come sempre, ci aspettano dietro l’angolo. Un esempio classicone potrebbe essere ad esempio Histoire d’O: anche se il trailer su Youtube non rende esattamente l’idea, è un film per iniziarsi alla pratica BDSM e fa capire una cosa fondamentale – nel BDSM, e perché si possa chiamarlo tale, non c’è alcuna costrizione, coercizione o plagio, come potrebbe sembrare agli utenti terrorizzati lì fuori. Semplicemente, la figura sottomessa dello schiavo (slave) è felice del proprio ruolo, e definisce apertamente la relazione in questi termini con una figura di padrone (master) che definisce il tutto a sua volta, e completa il cerchio.

    La storia del film racconta esattamente questo: la giovane fotografa “O” viene iniziata, di comune accordo con l’amante, all’interno di un castello a Roissy, dove subisce varie pratiche sessuali sado-masochiste, al termine delle quali sarà identificata come schiava per sempre. L’interpretazione del film fu proposta a vari attori e registi famosi (Alejandro Jodorowsky, Anulka Dziubinska, Brigitte Fossey, Christopher Lee), che non accettarono per motivi diversi – tra cui il fatto che la parte doveva essere considerata “sconveniente”, per l’epoca – e alla fine furono Corinne Cléry e udo Kier ad essere i protagonisti, per la regia di Just Jaeckin.

    Maitresse (1976)

    Tulpa

    Recensione qui

    Delitto a luci rosse (J. Schumacher, 1999)

    Altro film che divenne un cult a fine anni 90, e che racconta di un poliziotto che indaga su un potenziale snuff movie (i film in cui la violenza ripresa è autentica e non simulata; in questo, e per i suoi accenni al sado-masochismo, Videodrome rimane uno dei saggi più completi sul tema, assieme probabilmente a Snuff 102).

    Schramm

    Un horror thrille girato con il realismo dello snuff, molto più spaventoso di qualsiasi horror abbiate mai visto; contiene anche un accenno alla dimensione masochista – molto esplicita e difficilmente filmabile, se vogliamo – che vive il protagonista, un tassista frustato ai suoi ultimi giorni di vita. Recensione qui su questo blog.

    La frusta e il corpo

    La frusta e il corpo prese in considerazione il sadomachismo già a inizio anni ’60, quando il tema era sicuramente molto più tabù di quanto non fosse oggi. Sicuramente è uno dei film più importanti di Mario Bava, forse il capolavoro assoluto del regista che qui affronta, in chiave gotica, del morboso rapporto tra il barone sadico Menliff e la cognata Nevenka.

  • Che cos’è il cinema indipendente?

    Che cos’è il cinema indipendente?

    Quando si pensa al cinema indipendente probabilmente vengono in mente i prodotti cosiddetti d’essai, oppure pellicole il cui significato diventa profondamente meditativo, riflessivo, in altri tempi avremmo scritto “non commerciale”. Eppure le realtà di questo genere vivono una propria bellezza per via del fatto che non solo non si “piegano” alle logiche di mercato, bensì propongono l’autenticità del pensiero dell’artista. Nonostante questo, in molti sono portati a pensare che si tratti di prodotti necessariamente di un certo genere (ad esempio horror o thriller), oppure di una predefinita “corrente di pensiero”, etica o politica. Le cose non stanno così, di fatto: basti pensare, ad esempio, ad uno dei più celebri film con il popolare attore Jim Carrey (“Se mi lasci ti cancello“): una pellicola molto sui generis – nel quadro si una storia d’amore tra due persone, si tratta di persone che si fanno cancellare i ricordi dolorosi mediante una nuova tecnologia – eppure decisamente “popolare” tra il pubblico.

    Le caratteristiche principali dei film cosiddetti “indipendenti”, tra i quali annoveriamo quindi un’infinità di sfaccettature, sono quindi due: sono a volte realizzati con pochi mezzi tecnici (ma spesso con competenze artistiche di grande livello) e, al tempo stesso, viene lasciata totale libertà espressiva al regista, che non deve rendere conto a nessuno dei contenuti del suo film. In questo modo capita spesso che i film indipendenti siano fuori dal comune per i significati indotti o comunque per lo spirito generale, che oltre ad avvalersi spesso di attori non noti finisce per lanciare una “frecciata” culturale per combattere il conformismo generale. È questo che finisce, alla fine, per spaventare il grande pubblico “generalista”, che invece preferisce farsi guidare nelle sue scelte dai produttori, i quali insistono morbosamente sui medesimi temi e generi per avere mera garanzia di rientro economico. Tutto questo finisce per generare una sorta di circolo vizioso, che il cinema indipendente cerca di spezzare proponendo prodotti magari fuori dalla righe ma – in molti casi – qualitativamente di grande valore. Ovviamente, a dirla tutta, esistono film di qualità e scadenti sia in una “corrente” che nell’altra, ma il punto è che non sempre i prodotti di valore riescono a trovare il giusto spazio.

    Storicamente un grande impulso ai film indipendenti si ebbe a metà degli anni ottanta con le prime videocamere, e più recentemente con i modelli digitali, che hanno permesso a schiere di giovani registi di evitare i costi proibitivi delle pellicole tradizionali, dei noleggi delle attrezzature, della stampa dei negativi, etc. Anche la cosiddetta post-produzione è molto più economica e veloce, grazie al significativo aumento delle prestazioni dei PC, all’introduzione dei DVD e al contemporaneo sviluppo di software semi-professionali sempre più sofisticati (utilizzati per il montaggio, la correzione del colore, i titoli di testa etc.), spesso completamente free o a costi davvero irrisori. La crescente popolarità degli “indie” ha costretto recentemente gli studi di Hollywood a creare delle piccole filiali per poter entrare a loro volta in questo nuovo mercato. Di conseguenza, oggi, non è più così netta la differenza fra ciò che è realmente indipendente e ciò che non lo è: per fare un esempio, il succitato Eternal Sunshine of the Spotless MindSe mi lasci ti cancello, del 2004, considerato un film indipendente, vanta un cast che non sfigurerebbe in un grande blockbuster, la sceneggiatura di un autore pluripremiato, e un budget iniziale di decine di milioni di dollari. D’altra parte, attori di fama internazionale sono molto attratti dal fenomeno indie, tanto da arrivare ad autoridursi il compenso pur di prendere parte ai progetti più interessanti.

    (tratto parzialmente da Wikipedia, rielaborazione di Salvatore Capolupo)

  • 5 fumetti horror da non perdere

    5 fumetti horror da non perdere

    La dimensione horror ha sempre fatto parte dell’immaginario legato ai fumetti, ed è stato consacrato da varie pellicole cult negli anni 80 e 90 (basterebbe pensare a riguardo, ad esempio, a Creepshow, che omaggiava apertamente il mondo dei fumetti low cost di genere horror, e si basava su micro-episodi dalla sceneggiatura abbastanza simile a questo formato). Ad oggi, il mercato si è decisamente espanso e non è più da considerarsi una nicchia, anche perchè non serve neanche più andare alle fiere del fumetto per procurarsi certi fumetti horror e, di fatto, anche nelle librerie se ne trovano per tutti i gusti.

    Quelli che vorrei segnalare in questo articolo sono alcuni dei titoli che mi sono particolarmente piaciuti in questi anni, scoperti un po’ per caso.

    Black Hole

    https://www.instagram.com/p/BqSbTz9BJ9c/

    Uno dei miei fumetti horror preferiti, dai tratti cupi ed esistenzialisti ed in cui l’horror è metafora di malattia infettiva: i “mostri” sono bocche che si spalancano nei corpi delle persone, come orifizi inattesi e spaventosi oltre che sessualmente allusivi. Charles Burns, statunitense classe 1964, mostra tutto il suo talento. In Italia è edito dalla Coconino Press e potete riscoprirlo e acquistarlo qui.

    Jacula

    https://www.instagram.com/p/BqSbzEBBzwP/

    Ideato da Barbieri, Cavedon e Cambiotti, rientra di diritto nelle riscoperte assolute del genere horror italiano, che in questi caso strizza molto l’occhio al sottogenere erotico. Questa mini-saga racconta di Jacula, una vampira che vive a fine Ottocento e che si ritrova ad essere insolitamente immune ai raggi del sole. Ogni sua storia è sovrapposta, in modo più o meno credibile, con qualche tematica di tipo erotico, con diversi punti di contatto con il genere della commedia all’italiana.

    Dissacratorio, diretto e abbastanza facile da reperire (molti mercatini dell’usato mettono a disposizione quei numeri a prezzi stracciati), è sicuramente un fumetto di culto ed è assolutamente imperdibile per tutti i fan del cinema di genere.

    Hellraiser – La brama della carne

    Un piccolo capolavoro edito dalla Bao Edizioni, che riprende le tematiche della saga cinematografica ultra-splatter e la declina in modo piuttosto fedele alla storia originale. Fino a qualche tempo fa era reperibile anche in ebook, ad oggi sembra disponibile solo in edizione cartacea e, anche qui, è abbastanza facile da reperire.

    Lo trovi qui

    Psycopathia Sexualis

    Un fumetto molto interessante e sottovalutatissimo, di fatto: Psycho Pathia Sexualis è un fumetto antologico a cura di Miguel Ángel Martín (noto anche per Brian the brain). In questo caso abbiamo un’antologia di brevi racconti che illustrano pratiche masturbatorie e parafilie di ogni genere, storie di serial killer (John Wayne Gacy e Edward Gein vengono citati), il tutto con uno stile totalmente cinico e distaccato. Non è un horror nel senso gotico o più stretto del termine, ma certamente fa riflettere sugli orrori della società di oggi. Funny fact: in Spagna il fumetto ebbe il patrocinio del ministero della Cultura, in Italia (tanto per cambiare) venne censurato e messo sotto sequestro da parte della magistratura per un certo periodo. Nel 2001, l’editor Jorge Vacca venne assolto per non sussistenza del fatto.

    SPLATTER (Rizzoli Lizard)

    La rivista di Paolo Di Orazio è sempre stata uno dei punti di riferimenti assoluti del genere: edito dalla casa editrice ACME, almeno inizialmente, è stato successivamente ripreso e ripubblicato in tempi recenti. Un vero e proprio magazine, quindi, che ospitava anche servizi e speciali oltre a riportare fumetti con micro-storie horror anche qui estremamente debitrici al genere americano anni 80 e 90. Molto discusso perchè nel numero Primi Delitti (1989) riuscì a vendere circa 12.000 copie, ma venne sostanzialmente censurato e fu accusato di istigazione a delinquere durante un’interrogazione parlamentare, circostanza che finì per causarne, di fatto, la temporanea chiusura.