Lungo i percorsi più tortuosi del pensiero magico


La definizione precisa del pensiero magico può variare leggermente se utilizzata da teorici diversi o tra diversi campi di studio. In antropologia viene attribuito ad un qualcosa annesso al rituale religioso, alla preghiera, al sacrificio o all’osservanza di un tabù, in vista di un potenziale beneficio o ricompensa. Ricerche successive indicano che il pensiero magico è comune anche nelle società moderne, e che sia sbagliato (oltre che razzista, in alcuni casi) attribuirlo solo a popolazioni meno evolute o disagiate. In psicologia sociale, il pensiero magico rappresenta la convinzione che i propri pensieri possono produrre effetti nel mondo, o che pensare qualcosa corrisponda a farlo. Queste convinzioni possono indurre una persona a provare una paura irrazionale di compiere determinati atti o avere determinati pensieri a causa di una presunta correlazione tra il farlo e la minaccia di calamità.

L’antropologo Edward Burnett Tylor ha coniato il termine “pensiero associativo come un modo di pensare sostanzialmente pre-logico, in cui si opera una confusione tra una connessione autentica ed una solo immaginata. Nel contesto in questione, si crede ad un mago il quale sostiene che alcuni oggetti connessi tematicamente e/o simili possano influenzarsi a vicenda, solo in virtù della loro somiglianza. Il collegga Evans-Pritchard racconta dei membri della tribù Azande che, nei suoi resoconti, sono convinti che strofinare i denti di coccodrillo sulle piante di banano possa provocare un raccolto fruttuoso: questo sembra avvenire perchè i denti di coccodrillo sono curvi esattamente come il celebre frutto, per cui la tribù crede ad una forma di pensiero magico e nella capacità di rigenerazione del mezzo, per cui lo sfregamento favorirebbe l’evento.

Il pensiero magico viene a volte (quasi sempre?) banalizzato come mera superstizione e, per quanto tale visione non sia totalmente avulsa dalla realtà delle cose, più in generale possiamo pensarlo come annesso alla convinzione che gli eventi non correlati siano collegati causalmente. Se le cose vanno male ho il malocchio, ad esempio, ma non solo: l’idea che i pensieri personali possono influenzare la realtà esterna (pensare sempre alla pandemia, ad esempio, farà passare la pandemia), oppure quella che gli oggetti siano collegati causalmente se hanno forme simili oppure, ancora, che due persone rimangano in contatto psichico dopo essersi lasciate, anche se vivono in luoghi distanti (per i razionalisti puri, potremmo essere al limite dello stalking).

Secondo gli scritti di Bronisław Malinowski un ulteriore tipologia di pensiero magico prevedere che suoni e parole possano influenzare il mondo: un leitmotiv tipico di molti horror, in cui (estremizzando) “parli del diavolo e ti troverà”. Più in generale, diventa pensiero magico prendere un simbolo o una analogia come referente per rappresentare un’entità non nominabile o tabù. Sigmund Freud del resto era convinto che il pensiero magico fosse prodotto da fattori di sviluppo cognitivo, in cui i “maghi” proiettavano – semplificando un po’ – la propria visione bambinesca nel mondo.

Come con tutte le forme di pensiero magico, le nozioni di causalità basate sull’associazione e sulle somiglianze non sono per forza dettate da pratiche propriamente magiche (nel senso di “legate ad un mago”). Ad esempio, la dottrina delle segnature sosteneva che le somiglianze tra parti vegetali e parti del corpo indicavano la loro efficacia nel trattamento delle malattie di quelle parti del corpo, e per quanto oggi sappiamo che fosse un caso di euristica di rappresentatività per molti anni, nel Medioevo, nessuno ebbe nulla da ridire in merito (altro caso di pensiero magico ricorrente e comune, questa euristica o scorciatoia mentale: vediamo due persone assieme, e pensiamo automaticamente che siano una coppia).

Alcune teorie del complotto afferiscono più o meno vagamente al pensiero magico, e tendono a confermare una visione non scientifica che, per supremo paradosso, risulta altrettanto credibile (con buona pace dei seguaci di Popper). Il pensiero magico viene creduto e tanto basta, del resto come avviene – secondo Suspiria – per la magia vera e propria: la magia è quella cosa che ovunque, sempre e da tutti, è creduta. Per non parlare della ritualistica annessa al calcio, per cui qualsiasi tifoso (o quasi) ha sempre fatto scongiuri e rituali scaramentici pre partita, per poi dimenticarsene se la squadra del cuore perde, e glorificando la vittoria “magica” in caso contrario. Chiunque usi un social network, che lo faccia tra troll impenitente o moralista irreprensibile, ha ritenuto almeno una volta nella vita che pensare qualcosa equivalga a farla.

Viene anche da chiedersi come il pensiero magico sia sopravvissuto alla tecnologia ed alle innovazioni: le motivazioni sono varie,e  difficilmente si trova un accordo sostanziale sul tema.  Da un punto di vista psicologico, infatti, varie scuole di pensiero insistono sul fatto che il pensiero magico sia terapeutico, ovvero che le persone si rivolgano a “credenze magiche” qualora esiste un senso di enorme incertezza e potenziale pericolo, e non sia possibile accedere a risposte logiche, sistematiche o scientifiche. Il pensiero magico assolve ad un tentativo di controllo delle circostanze, e può diventare drammatico da gestire e accettare soprattutto per i razionalisti di ferro.

Fu Jean Piaget (psicologo dello sviluppo) tra i primi a discutere di pensiero magico, e secondo i suoi scritti lo stesso sarebbe prevalente nei bambini di età compresa tra i 2 ed i 7 anni (cosiddetta fase pre-operatoria): età tipica in cui gli stessi tenderebbero a credere che i pensieri personali influenzino la realtà (nei giochi d’infanzia la cosa dovrebbe essere evidente, e basta ripensarci un po’ per capacitarsene). In questa fase avviene un passaggio fondamentale: mancando il raziocinio più tipico dell’età adulta, concetti come la morte appaiono non comprensibili, e un bambino potrebbe convincersi che se il suo cano è “andato” un giorno potrebbe tornare (film horror come Pet cemetary sono particolarmente emblematici in tal senso). Ci pensa il pensiero magico, in questi anni, a colmare un divario incolmabile, e il passaggio alla fase successiva costringe il bambino a capacitarsi della realtà e a crescere.

Alcuni studiosi ritengono che la magia sia efficace soprattutto (se non soltanto) psicologicamente. Citano l’effetto placebo e la malattia psicosomatica come ottimi esempi di come le nostre funzioni mentali esercitano potere sui nostri corpi. Allo stesso modo, l’antropologo Robin Horton si è spinto a sostenere che impegnarsi in pratiche magiche possa in alcuni casi alleviare l’ansia, il che potrebbe avere un effetto positivo. In assenza di un’assistenza sanitaria adeguata, tali effetti svolgerebbero un ruolo importante anche se non essenziale, contribuendo così a spiegare la persistenza e la popolarità di queste pratiche. In ambito psichiatrico, tuttavia – senza voler azzardare diagnosi spicciole, fin troppo alla moda negli ultimi anni – il pensiero magico è un disordine mentale vero e proprio, che denota la falsa convinzione che i propri pensieri, azioni o parole causeranno o impediranno una conseguenza specifica, in barba alla causalità classica.

Da un punto di vista generale, vari ricercatori hanno identificato due possibili principi come cause formali dell’attribuzione di false relazioni causali nel pensiero magco:

  • la contiguità temporale di due eventi, per cui se due cose avvengono in tempi brevi la precedente abbia causato la successiva;
  • il cosiddetto pensiero associativo, l’associazione di entità in base alla loro somiglianza o le classiche “associazioni di idee”. Quello del pensiero associativ era un tema caro a tanti studiosi dell’era vittoriana, che tendevano ad associarlo all’irrazionalità, probabilmente generalizzando.

Nonostante l’opinione che la magia sia meno che razionale e comporti un concetto inferiore di causalità, dobbiamo a Claude Lévi-Strauss la possibilità che non esista alcuna distinzione netta tra pensiero “primitivo” e “civilizzato”, cosa provata dal dilagare nel pensiero magico, a nostro avviso, a partire dai primi anni di pandemia.

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