Uscire dal seminato

Tennis for two è stato il primo esempio di uso trasversale delle nuove tecnologie: nel 1958 – partendo da un semplice oscilloscopio – il fisico William Higinbotham, di norma occupato a studiare schermi a tubo catodico da usare nei radar, ebbe l’idea di creare un diversivo. Qualcosa di diverso nell’uso e nello scopo. Qualcosa di nuovo: un videogioco interattivo tratto da un contesto serio e profondo, creato d’istinto, senza nemmeno pensare di brevettarlo e senza badare, probabilmente, all’aspetto implicitamente dissacrante legato alla vicenda. Fu la prima, aperta violazione della logica aziendalista per cui ho studiato al MIT, sono un tecnico specializzato e devo essere pagato per lavorare, non per giocare.

E invece.

Tennis for two è stato uno dei primi esempi di hacking della storia, e neanche l’unico di questa curiosa gamification: il gioco fu di ispirazione per il successivo Pong , e da lì in poi si svilupparono giochi di ogni ordine e grado come Zork e Colossal Cave Adventure. Giochi testuali, questi ultimi, in cui il terminale di comando piatto, deterministico e prevedibile)diventava qualcosa di diverso dallo scopo da cui era stato progettato. Viene da chiedersi cosa spinga l’uomo a questo uso “fuori dal seminato” delle nuove tecnologie – con tutti gli aspetti scottanti (ed eventualmente tabù) legati a questa idea.

Secondo la definizione lapidaria del giornalista James Brindle nel libro Nuova era oscura, il soluzionismo consiste nel credere che un qualunque problema possa essere risolto grazie al puro calcolo. In un’ottica soluzionista, pertanto, potremmo pensare che a qualcuno possa venire in mente di soddisfare i propri istinti primari grazie al calcolo. Che è quello che fanno gli affamati che vanno su JustEat, gli insonni i single / sposati insoddisfatti su Tinder, gli insonni su Better Sleep, gli alcolizzati su Winelivery o Bernabei. Il punto è che il problema di soddisfare gli istinti primari (quelli che secondo la definizione di Freud e senza considerare, solo per amor di semplicità, le successive evoluzioni del concetto) come fame, sete, sonno, appetito sessuale rischia di diventare puro feticismo, se viene soddisfatto mediante app.

E se i primi videogame erano ingenuamente innocui quanto impersonali, le app gamificate di oggi (di fatto parificate al mondo dei videogame, che sembrano implicitamente videogame in realtà aumentata) hanno a che fare con sensibilità, personalità, esigenze di persone che in molti casi non sanno di far parte del videogioco. Chiunque ordini con Just Eat, del resto, dovrebbe ricordare di avere a che fare con un fattorino sottopagato, e dovrà fare i conti con lui (almeno in prima istanza) in caso di disservizi o difficoltà.

L’uso delle app è pervasivo nella vita di ognuno, abbiamo app per ogni scopo – ma il loro uso è rimasto rigido e meccanico come il sesso a pagamento. Non può meravigliare, a questo punto, la grande quantità di persone che fa uso di Facebook e LinkedIn per cercare compagni romantica o sessuale. anche questa è una aperta violazione delle policy che sottendono quelle applicazioni, tanto più che il sesso viene visto come tabù dai termini d’uso. Questo (alla lunga, anche se non in tutti cas) non fa che aumentare il desiderio di violare le regole in alcuni utenti – tanto più in un momento storico come quello in cui viviamo, per il quale la moderazione della piattaforma è vista come un fastidioso costo da ridurre, o addirittura da abolire. X è a livello di policy quasi coincidente con 4chan, ad oggi: una board in cui si può dire e fare qualsiasi cosa, per amor di guadagno altrui.

Secondo una statistica di qualche anno fa ben il 91% delle donne, su un campione di un migliaio di persone residenti in USA, avrebbe ricevuto almeno una volta avances o messaggi inappropriati via Linkedin. La maggior parte erano proposte di incontri, e se la risposta tipica in questi casi è il silenzio soltanto in meno della metà dei casi la donna esplicita all’utente di aver oltrepassato il limite. Essere approcciate su LinkedIn sembra rendere le donne infastidite (14%), indifferenti (13%) o confuse (13%). Il 43% afferma di aver ricevuto più avances in più occasioni, e 7 donne su 10 affermano di aver lasciato la piattaforma dopo queste esperienze (confermando grottescamente lo stereotipo per cui ogni utente su internet è cisgender maschio).

È un caso evidente di uscita dal seminato che diventa molestia, nella quale il sospetto è che i proponenti siano stati buttati dentro un tritacarne digitale, di cui non hanno forse ben inteso lo scopo. Peggio ancora: ipotizziamo che abbiano degli irrisolti che cercano di risolvere mediante un’app. È un altro caso evidente di soluzionismo, dell’affidarsi in maniera inconscia al calcolo di un app per risolvere un problema esistenziale. Qualcosa che un utente non sembra riuscire a cogliere appieno, perchè il contesto viene eliso dal calcolo e OK, sono probabilmente su Linkedin ma non sono sicuro di essere su Grindr, Escort Advisor o Google Maps, dato che le app sono omologate per scelta di mercato e tanto basta. Un altro esempio potrebbe essere l’utilizzo di Vinted, piattaforma di compravendita di abiti usati, per scopi fetish, cosa lamentata da almeno un’utente anche italiana, di recente. In questo caso, l’oggetto di abbigliamento assume una connotazione sessuale, svincolandosi dal suo utilizzo primario. Anche questo è un caso molto evidente di soluzionismo, e non meraviglierebbe sentire di qualcuno che possa usare Google Maps o Waze a scopo di incontri random.

Tinder, Vinted, LinkedIn, Facebook finiscono spaventosamente sullo stesso piano, il piano dell’oggettificazione sessuale, a cui il dilagare del porno online negli scorsi anni deve averci abituato. Sembra che a nessuno importi più di tanto, forse non a caso. Questa equiparazione impropria – se da un lato turba per la cinica omologazione e triturazione delle differenze – sembra essere frutto di campagne di marketing che puntavano a raccogliere il maggior numero di utenti possibili, senza pensare di profilarli (dato non cè tempo, non c’è budget, perchè il “grande capo” ha deciso così e chi siamo noi per contraddirlo, visto che ci paga lo stipendio ogni mese?). Stando ad un altro studio un po’ più formalizzato – per quanto questi studi siano stati effettuati su campioni molto ridotti – su un campione di 300 tweet indonesiani è stato rilevato nel 70% dei casi un sentiment (una metrica di intelligenza artificiale che stabilisce quanto sia tossico, violento o aggressivo un qualsiasi testo scritto in rete) negativo. inutile sottolineare che anche qui la molestia era legata alla sessualità, all’aspetto fisico, all’etnia e al genere.

La sensazione generale che si avverte è che da un lato ci sia un problema di emotività, esasperato dal fatto che molti paesi tra cui l’Italia non si ponga ancora la dovuta attenzione alla salute mentale degli individui. E per quello che ci interessa, come se già non bastasse quanto evidenziato, sembra mancare totalmente la consapevolezza del mezzo che si sta usando. Fin quando per un uomo è normale usare Linkedin o X come se fosse Tinder, per intenderci, è chiaro che c’è un problema di percezione del mezzo e, a mio avviso, perché l’app è diventata un feticcio, una fidanzata virtuale, una espressione di un senso di disperazione lovecraftiana che pervade la terra, a cui siamo semplicemente abituati, senza badarci troppo, limitandoci a fare spallucce quando sentiamo casi del genere, ed emulando (in molti casi) quegli stessi comportamenti nel segreto delle nostre stanze, con gli occhi fissi su uno smartphone. Poi se ci chiederà di vederci sul serio – ovvio – diremo di no, perché il problema è anche la comfort zone che la dimensione digitale ha creato in questi anni.

In definitiva, se uscire dal seminato sembra desiderabile per sfondare quella pericolosa comfort zone, è chiaro che il processo deve essere guidato, forse da una policy personale solida o credibile. Probabilmente bisogna anche disintossicare la realtà dal senso di gamification forzata a cui siamo stati indottrinati da anni di videogame senza senso e pornografia per cui esistono più sottogeneri che video disponibili. La realtà non è un gioco, e viene in mente che non sia un caso il successo dei videogiochi di guerra in un periodo in cui le guerre reali vengono normalizzate, ovviamente guidate dall’ottica liberista e cinica più in voga nella maggioranza.

Foto di Nicky ❤️❤️ da Pixabay

 

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