GODERE_ (jouissance) (44 articoli)

In termini lacaniani, il concetto di “godere” è collegato al concetto di “jouissance“. Quest’ultimo non si riferisce semplicemente al piacere fisico o al godimento sensoriale, ma piuttosto ad un concetto complesso e psicoanalitico legato alla sfera psichica e sessuale.

Secondo Jacques Lacan, la jouissance va oltre il semplice piacere e può comportare una sorta di sofferenza o di eccesso che supera i limiti del desiderio. È legata alla tensione tra il desiderio e la sua realizzazione, e spesso implica una sorta di mancanza o di impossibilità di raggiungere pienamente ciò che si desidera.

Nella teoria lacaniana, la jouissance può essere divisa in due forme: la jouissance phallique, che è più associata al piacere fisico e all’appagamento delle pulsioni, e la jouissance dell’Altro, che è più complessa e implica un’esperienza più profonda e problematica, legata alla relazione con l’Altro, con il desiderio e con la struttura stessa del linguaggio e dell’inconscio.

In sostanza, il concetto di godere in senso lacaniano è collegato a una forma di piacere che supera i confini della soddisfazione diretta e coinvolge una complessa dinamica psichica e relazionale.

  • Film e siti di incontri: cosa ci insegna Hollywood sull’online dating

    Film e siti di incontri: cosa ci insegna Hollywood sull’online dating

    Le dinamiche del dating sono sempre più presenti nelle nostre vite, e vari film – come abbiamo discusso anche qualche giorno fa – hanno tenuto conto di questo aspetto a livello narrativo; la logica del flirt casuale, del resto, segue in larga parte film come Appuntamento al buio (1987, Blake Edwards), ma anche un classicone come Harry ti presento Sally, una commedia sentimentale che possiede tuttavia un discreto valore per come presenta le cose, ed anticipa la manìa della friendzone tanto in voga oggi. Se due persone sono empatiche e fanno amicizia, potranno mai finire a letto assieme?

    Nemmeno un regista completo come Kubrick o Lynch, probabilmente, saprebbe rispondere a questa domanda in modo certo; ma i film, in generale, potrebbero considerarsi delle ottime consolazioni per i single depressi al fine di aiutarli ad uscire da un tunnel, oppure guidarci nella scelta del partner più affine a noi. Non c’è dubbio, del resto, sulla grandissima popolarità dei siti di questo tipo, a volte un po’ troppo spinti (secondo alcuni): del resto navigare nei siti di incontri per adulti lo fanno un po’ tutti, uomini e donne, per quanto non sia forse troppo comune da riconoscere in pubblico. Ciò crea dei presupposti interessanti da cui far partire le nostre riflessioni.

    Prima di rivolgerci ad uno di questi servizi di dating online (e ci abbiamo pensato più o meno tutti, in tempi di magra, giusto?), abbiamo paura: e la paura più grande è quella dell’ignoto, suggeriva il buon Lovecraft. Il cinema thriller ed horror ha saputo esorcizzare queste paure virtuali mediante pellicole come il controverso Hard Candy, ad esempio, che racconta la storia di un rapporto tra un uomo ed una ragazzina che nasce proprio in un chat, in cui pero’ le cose non sono assolutamente come potrebbero sembrare. Cosa possiamo imparare da quel film? Che le cose non sono quasi mai quello che sembrano, e che bisogna sempre stare attenti alle persone che incontriamo: potrebbero non volerci uccidere per forza, ovviamente, ma è bene comunque approfondire un minimo’ la conoscenza anche solo prima di arrivare alla classica “botta e via“.

    Del resto è impossibile non pensare ad un altro film come Cam, in cui le camgirl (le ragazze che hanno un rapporto esclusivamente virtuale con i propri partner) perdono la propria identità: per cui ricordiamoci che dall’altra parte c’è sempre una persona reale, e non dobbiamo nè fare gli stalker nè i leoni da tastiera. Una dinamica molto simile, del resto, è stata descritta in un film come The Den, nel quale l’erotismo si esplica mediante chat su Skype, ma poi degenera in una realtà che diventa terrificante dato che sembra esserci di mezzo un serial killer che agisce nel dark web. Morale della favola: ok le chat come mezzo di comunicazione pratico e veloce, ma vedersi per bere qualcosa assieme rimane da sempre, anche nell’era del dating online, il modo migliore per confrontarsi e conoscersi sul serio.

    Secondo alcune statistiche ufficiali, ci sono oltre 23 milioni di utenti registrati su piattaforme di dating in tutto il mondo: e la stima è quasi certamente al ribasso, data la grandissima varietà di piattaforme che offrono questa possibilità. Non tutti i frequentatori di questi servizi sono degli squilibrati, ovviamente, e con un po’ di fortuna potremo trovare un compagno o una compagna anche noi: del resto, per citare il buon cinema di Herbert Ross , “Provaci ancora, Sam!” – e tanto per ribadirla col cuore in mano, Sam sei Tu – che mi stai leggendo.

  • Dai siti di incontri al cinema: il film “Newness” di Netflix

    Dai siti di incontri al cinema: il film “Newness” di Netflix

    Le dinamiche relazionali di coppia sono da tempo oggetto di analisi e rielaborazioni – più o meno credibili o fantasiose – all’interno del cinema: non c’è dubbio, ad esempio, che l’horror – uno dei generi che bazzichiamo di più su questo blog – abbia dato un suo contributo in tal senso grazie a pellicole come Smiley in cui il reale ed il virtuale arrivavano a confondersi, sdoppiarsi e risultare inquietanti per lo spettatore. Anche vari siti di incontri, insomma, del tipo Incontri.es o Superincontri, sono apparsi sullo schermo come veri e propri protagonisti della storia: l’ambiente a quel punto diventa un vero e proprio personaggio della storia, un deus ex machina dal quale i protagonisti non riescono a prescindere, e da cui rimangono affascinati o catturati per sempre.

    In tanti suggeriscono, del resto, che questo tipo di film – gli horror ambientati in una chat in tutto o in parte, senza dimenticare ad esempio l’ottimo Cam – non siano credibili, sulla falsariga della considerazione che l’ennesima bella ragazza che ti contatta su internet, in molti casi, non sia altro che un bot virtuale pronto a ricattarti, truffarti e chi più ne ha, ne metta.  Ma non bisognerebbe mai dimenticare che il virtuale che tanto disprezziamo e sottovalutiamo, in effetti, in molti casi è fatto da gente sola come noi, persone fatte di carne e ossa che provano dei sentimenti, e che potrebbero trovarsi in situazioni difficili per quanto possa sembrare tutto virtuale.

    Newness in inglese significa “novità”, ed è il titolo di un film del 2017 distribuito su Netflix, diretto dal Drake Doremus noto per altri lavori come Zoe o il fantascientifico Equals; in esso si narra della storia di due millenials di Los Angeles, della loro relazione e di come i social network e le chat finiscano per intromettersi in negativo nel loro rapporto. Una storia che le coppie di oggi conoscono bene, dato che spessissimo usano i siti di incontri per conoscersi, oppure le app come Tinder, e difficilmente faranno a meno dei social network per comunicare in modo pratico e veloce. Nel farlo, il regista omaggia – guarda caso – durante una sequenza uno degli horror più popolari degli ultimi anni, ovvero Warm Bodies (che racconta di una storia d’amore tra uno zombi ed una ragazza).

    Newness è interessante anche per la presenza di alcuni attori molto noti ai fanatici del cinemics e dei film della Marvel: Pom Klementief (Mantis ne I Guardiani della Galassia vol.2), Danny Houston (Col. Stryker nei film Wolverine), Jessica Henwick (vista anche in Iron Fist e Defenders), Nicholas Hoult (visto anche nel reboot di X-Men).

    Che vuol dire “reale”? Dammi una definizione di “reale”. Se ti riferisci a quello che percepiamo, a quello che possiamo odorare, toccare e vedere, quel reale sono semplici segnali elettrici interpretati dal cervello. Questo è il mondo che tu conosci. (tratta dal film Matrix)

    Del resto non c’è dubbio che la realtà di ogni giorno possa essere un’ottima fonte di ispirazione per qualsiasi forma di arte; ed è giusto, a nostro avviso, che questa tecnologia occupi il giusto spazio all’interno del cinema di ogni ordine e grado. Con un’avviso per tutti gli spettatori: il virtuale ed il reale, a volte, si possono mescolare sul serio, ed è importante riuscire a concepire internet come mezzo, e non come fine o strumenti per specchiarsi in modo egoista o narcisista.

  • Matematica dell’amore: une femme de non-recevoir

    Matematica dell’amore: une femme de non-recevoir

    Esiste una formula matematica per trovare o ritrovare l’amore? Non lo sappiamo sul serio, ma sappiamo quello che secondo noi non funziona affatto. No davvero, anche se il post è scientifico nella misura in cui possiamo considerare scientifica la psicoanalisi, per questa volta non parleremo della formula dell’amore, quella che alcuni di noi hanno avuto la pretesa di tatuarsi. Einstein non ha mai scritto, da quel che ne sappiamo, una formula dell’amore (E=mc2 adattato all’Amore è una forzatura considerevole, per quanto poetica possa sembrare), e non esiste una formula dell’amore eterno mutuata dalla fisica quantistica, o almeno: se esiste, noi tendenzialmente ci crediamo poco. L’amore è anche credenza, non solo di amare ma anche di essere amata, e purchè non diventi pretesa può andar bene… quale che sia il modello a cui decidiamo di aderire.

    Lasciate perdere i numeri dell’amore, per quanto suggestivi siano, non saranno quelli a portarvi fortuna in amore. Non parleremo nemmeno dell’equazione di Dirac come “formula dell’amore“, no davvero, anche perchè quella può spiegare al massimo l’antimateria. Finiamola una volta per sempre, se possiamo, di considerare o banalizzare le persone come fossero particelle, ricordando una delle massime de “L’uomo a una dimensione” di Marcuse: rischiamo grosso, rischiamo di dimenticare di noi stessi, persi in un’apatia senza utopia, smarriti in quella che Marcuse chiama “l’atrofia degli organi mentali necessari per afferrare contraddizioni ed alternative“, confinati nella “sola dimensione che rimane, quella della razionalità tecnologica“, dei motori di ricerca ai quali chiediamo come trovare la fidanzata o come affrontare un divorzio. Neanche fosse una questione di affidarsi a maghi e profeti: impariamo, semmai, a farlo da soli.

    Per una volta, peraltro,  eviteremo di citare le formule dell’amore proposte da scienziati come Hannah Fry o Donn Byrne, sempre con tutto il rispetto dovuto, che a nostro avviso (se vogliamo) rischiano di illudere o essere più fraintendibili che altro. Tantomeno ci azzarderemo a fornire la spiegazione new age dell’amore legata all’entanglement quantistico, secondo cui se due particelle interagiscono per un certo periodo di tempo con una certa modalità, e poi vengono separate, non si potranno più descrivere come distinte, ma in qualche modo continueranno a condividere alcune proprietà. Particelle, per l’appunto, non certamente esseri umani e relazioni. È molto più utile ritornare, a questo punto, se proprio si desidera scomodare la matematica per l’amore tornare agli scritti di Lacan, ai suoi seminari aperti al pubblico che tanti spunti hanno fornito per discipline di vari ordini e gradi.

    Le considerazioni di questo articolo si basano sul seminario di Jacques Lacan, Libro V, le formazioni dell’inconscio, edizioni biblioteca Einaudi, risalente al 1957/1958. Le considerazioni di partenza del medico psicoanalista francese si basano sugli scritti di Freud sul motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio, che vengono da lui rivalutati in ottica sperimentale (le “formazioni” dell’inconscio): la prima affermazione che colpisce nei suoi scritti, e da cui partiremo, e che non esiste in natura alcun oggetto che non sia metonimico.

    Tra i film che hanno parlato delle delusioni d’amore, impossibile non ricordare l’horror Audition.

    Cosa vuol dire metonimìa?

    La metonimia è una figura retorica ricorrente nella psicoanalisi lacaniana, la quale si esplica comunemente in espressioni come bere una bottiglia di vino (quando dobbiamo smaltire una delusione amorosa) o vivere del proprio lavoro. Un tutto per indicare una parte, ma non solo: Lacan riprende i termini freudiani per rimetterli in sesto, per formalizzarli, addirittura facendo uso della matematica dei link per mostrare le catene dei significanti cari alla linguistica delle origini. Si parla così della metonimia del desiderio, cioè di un desiderio (amoroso, ma non solo) che insegue un oggetto che sempre si sottrae (un classico delle friendzone), dove il solo punto di arresto di questa snervante fuga metonimica infinita diventa la metafora, in cui il senso del desiderio si rivela attraverso una sostituzione. Se in questo modo da una parte il desiderio è sempre lanciato verso la fuga metonimica, la piena realizzazione della metafora è quella che Lacan svilupperà come autentica metafora dell’amore. Tutte le passioni, incluso l’amore (e non solo) sono essenzialmente metonimiche.

    Il punto di partenza dell’analisi dell’amore per Jacques Lacan è lo studio delle principali tecniche del motto di spirito, attraverso esempi riletti sapientemente e ben noti (che qui non riporteremo per amor di sintesi): il familionario (via di mezzo tra modi familiari e persona milionaria), il minchionario, il miglionario e così via.

    L’inconscio si illumina e si svela solo quando si guarda un po’ di lato (J. Lacan)

    Nodi, reale, immaginario e simbolico

    L’oggetto del desiderio, suggerisca Lacan, è sempre e comunque l’oggetto del desiderio dell’Altro: il desiderio è sempre desiderio di altre cose, soprattutto di ciò che manca, quello che Lacan definisce a (piccolo), lo stesso che – secondo Sigmund Freud – ci portiamo dietro dall’infanzia e non abbiamo mai ritrovato.

    (in matematica) un nodo è definito come una curva chiusa e non autointersecante incorporata in tre dimensioni, il quale non può essere districato per produrre un semplice anello. Per un matematico, un oggetto è un nodo solo se le sue estremità libere sono attaccate in qualche modo in modo che la struttura risultante sia costituita da un unico filo ad anello. Klein ha dimostrato che i nodi non possono esistere negli spazi con più di quattro dimensioni.

    La ricerca del senso passa per l’attraversamento nella catena simbolica della catena dei significanti, tanto per sostituzione fino alla determinazione della metafora risolutiva. Per inciso vale la pena di ricordare come la matematica rientri nella catena dei significanti, come viene ricordato nel testo, per il fatto che tende a formare dei raggruppamenti chiusi, degli anelli (proprio in senso matematico) che si esplicano in una serie di possibili configurazioni ed intrecciamenti, tra livello reale, immaginario e simbolico (la più citata delle quali è il nodo borromeo). Il fatto che i livelli siano intrecciati o intrecciabili in vari modi denota la loro complicazione innata, senza contare che se uno dei tre decade o non viene legato a dovere, intacca l’integrità degli altri due (e provoca le psicosi).

    Un link concepito da DALL E, l’intelligenza artificiale in grado di disegnare

    Fammi finire la frase!

    Se la psicoanalisi si lega secondo Lacan alla linguistica di Jackobson, parlare è fondamentale per amare, in qualche modo, per cui la tecnica verbale diventa anche tecnica del significante; se è così è altrettanto scontato che ogni discorso non sia un “evento puntiforme”, ad esempio come concepito da Russell: un discorso non ha soltanto una materia, una tessitura – scrive Lacan – ma richiede del tempo, una dimensione temporale, uno spessore.

    L’esempio semplice e alla portata di tutti a riprova di ciò, di fatto, è che è necessario che io abbia pronunciato l’ultima parola per comprendere dove si trova la prima: in altri termini se inizio una frase ne capirete il senso solo quando l’avrò finita. Prendere l’anima si tratta di comprendere le parole, e una volta entrati nella ruota della macina di parole, il vostro discorso ne dice sempre di più di quanto voi non diciate (viene in mente il celebre aforisma lacaniano secondo il quale “il linguaggio opera interamente nell’ambiguità“).

    Possession è uno degli horror visionari tra i più belli mai girati, ed ha come tema amore, gelosia e possessività dell’Altro.

    Di Ylebru – Questo file deriva da: Knot table.svg, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=5405967

    L’amore è un sentimento comico

    Per arrivare a questa considerazione che può sembrare amara, ma che in realtà è realistica e prende ispirazione dalle commedie (da tutte le commedie, da Aristofane fino a Molière) Lacan si ispira al caso clinico di un paziente colpito da una comunissima nevrosi: vive da solo, cerca l’amore, si dedica a peregrinazioni per le vie della città in cerca di donna, che riesce ad abbordare e che gli danno regolarmente buca (posè un lapin, in francese).

    L’amara conclusione dell’uomo fa sorridere da un lato (ma anche riflettere l’analista dall’altro – o dall’Altro?), dato che si compiace della propria sofferenza e la trova in qualche modo ironica: le donne sono, per lo sconosciuto e malinconico single francese di metà anni 50, femme de non-recevoir (donna che non riceve), frase quasi omofona di una fin del non-recevoir (che significa un rifiuto categorico).Un familionario consensato in due metonimie che indicherebbero donne rigorosamente non riceventi, rifiutanti, che continua ad incontrare nonostante mille tentativi in una possibile profezia auto-avverante (secondo la psicologia sociale, una profezia che si auto-avvera è un meccanismo subdolo per cui il soggetto ricrea inconsapevolmente le condizioni perchè “le cose vadano male”: un politico che sfiducia gli elettori causando la sconfitta che teme, gli investitori di un titolo in borsa possono convincersi del fallimento dell’azienda finendo per esserne causa, il Macbeth che fa uccidere tutti i Macduff a causa di una profezia male interpretata, il che sarà causa della sua caduta per via della nemesìs degli stessi).

    Femme de non-recevoir è lapalissianamente emblematico, in quanto rileva il carattere per sua natura deludente di qualsiasi approccio al desiderio, prima ancora che all’amore, e diverte (scrive Lacan) la soddisfazione che il soggetto stesso trova nella propia delusione. Per approcciare meglio all’amore dovremmo forse liberarci da questi circoli viziosi, e iniziare a non auto-gufarci o costruirci la nostra femme de non-recevoir (il che vale a ogni latitutudine, senza presupporre un rapporto etero ad ogni costo, a mio avviso). Quella spiegazione affidata ad un motto di spirito Lacan suggerisce essere un coniglio di stoffa (lapin significa anche coniglio, in lingua francese), un prestanome della realtà delle cose, un uomo di paglia, qualcosa che viene scambiato deliberatamente per coniglio in carne ed ossa al sol fine di essere relegato a spiegazione e/o giustificazione immaginaria delle sue sventure amorose.

    È chiaro che così non se ne esce, almeno fin quando certi “cerchi magici” non vengono spezzati o stravolti, adottando comportamenti che siano differenti, partendo da nuovi presupposti (anche ricorrendo all’analisi da un terapeuta, cosa che a mio avviso in molti di noi dovrebbero fare, senza tabù). Nel motto di spirito, del resto, si rileva la struttura fondamentale della domanda, che è sempre uan domanda intersoggettiva e dipendente dall’Altro, la cui non soddisfazione è quasi ovvia (o comunque estremanente comune) se posta in questi termini. E poichè tutto dipende dall’Altro, la vera soluzione rimane quella di un Altro tutto per sè: il che, secondo Lacan, è ciò che si chiama amore. Andarselo a cercare come si farebbe per un prodotto al supermercato potrebbe, di sicuro, non essere una buona idea…

    Foto di copertina: un autoritratto cyberpunk di Jacques Lacan, con stile fotorealistico (credits: DALL E, openAI)

  • Guida pratica alle fantasie erotiche nel cinema: 9 film da non perdere

    Guida pratica alle fantasie erotiche nel cinema: 9 film da non perdere

    Le fantasie sessuali sono il classico argomento “caldo” che viene rigorosamente banalizzato: da produzioni cinematografiche poco accorte, ad esempio, così come da dibattiti sterili e discussioni che più miopi non si potrebbe. È difficile o raro racconteremo le nostre, in effetti (salvo casi particolarmente gradevoli), e quasi sempre ripiegheremo sulla stantìa immagine dell’idraulico e della casalinga – e buonanotte a tutto il resto.

    Per ora ci concentriamo su dieci film da noi selezionati che raccontano, a loro modo, altrettanti tipi di fantasie erotiche.

    Nymph()maniac

    Il film di Lars Von Trier è un vero proprio saggio di fantasie erotiche, o di sessualità a 360° vissuto tra immaginario e reale. La storia di Joe, una donna affetta da ninfomania, che racconta la propria storia ad uno sconosciuto e ripercorre tutte le esperienze sessuali avute. Parliamo di fantasie che diventa realtà, in questo caso, che la donna sembra aver sperimentato in qualsiasi forma fin dalla più tenera età.

    Un excursus a tratti insostenibile perchè, di fatto, per Von Trier la sessualità viaggia a braccetto con la dimensione mortifera e abusante, rendendo il contesto più psichiatrico e nichilista di quanto il titolo stesso, ad una lettura superficiale, potrebbe suggerire.

    Al netto di una dimensione sessuale rappresentata senza gli orpelli e le vanità tipiche della pornografia classica, il film presenta una interminabile carrellata di pratiche sessuali, quasi sempre sonorizzate in presa diretta.

    Tra queste troviamo: essere penetrate in modo asettico e senza preliminari, fare sesso sottomissivo con un uomo potente, fare sesso nel bagno di un treno con uno sconosciuto, erotizzare un’insegnante, fare sesso con più uomini contemporaneamente, praticare sesso orale in modo forzoso.

    Recensione completa

    Histoire d’O

    Su eros e letteratura si dovrebbe scrivere a parte, e ce ne sarebbe abbastanza per la produzione di più di un saggio; questo film si basa su un romanzo del 1954 di Pauline Réage, alias Dominique Aury, una scrittrice francese che svelò di essere l’artefice della storia solo nel 1994. Quella di Jaeckin è una riduzione cinematografica con tutti i limiti del caso, ovviamente, ma che trovo emblematica come espressione di vari generi di fantasie erotiche.

    L’intera storia, strutturata come un dramma a tinte gotiche, è incentrata sul sado-masochismo, in particolare una fotografa di cui conosciamo solo l’iniziale, O.,  che viene iniziata ad una serie di perversioni masochiste (sculacciate e frustate, a cui la protagonista si sottopone consapevolmente) che culminano con le iniziali dell’amante marchiate letteralmente a fuoco sul deretano.

    È il mondo del bondage, fuori da ogni tabù, e forse difficilmente qualsiasi altra pellicola a tema (a cominciare dalle sovra-citate Cinquanta sfumature di grigio e annessi) sarebbe mai arrivata a questi livelli.

    A dangerous method

    In questa sede viene messo sullo schermo una delle fantasie considerate forse più inaccetabili in assoluto, ovvero una fugace relazione sessuale (peraltro sado-masochista) tra paziente e psichiatra.

    Il “un menage a trois intellettuale” (come è stato definito da Cronenberg stesso) riguarda Freud, Jung e Spirlein, ed è una storia che introduce la sessualità repressa in un contesto “parlante” – la terapia della parola diventa da mera valvola di sfogo e circostanza in cui escono fuori traumi inconsci a potente afrodisiaco e fonte di attrazione nel mondo reale difficile da eludere, come gli esperti di questo ambito sanno.

    Il focus del film rimane sostanzialmente annesso all’epistemologia, allo status attuale della psicoanalisi ed alla sua credibilità (dal consueto punto di vista materialistico del regista canadese), mentre la rappresentazione di una scena sadomaso tra la Spirlein e Jung, con tanto di sculacciate e conseguente orgasmo, rimane molto impressa nella memoria.

    Recensione completa del film

    Videodrome

    Per quanto sia un film incentrato sui mass media e sul loro potere condizionante (all’epoca della TV come mezzo di comunicazione di massa, quando ancora internet era usato probabilmente solo dai militari), introduce il cyber sex o sesso virtuale, a distanza, prima di qualsiasi altro film.

    In un contesto spesso onirico ed in bilico tra immaginario e realtà vediamo come uno schermo possa diventare oggetto del desiderio, senza che i corpi si tocchino tra loro ed esplicitando, al tempo stesso, il loro rispettivo toccarsi. La “Nuova Carne” in grado di interagire con la macchina e ampiamente teorizzata nel film passava, probabilmente, anche da qui.

    Recensione del film

    Cam

    Partendo indirettamente dai presupposti di Cronenberg in Videodrome questo film sembra chiedersi cosa succederebbe se le identità virtuali di un nickname in una videochat e quelle reali  della persona che si immedesima in un personaggio si sdoppiassero. La camgirl protagonista inscena di tutto, incluso un finto suicidio – snuff applauditissimo dai fan, e pone una sessualità nuova all’attenzione del pubblico, in cui ognuno finisce per fare da sè concedendo all’altro il “lusso” di mostrarsi.

    Recensione del film

    Malena

    La protagonista (Monica Bellucci) è oggetto di ripetute fantasie erotiche da parte di altri personaggi, trovandosi ad essere la donna più bella del paese di neanche trent’anno. Il tredicenne Renato Amoroso sviluppa una vera e propria ossessione nei suoi confronti, e per soddisfare le proprie fantasie arriva a  rubarle gli slip, usarli come feticcio e poi rimetterli a posto (ci sarebbe qualche parola da spendere sul fatto che venga scoperto dai genitori nel farlo, a partire dalla rottura del tabù). Non solo: Malena cede alla necessità (che poi è anche una fantasia comune) di concedersi ad uomini potenti, mentre Renato la immagina nelle vesti più diverse mentre continua a masturbarsi pensando a lei (Jane di Tarzan, Cleopatra, la fidanzata di un gangster, una pin-up e addirittura la Madonna).

    Eyes Wide Shut

    Le fantasie erotiche in questo ultimo lavoro di Stanley Kubrick sono quasi tutte di parola, nel senso che vengono raccontate – anzitutto – dai personaggi e poi provate a concretizzare. Ed è proprio la confessione in sè a dare il via all’intreccio, culminando in una forte gelosia – che potrebbe ricollegarsi, almeno in parte, all’immaginario di Possession.

    Gli “occhi ben chiusi” del titolo sono quasi certamenti quelli della sessualità repressa: dopo aver fumato marijuana (e presumibilmente prima di consumare un rapporto) Alice (Nicole Kidman) racconta al marito Bill (Tom Cruise, che poco prima aveva riaffermato la propria fedeltà) una fantasia sessuale che aveva avuto: essere posseduta da un giovane ufficiale di marina, per poi abbandonarlo e fuggire con lui. La fantasia di per sè può sembrare stantìa, ma il sesso basato su rapporti di potere e coercizione anche sottintesa è, secondo ad esempio lo psicologo Michael Bader, estremamente comune come fantasia erotica tra le donne.

    Blue velvet

    Velluto blu di David Lynch è un film intricato e complicatissimo, in cui la sessualità rappresenta solo una delle molteplici dimensioni che caratterizzano l’opera. In questo caso la fantasia sessuale dominante è quella di Frank, un personaggio spregevole che inala un gas prima di dedicarsi a pratiche voyeur – ovvero obbligare la co-protagonista, Dorothy, ad assumere diverse pose, manipolandone la volontà. Il velluto blu del titolo è il tratto distintivo del feroce criminale che ne fa uso per imbavagliare o soffocare le vittime dei suoi soprusi, strappandolo dal vestito della cantante.

    Crash

    Anticipando la tendenza polimorfa della sessualità moderna, in cui molti precedenti limiti sono sfumati o aboliti, Crash è una perla considerevole in fatto di fantasie sessuali: quelle descritte minuziosamente dall’omonimo romanzo di Ballard, nello specifico, e che – per certi versi – già in forma scritta evocano immagini erotiche tratte dallo studio di uno psicoanalista.

    L’oggetto del feticismo è legato sia alla diffusione di foto snuff di autentici incidenti (che sono usati, assieme ai video degli stessi, come fossero pornografia), sia all’uso dell’automobile in sè, in particolare nella forma di eccitazione dovuta allo sfiorare la morte. Un gioco pericoloso, ovviamente, quello della sessualità annessa ad eventuali incidenti stradali, che venne demonizzata da buona parte della critica (curiosamente in modo asettico e aprioristico, che erano le modalità con cui il film sembra “naturale”).

    Approfondimento: il sesso è ancora tabù (?)

    Se ancora oggi, di fatto, stiamo a discutere sull’effettiva presenza di desiderio sessuale nelle donne o  sulla contemporaneità dell’orgasmo come espressione del feeling di coppia (entrambi da annoverare nei falsi miti sulla sessualità), è chiaro che non sarà banale affrontare l’argomento. Mentre predisponevo il materiale per questo micro-saggio che ho voluto pubblicare nel blog, riguardavo vecchi e nuovi film e leggendo un po’ di libri a tema; ad un certo punto mi ha colpito come possa essere difficile raccontare una qualsiasi fantasia erotica senza banalizzarla.

    È un problema enorme, a ben vedere, per un articolo che si prefigge di raccontare le 9 migliori fantasie erotiche mai viste al cinema, e merita una breve digressione per inquadrare meglio il discorso. La soggettività della scelta, ovviamente, fa parte della definizione stessa di fantasia – e della difficoltà nel far “matchare” i gusti propri con quelli di altri partner, in molti casi.

    Raccontare una fantasia erotica rischia quasi sempre di svilirla

    Sembra quasi che il solo metterla per iscritto ne possa ridurre l’impatto, rischiando di renderla una scena da fumetto di serie Z mentre, di contro, un eccessivo livello di dettaglio la faceva diventare volgare e auto-indulgente. Ho trovato questo tabù inconscio quantomeno curioso da approfondire, oltre che necessario da premettere ad una trattazione del genere.

    Tra eros e comico, un velo di Maya da non svelare

    Riassumo brevemente le mie considerazioni in poche altre righe; in primo luogo, mi pare che nel raccontare fantasie erotiche a qualsiasi livello succeda la stessa cosa che avviene quando si prova a spiegare una battuta comica. La battuta X, infatti, fa ridere solo se ascoltata in diretta, meglio ancora se è la prima volta che la sentiamo e se ci sono altri a goderne con noi. Per una fantasia erotica Y avviene quasi lo stesso: funziona sentirla in diretta e contestualizzata, molto meno se un amico ce la racconta in un contesto avulso. Vale anche la pena di evocare il motto attribuito a Woody Allen: il sesso è stata la cosa più divertente che ho fatto senza ridere. Nel descrivere le scene sarò molto auto-indulgente, e naturalmente invito anche voi a fare lo stesso.

    Se viviamo in una società edonista, i tabù provengono tutti dall’inconscio

    In secondo luogo mi viene in mente la distinzione lacaniana tra Immaginario, Simbolico e Reale: a ben vedere una fantasia vive essenzialmente nella dimensione immaginaria, possiede significati che possono attingere al simbolico ed è tanto “migliore” per quanto provi ad essere ancorata al mondo reale (e vale la pena di appuntare che la concretizzazione di fantasie erotiche finisce spesso per essere deludente nella realtà).

    Lacan stesso, come spiegato dallo splendido saggio di Zizek uscito qualche anno fa, aveva intelligentemente evocato una situazione sociale invertita: siamo infatti passati da una società è portatrice di divieti e l’inconscio di pulsioni sregolate, ribaltata nell’assunto che sia la società a essere edonista e sregolata, mentre è l’inconscio che regola. Di fatto, quindi, le pulsioni erotiche fantasiose sono legate alla realtà come all’inconscio di ognuno di noi, molto spesso con una logica invertita.

    Le fantasie erotiche leniscono i sensi di colpa

    Il saggio di Michael Bader Eccitazione (Raffaello Cortina Editore, 2002) può aiutare a portare avanti il discorso, a questo punto: in esso l’autore (psicologo e psicoanalista di Los Angeles) elenca e dettaglia varie fantasie erotiche di ex pazienti, identificandone le cause più comuni: molte di esse sono un sostanziale antidoto ai sensi di colpa più diffusi, incluse le fantasie di stupro, il voyeurismo, il feticismo e le fantasie attive e passive. La descrizione di queste fantasie è puntuale, all’interno del libro (ovviamente tutte anonime e senza attribuzioni specifiche), e fanno impressione per la loro vividezza, alla quale ho provato nel mio piccolo ad ispirarmi.

    Bader, di fatto, sembra sostenere che non esistano fantasie sessuali propriamente turpi o da biasimare di per sè (cosa diversa e distinta da quello che si fa nella realtà, ovviamente).

    Di fatto, in molti paziente Bader ha anche identificato un curioso capovolgimento di fronte: gli uomini e le donne più aggressive sul lavoro o con i figli cedevano più facilmente a fantasie masochiste o passive, così come i più solitari e frustrati sessualmente sognavano segretamente relazioni con mistress e padroni per provare a deresponsabilizzarsi. Si arriva ad una conclusione interessante, clamorosa e fonte di ulteriori spunti: se un uomo ammette di avere pure fantasie su una lolita, ad esempio, non dovrebbe essere accusato automaticamente di pedofilia – per lo stesso motivo per cui non si dovrebbe biasimare di incoerenza una femminista militante che abbia fantasie di sottomissione ad un uomo potente.

    Sesso “spietato”

    Vale la pena di evocare, a questo punto, il concetto di spietatezza sessuale introdotto nel libro, la quale – nonostante il nome inquietante – smentisce l’idea dell’eccessivo altruismo dei singoli, di una tenerezza generica che spesso fa da schermo a tabù e credenze patogene di vario genere – il tutto in nome di un “calcolo” personalistico del piacere proprio, prima che di quello altrui, al fine di recuperare una sessualità completa ed armoniosa per entrambi i partner.

    Di fatto, nella società moderna questi concetti tendono ad essere relegati a misconosciuti libri di psicologia, e caratterizzano una sorta di velo di Maya che è considerato quantomeno inopportuno e spiazzante svelare da parte della società.

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