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  • Guida pratica agli alternate ending (finali alternativi) nel cinema

    Guida pratica agli alternate ending (finali alternativi) nel cinema

    I finali alternativi (alternate ending in inglese) si trovano un gradino sopra le fan theory e probabilmente molti livelli al di sotto dei film così come li conosciamo: sono alternate, per cui il regista non sarà mai troppo felice del fatto che noi li vediamo. Scarti, alla fine idee bocciate per i motivi più diversi, che a volte rendono giustizia della trama altre rischierebbero di accappottarla, di far saltare addirittura saghe di successo con oltre venti o trenta anni di storia. Di fatto, i finali alternativi spalancano un mondo cinematografico nascosto, un po’ come nelle migliori teorie complottistiche, creando nuove linee narrative, what if imprevedibili e (spesso e volentieri) contrappunti di comicità involontaria.

    Uno dei finali alternativi più discussi degli ultimi tempi è ovviamente quello di Fight Club, il cult di David Fincher che è tornato di moda direttamente dagli anni 90, dopo che (a quanto pare) in Cina è circolato in una versione del film col finale mutilato, in cui al posto delle pluricitate esplosioni finali la polizia (fino ad allora visibile a malapena) vince, e ricostituisce l’ordine. E non si tratta, ovviamente, dell’unico caso: gli alternate ending sono un autentico culto da cinefili, e a ragion veduta – per quanto siano spesso annacquati da montaggi grossolani e in alcuni casi, forse, addirittura potrebbero essere realizzati dai fan. In altri casi sono quasi “appunti” audiovisivi, idee registiche mai realizzate o caratterizzate da un fascino quasi occulto. Il mistero, la scoperta di video mai ufficialmente pubblicati che è un po’ alla base del successo di serie come Archive 81, in effetti. In non pochi casi, i finali alternativi sono impietosamente meglio di quelli originali.

    Affascinano, e anche tanto, a livello irrazionale o inconscio quasi ogni spettatore. Forse ciò avviene perchè si tratta di un modo per immaginare cosa sarebbe successo se quel protagonista si fosse salvato, avesse fatto altre scelte o avesse avuto un’altra possibilità. A tutti piacerebbe un alternate ending di tante vicende finite non benissimo nella propria vita, si sa: ma questo non sempre è possibile, per cui ci accontentiamo di farlo in una sala o davanti allo schermo di un servizio di streaming. Un invito a sognare, a vedere un sogno e rivederlo fino allo sfinimento, magari. È anche raro che il pubblico dello streaming classico possa trovare materiale del genere: molto più probabile che uno se lo vada a spulciare su Youtube e naturalmente nelle varie versioni DVD restaurate.

    Vediamo a questo punto, senza altri indugi, quattro tra gli alternate ending più celebri mai girati, con annessa storia: con l’idea che oggi, nell’incresciosa e immarcescibile IncertezzaTM in cui viviamo, possano avere un valore terapeutico, o almeno aprirci alla possibilità di un mondo diverso da quello in cui viviamo, abbandonando le nostre convinzioni sedimentate e dando spazio a nuove, imprevedibili e addirittura migliori possibilità per l’umanità.

    Nightmare: dal profondo della notte

    I finali alternativi di Nightmare di Wes Craven sono, per quanto ne sappiamo, almeno tre: due sono per così dire pessimisti, con Freddy che risbuca fuori nel mondo reale per uccidere, a sottolineare come l’incubo non sia finito (e giustificando una saga che è durata fino ad oggi). E ne abbiam almeno un’altro meno cupo, probabilmente voluto dalla produzione, in cui questo, semplicemente, non avviene: happy end. Ad oggi, è possibile visionare i finali alternativi di Nightmare nella versione DVD e naturalmente su Youtube. Recensione

     

    L’armata delle tenebre

    Il finale alternativo di Army of darkness di Raimi è forse tra i più geniali che abbiamo reperito: Ash beve la pozione magica ma, per errore, si risveglia troppo avanti nel tempo. Il futuro che scopre è paradossale, inumano e disordinato: una specie di mondo surreale, dai tratti onirici e leteralmente fatto a pezzi in cui, ad esempio, sono visibili palazzi demoliti e il Big Ben. Ash alla fine urla, rassegnato, “ho dormito troppo a lungo“. Sono piuttosto sicuro che la versione in VHS da videoteca che vidi ai tempi (un po’ di anni fa, diciamo) fosse proprio questa: director’s cut.

    Il finale più popolare de L’armata delle tenebre, ovviamente, rimane quello che termina con Ash che colpisce una posseduta a fucilate, salvando una collega e pronunciando – in un delirio di americanismo autoreferenziale quanto autoironico – la famosa battuta Dammi un po’ di zucchero, baby.

    Terminator 2

    Tra i finali alternativi più clamorosi, poi, ne troviamo uno che, se fosse stato adottato, avrebbe invalidato completamente i sequel del film, terminando la saga dopo “solo” due episodi. L’alternate ending in questione mostra Sarah Connor sopravvissuta, invecchiata e ancora viva nel 2029, diventata nonna mentre si gode un parco pieno di bambini, in una realtà pacifica in cui Skynet, evidentemente, non ha potuto prendere il sopravvento. Recensione

    1408

    1408 è diretto da Håfström, racconta una storia sulla falsariga di Shining incentrata sull’autore di libri sul sovrannaturale, e presenta quattro finali possibili: quello cartaceo del racconto di King, in cui il protagonista cambia mestiere, tra le proteste del suo agente letterario, per andare a vivere vicino al mare. C’è poi la fine del film, in cui Enslin sopravvive ad un incendio e ritrova un vecchio nastro, che gli prova l’esistenza della vita dopo la morte. In una terza versione Enslin diventa egli stesso un fantasma dopo essere morto in un incendio. In una quarta e ultima versione, sarà l’agente a percepire lo spirito del protagonista mediante una porta che sbatte.

    Questa è la seconda versione:

    mentre la successiva è la quarta:

  • Il finale di Archive 81 contiene riferimenti a due film di Fulci

    Il finale di Archive 81 contiene riferimenti a due film di Fulci

    La parola magica per capire il finale di Archive 81 – recensione qui – è cliffhanger, ovvero un finale sospeso; senza pensare al film cult omonimo con Stallone del 1993, più semplicemente si tratta di un finale aperto, in cui non è dato sapere un bel po’ di cose. Per chi legge, dovrebbe essere ovvio aver già visto la serie, in caso non fosse così preavviso nuovamente: spoiler in arrivo. Ci sono fin troppe domande rimaste aperte su Archive 81, e non riusciremo davvero a rispondere ad ogni dubbio: fin troppo è ambivalente, multi-interpretabile, soggettivo. Per cui, se va trovato un difetto alla serie, probabilmente potrebbe risiedere proprio qui, in quel finale aperto che quasi banalizza, se vogliamo, la bellezza dei singoli episodi.

    Le domande non mancano: su tutte, che fine ha fatto Dan, in che mondo sia finito e come sia arrivato in ospedale, per quanto la TV faccia capire che è finito negli anni 90, precisamente attorno al 5 aprile 1994, dato che viene mostrata la morte di Kurt Kobain come elemento caratterizzante il periodo. Il suo viaggio nell’Oltremondo è andato, tutto sommato, a buon fine: ha rivisto la propria casa, ha trovato e mandato a casa Melody, ha rivissuto con la propria famiglia morta nell’incendio.

    Ma… adesso cosa succederà? Furbescamente, la produzione ha deciso di lasciare la domanda aperta a mille interpretazioni e fan theory. Alcune sono davvero deliziose, secondo noi, e ne riportiamo due tratte da Reddit (PS ricordiamo che le fan theory sono, per definizione, pure invenzioni più o meno plausibili sulla trama, effettuate da persone che hanno visto la serie):

    1. Per quale motivo Virgil Davenport, che tanto aveva fatto e fornito per salvare i nastri, rifiuta di tornare nell’Oltremondo per salvare il fratello? L’utente doctorsolitaire su Reddit ipotizza che il fratello in realtà non esiste, insinuando che Virgil e Samuel (coi suoi numerosi pseudonimi) siano addirittura la stessa persona. In altre parole, l’uomo si sarebbe rifiutato di andare a prendere il fratello perché, semplicemente, era già sul posto, per quanto ciò cozzi col fatto che in un video si vedono entrambi.
    2. Perchè viene scelto Dan per indagare sui nastri? Al netto delle sue capacità tecniche, probabilmente (secondo un altro utente Reddit) Dan potrebbe avere poteri, che non ricorda di avere, da medium o comunque sovrannaturali, il che spiegherebbero la sua empatia psichica con Melody. Il che si collegherebbe, a questo punto, col sospetto che suo padre oltre ad essere uno psichiatra fosse anche un para-psicologo, vicino al mondo del sovrannaturale.

    Nell’Oltremondo il tempo è semi-congelato o non scorre come dovrebbe (ce ne accorgiamo dall’esperiente visivo delle particelle sospese nel vuoto, senza fluttuare), e tutto sembra suggerire che alla fine Dan sia rimasto intrappolato in un’altra dimensione. Questo è quanto si riesce ad evincere da un finale, alla fine dei conti, puramente lovecraftiano, debitore dei finali aperti modello Lucio Fulci che, per semplice parallelismo, ci siamo permessi di rievocare qui. Ci guardiamo bene, ovviamente, dal sostenere che Archive 81 sia un film collegato direttamente a Fulci: al massimo, infatti, Archive 81 potrebbe essere sottilmente lovecraftiano, con i suoi richiami ad un dio feroce e crudele da un’altra dimensione, ma anche su questo frangente potrebbe essere un accostamento indebito. Quello che ci interessa è evidenziare come certi percorsi narrativi, oggi resi celebri da una serie horror sovrannaturali di grande successo, siano stati, come minimo, intuìti da Fulci prima di chiunque altro.

    E tu vivrai nel terrore… L’aldilà! (1981) presenta una situazione in parte simile a quella vissuta da Melody e Dan, mediante i personaggi di Liza e McCabe. Nel cult fulciano i due attraversano una cantina, dopo essere fuggiti dall’ospedale, e si ritrovano all’interno del paesaggio dipinto dal pittore Zweick, morto crocefisso e murato nelle stanze dell’hotel maledetto nella scena iniziale del film. Liza e McCabe si trovano così in una dimensione nebbiosa, sinistra, mortifera e cosparsa di cadaveri, per dirla con le parole del regista: un deserto senza luce, senza ombre, senza vento (La notte americana del dott. Lucio Fulci, documentario del 1994). In parallelo Melody e Dan stanno cercando una via d’uscita da un Oltremondo infernale, tenendosi la mano in vari passaggi del loro viaggio, in cui la sensazione che non ci sia una vera via d’uscita è costante in entrambi i film. Ricerca l’uno dell’altra che culmina in un viaggio, di cui avevano ricevuto solo suggestioni oniriche nelle puntate precedenti. Liza e McCabe, ne L’aldilà, si ritrovano sul posto senza sapere come, se non a livello inconscio – o tra mille suggestioni incerte, in grado di creare una poetica macabra quanto straordinaria.

    A differenza del nichilismo di Fulci che sancisce la scomparsa materiale dei due protagonisti dalla scena, la serie di Rebecca Sonnenshine decide di separare la coppia, consegnando Melody alla madre che l’aveva sempre cercata e, quasi come contrappasso dantesco, intrappolando Dan nell’altra linea temporale. Per sempre. O forse …

    Il tema della separazione o del confinamento inatteso di un personaggio protagonista all’interno di un altro mondo, del resto, non è nuovo: bastebbe pensare anche solo all’archetipo creato da L’armata delle tenebre, ad esempio, o a molti episodi de Ai confini della realtà,  per comprendere la devozione incrollabile della serie ai classici dell’horror e ai loro twist più sconvolgenti.

    Dopo aver finito diligentemente di vedere la prima serie, comunque, e fermo restando le considerazioni fatte in precedenza, resta un po’ di amaro in bocca per le parentesi aperte rimaste tali, o se preferite per il gran numero di personaggi che non siamo nemmeno sicuri se siano vivi o morti. È quasi certo, da quello che si legge sul web, che Archive 81 avrà una seconda serie, probabilmente anche una terza, una quarta e così via, andando ad approfondire qualsiasi personaggio in un potenziale infinito dilagare di spin off. Avremmo idealmente preferito che restasse tutto com’è adesso, in questa deliziosa (tutto sommato) sospensione narrativa, in cui Dan ha assolto il proprio destino ed è pronto a ricominciare una nuova vita (ammesso ottimisticamente che non si voglia ritenerlo perso). Avremmo preferito questa sospensione, questa “inconcludenza”: avremmo preferito far finire Archive 81 alla prima stagione, e quasi speriamo che sia così. Perchè non siamo troppo convinti che meriti, artisticamente parlando, di diventare l’ennesima telenovela-polpettone a infinite puntate, personaggi e improbabili resurrezioni. Addirittura gli amatissimi viaggi nel tempo sono diventato il deus ex machina onnipresente che rimette in sesto anche il più sciatto dei cinecomics

    Quello stesso senso di sospensione e di irrealizzabilità di un finale, in questi casi, Lucio Fulci lo aveva intuito – e coraggiosamente realizzato prima di chiunque altro, per quanto certi suoi finali furono tacciati di essere fuori bersaglio. Fu il destino, ad esempio, di un altro lavoro fulciano analogo, anche lì caratterizzato da suggestioni lovecraftiane e passaggi non lineari o illogici: Paura nella città dei morti viventi. Anche qui troviamo una coppia  che fugge via da un’inferno sotterraneo, e quando stanno per riabbracciare il mondo dei vivi succede qualcosa. La protagonista urla (non vediamo cosa succede), il fermo immagine si blocca sulla figura del ragazzino (fino a poco prima, apparentemente felice di vederli), due poliziotti camminano dietro di lui con un’andatura quantomeno ambigua (forse sono zombi, forse i morti viventi sono riusciti a seguire sulla terra i due protagonisti, forse addirittura il ragazzino è diventato un morto vivente). Succede qualcosa, insomma, ma non sapremo mai che cosa: l’immagine si spacca, si dissolve nel nero e finisce il film, lasciandoci scossi e annichiliti, incerti su cosa abbiamo davvero visto. Per quanto si sia romanzato sulla realtà delle motivazioni di quel finale, pare che il regista cambiò idea in corsa (di sicuro, aveva in mente H. P. Lovecraft), oppure (secondo altre versioni) pare che qualcuno rovesciò del caffè sui negativi del finale, ormai perso per sempre (che suggestione puramente fulciana, quest’ultima!), e poi riparato alla meno peggio in fase di montaggio.

    D’accordo tutto, intendiamoci: godiamoci altri 999 spinoff a tema, riguardiamo Archive 81 altre cento volte, rendiamo Dan uno degli eroi umani con cui empatizzare, addirittura il simbolo del risveglio post-trauma incendiario, pandistruttivo o pandemico che sia. Godiamoci il parallelismo con l’Inferno dantesco, i rimandi al cinema di genere, le sedute spiritiche agghiaccianti e le suggestioni a metà strada tra L’inquilino del terzo piano e [REC]. Ammesso che sia possibile suggerire un alternate ending per Archive 81, pero’, siamo dell’idea che fare una cosa sulla falsariga degli incompiuti fulciani sarebbe stato davvero meraviglioso. Una serie TV che culmina, praticamente, come cinema d’autore, consacrandone i meriti – senza nulla togliere al fatto che comunque la produzione fa quello che gli pare per i seguiti, per cui…

    A questo punto pensiamo valga la pena rivedere ancora una volta quel finale: quel lugubre, incompiuto e sinistro finale (di seguito trovate la versione tratta dalla VHS danese: dopo la spaccatura del fotogramma, si intravede una vista sul cimitero e la citazione “L’anima che brama per l’eternità supererà la morte; tu, abitante del vuoto crepuscolare, vieni a Dunwich” di H. P. Lovecraft).

  • Archive 81: recensione, trama e cast della serie TV su Netflix

    Archive 81: recensione, trama e cast della serie TV su Netflix

    Da due settimane Archive 81 – Universi alternativi di Rebecca Thomas si trova sulla cresta dell’onda tra gli spettatori di Netflix, anche in Italia – dove è comparsa con tanto di buon doppiaggio (tanto vale scriverlo a chiare lettere). Classe 1984, la Thomas è nota per il film (ispirato a Pasolini, per la cronaca) Electrick Children e per un episodio (il primo ) di Stranger Things, oltre che per questo Archive 81 prodotto e distribuito da Netflix e Atomic Monster, con Paul Harris Boardman e James Wan (Insidious, Saw: L’enigmista) come produttore esecutivo.

    VHS ritrovate, ambientazione da inizio anni 80, tensione e distorsioni temporali ci conducono in una dimensione narrativa complessa, accattivante e che si preannuncia piuttosto lunga. Ma cosa c’era in quelle videocassette?

    Trama

    Dan è un esperto di archivistica in grado di recuperare vecchi nastri di VHS d’epoca, riportandoli in condizione di poter essere visionati. Durante il proprio lavoro si imbatte nella singolare storia del condominio Visser, distrutto da un incendio ed i cui condomini sembrano scomparsi nel nulla. Una multinazionale di cui non si sa nulla nemmeno dal web, nel frattempo – la LMG – lo contatta per proporgli un restauro pagato una cifra spropositata, da svolgersi  in una casa sperduta modello Shining. Inutile sottolineare che durante il proprio lavoro succederanno strane cose: i personaggi dei filmati VHS sembrano quasi rivolgersi a lui, e la figura del padre del protagonista (prematuramente scomparso) apparirà all’interno di uno dei nastri.

    E se la LMG fosse un’enorme multinazionale di giochi da tavolo? […]

    Recensione

    La genesi dell’opera è senza dubbio curiosa perchè, tanto per cominciare, è stata prodotta sulla falsariga narrativa dell’Inferno di Dante Alighieri. Quantomeno, il riferimento è sostanziale: il protagonista si chiama Dan (T.), mentre il suo accompagnatore sarà, come si scoprirà, Virgil. Ma non solo: non mancano i personaggi di Beatrix, il cerchio (riferimento a quello dantesco) e naturalmente, essendo una serie thriller horror, Kharon, il Caron dimonio. Alla base della trama gli aspetti più inquietanti legati alle videocassette VHS (per qualche strano motivo quel formato video induce una specie di paura ancestrale) nonchè alla storia, confermata solo in parte, che alcune di esse fossero state commercializzate come snuff (ovvero filmati in cui si assiste a morti reali, di animali o persone, non sceneggiate o simulate). L’inferno di Archive 81 non sembra dissimile da quello mortifero, inquietante e a suo modo ordinario di Antrum.

    Fosse solo una serie TV modello mockumentary horror, forse, non varrebbe forse neanche la pena approfondirla: certo, i riferimenti ad elementi fondanti di film come V/H/S, The last horror movie The poughkeepsie tapes, S&MAN non sono da poco, e restano sostanziali. Ma c’è dell’altro, e basta vedere i primi trenta minuti dell’episodio pilota (su Netflix, ovviamente) per capacitarsene. Peraltro, gli stessi vengono declinati dentro Archive 81 (dove 81 fa riferimento all’anno 1981, per capirci) nel senso più paranoico possibile. Ed è chiaro che Dan è un archetipo, oltre che letteralmente dantesco, del protagonista medio di serie come Ai confini della realtà, travolto o coinvolto da un gioco più grande di lui, forse manipolato da tante scatole cinesi panottiche, in cui tutti possono spiare tutti. Nulla di diverso dal mondo qualunquista e iperconnesso in cui viviamo, in effetti, e di cui questo Archive 81 si mostra in tutta la propria preoccupazione, tensione e paranoia, per una serie che è (solo per comodità) di genere horror sovrannaturale e che, ad oggi, conta otto episodi in tutto. Molto probabilmente e come da tradizione, non si fermerà neanche a questi ultimi.

    Del resto il buon Dan, difensore della propria privacy dalle incursioni internet (come dice a più riprese lui stesso), a parte essere un personaggio romeriano – un solitario, oppresso dalla società e di etnia afro-americana, come il Duane Jones / Ben de La notte dei morti viventi –  è uno scettico convinto: non crede al sovrannaturale, lo rigetta e nasconde un passato traumatico (aveva pure un padre docente di psicologia, come se non bastasse). Un vero e proprio en plein di stereotipi psico-sociali – e, anche solo per questo, vittima designata delle peggiori sofferenze di qualsiasi opera di questo tipo.

    Opera molto diretta, pertanto, ispirata ad un sottogenere mockumentary preciso e a suo modo archetipica (nonostante l’idea di fondo non sia nuova), diretta brillantemente da una regista con le idee chiare. Girata, peraltro, riportando alla luce le narrazioni classiche di pseudo-snuff exploitativi, paranoici e gran guignoleschi come quelli citati: il mood paranoico e spaventoso non è cambiato, e farlo diventare una serie TV relativamente pop non era cosa banale.

    Tanto più se nel farlo si evitano gli eccessi dei vari filmacci qui citati, rimanendo su un equilibrio visuale e comunicativo di sostanza, che si riflette, soprattutto, in un horror lucido quanto onirico, anche solo nella trovata dei “paralleli comunicanti” mediante nastri VHS. Nastri, questi ultimi, simbolo di un tempo che non c’è più, di un filmato amatoriale che è simbolo quasi implicito di scheletro nell’armadio, filmato amatoriale come locuzione più ambigua che mai (..amatoriale in che senso?). Un cinema ritrovato on the road, parte del vissuto di ognuno di noi,un espediente narrativo in parte abusato ma che qui, nonostante tutto, si rinnova con saggezza nel gioco di ricicli del caso.

    Archive 81 è anche debitore di (ovvi?) echi ottantiani, gli stessi che serie come Stranger Things hanno saputo sfruttare (forse in vaga modalità poser, in quel caso), sulla falsariga del dubbio ancestrale che un qualche parente di qualsiasi famiglia custodisse sempre e comunque VHS atipiche nell’armadio della nonna. Ma anche solo (se preferite) del sano, classico e archetipico effetto nostalgia, lo stesso rievocato periodicamente da radio e TV – nonchè sbeffeggiato da South Park mediante la trovata dell’uva parlante, i ricordàcini.

    Effetto che in questa sede va al di là della semplice evocazione modello “si stava meglio quando si stava negli anni 80″: grazie alla trovata dei mondi paralleli alternativi, di fatto, dentro Archive 81 il sottogenere acquisisce, finalmente, nuova linfa. Suscita, a suo modo, curiosità rinnovata, anche nel pubblico meno propenso o più disilluso da mille mostri e villain considerati poco attuali o poco credibili. Il tutto anche grazie all’idea di un protagonista credibile quanto insolito, affiancato da una sorta di doppelganger femminile con cui ovviamente, si instaurerà fin da subito una sorta di legame psichico. Due protagonisti – forse volutamente, a questo punto – fuori norma, romeriani e carpenteriani a tutti gli effetti perchè multi-etnici, umani e coinvolgenti.

    Ci basta questo per farci amare, una volta tanto, una serie TV: specie noi che difficilmente le apprezziamo, in generale, siamo felici di essere smentiti.

    Cast

    Mamoudou Athie – Dan Turner
    Dina Shihabi – Melody Pendras
    Evan Jonigkeit – Samuel
    Ariana Neal
    Matt McGorry
    Martin Donovan Martin Donovan …
    Daniel Johnson Daniel Johnson …
    Kate Eastman Kate Eastman …
    Charlie Hudson III Charlie Hudson III …
    Kristin Griffith Kristin Griffith …
    Johnna Leary Johnna Leary …
    Eden Marryshow Eden Marryshow …
    Jacqueline Antaramian Jacqueline Antaramian …
    Jaxon Rose Moore Jaxon Rose Moore …
    Trayce Malachi Trayce Malachi …
    Sol Miranda Sol Miranda …
    Hilda Ivette Rodriguez Hilda Ivette Rodriguez …
    Martin Sola Martin Sola …
    Shay Guthrie Shay Guthrie …
    Gameela Wright Gameela Wright …
    Africa Miranda Africa Miranda …
    Allyson R. Hood Allyson R. Hood …
    Penelope Bauer Penelope Bauer …
    Frances Chao Frances Chao …
    Dennis Joseph Dennis Joseph …
    Georgina Haig Georgina Haig …
    Roger Petan Roger Petan …
    Robert Kwiatkowski Robert Kwiatkowski …
    Meg Hennessy Meg Hennessy …
    Nick Podany Nick Podany …
    Gilles Geary Gilles Geary …
    Zach Villa Zach Villa …
    Ellen Adair Ellen Adair …
    Michelle Federer Michelle Federer …
    Emy Coligado Emy Coligado …
    Mitzi Akaha Mitzi Akaha …
    Anaya Farrell Anaya Farrell …
    Ken Bolden Ken Bolden …
    Carla Brandberg Carla Brandberg …
    Curtis Caldwell Curtis Caldwell …
    Ebony Cunningham Ebony Cunningham …
    Jay Klaitz Jay Klaitz …
    Rosie Koster Rosie Koster …
    Angela Nicole Hunt Angela Nicole Hunt …
    Jake Andolina Jake Andolina …
    Ahlam Abbas Ahlam Abbas …
    Kaylin Horgan Kaylin Horgan …
    Teri Clark Teri Clark …
    Joseph Cannon Joseph Cannon …

    Trailer ufficiale

     

     

  • Mission mind control: il documentario della ABC che parlò per primo del progetto MK Ultra

    Mission mind control: il documentario della ABC che parlò per primo del progetto MK Ultra

    Farmaci per l’alterazione della personalità. Uso dell’ipnosi per scopo manipolatorio di un soggetto. Sostanze atte ad inibire temporaneamente qualsiasi movimento. Possibilità di produrre sintomi di malattie senza alcuna reale infezione (malattie simulate). Uso di allucinogeni e somministrazione ad alcuni soggetti, al fine testarne la resistenza mentale agli interrogatori e a condizioni di stress. Sono soltanto alcuni degli obiettivi che gli USA provarono a portare a termine, dal 1953 al 1977, relativamente ad uno dei progetti segreti più inquietanti mai venuti alla luce nella storia. Il progetto MKUltra (scritto a volte MK-Ultra), nome in codice di un programma di sperimentazione governativo sugli esseri umani, in seguito sciolto perchè considerato illegale e nato su iniziativa della CIA (Central Intelligence Agency).

    Una storia vera e documentata da numerose prove (più di 2 milioni di pagine di documenti declassified), più che altro a livello di bilancio di spesa (che provano, pertanto, essenzialmente che il governo USA finanziò questo genere di attività), desecretate nel 1977 su iniziativa del Freedom of information act (nonchè disponibili online nel sito TheBlackVault). Tra i film più popolari incidentalmente ispirati a questa vicenda troviamo, ad esempio, The Manchurian candidate (vecchio cult del 1962, rifatto nel 2004 con Denzel Washington protagonista), tratto dal romanzo omonimo di Richard Condon, ed incentrato sul lavaggio del cervello subito da un militare americano, indottrinato al pensiero comunista.

    Sulla falsariga della storia di MKUltra (e dei suoi sotto-progetti specializzati su vari ambiti) sono nate e si sono evolute decine di fantasie di complotto, non a caso, che sembravano ispirarsi proprio a questa storia – una delle rare storie più documentate di questo tipo. Prima di puntare, pertanto, la non falsificabilità delle fantasie complottistiche, ridurre il debunking ad una questione inter nos e minimizzare il problema ad un fatto socio-culturale, trattandolo con snobismo e polarizzando i pareri, sarebbe almeno il caso di conoscere questa storia nel dettaglio, anche perchè gli spunti di interesse sono numeri, tragici, interessanti e soprattutto realmente avvenuti.

    Screenshot tratta da alcuni documenti desecretati, https://www.theblackvault.com/documentarchive/

    Gli esperimenti di MKUltra sono diventati, per quello che vale, anche un “modello” ideale di moltissime teorie del complotto diffuse fino ad oggi. Con la differenza che in questo caso i fatti sono avvenuti sul serio: si indagava ad esempio sull’uso di LSD durante gli interrogatori, su tecniche di lavaggio del cervello e di tortura psicologica. Il programma rimase segreto per molti anni e coinvolse, come nel più inquietante dei film di fantascienza, inconsapevoli cittadini statunitensi e canadesi.Cosa resa ancora più spregevole, peraltro, dalla scelta di somministrarle alla parte debole della società: emarginati, tossicodipendenti, prostitute, in modo tale da ridurre al minimo le possibilità di ritorsioni legali.

    Frank Olson, biologo americano (1910-1953), coinvolto nelle attività di somministrazione di LSD a soggetti inconsapevoli. Morì cadendo da una finestra dell’Hotel Pennsylvania, New York, forse in stato di depressione. La vera causa della sua morte resta uno dei più controversi punti interrogativi sul progetto MK Ultra.

    La sperimentazione prevedeva, da quello che sappiamo, anche l’uso di elettroshock,  abusi sessuali e verbali, ipnosi e deprivazione sensoriale. Gran parte di quello che sappiamo ad oggi su MK Ultra, peraltro, deriva da una documentazione ufficiale estremamente frammentata (che riuscirono, almeno in parte, a far sparire per sempre), ma soprattutto da un documentario prodotto dalla ABC News (emittente TV statunitense) dal titolo “Mission Mind Control“.

    Gli ingredienti di un complotto da manuale ci sono tutti, e fa impressione come collidano con topos classici del mondo delle dietrologie: cittadini usati come cavie, esperimenti segreti per testare il controllo della mente, tecniche di manipolazione da usare per gli interrogatori ed un retaggio inquietante che fu, almeno in parte, trascinato in ambito militare USA fino ai crimini di Abu Graib, giusto per citare un caso molto noto. E soprattutto l’insabbiamento finale, l’occultamento e la distruzione delle prove di quanto era avvenuto, con una freddezza degna di un episodio di X-Files e con la differenza, sostanziale, che questi fatti sono ampiamente documentati. L’uso di LSD venne peraltro incoraggiato da parte dei dipartimenti universitari di ricerca negli USA, tanto più che qualcuno sospetta un collegamento diretto con l’utilizzo, su larga scala, della sostanza psicotropa, giusto negli anni 60 dei primi hippie e della controcultura.

    Grottescamente, a questo punto, proprio con il contributo della CIA.

    Il caso di James Thornwell, scomparso nel 1984 in seguito ad una crisi epilettica mentre era in piscina, è un ex militare USA sottoposto a dosi di LSD all’interno del progetto MK Ultra. Lo scopo ufficiale della sperimentazione era verificare se fosse possibile spingere un prigioniero a confessare a prescindere dalla sua volontà. Gli venne somministrato allucinogeno a sua insaputa durante un interrogatorio, scoprendo in seguito che la cosa si era ripetuta per 16 anni. Intentò causa al governo, chiedendo 10 milioni di dollari di danni, ma ne ottenne solo 625.000 su un fondo fiduciario. Soffrì di disordini mentali e dolori fisici per tutta la vita, e non riuscì a trovare un altro lavoro (fonte)

    Il progetto viene avviato nel 1953 dall’allora direttore della CIA Allen Dulles, con la consulenza scientifica di Gottlieb, cercando di emulare le presunte tecniche di plagio mentale attuate dal blocco sovietico contro alcuni prigionieri americani, “convertiti” alla causa del comunismo, almeno secondo le informazioni dell’epoca. MKUltra ha tentato, senza successo, di produrre una droga della verità per interrogare le spie sovietiche durante la Guerra Fredda, mediante il progetto noto come “Perfect Concussion“, tra cui l’uso di tecniche per cancellare la memoria.

    Uno degli aspetti più impressionanti di MK Ultra fu legato allo studio di tecniche per costringere un soggetto a confessare qualcosa al di là della sua volontà: fu quanto sponsorizzò a più riprese una delle anime scientifiche del progetto, il chimico Sidney Gottlieb , che approvò l’uso di LSD nel progetto, con riferimento alle tecniche controverse di “svuotamento del cervello” promosse da psichiatri come Donald Cameron.

    Un’altra vittima celebre di quel periodo (così pieno di misteri e sotto-storie trafugate in seguito) fu il tennista Harold Blauer, ricoverato in clinica per uno stato depressivo e sottoposto ad un’iniezione di MDA, all’epoca studiato come arma chimica per indurre la schizofrenia nel soggetto. Molti anni dopo, nel 1987, un tribunale condannò il governo a pagare 700 mila dollari alla famiglia di Blauer, a titolo di risarcimento per aver utilizzato l’uomo come cavia umana.

    Lo scopo di sviluppare procedure e identificare droghe psicoattive da usare per indebolire le persone e forzarnee le confessioni attraverso il lavaggio del cervello e la tortura psicologica è suggestiva e racconta una storia segreta di una nazione occidentale realmente incredibile (e non sarà nemmeno la prima volta, a dirla tutta), ma non è purtroppo esente da buchi narrativi e da lacune colmate, in molti casi, senza prove documentali.

    Al di là del tono vagamente psichedelico della ABC News, forzato sul sensazionalismo in mancanza d’altro, non si può fare a meno di notare che molti dei fatti dell’epoca sono dati per assodati per associazione di idee, e sulla base di semplici affermazioni che potrebbero essere lacunose. Come forse è avvenuto, ad esempio, in quella che viene definita la prima intervista pubblica dello psichiatra della CIA John Gittinger (artefice del modello di personalità noto come Personality Assessment System), si riferisca l’uso di LSD da parte dei sovietici da prima che ci pensassero gli USA, per quanto lo scienziato riconosca di non avere vere e proprie prove a riguardo.

    Come in una teoria del complotto della migliore fattura, quanto sappiamo su MK Ultra e sulle sue ambizioni (ambizioni che già renderebbero inquietante il tutto, figurarsi se qualche tentativo è stato realmente fatto su cavie umane, come risulta dai documenti) è comunque solo una parte dell’iceberg, e certi legami e volontà politiche in ballo probabilmente sono state cancellate per sempre dalla storia.

    La maggior parte dei documenti ufficiali su MKUltra sono stati distrutti nel 1973 per ordine del direttore della CIA Richard Helms, per cui molte delle informazioni disponibili sull’argomento è possibile che non siano totalmente esatte. È sicuro che il progetto fu finanziato e che ci furono almeno 150 sotto-progetti di ricerca seguiti direttamente dalla CIA. Il suggerimento generale è quello di vedere il video, di neanche un’ora, ricco di testimonianze dirette, omissioni forse in parte romanzate, cinismo ed autentici imbarazzi dei soggetti interpellati sul tema, che raccontano come andarono le cose. Di seguito trovate il video in questione, in versione integrale, del documentario Mission: Mind Control.

  • Cos’è LuLz: guida pratica al trolling attraverso South Park

    Cos’è LuLz: guida pratica al trolling attraverso South Park

    Nel saggio I mille volti di Anonymous l’antropologa Gabriella Coleman approfondisce la psicologia e il comportamentismo associato al gruppo hacker noto come Anonymous, in realtà espressione di gruppi differenti da ogni parte del mondo ed autentico collettivo-comune virtuale di hacker, spesso con pensieri e poliche diverse, se non contrapposte tra di loro.

    Tra le mille incursioni analizzate nel libro con dovizia di dettaglia, spicca la definizione del cosiddetto lulz, una distorsione verbale del più classico acronimo LOL (Laugh Out Loud, utilizzato in alcune chat e traducibile con la frase “rido forte” oppure “mi sto sbellicando”). Molti gruppi hacker che operano per buttare giù siti web istituzionali o provocare disagio o doxxing sui social agiscono, secondo questa idea, puramente per divertimento, in una ideologia non formalizzata che viene ben espressa dal lulz. E quando la Coleman riporta le affermazioni dei veri hacker da lei intervistati (alcuni dei quali in seguito arrestati dalla polizia americana), molti rispondono con una motivazione secca, monolotica ed avulsa ad ulteriori spiegazioni anche per un’antropologa di professione: semplicemente, “l’ho fatto per il lulz“.

    By Lulz Security’s Twitter account: [1], Fair use, https://en.wikipedia.org/w/index.php?curid=32299241
    L’ideologia alla base del lulz è un mix di pensieri di vario genere, che deve molto al pensiero anarchico nelle sue varie sfumature (non ultima quella individualista), e che tende a collocarsi nel più controverso mondo del trolling, ovvero le persone che più o meno consapevolmente concorrono nel creare – usando vari strumenti informatici e tecniche di manipolazione – disagio su internet. Ancora una volta, solo per il gusto di generare il caos, esattamente come viene fatto dal gruppo che è stato noto per anni come LulzSec, un gruppo di hacker attivisti attivo fino al 2011 (e reinventato da molti altri soggetti nel corso degli anni, anche in Italia) che non hanno mai agito per il profitto, ma solo per divertirsi a causare mayhem (ovvero, distruzione casuale) in rete. Si agisce for the lulz e tanto basta, al massimo godendosi coi popcorn in mano l’effetto eventualmente comico della propria azione (imbarazzo dei CEO delle aziende violate, accuse fantasiose o generalizzate dei politici e via dicendo), solo occasionalmente includendo un messaggio politico di protesta al proprio agire.

    Immagine tratta da https://en.wikipedia.org/wiki/LulzSec

    Sono presupposti dai quali è necessario partire per analizzare, o almeno provare a farlo, una delle puntate più epiche in assoluto di South Park, proprio perchè dedicata al mondo dei troll. Articolata in più puntate ad episodi (quasi un nuovo film di South Park, verrebbe da scrivere), parte nel secondo episodio della stagione numero 20 e finisce nell’episodio dieci.

    Il passaggio chiave avviene proprio quando la Danimarca cattura i troll ed interroga il padre di Kyle: in un delirio di onnipotenza, il CEO dell’azienda che ha causato una pesante violazione informatica ammette di “voler trollare il mondo intero“, anche perchè per farlo basterebbe “un leader politico in grado di stuzzicare la gente e farla arrabbiare“. Chiaro che, a quel punto, quel leader se ne starebbe lì a guardare mentre il mondo impazzisce, e tutto questo solo per il lulz, perchè sembra maledettamente divertente farlo.

    La storia raccontata negli episodi della stagione 20, per inciso, è quella del padre di Kyle che coltiva uno strano hobby notturno: trollare sui social VIP di ogni genere, insultando ed esibendo umorismo di cattivo gusto. Il suo comportamento, alla lunga, provoca il suicidio di un’atleta danese che aveva subito una mastectomia, e che si sente attaccata e non capita dalla rete. La conseguente reazione sarà, da parte della Danimarca, di minacciare una terza guerra mondiale, mentre un attacco informatico provocherà ulteriore caos, mettendo online in chiaro tutte le attività compiute da qualsiasi persona su internet.

    Una guerra provocata dal trolling, in effetti, specie in tempi convulsi come quelli che viviamo, assume un aspetto più realistico che sarcastico, ed è per questo che la puntata è particolarmente meritevole di visione (la trovate su Netflix, per inciso).